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Ginelfite: un nuovo minerale scoperto a Pisa rende omaggio a due tecnici del Dipartimento di Scienze della Terra.

Il minerale, per il quale è uscito il lavoro di descrizione, è stato battezzato ginelfite, unendo parte dei due cognomi di Carlo Gini e Francesco Guelfi.

Lo hanno chiamato “ginelfite”, unendo i nomi di due tecnici del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa oggi in pensione – Carlo Gini e Francesco Guelfi – che per quasi quarant’anni, hanno gestito con competenza e dedizione il laboratorio di diffrattometria a raggi X, rendendo possibili decenni di ricerca d’eccellenza. Si tratta di un minerale scoperto nel luglio 2022 e classificato grazie al nuovo diffrattometro a raggi X per cristallo singolo Bruker D8 Venture installato presso il CISUP (Centro per l’Integrazione della Strumentazione scientifica dell’Università di Pisa). È proprio con questo strumento che è stato analizzato un campione proveniente da Jas Roux, nelle Alpi dell’Alta Provenza, donato da cercatori francesi.

Il campione del nuovo minerale ginelfite (a sinistra) e la sua complessa struttura cristallina (a destra)
Il campione del nuovo minerale (a sinistra) e la sua complessa struttura cristallina (a destra)

L’esame diffrattometrico rivelò trattarsi di una fase già individuata nel 1974, ma mai caratterizzata a causa della difficoltà di estrarre cristalli adatti allo studio cristallochimico. Con la nuova strumentazione installata per CISUP, è stato possibile risolvere la struttura della specie e, in collaborazione con colleghi cechi e francesi, fu presentata una nuova specie mineralogica, approvata dalla Commission on New Minerals, Nomenclature and Classification dell’International Mineralogical Association il 3 gennaio 2023.

Nel corso degli anni i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa hanno descritto oltre 120 diverse specie mineralogiche, molte delle quali conservate nelle collezioni del Museo di Storia Naturale dell’Ateneo pisano. Questo gran numero di scoperte è stato reso possibile non solo dal lavoro dei ricercatori e dalla collaborazione con i cercatori di minerali, che hanno fatto giungere a Pisa materiale di interesse scientifico da tutta Italia e parte d’Europa, ma anche dall’efficienza del laboratorio Raggi X del Dipartimento, sempre perfettamente operativo grazie all’impegno costante, per quasi 40 anni, di Carlo Gini e Francesco Guelfi, entrambi ormai pensionati (Gini, originario di Pisa, nel 2019; Guelfi, originario di Livorno, nel 2011).

“L’installazione del nuovo diffrattometro CISUP, nel 2022, rappresentava un momento per l’apertura di nuovi orizzonti di ricerca, per proiettare nel futuro la ricerca del nostro Ateneo – spiegano i ricercatori e le ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra – Ma quale miglior momento, di fronte a un nuovo cammino da intraprendere, per fermarsi e guardare la strada sino a lì percorsa? Nacque quindi spontaneamente l’idea di proporre un nome che ricordasse l’attività dei nostri due ex-tecnici, per il loro invisibile ma fondamentale contributo allo sviluppo della ricerca mineralogica a Pisa negli ultimi decenni”.

Il minerale, di formula Ag₂(Ag₀.₅Fe₀.₅)TlPb₂₄.₅(Sb,As)₃₂.₅S₇₅.₅, è stato quindi battezzato ginelfite, unendo parte dei due cognomi di Carlo Gini e Francesco Guelfi.

“A Carlo e Francesco va la nostra gratitudine per l’eredità, umana e scientifica, che ci hanno lasciato – concludono dal Dipartimento – La loro unione lavorativa e il loro contributo alla ricerca mineralogica resteranno per sempre cristallizzati nella complessa struttura della ginelfite”.

Carlo Gini (a sinistra) e Francesco Guelfi (a destra)
Carlo Gini (a sinistra) e Francesco Guelfi (a destra)

Testo e immagini dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

Microcalcificazioni del seno: non tutte sono correlate all’insorgenza del tumore

Una ricerca dell’Università degli Studi di Milano e Istituti Clinici Scientifici Maugeri, realizzata in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche e il Paul Scherrer Institute in Svizzera, ha studiato la correlazione tra le microcalcificazioni al seno e la presenza di tumori, scoprendo che l’assenza di whitlockite, un minerale solitamente presente nelle microcalcificazioni, potrebbe essere un indicatore della presenza di tumore. La pubblicazione su Cancer Communication.

donna microcalcificazioni tumore seno
Foto di Benjamin Balazs

Milano, 20 settembre 2023 – Le microcalcificazioni, piccoli depositi di calcio che si formano nel tessuto mammario e che possono essere rilevati alla mammografia, sono spesso, ma non sempre, un segnale di allarme per la presenza di un tumore al seno. E la relazione fra microcalcificazioni e tumore non è stata mai chiarita.

Lo studio pubblicato, sulla rivista Cancer Communication, è frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri, coordinati dal Fabio Corsi, docente di Chirurgia Generale della Statale di Milano e capo della Breast Unit dell’IRCCS Maugeri Pavia, in collaborazione con colleghi dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn) e dell’Istituto di cristallografia (Cnr-Ic) del Consiglio nazionale delle ricerche e del Paul Scherrer Institute in Svizzera.

I ricercatori hanno infatti scoperto infatti che la relazione tra le microcalcificazioni e il tumore è legata alla presenza di un particolare minerale chiamato whitlockite, che è ricco di magnesio e che si trova nelle microcalcificazioni solo in assenza del tumore. I ricercatori hanno usato tecniche avanzate di spettroscopia (Raman, WAXS, XRF), per analizzare le microcalcificazioni prelevate da pazienti affette da tumore al seno. Hanno confrontato i campioni con quelli di donne sane e hanno osservato che nei tessuti tumorali la whitlockite era quasi assente, mentre nei tessuti sani era abbondante.

Questo suggerisce che il tumore al seno ha la capacità di alterare il metabolismo del calcio e del magnesio nel tessuto mammario, influenzando la formazione delle microcalcificazioni, eliminando la whitlockite e rendendole più dure, cosa che le rende in grado di stimolare ancora di più la crescita del tumore.

“Questo risultato apre nuove prospettive per lo sviluppo di metodiche più efficaci per lo screening del tumore al seno, basate sulla misurazione della concentrazione di whitlockite nelle microcalcificazioni”, spiega Fabio Corsi“Inoltre, potrebbe aiutare a capire meglio i meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna delle cellule mammarie. Da ultimo, infatti, questa scoperta potrebbe ridurre o meglio orientare l’indicazione alla biopsia mammarie ad oggi indispensabile per capire la natura del tessuto mammario in presenza di microcalcificazioni”.

 

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

Un’acquamarina da Chumar Bakhoor (Pakistan) sarà uno dei reperti esposti al Museo della Natura e dell’Uomo (MNU) dell’Università di Padova che aprirà il 23 giugno 2023 al Complesso di Palazzo Cavalli.

MERAVIGLIE IN VISTA / 2

Acquamarina di Chumar Bakhoor MNU

«Nasce a Padova un nuovo luogo di partecipazione collettiva e democratica alla conoscenza, un grande museo scientifico inclusivo, che incentra la sua narrazione su migliaia di reperti originali di straordinario valore – dice Telmo Pievani, Responsabile scientifico del Museo della Natura e dell’Uomo –. Al MNU si farà ricerca, conservazione, didattica, condivisione dei saperi scientifici, sensibilizzazione sui temi ambientali, aprendosi ai pubblici più diversi, soprattutto giovani e giovanissimi. Sarà un teatro appassionante di cittadinanza scientifica».

«La nostra Università sta per compiere un altro grande salto verso il futuro con un progetto museale unico a livello universitario in Europa e probabilmente tra i più importanti progetti museali al mondo nel suo genere – afferma Fabrizio Nestola, Presidente del Centro di Ateneo per i Musei –. Da un Ateneo come il nostro non potevamo aspettarci che questo: un enorme investimento economico e di risorse umane completamente dedicato alla cultura e al territorio. Siamo tutti pronti ad iniziare questa entusiasmante avventura con l’obiettivo di educare ed ispirare le future generazioni».

Il Museo della Natura e dell’Uomo (MNU) dell’Università di Padova, che aprirà venerdì 23 giugno 2023, nasce dalla fusione delle ricchissime collezioni naturalistiche che sono state costruite nei secoli da studiosi ed esploratori dell’Università patavina, a fini di ricerca e didattica. Il nuovo allestimento riunisce in un unico percorso espositivo i preesistenti musei universitari di Mineralogia, Geologia e Paleontologia, Antropologia e Zoologia, integrandoli in una narrazione coerente e appassionante, arricchita da un intelligente apparato grafico, testuale e multimediale, a raccontare una storia planetaria dai suoi esordi, più di quattro miliardi di anni fa, fino ai giorni nostri.

Il MNU si articola in 38 sale per un totale di circa 3.800 mq, cui si aggiungono un ambiente per le esposizioni temporanee di circa 300 metri quadri.

Un’altra delle sezioni del museo sarà quella di Mineralogia dedicata ad Alessandro Guastoni – La Terra, un grande sistema in evoluzione con 5 sale e 613 metri quadri a disposizione per illustrare ed esporre i suoi reperti: tra questi anche un’acquamarina da Chumar Bakhoor.

«L’acquamarina è la varietà gemma del berillo, un silicato di berillio, particolarmente apprezzato sia dai collezionisti di minerali che dai gioiellieri di tutto il mondo per la trasparenza dei suoi cristalli e la caratteristica colorazione variabile dal blu profondo al verde acqua. Il berillo comprende diverse varietà spettacolari di qualità gemma: la goshenite incolore, il berillo rosso, il giallo eliodoro, la morganite rosa, il verde smeraldo, e soprattutto l’acquamarina colore del mare e del cielo. Tra i gioielli più preziosi possiamo ricordare gli orecchini con tre acquemarine donati dal presidente del Brasile ad Elisabetta II per la sua incoronazione ed il ancor più celebre “Asprey Ring”, anello con acquamarina e diamanti appartenuto alla principessa Diana. I perfetti prismi esagonali di questo minerale hanno affascinato gli esseri umani fin dalla preistoria, generando leggende, curiosità, attrazione – sottolinea Gilberto Artioli referente scientifico della sezione di Mineralogia –. Il nome stesso venne coniato dagli antichi romani “aqua marina”, a richiamare lo stretto legame della stessa con il mare. I pescatori romani le donarono un significato mistico come amuleto protettivo e di buon auspicio per i viaggi in mare e legarono indissolubilmente la gemma al Dio Poseidone, considerato il plasmatore della stessa direttamente dalle acque del mare».

«All’interno della sezione di mineralogia “Alessandro Guastoni” sarà possibile ammirare un’importante collezione di acquemarine provenienti dai più importanti giacimenti di tutto il mondo. Tra i numerosi esemplari vi è certamente l’eccezionale campione rinvenuto in una miniera sulla catena Himalayana in Pakistan con cristalli di acquamarina colore azzurro cielo che spiccano dalla matrice di una roccia ricca di mica e feldspato chiamata pegmatite, la quale è la sorgente anche di molti altri minerali di qualità gemma come tormaline e topazi – conclude Simone Molinari, conservatore della sezione di Mineralogia –. Altro esemplare, decisamente interessante per la sua rarità è un esemplare di acquamarina, anch’esso proveniente dal Pakistan, caratterizzato da un aggregato di minuti cristalli biterminati dall’abito fibroso di colore variabile dall’azzurro tenue al blu profondo. Infine, per la sua importanza storica non può non essere menzionato il bellissimo cristallo esagonale dalla colorazione blu profonda, proveniente dai filoni pegmatitici tardo alpini della Val Codera in provincia di Sondrio. Altri esemplari interessanti sono le acquemarine cinesi, quelle brasiliane e quelle provenienti dalla Namibia, spesso associate con tormaline nere».

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova