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TORNA A RACCONTARE LA STRAORDINARIA TRADIZIONE CELESTE CITTADINA IL MUSEO ASTRONOMICO COPERNICANO DI ROMA, NEL SEGNO DI COPERNICO

L’evento è inserito nelle iniziative internazionali legate alle celebrazioni per il 550° anniversario della nascita dell’astronomo polacco Niccolò Copernico.

Museo Astronomico Copernicano a Roma

Il Museo Astronomico Copernicano situato sulla collina di Monte Mario a Roma, all’interno di Villa Mellini che ospita la Sede Centrale dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, si mostra rinnovato alla Città: il nuovo allestimento è stato ufficialmente presentato oggi pomeriggio, durante la cerimonia di inaugurazione che ha visto la presenza dell’Ambasciatore della Repubblica di Polonia a Roma S.E. Anna Maria Anders, del Presidente dell’INAF Marco Tavani e di rappresentanti del Ministero dell’Università e della Ricerca, del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, del Ministero della Cultura e del Comune di Roma

L’inaugurazione del nuovo allestimento museale, pensato come un ideale viaggio nell’Astronomia, dai suoi albori fino  ad oggi e con uno sguardo ai più ambiziosi progetti futuri, è inserita nelle iniziative internazionali legate alle celebrazioni per il 550° anniversario della nascita dell’astronomo polacco Niccolò Copernico.

Tavani commenta: “È una grande gioia inaugurare oggi, alla presenza di prestigiosi esponenti delle istituzioni e dell’Ambasciatore della Polonia, il nuovo allestimento del Museo Copernicano, che abbiamo fortemente voluto per rendere merito al suo valore storico e restituirlo alla cittadinanza. Come ai tempi di Copernico siamo sull’orlo di una nuova rivoluzione  nel campo dell’astrofisica e l’Istituto Nazionale di Astrofisica di questa rivoluzione è protagonista, con le sue ricerche di frontiera che porteranno a una conoscenza sempre più profonda dell’Universo in cui viviamo”.

Il Museo Astronomico e Copernicano dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma  possiede un patrimonio che abbraccia un periodo storico che va dall’XI secolo ai nostri giorni. Gli strumenti scientifici, i libri antichi, gli archivi, i documenti originali e i registri di osservazione provengono principalmente dai due osservatori astronomici romani dell’Ottocento, la Specola del Collegio Romano (1787) e la Specola del Campidoglio (1827), nonché dalle celebri collezioni del Museo Kircheriano (1651).

Questo patrimonio si aggiunge alla originale collezione di opere e cimeli copernicani raccolti dallo storico polacco Arturo Wolynski in occasione delle celebrazioni di Niccolò Copernico (1473-1543) nel 400° anniversario della nascita tenutesi a Roma nel 1873, che costituisce il nucleo originale del Museo e ne motiva la dedicazione al grande scienziato polacco, in visita nella Città Eterna nel corso del Giubileo del 1500.

Sua Eccellenza Ambasciatore della Repubblica di Polonia a Roma Anna Maria Anders commenta: “Per noi polacchi il Museo Astronomico Copernicano è un luogo dell’anima, perché parla della nostra Patria, della nostra cultura, della nostra storia. Questo tempio della scienza e della memoria è anche un simbolo dell’amicizia plurisecolare tra Italia e Polonia, che si rinnova qui a Roma proprio nel 550° della nascita di Copernico”.

Il percorso storico si sviluppa attraverso quattro sale – Strumenti pre-galileiani e cannocchiali antichi; Evoluzione dell’ottica; Geodesia, Topografia e computo del Tempo; Globi terrestri e Celesti – che conducono alla più ampia Sala Copernicana riservata ad esposizioni temporanee e a un’ultima stanza che illustra presente e futuro della ricerca astrofisica in cui l’Italia con l’INAF è protagonista a livello globale.

“Il nuovo allestimento inaugurato in occasione dei 550 anni della nascita di Copernico, consentirà ai visitatori di muoversi attraverso un percorso che li accompagnerà dalle origini del pensiero astronomico, alla Rivoluzione Eliocentrica che ha dato l’avvio a quella Scientifica, fino ai giorni nostri, toccando le tappe principali che hanno segnato la comprensione del nostro universo con un occhio alla ricchissima storia della scienza del cielo romana” sottolinea Lucio Angelo Antonelli, direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma.

Nei giorni e nei mesi a venire il Museo Astronomico e Copernicano sarà coinvolto nell’ambito di numerose importanti iniziative culturali che lo vedranno spesso aperto al pubblico cittadino, tra cui le Giornate di Primavera del FAI (Fondo Ambiente Italiano), il Festival delle Scienze dell’Auditorium e il programma “Open House”.

Questo percorso condurrà ad una apertura regolare su prenotazione dopo l’estate, in coincidenza con l’avvio del nuovo anno scolastico e un grande congresso Internazionale alla fine di settembre, dedicato proprio alla figura di Copernico e alle sue relazioni con Roma e l’Italia.

Da quel momento il museo sarà visitabile da scuole, gruppi e privati cittadini con modalità che verranno pubblicizzate sul portale dell’INAF e dell’Osservatorio Astronomico di Roma.

IL MUSEO ASTRONOMICO E COPERNICANO

L’idea di un museo copernicano nacque in occasione delle celebrazioni del 4° centenario della nascita di Copernico tenutesi a Roma presso l’Università La Sapienza nel 1873.

Il principale promotore di questa iniziativa fu Artur Wolynski, uno storico polacco studioso di Copernico e di Galileo.

La collezione originaria è costituita da cimeli copernicani, volumi antichi, stampe e materiali di archivio ed è stata raccolta da Wolynski attraverso donazioni provenienti dalla Polonia.

Fu arricchita da materiale scientifico proveniente dagli osservatori astronomici italiani e in particolare da tutta la strumentazione ormai in disuso dei due osservatori astronomici romani del XIX secolo, l’Osservatorio del Collegio Romano e l’Osservatorio del Campidoglio.

Il Museo divenne quindi una collezione completa di strumenti astronomici di tutte le epoche, libri antichi e documenti d’archivio, che mostrano l’evoluzione delle conoscenze astronomiche dalle origini fino alla nascita dell’astrofisica e ai giorni nostri.

La prima sala è dedicata agli strumenti pre-galileiani e alla collezione dei cannocchiali antichi.

Nella teca centrale è esposta la collezione di astrolabi e notturnali.

L’astrolabio arabo valenziano di Ibrahim ibn Said al-Sahli è l’oggetto più antico del museo e risale al 1070. Questo astrolabio proviene dal Museo Kircheriano presso il Collegio Romano ed è stato trasferito al Museo Copernicano nel 1886.

Sempre in questa sala c’è la collezione dei cannocchiali più antichi.

I cannocchiali qui esposti sono del XVII e XVIII secolo e sono realizzati in carta, cartone, pelle e legno.

La seconda sala è dedicata all’evoluzione dell’ottica

Qui è presente anche la collezione di telescopi riflettori realizzati secondo gli schemi ottici proposti da Newton e da James Gregory.

Gli specchi venivano realizzati di metallo (una lega di rame e stagno facilmente levigabile) molto ben lucidato per diventare riflettente.

In questa sala sono esposti anche spettroscopi, che venivano utilizzati nella seconda metà del XIX secolo insieme ai telescopi, dagli astronomi Angelo Secchi e Lorenzo Respighi, direttori rispettivamente dell’Oss. Astr. del Collegio Romano e dell’Oss.Astr. del Campidoglio. Essi furono tra I pionieri dell’astrofisica. Furono tra i primi a condurre studi sistematici dello spettro della luce proveniente dal sole e dalle altre stelle per comprendere le caratteristiche chimiche e fisiche dei corpi celesti. Secchi è considerato il padre dell’astrofisica poiché fu il primo a proporre una classificazione spettrale delle stelle basata sullo studio dello spettro di circa 2000 stelle, ponendo così le basi degli studi successivi che hanno portato alla comprensione dei meccanismi evolutivi delle stelle.

La terza sala è dedicata alla geodesia e alla topografia

In questa sala sono esposte le collezioni di circoli moltiplicatori, teodoliti, grafometri, compassi, goniometri, sestanti, ottanti, orologi solari e meccanici, utilizzati per misurare le coordinate terrestri e celesti.

Questa attività era utile non solo per comprendere i movimenti delle stelle e dei pianeti, ma anche per disegnare le mappe geografiche e i confini dei territori ed anche per identificare le rotte delle navi in mare aperto.

La sala dei globi

La collezione dei globi è molto vasta ed è composta da esemplari di autori delle diverse epoche. I più antichi sono i tre globi di Gerardo Mercatore della metà del XV secolo. Il globo posto al centro della sala è stato realizzato da Vincenzo Maria Coronelli nel 1696.

Per maggiori informazioni visita questo sito: https://www.beniculturali.inaf.it/musei/roma/

Testi e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

IL SEME DELLA SCIENZA: Aperto il Museo dell’Orto Botanico dell’Università di Padova

Un viaggio alle origini della botanica e della medicina

È stato inaugurato oggi, lunedì 13 febbraio, alla presenza del Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e della Magnifica rettrice dell’Università di Padova, Daniela Mapelli, il Museo botanico dell’Università di Padova.

Il Museo farà conoscere al grande pubblico dell’Orto la storia della botanica e dei suoi rapporti con la medicina, grazie al ricco patrimonio di erbari, semi e collezioni didattiche custoditi in secoli di ricerca e attività didattica, mostrando al pubblico un patrimonio finora appannaggio solo di ricercatori e studiosi. Il complesso delle collezioni completa l’offerta culturale dell’Orto fondato nel 1545, sito Unesco unico al mondo, arricchendo il percorso di visita con la storia sia del luogo che della botanica padovana, a partire dal suo legame con la medicina e la farmacopea durante il Rinascimento. Il visitatore ha così uno strumento in più per esplorare in autonomia l’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità, comprendendone le origini e l’evoluzione. In modo coinvolgente e interattivo potrà conoscere le collezioni e scoprire come lo studio delle piante si sia evoluto nei secoli. Con la Biblioteca, l’erbario di ricerca e il nuovo percorso espositivo aperto al pubblico, il Museo diventa un luogo d’eccezione in cui ricerca, didattica e divulgazione convivono.

«Il Museo botanico è una delle splendide eredità permanenti che la nostra Università offre, in occasione dei suoi ottocento anni, al territorio. La sua inaugurazione il 13 febbraio – afferma la magnifica rettrice Daniela Mapelli – chiuderà un anno ricco, emozionante e intenso di iniziative rivolte non solo alla comunità universitaria, ma a tutta la cittadinanza. Il Museo integra e rafforza l’offerta culturale e scientifica dell’Università, anche in vista dell’inaugurazione del Museo della Natura e dell’Uomo. L’Orto fondato nel 1545 continua così a essere un luogo di scambio e conoscenza, aperto al mondo».

«Si tratta di una inaugurazione importante, che prosegue sul solco di una piccola ‘rivoluzione copernicana’ per i musei universitari patavini: non più solo patrimonio ad uso esclusivo di studiosi e docenti, ma una ricchezza culturale a disposizione di tutti, accessibile, inclusiva e per di più in questo caso orientata ai temi della sostenibilità, in linea con la nuova definizione di Museo varata dall’ICOM lo scorso 24 agosto 2022 a Praga – sottolinea Mauro Varotto, delegato della Rettrice per i musei e le collezioni universitarie – Si tratta di un investimento economico non indifferente per l’Ateneo, destinato a potenziare l’offerta culturale cittadina e a far crescere il capitale scientifico a disposizione della cittadinanza: solo così Padova potrà a buon diritto definirsi Città della Scienza».

La storia

L’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità si arricchiscono di un nuovo nucleo espositivo che presenta per la prima volta al grande pubblico una selezione significativa del patrimonio storico dell’Università di Padova, finora destinato principalmente a ricerca e didattica.

Si tratta di collezioni botaniche risalenti prevalentemente all’Ottocento e al primo Novecento, tra cui spicca l’erbario storico – uno straordinario archivio della biodiversità vegetale con circa 800.000 esemplari di piante, alghe, funghi e licheni essiccati – 16.000 provette con semi di specie alimentari, medicinali e ornamentali, le tavole didattiche ottocentesche, modelli di funghi e sezioni di legni. Il percorso, che si sviluppa su una superficie di 500 metri quadrati ed è stato curato dalla responsabile scientifica Elena Canadelli, parte letteralmente dalle radici dell’Orto ovvero da uno dei suoi più antichi esemplari arborei, il tronco di agnocasto (detto anche “Pepe dei monaci”) risalente alla metà del Cinquecento, per concludersi con il preziosissimo patrimonio di volumi che hanno fatto la storia della botanica e della medicina (come le prime edizioni delle opere di Vesalio, Mattioli, Berengario da Carpi e Alpini). Nell’insieme, gli spazi del Museo botanico, dell’erbario e della biblioteca rappresentano da ora non solo un importante polo di conservazione, ma anche di studio e valorizzazione pubblica delle collezioni museali, archivistiche e librarie dell’Università di Padova, che arricchiscono ulteriormente un sito Unesco unico al mondo.

Il Museo botanico ha sede in quella che fino a metà Novecento era la casa in cui abitava il Prefetto dell’Orto di Padova. Questo edificio d’impianto settecentesco ha ospitato nel tempo studenti, studentesse e docenti dell’Università di Padova in serre, aule e laboratori che oggi aprono per la prima volta le loro porte agli oltre 200.000 visitatori annui dell’Orto botanico. Chi visita il Museo potrà scoprire la storia dell’Orto, delle sue piante e di chi le ha raccolte, in un viaggio attraverso i secoli che inizia dalla sua fondazione – quando vi si coltivavano e studiavano le piante medicinali – e arriva fino al Novecento, quando lo studio delle piante si è esteso anche all’anatomia, alla fisiologia ed evoluzione nel loro ambiente, alla loro classificazione e distribuzione geografica.

Il Museo

«Il Museo valorizza la storia secolare dell’Orto. Nelle sue sale natura, scienza, arte e storia dialogano in maniera suggestiva e coinvolgente. Tra passato e presente, il percorso racconta le storie delle piante e delle persone che le hanno raccolte, studiate e insegnate nel corso dei secoli, facendo di Padova un crocevia di scienza e cultura. Oggi – sottolinea Elena Canadelli, responsabile scientifica del Museo botanico, storica della scienza e presidente della Società Italiana di Storia della Scienza –a l’Orto botanico ha un nuovo importante attore, che affianca e rafforza le attività del sito Unesco su più livelli, dalla ricerca storica e botanica alla didattica, alla possibilità per i visitatori di conoscere la storia dell’Orto e delle sue collezioni. Il risultato a cui siamo arrivati dimostra l’importanza e la forza di lavorare in sinergia, grazie a una valorizzazione integrata del patrimonio».

Visitare il Museo è come entrare nel sancta sanctorum dell’Orto, dove conoscere i suoi protagonisti e scoprire ancora meglio il dialogo tra horti sicci e horti vivi, tra le geometrie rinascimentali dell’Orto antico, fondato nel 1545, le serre del Giardino della biodiversità inaugurate nel 2014 e il ricco patrimonio archivistico e librario conservato al primo piano dell’edificio nella nuova Biblioteca storica di medicina e botanica “Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili”, frutto del trasferimento dei testi di medicina e anatomia della Biblioteca Medica “Vincenzo Pinali” Antica, che vanno ad affiancarsi alle preesistenti raccolte di libri e archivi della Biblioteca dell’Orto, evidenziando lo stretto nesso originario tra botanica e medicina. Il percorso museale del pianterreno continua così idealmente al piano superiore, in cui la conservazione del patrimonio si unisce alla sua valorizzazione attraverso una galleria di interattivi dedicati alla storia di queste importanti biblioteche e dei loro fondi librari. Sempre al primo piano dell’edificio si trovano gli spazi di conservazione e studio dell’erbario riservati agli studiosi, insieme al resto delle collezioni del Museo non esposte al pianterreno e ad un’aula predisposta per le attività didattiche con le scuole.

La visita si snoda in un percorso ad anello di circa 100 metri di lunghezza a partire dall’ingresso che specchia l’Orto rinascimentale, in cui trova posto il tronco più antico conservato, quello dell’agnocasto, tra le piante coltivate nei primi anni di vita dell’Orto e noto fin dall’antichità come presunto rimedio per diminuire il desiderio sessuale. Ci si immerge così nelle tappe fondamentali della storia dell’Orto, a partire dalla sua fondazione nel 1545 fino al 1786, anno in cui Goethe lo visita e ne rimane affascinato durante il suo viaggio in Italia. A seguire si sviluppa la collezione di erbari, che occupa l’intero corridoio settentrionale dell’edificio e racconta la fitta rete di scambi di piante e semi dell’Orto, sin dalle origini importante centro di introduzione e coltivazione di piante medicinali, alimentari e ornamentali da varie parti del mondo: tale storia viene annunciata dall’installazione Erbario assoluto, realizzata dallo studio artistico multidisciplinare fuse* e ripercorsa attraverso alcuni esemplari originali delle collezioni di erbari. Nella parte finale della galleria si lasciano gli exsiccata per immergersi nelle illustrazioni botaniche e anatomiche che hanno fatto la storia della botanica e della medicina in alcuni dei più preziosi volumi della Biblioteca storica di medicina e botanica “Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili”.

Il percorso continua in una spezieria di fine Settecento, dove la strumentazione originale, le preparazioni e i farmaci che attraversano almeno tre secoli di storia della farmaceutica e della medicina si combinano con esperienze sonore e interattive. A seguire ci si immerge in un’aula di fine Ottocento, imparando ad esercitare l’occhio, come gli studenti del passato, sulle collezioni botaniche didattiche di tavole parietali, semi, funghi e legni delle forme più diverse. Negli spazi del Teatro botanico recentemente restaurato si può assistere alla proiezione del film Goethe. La vita delle foglie, scritto e diretto da Denis Brotto, dove si racconta l’ideale ritorno di Goethe a Padova, oggi, nel 2023: un’occasione per ripensare al suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1786, e soprattutto alla genesi del suo celebre saggio La metamorfosi delle piante, pubblicato nel 1790. Nelle sale successive è possibile immergersi in esperienze interattive come quella della Botanica senza frontiere, in cui una mappa evidenzia i legami dell’Orto con il resto del mondo, attraverso le storie dei personaggi che sono entrati in relazione con questo luogo, o quella di Una storia illustrata della botanica e della medicina, in cui si ripercorre in 12 tappe, che comprendono anche Padova, la storia della medicina e della botanica occidentale, oppure il gioco finale che conclude la visita e sprona a indovinare le piante introdotte per la prima volta in Italia e i botanici padovani a cui ancora oggi sono dedicati interi generi di piante.

Info per la visita

L’accesso al Museo è incluso nel percorso di visita e nel biglietto d’ingresso dell’Orto, che mantiene i costi invariati. Gli orari, i prezzi e le modalità di visita o prenotazione sono disponibili presso il sito dell’Orto botanico (www.ortobotanicopd.it).

I lavori di restauro, risanamento e riqualificazione energetica della casa del Prefetto per l’allestimento del Museo sono stati diretti dall’Ufficio Sviluppo edilizio dell’Area Edilizia e Sicurezza dell’Università di Padova, su progetto di Lucia Corti (LAe – Laboratorio di Architettura Ecologica).

L’allestimento museale e multimediale è stato coordinato dall’Ufficio Eventi permanenti – Area Comunicazione e Marketing dell’Università di Padova, con la collaborazione del Centro di Ateneo per i Musei, l’Ufficio Sviluppo edilizio, il Centro di Ateneo Orto botanico, il Centro di Ateneo per le Biblioteche e il Dipartimento di Scienze del Farmaco. La supervisione scientifica del progetto espositivo è di Elena Canadelli, storica della scienza e presidente della Società Italiana di Storia della Scienza.

Ideazione e progettazione grafica degli allestimenti e design della galleria della Biblioteca storica sono dell’Ufficio Comunicazione – Area comunicazione e Marketing dell’Università di Padova.

Il Museo botanico è realizzato grazie al sostegno del Ministero dell’Università e della Ricerca, della Camera di Commercio di Padova e degli Amici dell’Università di Padova, con Fondazione Cariparo come partner istituzionale. Hanno inoltre contribuito: Assindustria Venetocentro, Unox, Bios Line, Nar, Maschio Gaspardo, Sit Group.

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La Galleria degli erbari racconta le tante storie delle piante e di chi le ha raccolte, a partire dalle suggestioni offerte dall’Erbario assoluto dei fuse*, un’opera che coinvolge il visitatore all’ingresso della Galleria con immagini e musica, reinterpretando le illustrazioni botaniche e gli erbari storici dell’Orto di Padova, alla ricerca dell’essenza della pianta e delle sue metamorfosi. Le immagini sono elaborate attraverso algoritmi di machine learning, che rintracciano i caratteri ricorrenti e salienti di fiori e foglie, ne colgono le somiglianze e le differenze. Nasce un’installazione artistica che unisce sensibilità umana e intelligenza artificiale; un modo per portare alla luce colori, forme, dettagli e texture talvolta invisibili all’occhio e offrire così uno sguardo nuovo sul mondo vegetale.

L’erbario è un campionario del mondoscriveva il poeta e lichenologo Camillo Sbarbaro un archivio della biodiversità del passato che oggi si può ammirare nelle sale del Museo botanico in un viaggio tra arte, natura, storia e scienza. Tra i 136 esemplari dell’erbario di Padova esposti nel Museo, selezionati tra gli oltre 800.000 totali, si possono ammirare le piante raccolte dal giovane pittore ferrarese Filippo de Pisis oppure quelle del prefetto dell’Orto Giuseppe Antonio Bonato, che con la sua donazione ha dato vita nel 1835 all’Erbario dell’Università. È possibile incontrare da vicino piante che hanno fatto la storia, utilizzate nella medicina o nell’arte, come la mandragora, la canapa indiana, il caffè o il peperoncino.

L’Erbario di Padova nasce tre secoli dopo la fondazione dell’Orto. È il 1835 e a volerlo è il prefetto Giuseppe Antonio Bonato, che dona all’Università il suo erbario e la sua biblioteca. Grazie a lui arrivano anche le piante e i libri del suo predecessore Giovanni Marsili. Negli anni la collezione cresce, fino ad arrivare agli 800.000 campioni attuali, che fanno di Padova uno degli erbari più importanti d’Italia. Il percorso segue l’accrescimento dell’erbario, dai primi nuclei di Marsili e Bonato, attraverso i successivi contributi dei suoi prefetti e collaboratori, da Roberto De Visiani (metà Ottocento) a Pier Andrea Saccardo (a cavallo tra Otto e Novecento), da Achille Forti (a cavallo tra Otto e Novecento) a Silvia Zenari (metà Novecento). Negli espositori degli erbari, dotati di piani estraibili dal visitatore, ogni foglio d’erbario è affiancato da un focus scientifico sulla pianta e i suoi usi, sulla persona che l’ha raccolta, oppure sul viaggio e sul luogo in cui è stata ritrovata.

Un’attenzione particolare merita l’erbario raccolto dall’artista Luigi Tibertelli, noto col nome d’arte di Filippo de Pisis, che fin da giovane si appassiona alle scienze naturali raccogliendo in lunghe passeggiate tra Emilia Romagna, Veneto e Toscana conchiglie, farfalle, minerali e piante che vanno a formare un erbario di circa 1200 campioni con suoi disegni e pensieri.

A chiudere la galleria degli erbari, una selezione di antichi volumi di valore unico e inestimabile provenienti dalle collezioni storiche delle biblioteche dell’Ateneo, tra cui il De humani corporis fabrica (1543) di Andrea Vesalio, accompagnata dal tavolo interattivo Una storia illustrata della botanica e della medicina, che permette di esplorare la storia della botanica, della medicina e dell’anatomia occidentale in dodici tappe: dall’Antichità al Settecento, passando anche per Padova e la sua Università.

Dopo quasi 500 anni dalla fondazione (1545), arriva in Orto botanico la Spezieria che il medico dell’Università di Padova Francesco Bonafede, tra i promotori della creazione dell’Orto botanico, avrebbe voluto attiva fin dal 1545. Oggi, quell’antico auspicio prende le forme della farmacia di fine Settecento donata negli anni Novanta del secolo scorso dal farmacista Giuseppe Maggioni, con i suoi arredi, la sua strumentazione originale, le preparazioni e i farmaci che attraversano almeno tre secoli di storia della farmaceutica e della medicina, a sottolineare il profondo legame che ha unito e unisce il mondo delle piante con la cura delle malattie: un ambiente in cui è possibile immergersi e incontrare in video lo speziale all’opera. In questi spazi viene illustrata l’evoluzione della farmacopea, dai cosiddetti semplici al farmaco di sintesi dei nostri giorni, e come è cambiata la figura dello speziale e del farmacista nei secoli, giocando con un interattivo dedicato a veleni e antidoti. Vasi, flaconi, spatole, mortai, bilance e oggetti curiosi ci raccontano che cosa faceva lo speziale, quali erano i suoi strumenti e quali “ingredienti” usava per ottenere i suoi rimedi. Tra questi, il medicamento più celebre è la teriaca, ritenuta per più di un millennio un rimedio infallibile. Il suo ingrediente fondamentale era la carne di vipera, che si riteneva conservasse anche l’antidoto, oltre al veleno. La teriaca fu trasmessa in tutti i ricettari fino all’Ottocento.

La sala dedicata alla “lezione di botanica” permette a grandi e piccoli di imparare a riconoscere funghi e legni e di giocare a indovinare le forme delle piante e le strategie di diffusione dei loro semi, osservando dal vivo le tavole parietali didattiche di fine Ottocento. In questa sala ci sono moltissimi oggetti curiosi, da esplorare anche con una lente d’ingrandimento. Si tratta di collezioni didattiche usate da professori e studenti dell’Istituto botanico di Padova tra Otto e Novecento, per imparare a riconoscere il mondo vegetale. Tra le collezioni che si incontrano in questa sala vi è una selezione di un’ottantina di modelli di funghi in cera, prodotti da Carlo Avogadro degli Azzoni negli anni Trenta dell’Ottocento, e di funghi in creta di circa quarant’anni dopo, realizzati da Egisto Tortori, tra cui l’uovo del diavolo, il Phallus impudicus, un fungo commestibile solo da giovane, o il fungo lanterna, il Clathrus cancellatus, dall’odore fetido. Le scatole di semi, dette centurie in quanto contenenti ciascuna cento specie, furono realizzate all’inizio del Novecento dall’agronomo Raffaello Sernagiotto, con i semi di piante coltivate o infestanti del territorio italiano (come la gustosa zucca o la velenosa digitale gialla): esse rappresentano la biodiversità delle campagne italiane di oltre un secolo fa. Sotto una lente di ingrandimento, si possono esplorare i colori e le forme di una quarantina di sezioni ultrasottili di legni, di spessore inferiore al millimetro, scelte da una raccolta storica di oltre 200 sezioni dal nome curioso di Xylotomotheca Italica realizzata tra il 1905 e il 1927 da Adriano Fiori, un allievo del prefetto di Padova Pier Andrea Saccardo.

Tra Otto e Novecento, prima dell’arrivo di lucidi e slides di powerpoint, le lezioni erano accompagnate da tabelloni illustrati di grande formato, appesi in aule e laboratori di scuole e università. Alla realizzazione di queste litografie a colori collaborano naturalisti e artisti, segnando una fortunata stagione della didattica delle scienze naturali e del rapporto tra arte e scienza. Il Museo botanico possiede una ricca collezione di un centinaio di tavole botaniche. La serie più numerosa, da cui sono tratte le nove esposte nel percorso, riunisce 68 tavole di Otto W. Thome e Hermann Zippel, dal titolo Ausländische Kulturpflanzen in farbigen Wandtafeln (1899) e raffigura piante esotiche, originarie dei cinque continenti, principalmente utilizzate a scopo alimentare quali cacao, zenzero, banano e cotone.

Il Museo botanico conserva 16.000 provette con semi di piante ornamentali, come lillà e rose, e alimentari, come fagioli e mais. Questo prezioso archivio di biodiversità è il frutto di scambi con altri orti botanici iniziati a fine Ottocento e in corso ancora oggi: i semi sono utili nei casi in cui si manifesta la necessità di attribuire un nome a semi sconosciuti, ad esempio in caso di ritrovamenti archeologici. Nella collezione spicca l’inconfondibile “coco de mer”, il seme di una palma che cresce solo in alcune isole delle Seychelles: è il più grande seme del regno vegetale e può pesare fino a 25 kg. Dalla forte somiglianza con i fianchi femminili, si credeva avesse poteri afrodisiaci. I due interattivi della sala, Identikit delle piante e In viaggio con i semi, completano il percorso, aiutando a comprendere con un linguaggio semplice e immediato come funziona il processo di identificazione di una pianta e come le piante riescano a spostarsi grazie ai semi.

Il Teatro botanico, costruito nel 1842 per ospitare le lezioni di botanica, torna a risplendere grazie a un restauro che consente di apprezzarne le architetture in legno. In esso è proiettato Goethe. La vita delle foglie, un episodio inedito della Forma della Memoria, il film con la regia di Denis Brotto che ha raccontato la storia dell’Ateneo nell’anno dell’Ottavo centenario.

Goethe. La vita delle foglie rappresenta la continuazione del film La forma della memoria, un film di 23’ in cui si racconta l’ideale ritorno di Goethe a Padova, oggi, nel 2023: un’occasione per ripensare al suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1786, e soprattutto alla genesi del suo celebre saggio La metamorfosi delle piante, pubblicato nel 1790. Per Goethe il viaggio in Italia rappresenta un punto di svolta, sia sul piano umano che come studioso. Il suo interesse per la forma e l’evoluzione delle piante troverà, soprattutto nell’Orto botanico di Padova, un luogo di interesse fondamentale. È qui che il filosofo comprende il valore della foglia nei suoi studi di botanica: dalla foglia tutto sembra avere origine secondo Goethe. Nel film, Goethe viene interpretato da Giulio Casale, grande attore e ancor più scrittore e cantante, un artista in grado di incarnare la grandezza di Goethe, la sua ricerca filosofica, il suo interesse per la botanica, il suo fascino radioso.

Al primo piano dell’edificio del Museo botanico nasce la nuova Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili, frutto del trasferimento delle collezioni di medicina e anatomia della Biblioteca Medica “Vincenzo Pinali” Antica, che vanno ora ad affiancarsi alle preesistenti raccolte di libri e archivi della Biblioteca dell’Orto botanico, rimaste nella loro sede originaria, evidenziando il nesso stretto originario tra storia della botanica e della medicina.

La biblioteca dell’Orto botanico nasce nel 1835 per volere del direttore scientifico dell’Orto, il prefetto Giuseppe Antonio Bonato, grazie a cui arrivano i suoi libri personali e i libri acquistati per l’insegnamento. Grazie a Bonato arriva in Orto anche il nucleo primario e principale della nuova biblioteca: la collezione di Giovanni Marsili (prefetto dal 1760 al 1794), che abbraccia tutte le materie importanti per la cultura del tempo e che contiene volumi rari e preziosi, come l’incunabolo dello Pseudo Apuleio, Incipit herbarium Apulei Platonici ad Marcum Agrippam (1481-1484) o I discorsi di m. Pietro Andrea Matthioli nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia medicinale (1568). Nel corso dell’Ottocento e del Novecento la biblioteca si arricchisce di materiali per l’insegnamento della botanica e di numerose donazioni da parte dei prefetti. Oggi conserva un ricco patrimonio di volumi, manoscritti, erbari illustrati, fotografie (come l’eccezionale collezione della Iconoteca dei botanici, https://phaidra.cab.unipd.it/collections/iconoteca_botanici), l’erbario tardo settecentesco di Giovanni Marsili e l’archivio che racconta la storia plurisecolare dell’Orto padovano. Si tratta di un insieme di 200 faldoni di natura composita, da ricchi carteggi a documenti amministrativi, che abbracciano un arco temporale che va dal Settecento alla seconda metà del Novecento, recentemente digitalizzati e liberamente disponibili nel portale delle collezioni digitali dell’Università di Padova (https://phaidra.cab.unipd.it/collections/archivio_orto_botanico).

La biblioteca medica “Vincenzo Pinali” Antica trae origine nel 1875 dal lascito testamentario di Vincenzo Pinali, docente di clinica medica che destina i suoi libri e una cospicua somma per la fondazione della biblioteca. Pinali intende così dotare la Scuola medica di una moderna biblioteca specialistica destinata a evolvere nel tempo per soddisfare le esigenze di studio e ricerca della comunità scientifica. La biblioteca venne ospitata negli edifici di San Mattia dalla sua apertura nel 1878/79 fino ai primi anni del Novecento, per poi trasferirsi nel complesso degli Istituti anatomici, realizzato tra 1922 e 1930 su progetto di Guido Fondelli. Tra il 1875 e il 1953 la biblioteca si arricchisce, per citarne solo alcune, delle collezioni librarie di Francesco Luigi Fanzago, medico legale, patologo e Preside della Facoltà di medicina dal 1828 al 1835, di Tito Vanzetti, i cui libri sono donati alla Facoltà medica dagli eredi nel 1888, e di Virgilio Ducceschi, fisiologo e grande collezionista di libri antichi. Dal fondo Fanzago proviene per esempio il manoscritto di [Bartolomeo Squarcialupi], Notitia anathomiae. Libro de le experiençe che fa el cauterio del fuocho ne corpi humani, [Padova fine XIV-inizio XV secolo], il testo più antico della biblioteca, mentre dal fondo Ducceschi proviene una copia delle Isagogae breues (1523) di Jacopo Berengario da Carpi.

Anche in questi ambienti è disponibile un’esperienza interattiva, dal titolo Pagine di medicina e botanica, progettata dallo studio TODO: un prologo digitale che affianca percorsi tematici curati a una navigazione libera, in cui lasciarsi ispirare dalle immagini o seguire i suggerimenti di contenuti simili, ad esempio per contenuto o tecnica di rappresentazione.

Il percorso espositivo si chiude con due sale interattive che invitano il visitatore a ripercorrere e approfondire in maniera divertente la storia dell’Orto botanico di Padova attraverso le sue piante e i suoi protagonisti. Nella prima saletta Botanica senza frontiere, in un ambiente colorato interamente di verde, un interattivo mostra in una mappa i legami dell’Orto con il resto del mondo, attraverso le storie dei personaggi che sono entrati in relazione con questo luogo, dalla metà del Cinquecento fino all’Ottocento. L’ultima sala è dedicata alla Storia di piante, luoghi e personaggi, con un gioco di tesserine girevoli riccamente illustrate, incentrate sulle curiosità legate all’Orto di Padova, che sprona a indovinare le piante introdotte a Padova per la prima volta in Italia, l’evoluzione delle architetture dell’Orto e i botanici padovani a cui ancora oggi sono dedicati interi generi di piante. Il Museo, quindi, non ospita soltanto i pezzi originali delle proprie collezioni ma permette al visitatore di fare un’esperienza attiva in ambienti in cui immergersi: fin dalla seconda sala si incontrano le immagini e i suoni coinvolgenti di Erbario assoluto dei fuse*, per un primo tuffo negli erbari e nelle immagini vegetali. La Galleria degli erbari conclude il suo percorso in una zona dedicata ai libri: libri da ammirare dal vivo dopo aver navigato tra le immagini e le curiosità di Una storia illustrata della botanica e della medicina progettata da TODO, studio di interaction design, con particolare attenzione a bilanciare le componenti emozionali, narrative e informative e a trasformare quindi i concetti più complessi in esperienze coinvolgenti, immediate e semplici da capire. L’interfaccia permette agli utenti di accedere con un solo tocco a tutti i contenuti e di spostare i diversi elementi all’interno di un sistema dinamico ispirato ai principi della divisione cellulare. La storia della scienza appresa dalle foto dei libri prepara così all’emozione dei reperti originali: vedere dal vivo i libri antichi che hanno fatto la storia. Più avanti si può entrare davvero in una spezieria con mobili e strumenti originali e calarsi nella quotidianità e nel lavoro di uno speziale del Rinascimento mentre crea farmaci e preparati, grazie all’installazione realizzata dalla ditta milanese DotDotDot, che ha progettato anche i giochi interattivi della stanza successiva “A lezione di botanica”: qui si possono ingaggiare divertenti competizioni per imparare a riconoscere le piante e a classificarle, o scoprire i modi che i semi utilizzano per viaggiare e raggiungere nuovi terreni fertili in cui mettere radici. Senza dimenticare il gioco per apprendere i potenziali pericoli legati al consumo di specie velenose, alla ricerca della pianta colpevole di delitti anche famosi. Nella conclusione del percorso grandi e piccoli possono girare 45 tessere e scoprire immagini poco conosciute degli ambienti dell’Orto botanico da visitare – o visitati poco prima. C’è anche un vero viaggio nella storia dell’Orto sviluppato dai DotDotDot in Botanica senza frontiere, dove una postazione permette di ripercorrere attraverso una mappa interattiva i luoghi e i personaggi illustri che hanno avuto contatti, scambi e collegamenti di varia natura con l’Orto patavino.

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OFFERTA MUSEALE DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA E MUSEO DELL’ORTO BOTANICO

Il Museo botanico amplia e rafforza ulteriormente la già ampia offerta museale dell’Università di Padova, che in occasione del suo Ottocentenario ha voluto aprire al pubblico le sue collezioni più preziose. All’inaugurazione del Museo botanico seguirà a partire dall’estate l’inaugurazione del Museo della Natura e dell’Uomo, il più grande museo universitario in Italia. Con questi due musei il sistema museale dell’Ateneo raggiunge 11 musei (8 all’interno del tessuto cittadino e 3 in altre sedi: Chioggia, Asiago e Legnaro) e 15 collezioni universitarie.

L’Orto botanico dell’Università di Padova è il più antico orto botanico universitario al mondo ad aver mantenuto la sua collocazione e la sua architettura originarie.

Fu fondato nel 1545 nel cuore di Padova, con lo scopo di consentire agli studenti universitari di imparare a riconoscere le piante medicinali e ad usarle per scopi terapeutici. Oggi ospita più di 6.000 esemplari e 3.500 specie all’interno di una superficie di 3,5 ettari.

L’Orto antico è caratterizzato da un’affascinante struttura a forma di cerchio con inscritto un quadrato, suddivisa in quattro quadrati più piccoli (i “quarti”) da due viali perpendicolari, e racchiusa da mura perimetrali. Ogni quarto deve il suo nome alla sua pianta più rappresentativa: magnolia (sud-ovest), ginkgo (nord-ovest), tamerice (nord-est) e albizzia (sud-est). Gli esemplari delle piante sono disposti per categoria all’interno di aiuole di forma geometrica, specifica per ogni quarto, andando a rappresentare un catalogo ideale del regno vegetale.

L’Orto antico ospita collezioni tematiche (piante medicinali, velenose, piante rare del Triveneto, flora dei Colli Euganei), ricostruzioni di ambienti naturali (come la roccera alpina e la macchia mediterranea), piante insettivore, succulente, acquatiche e ornamentali, senza dimenticare le piante storiche come la “Palma di Goethe” (1585), la più antica dell’Orto.

Nel 1997 è stato inserito nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO con la seguente motivazione:

L’Orto botanico dell’Università di Padova è il primo orto botanico del mondo e rappresenta la nascita delle scienze, degli scambi scientifici e del rapporto tra natura e cultura. Esso ha largamente contribuito alla nascita di numerose discipline scientifiche moderne, quali la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacologia.

Nel 2014 l’Orto botanico di Padova è stato ampliato con la costruzione del Giardino della biodiversità, costituito da cinque grandi serre a basso impatto ambientale nelle quali è possibile compiere un affascinante viaggio attraverso i biomi naturali del pianeta – dalle aree tropicali a quelle sub-umide, dalle zone temperate ai deserti – esplorando al contempo il millenario rapporto tra le piante e gli esseri umani.

A febbraio del 2023 apre anche il Museo botanico, 500 mq di superficie espositiva in cui scoprire la storia dell’Orto, delle sue piante e di chi le ha raccolte, in un viaggio attraverso i secoli che inizia dalla fondazione e arriva fino al Novecento, presentando per la prima volta al grande pubblico una significativa selezione del patrimonio storico dell’Università di Padova. Tra botanica e medicina, fino all’immersione in una vera farmacia di fine Settecento.

L’orto in cifre: 1545 Il Senato di Venezia approva la fondazione dell’Orto botanico dell’Università di Padova; 1997 L’Orto botanico di Padova diventa Patrimonio UNESCO; 3.500 specie; 6.000 esemplari; 200.000 visitatori l’anno; Oltre 100 eventi ogni anno.

Il Centro di Ateneo per i Musei dell’Università di Padova: https://www.musei.unipd.it/it

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GOETHE

LA VITA DELLE FOGLIE

Scritto e diretto da Denis Brotto

Produzione Orto Botanico di Padova, Università degli Studi di Padova

Produzione esecutiva AviLab srl

Durata: 23’

2023

Note di regia

“Goethe. La vita delle foglie” rappresenta una sorta di continuazione del film “La forma della memoria”. In questo nuovo lavoro, un film di 23’, si racconta l’ideale ritorno di Goethe a Padova, oggi, nel 2023: un’occasione per ripensare al suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1786, e soprattutto alla genesi del suo celebre saggio ‘La metamorfosi delle piante’, pubblicato nel 1790.

Per Goethe il viaggio in Italia rappresenta un punto di svolta, sia sul piano umano che come studioso. Il suo interesse per la forma e l’evoluzione delle piante troverà, soprattutto nell’Orto Botanico di Padova, un luogo di interesse fondamentale. È qui che il filosofo comprende il valore della foglia nei suoi studi di botanica: da lei, dalla foglia, tutto sembra avere origine secondo Goethe.

Questo film osserva tre aspetti nella vita di Goethe: l’idea di formazione e di crescita secondo il poeta; la centralità della botanica nei suoi interessi; la fine della passione amorosa per Charlotte von Stein, che coincide con il momento in cui Goethe intraprende il suo viaggio in Italia.

Nel film, gli interlocutori di Goethe, sono allora l’amico Karl August, duca di Sassonia, e Charlotte von Stein. È a loro che Goethe indirizza le sue riflessioni.

Goethe è un personaggio attraversato dalla cultura europea. Ma ad emergere è anche la sensazione di isolamento avvertita da Goethe, dovuta al poco interesse per le sue idee, spesso respinte o ignorate nel corso di quegli anni.

Nel film, Goethe viene interpretato da Giulio Casale, un grande attore, e ancor più uno scrittore e un cantante. Un artista in grado di incarnare la grandezza di Goethe, la sua ricerca filosofica, il suo interesse per la botanica, il suo fascino radioso.

Un film di 23 minuti in cui ritrovare Goethe nei luoghi che così profondamente hanno colpito il suo immaginario. La chiesa degli Eremitani, i dipinti del Mantegna, Santa Giustina e, più di tutti, l’Orto Botanico, il luogo da cui prendono il via le riflessioni che troveranno compimento nel suo rivoluzionario saggio ‘La metamorfosi delle piante’.

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Erbario assoluto

L’opera coinvolge il visitatore all’ingresso della Galleria degli erbari con immagini e musica, reinterpretando le illustrazioni botaniche e gli erbari storici dell’Orto di Padova, alla ricerca dell’essenza della pianta e delle sue metamorfosi. Le immagini sono elaborate attraverso algoritmi di machine learning, che rintracciano i caratteri ricorrenti e salienti di fiori e foglie, ne colgono le somiglianze e le differenze. Nasce un’installazione artistica che unisce sensibilità umana e intelligenza artificiale; un modo per portare alla luce colori, forme, dettagli e texture talvolta invisibili all’occhio e offrire così uno sguardo nuovo sul mondo vegetale.

Installazione di fuse*, 2023

Artificial Botany

Un erbario è un tentativo di organizzare la realtà naturale. È un’impresa che conduce alla riproduzione del reale, ma al tempo stesso al tentativo di crearne un modello, di rintracciarne le regole, i caratteri ricorrenti. È una tecnica che, come ogni altra, non è neutra, ma porta alla costruzione di uno sguardo, di un proprio punto di vista sulle cose.

In questo, al di là delle apparenze, la creazione di un erbario si dimostra assai affine alla creazione di una rete neurale. Una GAN (Generative Adversarial Network), il modello di machine learning qui utilizzato, mentre apprende dai dati che le sono forniti, tenta di costruirne un modello, di comprimerne la complessità all’interno del suo spazio latente, estraendone i caratteri salienti. Il risultato non è una copia esatta dell’immagine originale, ma una sua reinterpretazione.

Questa reinterpretazione apre uno spazio di possibilità artistiche: la possibilità di lasciar esprimere una nuova estetica interamente sintetica, che mostri la sua natura anche attraverso l’errore e gli artefatti, segni tangibili del processo che li ha generati. La possibilità di controllare l’emergere o lo scomparire di alcuni pattern stilistici e compositivi attraverso la composizione del dataset, in questo caso basato sugli erbari del Museo botanico di Padova. La possibilità di lasciare lo sguardo sospeso per un breve momento, nel dubbio che ciò che vede sia il lavoro di una macchina o di un essere umano.

Questa commistione di sensibilità umana e intelligenza artificiale tenta di aprire ad altre interpretazioni possibili, ad altri punti di vista. Rende possibili nuove connessioni e associazioni fra i dati, portate alla luce dai modi in cui il sistema mette in relazione colori, forme, dettagli e texture altrimenti invisibili all’occhio umano. In questo processo emergono nuovi ibridi, specie, morfologie e classificazioni. Artificial Botany dialoga con la bellezza implicita nello stato di continua trasformazione delle specie viventi, cercando di catturare la ricchezza generativa dell’evoluzione e di immaginare nuove relazioni e assonanze fra le diverse specie e le loro rappresentazioni.

Fondato nel 2007, fuse* è uno studio artistico multidisciplinare che indaga le possibilità espressive delle tecnologie digitali, con l’obiettivo di interpretare la complessità dei fenomeni umani, sociali e naturali.

Fin dalle sue origini, la ricerca dello studio ha avuto come obiettivo primario la realizzazione di installazioni e performance multimediali, prodotte con l’obiettivo di esplorare i confini tra diverse discipline alla ricerca di nuove connessioni tra luce, spazio, suono e movimento.

Diretto dai fondatori Luca Camellini e Mattia Carretti, lo studio si è evoluto negli anni e ora si avvicina alla creazione di nuovi progetti con un approccio sempre più olistico, affidandosi a un modus operandi che valorizza la pura sperimentazione e la creatività collettiva. L’intento è quello di creare opere che possano ispirare, sospendere l’ordinario e stimolare il pensiero, la sensibilità e l’immaginazione. fuse* lega da sempre il proprio sviluppo a quello della comunità in cui opera sostenendo, promuovendo e ideando progetti che mirano a diffondere cultura e conoscenza. Con questo intento, dal 2016 coproduce il festival di musica elettronica e arti digitali NODE.

Nel corso degli anni, fuse* ha presentato le sue opere e produzioni a livello internazionale in istituzioni e festival d’arte tra cui Mutek, TodaysArt, Sónart, Artechouse, STRP Biennial, RomaEuropa, Kikk, Scopitone e il National Center for the Performing Arts of China.

Per approfondire e ricevere maggiori informazioni: https://www.fuseworks.it/

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CINQUE INSTALLAZIONI DIGITALI INTERATTIVE

PER SCOPRIRE L’ORTO BOTANICO DI PADOVA

Curiosità scientifiche, aneddoti e illustrazioni inedite offrono al pubblico la possibilità di approfondire la storia dell’Orto Botanico di Padova e di conoscere da vicino l’affascinante mondo delle piante attraverso modalità digitali e coinvolgenti

Lo studio Dotdotdot – nato a Milano nel 2004 e tra i primi in Italia a operare nell’ambito dell’Interaction Design – ha progettato per l’Orto Botanico di Padova cinque installazioni digitali e interattive, per approfondire la storia dell’istituzione padovana – la prima nel suo genere rimasta attiva nella sua sede originaria, istituita nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, oggi Patrimonio Unesco – e avvicinare il pubblico alla botanica raccontando temi complessi con un approccio semplice e coinvolgente. L’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità si arricchiscono infatti del Museo botanico, un nuovo nucleo espositivo che presenta per la prima volta al pubblico una significativa selezione del patrimonio storico dell’Università di Padova, finora destinato principalmente a ricerca e didattica e non visibile al grande pubblico.

Curiosità, argomenti scientifici, aneddoti, personaggi e vicende storiche legate all’Orto botanico e al mondo delle piante vengono indagati e raccontati attraverso ambienti immersivi e installazioni multimediali, dove il pubblico è invitato a interagire per mettere alla prova le sue conoscenze di botanica. Si tratta di collezioni botaniche risalenti prevalentemente all’Ottocento e al primo Novecento, tra cui spicca l’erbario storico – uno straordinario archivio della biodiversità vegetale con circa 800.000 esemplari tra piante, alghe, funghi e licheni essiccati – e che conta anche 16.000 provette con semi di specie alimentari, medicinali e ornamentali, le tavole didattiche ottocentesche, modelli di funghi e sezioni di legni.

La narrazione è arricchita da una serie di illustrazioni appositamente realizzate da Dotdotdot, insieme a momenti di gioco e sfide.

Attraverso le cinque installazioni dislocate in sale diverse del Museo botanico, il visitatore può calarsi ad esempio nella quotidianità e nel lavoro di uno speziale del Rinascimento mentre crea farmaci e preparati, all’interno di una vera farmacia di fine Settecento con la sua strumentazione, le preparazioni e i farmaci che attraversano almeno tre secoli di storia della farmaceutica e della medicina. Oppure può ingaggiare divertenti competizioni per imparare a riconoscere le piante e a classificarle, o per approfondirne le proprietà benefiche e curative, ma anche i potenziali pericoli legati ad esempio al consumo di specie velenose. Una postazione permette inoltre di scoprire i modi che i semi utilizzano per viaggiare e raggiungere nuovi terreni fertili in cui mettere radici. La storia dell’Orto Botanico, a cui è dedicata un’intera installazione, viene invece ripercorsa attraverso una mappa interattiva dei luoghi e con i personaggi illustri che hanno avuto contatti, scambi e collegamenti di varia natura con l’Istituzione padovana.

Scheda installazioni Dotdotdot | Orto Botanico Padova

1/ Botanica senza frontiere

Una mappa interattiva evidenzia i legami dell’Orto Botanico con il resto del mondo, attraverso le storie dei personaggi che sono entrati in relazione con questo luogo.

Fin dalla sua nascita nel ‘500, il prestigio dell’Orto Botanico di Padova – continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo – ha richiamato studiosi da tutta Europa, molti dei quali hanno poi contribuito alla nascita di nuovi orti botanici. Attraverso questa installazione è possibile scoprire le loro storie e i legami che da qui si sono generati tra l’istituzione padovana e altre città italiane ed europee.

L’interfaccia digitale sorvola tutta la mappa dell’Europa mentre il visitatore, ruotando un disco posizionato sulla consolle di fronte a sé, si muove nel corso dei secoli visualizzando le vite dei personaggi e le città legate all’Orto Botanico. Un albero relazionale aiuta ad evidenziare le connessioni tra i personaggi, tra cui Goethe, Linneo, Brahe.

2/ Veleni e antidoti

Un gioco interattivo e didattico che si ispira a un laboratorio di ricerca

Il visitatore diventa un ricercatore botanico incaricato di risolvere enigmatici casi di avvelenamenti e scoprire le piante “colpevoli”. Attraverso il gioco si impara a conoscere le proprietà delle piante e a riconoscere i “falsi amici”, piante medicinali che talvolta possono rivelarsi fatali o fortemente velenose. Si procede per indizi, analizzando episodi storici o di invenzione. Dal famoso caso di Seneca, costretto al suicidio con la cicuta maggiore (Conium maculatum) alla misteriosa fine di Cangrande della Scala. Una classifica finale premia i partecipanti che hanno risolto i casi nel minor tempo.

3/ L’arte dello speziale

Una grande stanza dedicata alla farmacologia racconta la quotidianità di uno speziale nella sua bottega.

All’interno di un ambiente scenografico, allestito con arredi provenienti da un’antica spezieria, un video-racconto mostra uno speziale intento a lavorare per la preparazione dei farmaci. L’installazione richiama visivamente i teatrini delle ombre, contribuendo ad accrescere il fascino della figura dello speziale e a stimolare nel visitatore la curiosità riguardo alla sua professione e all’arte di combinare gli elementi naturali per creare i medicinali.

4/ Identikit delle piante

Un quiz didattico per imparare a riconoscere le piante in base alle loro caratteristiche.
Le piante sono classificate secondo criteri precisi e riconoscerle richiede un’attenta osservazione della loro morfologia. Questa installazione interattiva spiega, con un linguaggio semplice e immediato, come funziona il processo di identificazione di una pianta e quali caratteri morfologici vanno analizzati per individuarla: dalla forma delle foglie a quella dei suoi margini, dall’aspetto della chioma fino a quello delle infiorescenze e dei frutti.

5/ In viaggio con i semi

Un quiz didattico illustra le diverse modalità utilizzate dalle piante per disperdere i propri semi.

Allestita all’interno della sala che accoglie la collezione di semi dell’Orto Botanico, l’installazione aiuta a comprendere come le piante riescano a “spostarsi”, intraprendendo talvolta veri e propri viaggi, grazie alla dispersione dei semi. Nonostante siano in genere saldamente ancorate al terreno attraverso le radici, le piante hanno sviluppato diversi sistemi per diffondere i propri semi e potersi riprodurre altrove, anche a grande distanza.

Dotdotdot
We design innovative human experiences

Dotdotdot è uno studio di progettazione multidisciplinare nato a Milano nel 2004, tra i primi in Italia a operare nell’ambito dell’Interaction Design.

Dotdotdot è specializzato in Exhibition e Interaction Design, nella progettazione di percorsi museali, Corporate Experience, mostre multimediali temporanee e permanenti.

Nel corso degli anni ha consolidato competenza ed esperienza nello sviluppo di strategie digitali e nella progettazione di sistemi digitali integrati custom per aziende, musei, archivi storici, ambienti lavorativi, strutture sanitarie, e più in generale progetti dedicati allo Smart Living. Ricerca e innovazione tecnologica sono alla base di tutti i suoi progetti.

Dotdotdot progetta spazi narrativi e dà forma, con un approccio User Centered, al modo in cui le persone e le tecnologie interagiscono tra loro, in un continuum tra spazio fisico e digitale.

Fondato da quattro soci – Laura Dellamotta (architetto), Giovanna Gardi (architetto), Alessandro Masserdotti (filosofo e interaction designer) e Fabrizio Pignoloni (designer) -, Dotdotdot oggi conta un team di oltre 20 persone con profili eterogenei che spaziano da architetti, designer, interaction designer, sviluppatori, ingegneri, sound designer ed esperti di storytelling e design strategy, in grado di gestire la complessità a 360°.

Tra gli ultimi progetti firmati dallo studio milanese: strategia digitale e User Experience Design per il nuovo Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati a Milano; le opere co-progettate per la 23 Triennale Milano “Unknown Unknowns” rispettivamente con Emanuele Coccia “Portal of Mysteries” e Skidmore, Owings & Merrill (SOM) “Decalogue for space architecture”; le installazioni della mostra “Incertezza. Interpretare il presente, prevedere il futuro” per il Palazzo delle Esposizioni di Roma, il progetto di interaction design della mostra “Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche”, l’installazione data-driven “Earth Bits – Sensing the Planetary” per il maat – Museum of Art Architecture and Technology di Lisbona sulla crisi climatica; il progetto “Centrali Interattive” di Enel Green Power per la Centrale di Trezzo sull’Adda (MI), Acquoria (RM) e, di prossima apertura, Presenzano (CE); “Aboca Experience”, l’ala interattiva del museo aziendale della healthcare company toscana.

www.dotdotdot.it

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Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova.

PROGETTO SKA: LA CERIMONIA DI INIZIO LAVORI IN AUSTRALIA E SUDAFRICA

Al via oggi le celebrazioni dell’Osservatorio SKA per l’inizio della costruzione di quello che sarà il più grande radiotelescopio al mondo. Assegnati contratti per un totale di 450 milioni di euro. L’Italia con l’INAF è in prima linea nel progetto. Il Ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini commenta:

“Sono particolarmente orgogliosa di poter dire che questo progetto è molto legato all’Italia”.

Dopo oltre 30 anni di ideazione, progettazione e test, il progetto SKA è ufficialmente una realtà. Hanno avuto luogo oggi, in Australia e in Sudafrica, le cerimonie ufficiali di inizio lavori per quello che sarà il radiotelescopio più importante al mondo. Durante le celebrazioni è stato dato anche l’annuncio dell’assegnazione di 4 grandi contratti del valore di oltre 300 milioni di euro. I gruppi di antenne denominati SKA-Low e SKA-Mid costituiranno le due reti di radiotelescopi più grandi e complesse mai costruite. Promosso dall’Osservatorio SKA (SKAO), questo radiotelescopio è considerato da molti uno degli sforzi scientifici globali più ambiziosi del 21° secolo, coinvolgendo sedici Paesi in cinque continenti. L’Italia vanta una lunga tradizione nel campo della radioastronomia e tramite l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) è una delle prime nazioni ad aver preso parte al progetto. Grazie alla leadership dell’INAF, tutta la comunità scientifica italiana godrà di un coinvolgimento trasversale in SKA.

Le cerimonie di inizio lavori hanno luogo quasi in contemporanea nei due continenti. La presidente del Consiglio di Amministrazione di SKAO, Catherine Cesarsky, si è recata nella provincia di Northern Cape per rappresentare l’Osservatorio in Sudafrica presso il sito del futuro telescopio a media frequenza (SKA-Mid). Il direttore generale di SKAO, Phil Diamond, ha partecipato invece a una cerimonia simile in Australia occidentale, dove sarà costruito il telescopio SKA-Low, costituito da antenne a bassa frequenza. Durante le cerimonie sono stati resi noti i nomi delle società che si sono aggiudicate i lavori per la realizzazione delle ampie infrastrutture che gestiranno i telescopi, così come le società – anche italiane – che parteciperanno alla realizzazione delle antenne e delle parabole. Presenti i rappresentanti dei governi locali e nazionali, i dirigenti dei partner locali di SKAO, il South African Radio-Astronomy Observatory (SARAO) e l’agenzia scientifica australiana CSIRO.

“Il radiotelescopio SKA non è più solo un progetto, ma una realtà”, sottolinea Anna Maria Bernini,  Ministro dell’Università e della Ricerca. “Il più grande radiotelescopio del mondo, con migliaia di antenne sparse su due continenti, è destinato a definire il nostro presente e il nostro futuro. È uno dei progetti più ambiziosi mai intrapresi finora e sono particolarmente orgogliosa di poter dire che questo progetto è molto legato all’Italia. Fin dall’inizio, l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano grazie all’Istituto Nazionale di Astrofisica. L’Italia contribuisce al progetto non solo economicamente e in termini di tecnologia, ma, prima di tutto, attraverso le sue eccellenti risorse umane. Qualcosa in cui siamo leader. L’Osservatorio SKA è la dimostrazione che l’Italia ha tutte le risorse per partecipare a pieno titolo all’esplorazione spaziale da terra. È davvero un’impresa straordinaria. Stiamo compiendo un passo fondamentale verso una più ampia comprensione delle leggi che governano l’Universo. E forse anche verso l’espansione della nostra visione del mondo. Come direbbero i nostri antenati latini, “Per aspera ad astra”. I miei migliori auguri per una fruttuosa esplorazione”, conclude.

Il Consiglio di SKAO aveva dato il via libera all’inizio della costruzione 18 mesi fa, nel giugno 2021.In Sudafrica verranno installate 133 antenne a parabola di 15 metri di diametro, in aggiunta alle 64 antenne del telescopio MeerKAT già esistenti: le 197 antenne formeranno uno strumento in grado di captare segnali radio a media frequenza. L’Australia ospiterà un array di telescopi a bassa frequenza di 131.072 antenne, ciascuna alta due metri e a forma di albero di Natale. Il telescopio SKA-Low così composto rileverà segnali provenienti dal Cosmo con frequenze comprese tra 50 e 350 megahertz, mentre SKA-Mid rileverà quelli con frequenze comprese tra 350 megahertz e 15,4 gigahertz.

Nei prossimi 50 anni, gli scienziati di tutto il mondo useranno i telescopi SKA per rispondere a domande cruciali sulle prime fasi di vita dell’Universo e per svelare alcuni dei misteri più profondi dell’astrofisica. Le infrastrutture e le antenne SKA verranno costruite in più fasi e la prima, la cui spesa prevista è di 1,3 miliardi di euro, dovrebbe essere completata nel 2028. L’obiettivo finale è avere migliaia di parabole in Sudafrica e nei paesi partner africani e un milione di antenne in Australia.

Dall’inizio delle attività di costruzione globali nel luglio 2021, SKAO ha assegnato quasi 50 contratti per un valore di circa 450 milioni di euro (150 milioni assegnati finora e 300 milioni annunciati oggi durante le celebrazioni). L’approvvigionamento iniziale si è concentrato sullo sviluppo del software, appaltando società di servizi professionali per aiutare a supervisionare la costruzione e l’acquisto all’ingrosso dei componenti necessari. I quattro contratti annunciati oggi riguardano la costruzione delle infrastrutture in Australia e in Sudafrica e la produzione delle antenne a media e bassa frequenza.

Le aziende italiane hanno contribuito a progettare le antenne SKAO e a costruire i telescopi precursori. Si sono anche impegnate in applicazioni spin-off di nuove tecnologie. Nel corso degli anni,  tante realtà industriali italiane hanno collaborato al progetto fornendo supporto ai diversi gruppi di lavoro, nella fase di progettazione e nella produzione di alcuni prototipi. Nelle ultime settimane, diverse aziende italiane si sono aggiudicate contratti considerevoli per la realizzazione di parti e componenti delle antenne SKA-Mid e SKA-Low, e per la costruzione delle antenne SKA-Low.

La costruzione dei telescopi SKA richiederà otto anni e verranno consegnati in più fasi. Il primo importante traguardo dovrebbe essere raggiunto all’inizio del 2024 con il completamento di sei stazioni SKA-Low e delle prime quattro antenne SKA-Mid. Il completamento di due array è previsto intorno al 2028. I telescopi funzioneranno insieme come un telescopio unico, sfruttando la natura dei due array di radiotelescopi, tecnicamente chiamati interferometri, che consentono osservazioni anche con solo un sottoinsieme dell’intero array. I radioastronomi e i tecnici aspettano i primi notevoli risultati scientifici prima che i telescopi siano completati alla fine di questo decennio.

Marco Tavani, presidente dell’INAF, commenta entusiasta la partecipazione italiana: “Sono felice di confermare il nostro sostegno a questo fantastico progetto, uno sforzo internazionale che ci porterà a svelare i segreti dell’Universo. L’Italia fa parte del progetto SKA sin dall’inizio: dopo la creazione dell’organizzazione intergovernativa, e l’inizio della fase operativa,  siamo arrivati finalmente alle celebrazioni per l’inizio della costruzione dei telescopi nei due continenti. È un progetto molto ambizioso, e la comunità di radioastronomi e astrofisici italiana è fortemente coinvolta. Voglio assicurare all’Osservatorio SKA il supporto dell’Istituto Nazionale di Astrofisica per il proseguimento di questa fruttuosa collaborazione”.

Sin da subito con un ruolo di protagonista nel progetto, dal 2015 al 2018 l’Italia ha guidato i negoziati multilaterali che hanno portato all’istituzione dell’Osservatorio, dell’organizzazione intergovernativa (IGO) per la supervisione della costruzione della più grande rete di radiotelescopi al mondo. Il 24 maggio 2018, l’Italia è stata la prima nazione a siglare il testo del trattato internazionale (Convenzione). Pochi mesi dopo, il 12 marzo 2019, durante una cerimonia ufficiale presso il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (MIUR), i Ministri dei primi sei Paesi ad aver aderito hanno ufficialmente firmato il Trattato internazionale dando vita all’Osservatorio SKA (SKAO).

L’intero programma di sviluppo del progetto SKA prevede 12 ambiti tecnologici e l’INAF è attore di rilievo in 5 di questi: antenne a parabola, antenne a dipolo, gestione del telescopio, Central Signal Processor e un programma di sviluppo di strumentazione avanzata sui PAF. Sotto la guida dell’INAF, inoltre, l’Italia contribuisce alla definizione di tutti i casi scientifici del progetto SKA attraverso un’ampia partecipazione agli SKA Science Working Groups (SWG): dalla cosmologia ai test sulla relatività generale tramite lo studio delle pulsar, dall’evoluzione delle galassie allo studio dettagliato della nostra Galassia, dalle onde gravitazionali al magnetismo, passando per l’epoca della reionizzazione. Il personale di 15 strutture INAF e di 14 università italiane è coinvolto in 13 dei 14 SKA SWG: attualmente 6 di questi gruppi (Cosmology, Epoch of Reionization, Gravitational Waves, HI Galaxy Science, Magnetism, Our Galaxy) sono a leadership Italiana, mentre in 9 l’Italia ha ruoli di coordinamento.

Testo, video e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) sull’Osservatorio SKA (SKAO).

PAGINE DI STELLE, IN VIAGGIO TRA GLI ATLANTI CELESTI DEGLI OSSERVATORI ITALIANI

In ragione dell’ordinanza del Sindaco di Roma Gualtieri che ha disposto per oggi 22 novembre la chiusura dei parchi e delle ville storiche della Capitale, la sede prevista per lo svolgimento dell’evento “Pagine di stelle, in viaggio tra gli atlanti celesti degli osservatori italiani” è stata spostata dalla sede della Società Geografica Italiana di Villa Celimontana alla Sede Centrale dell’INAF, in Viale del Parco Mellini, 84, sempre alle ore 17.00.

Il prossimo 22 novembre a Roma, nella sede della Società Geografica Italiana a Villa Celimontana, l’Istituto Nazionale di Astrofisica organizza l’evento “Pagine di Stelle”, per presentare i risultati dei progetti di valorizzazione del proprio patrimonio culturale antico finanziati da INAF e dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Saranno presentati il catalogo “Cosmic pages”, che raccoglie una selezione dei volumi di maggiore importanza scientifica e iconografica conservati nelle biblioteche INAF e la mostra virtuale “Look up! Sfoglia il cielo con un dito”. Sarà inoltre mostrato in anteprima il trailer del documentario “Touch Sky” che, attraverso un viaggio negli Osservatori INAF, racconta il contributo italiano alla comprensione dello spazio cosmico. 

Guardare e interpretare il cielo è sempre stato uno degli istinti fondamentali dell’uomo, ma a partire dal Cinquecento, dopo l’introduzione della stampa, gli atlanti celesti sono diventati per gli astronomi uno strumento fondamentale per l’indagine scientifica. In questi volumi, opere di rara bellezza in cui si fondono scienza, arte e mito, il mondo celeste svela i suoi molteplici dettagli, illustrati con precisione e dovizia di particolari.

Uranographia di Hevelius Pagine di stelle
Uranographia di Hevelius

L’Istituto Nazionale di Astrofisica conserva nelle sue biblioteche una collezione di atlanti celesti storici di straordinaria importanza, come ad esempio l’Uranometria di Johann Bayer del 1603 e l’Atlas Coelestis di John Flamsteed del secolo successivo, considerati dei capolavori dell’arte incisoria, che illustrano la percezione del cosmo da parte degli scienziati del tempo.

Insieme alle attività di ricerca scientifica e tecnologica nei diversi campi dell’astronomia e dell’astrofisica, l’INAF promuove progetti per la tutela e la valorizzazione del proprio patrimonio storico, conservando più di 7000 libri antichi, circa 3 milioni di documenti d’archivio e oltre 1200 strumenti astronomici.

Una selezione degli atlanti più significativi è stata raccolta nel catalogo “Cosmic Pages: atlanti stellari negli osservatori astronomici italiani”, edito da Arte’m, che sarà presentato nella sede della Società Geografica Italiana, a rappresentare un ideale abbraccio tra la Terra e il Cielo, portando gli atlanti celesti in un luogo storicamente dedicato allo studio della geografia terrestre. Nel corso della conferenza sarà presentato il lavoro di catalogazione e digitalizzazione di circa 40 volumi sulla cartografia stellare e planetaria che arricchiscono la teca digitale del portale dei beni culturali INAF “Polvere di stelle”.

“Il motivo che ci ha spinto a porre la nostra attenzione su questa particolare tipologia di materiali bibliografici risiede nel fatto che l’esatta rappresentazione del cielo non è un’impresa scientifica esauritasi nel passato: essa segna la ricerca contemporanea e anche il prossimo futuro”, dice Antonella Gasperini, Responsabile del Servizio Biblioteche, Musei e Terza Missione di INAF, e prosegue «Il progetto vuole quindi ripercorrere un arco cronologico di quasi due millenni dall’Almagesto di Tolomeo fino alla contemporanea mappatura della Via Lattea che il satellite Gaia sta completando”.

Mauro Gargano, dell’INAF di Napoli e coordinatore del PRIN (Progetto di rilevante interesse nazionale) INAF, aggiunge

“Sfogliare queste pagine di cielo è come ridare vita ai miti e agli eroi che popolano i nostri cieli sin dall’antichità. La valorizzazione e lo studio di questo straordinario patrimonio storico segna un ulteriore importante tassello per la conoscenza dei numerosi tesori che si conservano negli osservatori italiani e danno un mirabile segno di continuità verso la ricerca contemporanea della più nobile e sublime delle scienze, qual è l’astronomia”.

Sperimentare nuove tecnologie per comunicare il valore e l’importanza del patrimonio storico, significa raggiungere un vasto pubblico e creare nuove opportunità educative. Nasce, così, la mostra virtuale “Look up! Sfoglia il cielo con un dito”, che intende valorizzare e far conoscere le collezioni di atlanti celesti conservati negli osservatori INAF. Guidati da Lu, uno spiritoso robot con la voce dell’attore e doppiatore Luca Violini, i visitatori potranno muoversi e navigare nelle tre sale, dedicate alle mappe stellari, alla cartografia lunare e planetaria, esplorare e comprendere come si è evoluta la visione e la conoscenza del cosmo.

Cartolina della mostra Look Up!

Saranno inoltre presentati una serie di laboratori didattici, in collaborazione con Save the Children Italia, che si svolgeranno presso i Punti Luce nei quartieri e nelle periferie delle grandi città, per offrire opportunità formative ed educative a bambini e ragazzi tra i 6 e i 17 anni. I punti luce   coinvolti sono quelli di Marghera, Torino, Catania, Palermo, Napoli, Milano e Roma.

Il Progetto intende coinvolgere nei prossimi mesi anche i Punti Luce delle altre città italiane.

L’evento sarà anche l’occasione per vedere in anteprima il trailer del documentario “Touch sky”, un viaggio alla scoperta dei rari atlanti celesti, delle cartografie lunari e di quelle del Sistema solare, custoditi presso gli Osservatori INAF. Un viaggio fatto insieme alle persone che li preservano e contribuiscono alla loro valorizzazione, per raccontare il contributo italiano alla visione e alla conoscenza del cosmo.

L’iniziativa “Pagine di stelle: viaggio tra gli atlanti celesti degli osservatori italiani” è stata resa possibile grazie ai progetti finanziati dal MUR, L.6/2000, e INAF, PRIN-DIV, per la promozione e diffusione della cultura scientifica.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Aggiornato il 22 Novembre alle ore 12:00.

Un Asteroide colpirà i tumori del seno e della tiroide

Asteroid è l’acronimo di un nuovo studio frutto della collaborazione tra diversi gruppi di ricerca italiani e valutato dal Mur miglior progetto per il suo settore nell’ambito dei Prin 2020

Asteroid tumore tumori seno mammella tiroide ormonosensibili
Il gruppo di lavoro di Elisabetta Ferretti del dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza Università di Roma

Studi recenti hanno documentato una frequente associazione tra l’insorgenza e l’aggressività dei tumori ormonosensibili, quali il tumore al seno e il tumore alla tiroide, e i contaminanti ambientali. E questo rappresenta il punto di partenza di Asteroid, nuovo progetto finanziato dal ministero dell’Università e della ricerca (Mur) nell’ambito del bando Prin 2020 e valutato come miglior progetto (primo classificato nel settore ERC LS3).

Lo studio è condotto da un team di ricercatrici e ricercatori di diverse università con competenze complementari ed interdisciplinari.

Il coordinatore è Michele Milella, responsabile della Sezione di Oncologia medica del dipartimento di Medicina dell’ateneo di Verona che metterà a disposizione le sue competenze negli studi clinici e traslazionali nel carcinoma mammario, in collaborazione con la Fondazione Policlinico Gemelli.

L’università di Siena con Maria Grazia Castagna del dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze contribuirà allo studio clinico dei carcinomi della tiroide.

L’università di Roma Tor Vergata con Roberto Bei del dipartimento di Scienze cliniche e medicina traslazionale svilupperà e caratterizzerà modelli preclinici dei due tumori per l’analisi degli effetti dei contaminanti ambientali e dei loro target molecolari per definire nuove strategie terapeutiche.

Silvia Migliaccio del dipartimento di Scienze motorie umane e della salute dell’università Roma Foro Italico si occuperà dell’impatto dell’ambiente e degli stili di vita, con particolare riguardo agli aspetti nutrizionali e dell’attività fisica.

La Sapienza Università di Roma con Elisabetta Ferretti del dipartimento di Medicina sperimentale – dipartimento che ha ricevuto altri 6 finanziamenti nell’ambito dello stesso bando – coordinerà l’analisi di nuovi biomarcatori circolanti e la caratterizzazione molecolare e cellulare mediante tecnologie “omiche”, sia dei modelli preclinici che dei campioni clinici.

Lo studio intitolato “Gene/environment interactions in breast and thyroid cancers: defining the biological role of and actioning endocrine disruptors and lifestyle to develop rational therapeutic/preventive interventions (Asteroid)” si occuperà di analizzare la complessa interazione tra geni e ambiente in questi due tumori. In particolare, saranno valutati il ruolo degli inquinanti ambientali e dello stile di vita sia nell’insorgenza sia nella modulazione dell’aggressività dei tumori. La ricerca partirà con un’analisi retrospettiva e prospettica in pazienti affette da tali tumori nelle quali saranno messe in evidenza le correlazioni tra gli aspetti genetici di ciascun tumore e lo stile di vita delle pazienti. Inoltre, saranno definiti i meccanismi molecolari di azione degli inquinanti ambientali in modelli preclinici dei diversi tipi di tumore. Sulla base dei risultati ottenuti saranno testati i cambiamenti biologici indotti da un intervento strutturato sullo stile di vita incentrato sulla consulenza nutrizionale e sull’esercizio fisico adattato per le pazienti affette da questi tumori.

Il progetto avrà delle importanti ricadute in quanto fornirà diverse innovazioni, collegando l’esposizione a sostanze inquinanti ambientali a biomarcatori, nuovi bersagli molecolari, stili di vita in due patologie ad elevata incidenza (tumore del seno e della tiroide). I risultati dello studio potranno essere utilizzati in diagnostica, applicazioni terapeutiche, preventive ed economico-sanitarie con ricadute sul Servizio sanitario nazionale.

“Il progetto è di estremo interesse sia scientifico che clinico/applicativo e consentirà di definire nuove strategie di intervento oncologico “di precisione” nei tumori della mammella e della tiroide – spiega il professor Milella –  La proposta progettuale è frutto di una collaborazione già esistente tra ricercatrici e ricercatori di diversi atenei e trae vantaggio dalla costituzione nell’ateneo veronese di un team di ricerca multidisciplinare afferente ai dipartimenti di Medicina e di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento (Team Force: Focus on research and care) dedicato a studiare l’impatto di nutrizione, benessere psicologico ed esercizio fisico nelle patologie oncologiche. Il finanziamento ricevuto dal Mur sosterrà questa importante ricerca, condotta in collaborazione con la Breast Unit e la Usd di Chirurgia endocrina dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata (Aoui) di Verona, contribuendo a fornire una solida base razionale per azioni di cura e di prevenzione in questi tumori”.

 “Oggi – aggiunge la professoressa Ferretti – nell’era della medicina di precisione, siamo chiamati a sviluppare trattamenti personalizzati nelle patologie oncologiche che vedono al loro interno gruppi eterogenei di pazienti.

In questo contesto il mio laboratorio ha studiato l’uso di Rna non codificanti circolanti, in particolare microRna, come biomarcatori non invasivi in diversi tipi di tumori.

L’implicazione traslazionale del completamento con successo del progetto risiede nell’identificazione di nuovi bersagli patogenetici, diagnostici, terapeutici ed anche di nuovi biomarcatori, quali ad esempio i microRna, derivati da biopsia liquida che rappresentano uno strumento fondamentale per la stratificazione di pazienti costituendo così la base per un approccio terapeutico personalizzato”.

 

Riferimenti:

https://www.mur.gov.it/it/atti-e-normativa/decreto-direttoriale-n-2292-del-01-10-2021

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma e dall’Area Comunicazione – Ufficio Stampa dell’Università di Verona.