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Rivelare la terza dimensione della luce con l’intelligenza artificiale: sviluppato un polarimetro “intelligente” ultra-veloce e super-compatto che permette di utilizzare la polarizzazione della luce per nuove applicazioni

Ricercatori dell’Istituto dei sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche e della Sapienza Università di Roma hanno sviluppato un polarimetro “intelligente” ultra-veloce e super-compatto che permette di utilizzare la polarizzazione della luce per applicazioni nei campi della comunicazione ottica sicura, dei sensori fotonici e della medicina. Lo strumento è descritto in un articolo su Nature Communications.

Ricercatori dell’Istituto dei Sistemi complessi del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Isc) e del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma hanno sviluppato un innovativo strumento che permette di “vedere” tramite la polarizzazione, e utilizzare tale proprietà per applicazioni nei campi della comunicazione ottica sicura su grande distanza, dei sensori fotonici con funzionalità aumentate, e nuovi strumenti per la medicina.

La polarizzazione, assieme alla frequenza e all’intensità, è una delle tre proprietà fondamentali delle onde elettromagnetiche. Mentre le ultime due si manifestano ogni giorno tramite i colori e la brillantezza di una moltitudine di sorgenti di luce diverse quali led, microonde e laser, la polarizzazione della luce è meno conosciuta. I nostri occhi non sono sensibili a questa proprietà – che indica la direzione di oscillazione del campo ottico – e non ci accorgiamo, pertanto, di come essa sia alla base del funzionamento di oggetti di uso comune, come i display. Vedere tramite la polarizzazione permette di rilevare oggetti apparentemente invisibili in condizioni di scarsissima visibilità, e di scoprire dettagli che sono nascosti nelle normali fotografie. Inoltre, in applicazioni quali la visione digitale permette di osservare caratteristiche fisiche dei materiali nascoste – come tensioni, torsioni ed imperfezioni superficiali – e svolge un ruolo chiave nel settore dell’informazione quantistica.

Lo strumento sviluppato da Davide Pierangeli e Claudio Conti, rispettivamente dell’Istituto dei sistemi complessi del Cnr e del Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma supera il limite dell’assenza, fino ad oggi, di metodi e strumenti compatti per ottenere immagini in polarizzazione in modo ultraveloce: gli attuali rivelatori, infatti – i cosiddetti polarimetri – utilizzano molte misurazioni tramite apparati ottici costosi e voluminosi.

In particolare, il dispositivo realizzato è innovativo in quanto permette di misurare molte polarizzazioni in un singolo “shot”, basandosi sull’intelligenza artificiale. Inoltre, non necessita dei componenti ottici convenzionali di polarizzazione.

“Rivelare la cosiddetta «terza dimensione della luce» in modo efficiente è una sfida centrale per la fotonica”, spiega Davide Pierangeli (Cnr-Isc). “La nostra idea è stata quella di rivelare la polarizzazione misurando un’altra proprietà fisica apparentemente non collegata ad essa, cioè la distribuzione d’intensità ottica che viene prodotta da un chip disordinato, e da questa tramite tecniche di apprendimento automatico estrarre l’informazione sulle molte polarizzazioni codificate nel fascio laser”.

“Il nostro studio dimostra un rivelatore di polarizzazione smart basato su intelligenza artificiale con funzionalità attualmente non ottenibili in strumenti convenzionali”, continua Claudio Conti (Sapienza Università di Roma). “Questo apre le porte alla comunicazione ottica sicura, a nuovi strumenti per la medicina e la guida autonoma”.

Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Communications, apre importanti prospettive per l’applicazione della luce polarizzata strutturata nella comunicazione ottica, nell’imaging, e nella computazione.

 

polarimetro luce intelligenza artificiale

Riferimenti:

Single-shot polarimetry of vector beams by supervised learning – Davide Pierangeli & Claudio Conti – Nature Communications (2023) https://doi.org/10.1038/s41467-023-37474-0

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Onde elettromagnetiche senza limiti: dall’esplorazione dei fondali marini alla diagnostica d’avanguardia 

Un gruppo di ricercatori della Sapienza ha verificato in pratica per la prima volta il fenomeno della penetrazione profonda delle onde elettromagnetiche ottenuto mediante dispositivi facilmente realizzabili che ne massimizzano la propagazione. I risultati dello studio, pubblicati su Scientific Reports, aprono a nuove prospettive per lo sviluppo tecnologico di numerose applicazioni nell’imaging e nella spettroscopia, così come nei sistemi radar e nei trattamenti medici.

Onde elettromagnetiche senza limiti materiali dissipativi penetrazione profonda
Onde elettromagnetiche senza limiti. Immagine di DECHAMMAKL, CC BY-SA 4.0

Le onde elettromagnetiche, tra cui luce, raggi X, microonde e onde radio, sono molto presenti nella vita quotidiana e si prestano a numerose applicazioni, grazie alla loro flessibilità e potenza: dalla trasmissione di informazioni e di energia ai radar, fino agli impieghi in medicina diagnostica e terapeutica. Tuttavia, le onde elettromagnetiche perdono di efficacia all’interno di alcuni materiali detti dissipativi che intralciano la loro propagazione determinandone la trasformazione in altre forme di energia.

Un gruppo di ricerca della Sapienza, coordinato dal Dipartimento di Ingegneria dell’informazione, elettronica e telecomunicazioni (Diet), in collaborazione con altre università italiane, ha verificato per la prima volta il fenomeno fisico di penetrazione profonda di campi elettromagnetici in materiali dissipativi, ricorrendo ad apparecchi che consentono alle onde di “viaggiare” anche attraverso, per esempio, il terreno o i tessuti biologici.

La ricerca, pubblicata sulla rivista Scientific Reports, conferma nella pratica quanto dimostrato solo a livello teorico in un precedente studio del 2018.

Il risultato è stato ottenuto attraverso un’antenna a microonde (detta antenna a onda leaky), che emette onde che presentano un’amplificazione del campo in certe regioni di spazio, oppure, con un approccio assolutamente innovativo, mediante un particolare prisma che può operare anche a frequenze ottiche.

Le applicazioni di questi dispositivi potrebbero riguardare non soltanto l’individuazione di oggetti sepolti o immersi e l’interazione in profondità con tessuti biologici, ma anche la trasmissione di informazioni in mezzi con perdite, l’analisi di materiali e la microscopia.

“Questo lavoro – commenta Fabrizio Frezza della Sapienza, coordinatore del lavoro – apre la strada a promettenti applicazioni nell’imaging e nella spettroscopia, così come nei sistemi radar e nei trattamenti medici”.

Lo studio, sebbene verifichi l’effetto di penetrazione profonda per un valore specifico della frequenza e della conduttività (essendo le strutture coinvolte tipicamente a banda stretta) offre un importante contributo allo sviluppo tecnologico di numerose applicazioni anche in campi in cui, finora, potevano essere utilizzate solo le onde acustiche, come nell’ecografia e nel sonar.

Riferimenti:

Verification of the electromagnetic deeppenetration effect in the real world – Paolo Baccarelli, Alessandro Calcaterra, Fabrizio Frezza, Fabio Mangini, Nicholas Ricciardella, Patrizio Simeoni, Nicola Tedeschi – Scientific Reports 2021. DOI: 10.1038/s41598-021-95080-w

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Articolo a cura di Silvia Giomi e Piero Paduano

L’Universo in cui viviamo ci è in gran parte ignoto. La materia di cui siamo fatti noi, i pianeti, le stelle e tutti gli oggetti che osserviamo – e quindi conosciamo – ne costituisce meno del 5%. La restante parte dell’Universo è energia oscura (70%) e materia oscura (25%). Quest’ultima è detta “oscura” poiché, non emettendo radiazione elettromagnetica, rimane invisibile ai nostri strumenti, ma la sua presenza si rivela per via degli effetti gravitazionali osservati.

La ricerca delle particelle di materia oscura è una sfida che coinvolge da anni la comunità scientifica che si cimenta in esperimenti di osservazione diretta (in laboratori sotterranei come CERN, LNGS) e indiretta (nello spazio).

Tra i metodi indiretti vi è quello che sfrutta il fenomeno della superradianza dei buchi neri, esplorato approfonditamente nell’articolo Black hole superradiant instability from ultralight spin-2 fields, pubblicato sulla rivista Physical Review Letters.

Tale metodo è estremamente interessante anche perché si inserisce nel contesto della LGQ (Loop Quantum Gravity), teoria che cerca di unificare la meccanica quantistica e la relatività generale.

Abbiamo il piacere e l’onore di parlarne con il professor Paolo Pani, associato in Fisica Teorica presso il Dipartimento di Fisica della Sapienza Università di Roma, tra i protagonisti dello studio.

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Il buco nero supermassiccio nel nucleo della galassia ellittica Messier 87 nella costellazione della Vergine. Si tratta della prima foto diretta di un buco nero, realizzata dal progetto internazionale Event Horizon Telescope. Foto modificata Event Horizon TelescopeCC BY 4.0

 

In cosa consiste l’instabilità per superradianza, e in che modo la sfruttate per la vostra indagine?

La superradianza è un fenomeno che avviene in molti sistemi fisici quando un’onda riflessa da un oggetto viene amplificata a scapito dell’energia dell’oggetto stesso. Questo avviene anche per un buco nero, che può amplificare le onde elettromagnetiche o gravitazionali che “sbattono” su di esso. L’energia in eccesso viene presa dalla velocità di rotazione dell’oggetto, che diminuisce.

L’instabilità per superradianza è un fenomeno collegato: se le particelle del campo elettromagnetico (fotoni) o del campo gravitazionale (gravitoni) avessero una seppur minuscola massa, la radiazione amplificata per superradianza rimarrebbe intrappolata vicino al buco nero, generando un effetto a cascata che rallenta il buco nero fino quasi a fermare completamente la sua rotazione.

In questo caso l’energia in eccesso viene emessa in onde gravitazionali la cui frequenza è direttamente collegata all’ipotetica massa del campo. Se queste particelle ultraleggere esistessero, quindi, non dovremmo osservare buchi neri rotanti e ciascun buco nero si comporterebbe come un “faro” di onde gravitazionali.

 

Il fenomeno della superradianza ha qualche connessione con la radiazione di Hawking?

Sì, si può dire che la superradianza è la controparte “classica” della radiazione di Hawking, che è invece un effetto “quantistico”. La superradianza richiede che il buco nero ruoti, mentre nel caso della radiazione di Hawking il buco nero può rimanere statico. In questo caso la radiazione viene emessa spontaneamente, a scapito della massa del buco nero.

 

Può spiegarci quali sono i vantaggi di aver esteso il fenomeno al caso di campo tensoriale rispetto allo scalare e al vettoriale?

Il caso di campo tensoriale è strettamente collegato ad alcune teorie che prevedono una massa minuscola per il gravitone, una proprietà che potrebbe risolvere il problema della costante cosmologica e dell’energia oscura responsabile dell’espansione accelerata dell’universo.

Inoltre, campi tensoriali ultraleggeri sono ottimi candidati per spiegare la materia oscura che sembra permeare il cosmo ma che finora non si è riusciti a misurare in laboratorio. Il nostro studio mostra che i segnali di onde gravitazionali presenti e futuri permettono di ricercare queste particelle anche quando la loro massa è troppo piccola per essere vista in esperimenti terrestri, come negli acceleratori di particelle.

 

I vostri risultati sono condizionati dalla scelta della metrica di Kerr?

Nella teoria della gravitazione di Einstein, la relatività generale, la metrica di Kerr è l’unica possibile per descrivere un buco nero astrofisico. Nelle teorie che menzionavo sopra, tuttavia, possono esistere altre soluzioni che descrivono buchi neri differenti.

Nel nostro studio abbiamo fatto l’ipotesi standard che i buchi neri siano descritti dalla metrica di Kerr. Scelte differenti renderebbero i calcoli più laboriosi ma ci aspettiamo che non modifichino sostanzialmente il risultato: in presenza di campi ultraleggeri tutti i buchi neri rotanti sono instabili per superradianza ed emettono onde gravitazionali.

 

Quali porte si stanno aprendo e/o quali si stanno chiudendo sulla ricerca della materia oscura?

Il problema della materia oscura è che sappiamo davvero poco su di essa, e quindi svariate speculazioni teoriche sono possibili. Nel corso dei decessi alcuni modelli teorici sono divenuti più popolari di altri, ma l’ultima parola ce l’ha sempre l’esperimento: finché non scopriremo tracce di materia oscura oltre quelle ben note, non sarà possibile distinguere diversi modelli.

Gli esperimenti attuali atti a ricercare uno dei candidati più promettenti (le cosidette WIMPS, weakly interacting massive particles) hanno raggiunto precisioni tali che possono quasi escludere questa ipotesi. Un altro candidato molto promettente sono gli assioni, che sono appunto particelle ultraleggere che producono l’instabilita’ di superradianza dei buchi neri.

Penso che la risposta al problema della materia oscura arriverà da esperimenti innovativi, o magari proprio dai buchi neri, tramite segnali inaspettati di onde gravitazionali.

 

 

Riferimenti allo studio su instabilità per superradianza, buchi neri, materia oscura:

Black Hole Superradiant Instability from Ultralight Spin-2 Fields – Richard Brito, Sara Grillo, and Paolo Pani – Phys. Rev. Lett. 124, 211101 – Published 27 May 2020 DOI:https://doi.org/10.1103/PhysRevLett.124.211101