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Ridurre l’uso di risorse idriche e terra tramite diete sostenibili e salutari

Un modello innovativo suggerisce come riorganizzare i sistemi alimentari per proteggere l’ambiente e migliorare la salute umana: lo studio del Politecnico di Milano su Nature Sustainability.

Milano16 gennaio 2025 – È possibile alimentare il pianeta con diete salutari riducendo l’uso di terra e acqua? Uno studio condotto da ricercatori del Glob3science Lab del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano e pubblicato su Nature Sustainability, propone un modello globale per ottimizzare l’uso delle risorse agricole e idriche, rendendo sostenibile l’adozione della dieta di riferimento EAT-Lancet.

La dieta EAT-Lancet è un modello alimentare basato su principi scientifici che mira a migliorare la salute umana e ridurre l’impatto ambientale della produzione alimentare. Essa prevede un equilibrio tra cibi di origine vegetale, come cereali integrali, frutta, verdura, legumi e frutta secca, e una quantità limitata di alimenti di origine animale. Tuttavia, fino ad oggi, non era chiaro come il sistema cibo dovesse essere riorganizzato affinché tale dieta potesse essere adottata su scala mondiale senza compromettere le risorse naturali.

Utilizzando un modello agro-idrologico integrato con analisi di ottimizzazione, i ricercatori hanno esplorato sei scenari dietetici specifici per paese. La redistribuzione delle colture e il miglioramento dei flussi commerciali potrebbero ridurre del 37-40% le aree coltivate globali e del 78% il consumo di acqua per irrigazione, consentendo al contempo di soddisfare gli obiettivi nutrizionali della dieta EAT-Lancet.

Il modello evidenzia che l’adozione globale di questa dieta richiederebbe un aumento del commercio alimentare internazionale, portando la quota di produzione destinata all’export dal 25% al 36%. Sul fronte economico, si stima un aumento del 4,5% dei costi alimentari, a fronte di significativi benefici ambientali e nutrizionali.

Questo studio dimostra che è possibile garantire diete salutari e sostenibili per tutti, proteggendo le risorse fondamentali del pianeta” afferma la professoressa Maria Cristina Rulli, coordinatrice dello studio. “La nostra ricerca suggerisce che una redistribuzione intelligente delle colture e una migliore gestione dei flussi commerciali potrebbero migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse agricole e idriche su scala globale. Tutto questo però, per essere messo in atto, ha bisogno sia di politiche adeguate che sostengano tale riorganizzazione del sistema cibo anche economicamente sia di accettazione e condivisione sociale, nonché di processi di co-creazione coi produttori locali per ciò che attiene la redistribuzione delle colture.”

Lo studio, disponibile su Nature Sustainability, offre una roadmap concreta per un futuro alimentare più equo e sostenibile.

L’8 novembre scorso, Maria Cristina Rulli del Glob3science Lab del Politecnico di Milano e Paolo D’Odorico dell’Università della California, Berkeley, sono stati insigniti del Prince Sultan Bin Abdulaziz International Prize for Water (PSIPW) presso le Nazioni Unite. Il prestigioso riconoscimento è stato assegnato per le loro analisi innovative sul legame acqua-energia-cibo, che offrono soluzioni concrete per una gestione sostenibile delle risorse idriche, rispondendo alle sfide globali di un mondo in continua evoluzione.

 

Rulli, M.C., Sardo, M., Ricciardi, L. et al. Meeting the EAT-Lancet ‘healthy’ diet target while protecting land and water resources, Nat Sustain (2024), DOI: https://doi.org/10.1038/s41893-024-01457-w

Politecnico di Milano in Piazza Leonardo da Vinci. Foto di Mænsard vokser, CC BY-SA 4.0
Ridurre l’uso di risorse idriche e terra tramite diete sostenibili e salutari: uno studio pubblicato su Nature Sustainability. Politecnico di Milano in Piazza Leonardo da Vinci. Foto di Mænsard vokser, CC BY-SA 4.0

Testo e immagini dall’Ufficio Relazioni Media del Politecnico di Milano

Le aree importanti per la biodiversità, dove gli NCP aumentano maggiormente, contribuiscono al benessere dell’umanità
Una nuova ricerca, che coinvolge il Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, rivela il contributo sostanziale della biodiversità nella regolazione del clima, della qualità dell’aria, e della quantità di acqua. Lo studio pubblicato sulla rivista Nature Sustainability apre nuove prospettive per delineare politiche di conservazione efficaci.

Le crescenti pressioni umane sull’ambiente e l’utilizzo intensivo delle risorse stanno determinando una perdita globale di biodiversità e la conseguente alterazione degli ecosistemi naturali. Questi processi inducono anche il declino dei cosiddetti “contributi della natura alle persone” (NCP o servizi ecosistemici), cioè tutti quei contributi della natura – sia positivi che negativi – alla qualità della vita degli esseri umani.

Negli ultimi 50 anni è stato osservato che la perdita di biodiversità e la tendenza al declino di diversi NCP, come la regolazione del clima e l’impollinazione (definiti regolatori) o le esperienze culturali e psicologiche (NCP non materiali) stanno progredendo in parallelo. È diventato quindi cruciale comprendere la relazione spaziale tra la biodiversità e questi servizi ecosistemici per garantire i sistemi di supporto vitale della Terra.

Un nuovo studio del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, realizzato in collaborazione con l’Università di Stanford, stima l’importanza delle regioni ad alta biodiversità nel mantenere l’erogazione di alcuni NCP, considerando quattro diversi scenari di cambiamento climatico e di sviluppo socio-economico. La ricerca pubblicata sulla rivista Nature Sustainability si concentra in particolare su tre NCP regolatori fondamentali e ad oggi in declino, ovvero la regolazione della qualità dell’aria, del clima e della quantità di acqua dolce.

“Il nostro lavoro – spiega Marta Cimatti del laboratorio di ricerca Biodiversity and Global Change della Sapienza, prima autrice dello studio – ha permesso di misurare il valore attuale e futuro degli NCP utilizzando una serie di indicatori ambientali derivati da modelli climatici d’avanguardia, e di valutare se il rischio derivante dal cambiamento ambientale è maggiore o minore nelle regioni ad alta biodiversità rispetto alle regioni di controllo”.

Dai risultati della ricerca emerge che sono presenti livelli più elevati di NCP nelle regioni ad alta biodiversità per tutti gli indicatori, sia nel presente che nei diversi scenari futuri, evidenziando la congruenza spaziale tra la biodiversità e gli NCP. Inoltre, gli indicatori della qualità dell’aria e della regolazione del clima mostrano livelli in rapido aumento nelle regioni importanti per la biodiversità, specialmente negli scenari che prevedono alte emissioni, mentre gli indicatori della regolazione della quantità di acqua sono leggermente in calo.

“Aver dimostrato che gli NCP aumentano maggiormente nelle aree importanti per la biodiversità – continua Marta Cimatti – è fondamentale per definire le politiche di conservazione, e consente di individuare possibili sinergie tra il raggiungimento degli obiettivi prefissati nell’ambito di diverse convenzioni internazionali e diversi obiettivi di sviluppo sostenibile. Infatti, la conservazione di queste aree proteggerebbe la vita sulla Terra attraverso la conservazione della biodiversità, ma garantirebbe anche la salute e il benessere degli esseri umani, la fornitura di acqua pulita e servizi igienico-sanitari e la mitigazione del clima”.

“I temi dello sviluppo sostenibile e della conservazione della biodiversità sono diventati ormai prioritari, ma non sempre è chiaro a tutti il legame stretto tra questi obiettivi globali – conclude Moreno Di Marco, a capo del laboratorio Biodiversity and Global Change e autore senior dello studio. Questo lavoro dimostra come la conservazione della biodiversità sia fondamentale per il mantenimento dei contributi della natura alle persone e conseguentemente per il raggiungimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030.”

Rio delle Amazzoni biodiversità aree importanti benessere
Le aree importanti per la biodiversità, dove gli NCP aumentano maggiormente, contribuiscono al benessere dell’umanità. Foto di Turiano L P Neto

Riferimenti:
The role of high-biodiversity regions in preserving Nature’s contributions to People – Marta Cimatti, Rebecca Chaplin-Kramer, Moreno Di Marco – Nature Sustainability (2023)  https://doi.org/10.1038/s41893-023-01179-5

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

SOSTENIBILITÀ DELLE RISORSE COMUNI E COOPERAZIONE TRA INDIVIDUI

Confermate da uno studio pubblicato da «Nature Sustainability» le intuizioni della Nobel per l’economia Elinor Ostrom. La ricerca coordinata da Samir Suweis dell’Università di Padova dimostra il ruolo fondamentale che hanno le informazioni sull’esaurimento delle risorse e la condivisione degli obiettivi.

Samir Suweis Sostenibilità delle risorse comuni e cooperazione tra individui
Samir Suweis

L’uso sostenibile delle risorse comuni – come le acque sotterranee, la pesca o le foreste – è una sfida impegnativa perché richiede che gli utilizzatori delle risorse cooperino tra loro.

Se l’evidenza empirica ha dimostrato che le comunità prevengono lo sfruttamento eccessivo (tragedy of the commons) sviluppando istituzioni di autogoverno che favoriscono la collaborazione, tuttavia sia le condizioni che favoriscono la cooperazione che i suoi benefici a lungo termine sono rimasti sotto traccia negli studi scientifici sull’argomento.

Lo studio con il titolo “The emergence of cooperation from shared goals in the governance of common pool resources” pubblicato su «Nature Sustainability» dal team di ricerca internazionale coordinato da Samir Suweis del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Università di Padova dimostra come la cooperazione sia favorita dall’accesso alle informazioni sui cambiamenti del livello di risorsa e dalla loro capacità di influenzare le decisioni degli utenti. Ad esempio, quando le risorse si esauriscono gli individui adeguano il tasso di raccolta, ma questa cooperazione emerge solo quando le persone vengono ricompensate sulla base di obiettivi che condividono.

La ricerca pubblicata, a differenza della letteratura scientifica precedente, pone in luce sia l’effetto retroattivo tra le decisioni (prese dagli individui) e l’andamento delle risorse disponibili sia il legame che esiste tra la cooperazione che si sviluppa e gli obbiettivi condivisi.

Gli autori hanno sviluppato un programma online per eseguire delle simulazioni in cui gli utilizzatori di una risorsa comune scelgono (aggiornando il loro comportamento nel tempo) il tasso di consumo individuale in base alla conoscenza sia del livello della risorsa che del comportamento degli altri. Il risultato è stato che se gli utenti condividono obiettivi comuni allora vi è una tendenza a cooperare e ciò consente un uso sostenibile delle risorse nel lungo periodo. Questi esiti (tendenza alla cooperazione e sostenibilità di lungo periodo) sono coerenti con i risultati di un modello teorico di dinamica delle risorse e di estrazione già sviluppato dal primo autore, Chengyi Tu docente a Berkeley e alla Zhejiang Sci-Tech University, che dimostrava come la cooperazione fosse il frutto di un compromesso tra il la “ricompensa” individuale e quella collettivo.  I ricercatori, utilizzando la teoria del controllo ottimale, hanno dimostrato che obiettivi condivisi portano ad azione collettiva auto-organizzata che consente una governance sostenibile delle risorse comuni.

«Il contributo originale di questo studio – afferma il primo autore della pubblicazione Chengyi Tu – è che utilizza sia approcci sperimentali che modelli teorici per mettere in relazione l’emergere della cooperazione con obiettivi condivisi e feedback sulle decisioni relative alle risorse».

«L’aspetto davvero entusiasmante – conclude il coordinatore dello studio Samir Suweis – è che siamo riusciti a dimostrare come gli obiettivi comuni condivisi, previsti da Elinor Ostrom prima donna premiata con il Nobel per l’Economia nel 2009 proprio per i suoi studi su governance e risorse comuni, possano indurre la cooperazione auto-organizzata e la sostenibilità dei beni comuni».

Link all ricerca: https://www.nature.com/articles/s41893-022-01008-1

Titolo: “The emergence of cooperation from shared goals in the governance of common pool resources” – «Nature Sustainability» 2022

Autori: Chengyi Tu, Paolo D’Odorico, Zhe Li & Samir Suweis

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

Mobilità elettrica e home working riducono l’inquinamento urbano
Trasformando solo l’1% dei veicoli più inquinanti in elettrici, la riduzione delle emissioni sarebbe pari a quella ottenuta convertendo in elettrico il 10% di veicoli scelti casualmente. È uno dei risultati della ricerca, pubblicata su Nature Sustainability, condotta da Cnr-Isti e Sapienza Università di Roma nelle città di Firenze, Roma e Londra.

Roma inquinamento mobilità elettrica home working
Mobilità elettrica e home working riducono l’inquinamento urbano. Nella foto, traffico nella città di Roma, una delle tre città coinvolte nello studio. Foto di wal_172619

Quanto e cosa, gli individui che vivono in un’area urbana, respirano quotidianamente dipende da diversi fattori, ed è variabile nello spazio e nel tempo. Così come è molto variabile la responsabilità, delle auto, per quelle stesse emissioni a cui le persone sono esposte.

Alcune strade delle città, sono più inquinate di altre, e alcuni veicoli privati inquinano più di altri.

Lo studio dei ricercatori dell’Istituto di scienza e tecnologie dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isti) in collaborazione con il Dipartimento di ingegneria informatica, automatica e gestionale (Diag) della Sapienza Università di Roma ha evidenziato come in città come Roma e Firenze, ma anche a Londra, il 10% delle strade più inquinate può arrivare ad “ospitare” quasi il 60% delle emissioni veicolari di tutta la città, e, allo stesso modo, il 10% dei veicoli più inquinanti può arrivare ad essere responsabile per ben più della metà delle emissioni.

La ricerca sottolinea inoltre che rendendo elettrico anche solo l’1% dei veicoli privati più inquinanti in un centro urbano, la conseguente riduzione delle emissioni di CO2 sarebbe pari a quella ottenuta se una quantità 10 volte maggiore di veicoli scelti a caso fossero elettrici. Risultati analoghi si ottengono dall’applicazione dell’home working mirato ad evitare i viaggi sistematici casa-lavoro di una porzione della popolazione.

“Si tratta di una evidenza scientifica di quanto sia importante compiere scelte che siano informate”, commenta Mirco Nanni, ricercatore di Cnr-Isti che ha condotto lo studio e direttore del Kdd-Lab. “Misure come le cosiddette targhe alterne, ancora in voga fino a pochi anni fa, sono incredibilmente meno efficaci di politiche di riduzione delle emissioni che compiano invece scelte mirate, come i più recenti divieti alla circolazione dei veicoli particolarmente inquinanti, o eventuali incentivi all’elettrico, che dovrebbero, però, essere concepiti per chi inquina di più”.

Ma chi inquina di più? Si possono individuare dei comportamenti di mobilità, adottati con le nostre auto, che causano maggiori emissioni? “Dal nostro lavoro emerge che chi si sposta in modo più prevedibile, come nel tragitto casa-lavoro, è responsabile di una maggiore fetta di emissioni di chi ha, invece, un comportamento di mobilità più erratico ed imprevedibile”, spiega Luca Pappalardo ricercatore del Cnr-Isti e coordinatore dello studio.

Questo tipo di ricerche possono essere di aiuto ai decisori politici.

“Nel concepire politiche di riduzione delle emissioni veicolari che siano veramente efficaci e riescano, così, ad avere un impatto positivo sulle nostre città, bisogna conoscere il fenomeno in modo approfondito”, conclude Matteo Böhm, dottorando della Sapienza e autore dello studio. “Solo con scelte informate, infatti, si può ‘sapere dove colpire’, ed arrivare così ad ottenere il massimo risultato. La nostra speranza è che studi come questo possano aiutare a raggiungere questo obiettivo”.

Riferimenti:
Gross polluters and vehicles’ emissions reduction – Matteo Böhm, Mirco Nanni, Luca Pappalardo – Nature Sustainability (2022) https://doi.org/10.1038/s41893-022-00903-x

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma