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DIMOSTRATO PER LA PRIMA VOLTA UN LEGAME DIRETTO TRA MICROBIOTA INTESTINALE E SISTEMA NERVOSO PERIFERICO

Lo studio apre nuove prospettive terapeutiche per le lesioni dei nervi ed è il risultato di una collaborazione internazionale tra le ricercatrici di NICO – Università di Torino, Università di Padova e Università di Hannover.

Il microbiota intestinale, costituito da un insieme di microorganismi tra cui batteri, virus e funghi, colonizza il tratto gastrointestinale umano e influisce in modo decisivo sulla salute. Negli ultimi decenni sono stati dimostrati gli effetti del microbiota su altri organi e le alterazioni di questo complesso ecosistema – note come disbiosi – sono state collegate all’insorgenza di diverse patologie.

Ora, per la prima volta, c’è la conferma di un legame diretto tra microbiota intestinale e sistema nervoso periferico. In particolare, lo studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica Gut Microbes dimostra come la totale o parziale assenza del microbiota intestinale interferisca negativamente sullo sviluppo dei nervi periferici e del loro bersaglio, il muscolo scheletrico.

La ricerca è frutto di una collaborazione internazionale tra l’Università di Torino – con le professoresse Giulia Ronchi, Giovanna Gambarotta e Stefania Raimondo del NICO – Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi e del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, insieme al prof. Salvatore Oliviero del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi UniTo ­- unitamente alla prof.ssa Matilde Cescon del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova e nella persona della prof.ssa Kirsten Haastert-Talini per l’Università di Hannover in Germania.

Stefania Raimondo - Giulia Ronchi - Giovanna Gambarotta (NICO-UNITO)
Stefania Raimondo – Giulia Ronchi – Giovanna Gambarotta (NICO-UNITO)

Lesioni dei nervi periferici: cause, incidenza e strategie terapeutiche

Incidenti stradali, sportivi, domestici o sul lavoro e (non ultimi) anche interventi chirurgici. Sono queste le cause più frequenti delle lesioni dei nervi periferici che in Italia raggiungono un’incidenza di 400.000 casi all’anno.

legame tra microbiota intestinale e sistema nervoso periferico Immagini acquisite al microscopio elettronico che mostrano due fibre mieliniche a confronto. A parità di diametro dell’assone (A), i nervi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota mostrano una guaina mielinica più spessa (M) rispetto ai nervi che si sono sviluppati in presenza di un normale microbiota
Immagini acquisite al microscopio elettronico che mostrano due fibre mieliniche a confronto. A parità di diametro dell’assone (A), i nervi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota mostrano una guaina mielinica più spessa (M) rispetto ai nervi che si sono sviluppati in presenza di un normale microbiota

«Malgrado i notevoli progressi della ricerca e della microchirurgia ricostruttiva – che oggi puntano su ingegneria tissutale e nuovi biomateriali – il recupero delle funzioni nervose e muscolari dopo una lesione è spesso solo parziale, influendo negativamente sulla qualità della vita dei pazienti. È quindi necessario – sottolineano Matilde Cescon dell’Università di Padova e Giulia Ronchi del NICO – Università di Torino – approfondire la conoscenza dei complessi meccanismi neurobiologici che regolano la rigenerazione dei nervi. Indagare il ruolo del microbiota intestinale in condizioni patologiche o di lesioni va proprio in questa direzione: aprire strade inesplorate che offrano nuove prospettive terapeutiche, con importanti ricadute cliniche».

Questo studio, che dimostra per la prima volta l’esistenza di un asse intestino – sistema nervoso periferico, è il punto di partenza per il progetto Gut-NeuroMuscle, finanziato dal programma PRIN – Progetti di Rilevante Interesse Nazionale con cui il Ministero della Ricerca sostiene la ricerca di base, che ha l’obiettivo di esplorare l’interazione tra microbiota e rigenerazione nervosa.

legame tra microbiota intestinale e sistema nervoso periferico Grafico “a vulcano” ottenuto in seguito a sequenziamento dell’RNA messaggero, nel quale ogni puntino rappresenta un gene la cui espressione è deregolata nei neuroni sensitivi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota (in rosso quelli espressi di più, in blu quelli espressi di meno)
Grafico “a vulcano” ottenuto in seguito a sequenziamento dell’RNA messaggero, nel quale ogni puntino rappresenta un gene la cui espressione è deregolata nei neuroni sensitivi che si sono sviluppati in totale assenza di microbiota (in rosso quelli espressi di più, in blu quelli espressi di meno)

Gut-NeuroMuscle (Intestino e sistema neuromuscolare: studio dell’impatto del microbiota sulla rigenerazione nervosa e reinnervazione muscolare dopo lesione del nervo periferico) vede coinvolti due gruppi di ricerca composti dalle prof.sse Giulia Ronchi e Giovanna Gambarotta (NICO – Università di Torino) e dalla prof.ssa Matilde Cescon (Università di Padova) e la dott.ssa Sonia Calabrò (Università di Padova).

Giulia Ronchi - Giovanna Gambarotta - Stefania Raimondo (NICO-UNITO)
Giulia Ronchi – Giovanna Gambarotta – Stefania Raimondo (NICO-UNITO)

Link alla ricerca: www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/19490976.2024.2363015

Titolo: “Gut microbiota depletion delays somatic peripheral nerve development and impairs neuromuscular junction maturation – «Gut Microbes»- 2024

Autori: Matilde Cescon, Giovanna Gambarotta, Sonia Calabrò, Chiara Cicconetti, Francesca Anselmi, Svenja Kankowski, Luisa Lang, Marijana Basic, Andre Bleich, Silvia Bolsega, Matthias Steglich, Salvatore Oliviero, Stefania Raimondo, Dario Bizzotto, Kirsten Haastert-Talini & Giulia Ronchi

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Perché alcuni tumori al colon-retto non rispondono alla chemioterapia?

La risposta potrebbe arrivare dal microbiota intestinale

In uno studio tutto italiano, frutto di una collaborazione tra Università di Torino e IFOM, un gruppo di ricercatori ha studiato il ruolo di alcuni batteri intestinali nel promuovere la resistenza alle terapie nel tumore del colon. Con cellule in coltura in due e tre dimensioni, ottenute sia da linee cellulari sia da campioni di pazienti, i ricercatori hanno scoperto che una particolare tossina batterica, chiamata colibactina e presente in alcuni tumori intestinali, è in grado di addestrare il cancro a resistere alle cure. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale Cell Reports Medicine. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione AIRC e da un grant ERC dell’Unione Europea.

 

Milano, 22 gennaio 2024 – La chemioterapia rappresenta ancora oggi un’arma fondamentale nella terapia dei tumori, specialmente di quelli intestinali. Sono disponibili in clinica numerosi farmaci, alcuni dei quali condividono il meccanismo comune di danneggiare il DNA delle cellule tumorali, sgretolandolo pezzo dopo pezzo, finché il tumore rimane senza “istruzioni” e regredisce. Si tratta però di farmaci che possono colpire anche le cellule normali, causando effetti collaterali che possono precludere la prosecuzione del trattamento. Inoltre non tutti tumori intestinali rispondono fin dall’inizio allo stesso farmaco. Ottimizzare, dunque, la scelta terapeutica per massimizzare il beneficio clinico e ridurre la tossicità collaterale è fondamentale. Attualmente, però, non esistono ancora criteri univoci per scegliere la chemioterapia più adatta a ogni paziente.

Un gruppo di ricercatori attivi in Italia, uniti da una collaborazione tra IFOM e il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino, ha trovato una nuova strategia per selezionare il trattamento più idoneo ai pazienti con cancro del colon-retto, adottando un cambio di prospettiva innovativo. Anziché concentrarsi solo sul tumore per predire la possibile risposta alla chemioterapia, i ricercatori hanno studiato ciò che lo circonda, tra cui l’insieme dei batteri che popolano l’intestino: il cosiddetto microbiota. Lo studio, svolto grazie al sostegno di Fondazione AIRC e di un grant ERC dell’Unione Europea, è stato coordinato dal professor Alberto Bardelli, Direttore Scientifico di IFOM e Professore Ordinario dell’Università di Torino. I risultati sono stati pubblicati sull’autorevole rivista scientifica Cell Reports Medicine.

“Il microbiota rappresenta un incredibile insieme di microrganismi che dimorano nell’intestino” spiega il professor Bardelli. “Se ognuno di essi fosse una stella, il microbiota sarebbe grande cento volte la Via Lattea. Il microbiota svolge molte funzioni importanti e positive per il nostro organismo, ma ci sono alcuni batteri che promuovono lo sviluppo del cancro. In particolare è noto che alcune specie di Escherichia coli e altri batteri intestinali siano in grado di produrre una specifica tossina, chiamata colibactina, che è stata trovata arricchita in una frazione di tumori colorettali. Questa tossina è in grado di provocare la trasformazione delle normali cellule intestinali in tumorali inducendo delle mutazioni, cioè delle alterazioni nella sequenza del loro DNA, la molecola che è anche il bersaglio dei chemioterapici usati comunemente in clinica. Ci siamo dunque chiesti se ci potesse essere una correlazione, cioè se l’esposizione alla tossina potesse influenzare il modo in cui i tumori rispondono ai trattamenti”.

“Abbiamo avuto l’idea di andare oltre lo studio delle sole cellule tumorali per capire come possano essere guidate dal micro-ambiente che le circonda” prosegue il dottor Alberto Sogari, ricercatore sostenuto da AIRC presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e primo autore dell’articolo. “Non è stato facile perché questo cambio di approccio ha richiesto l’ideazione di nuovi protocolli sperimentali. Con l’aiuto dei microbiologi del gruppo del professor David Lembo, del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino, abbiamo coltivato in laboratorio cellule tumorali colorettali e batteri produttori di colibactina, simulando così quello che avviene nell’intestino. Abbiamo utilizzato sia linee cellulari sia i cosiddetti organoidi, ossia colture in tre dimensioni di cellule di pazienti con cui si cerca di approssimare la struttura tridimensionale dei tumori di origine. In questo modo abbiamo studiato l’impatto funzionale della colibactina sulle cellule, con tecnologie di sequenziamento e analisi bioinformatiche all’avanguardia. Abbiamo scoperto che la colibactina funziona come una sorta di “palestra per i tumori”: questa tossina allena infatti le cellule tumorali a sopportare un carico costante di mutazioni al DNA, abituandole. Così, quando si inizia il trattamento con un farmaco chemioterapico con un meccanismo simile molto usato in clinica, l’irinotecano, il tumore è già allenato. Avendo imparato a sopportare le mutazioni causate dalla colibactina, il cancro impara anche a tollerare il danno provocato dalla chemioterapia, diventando così resistente.”

Lo studio apre dunque nuove prospettive. I ricercatori hanno infatti osservato che anche tumori allenati dalla colibactina possono rispondere ad altri approcci chemioterapici che agiscono con un meccanismo diverso. La colibactina, quindi, può costituire la chiave per selezionare la strategia terapeutica adeguata a colpire questi tumori con maggiore efficacia.

“Nell’ambito della cosiddetta oncologia di precisione” conclude il professor Bardelli “è sempre più importante stratificare i pazienti per poter rendere i trattamenti il più possibile precisi e mirati. I nostri risultati mostrano quanto sia importante un approccio integrato a 360 gradi, che guardi sia al tumore sia a ciò che lo circonda. L’obiettivo è anche scoprire nuovi bio-marcatori, cioè nuovi criteri per selezionare i farmaci più adatti a ciascun tumore e ciascun paziente. Partendo dai nostri risultati pre-clinici, abbiamo così cominciato ad analizzare la presenza della colibactina in campioni clinici provenienti da pazienti dell’Ospedale Niguarda di Milano, in collaborazione con il Professor Siena e il Professor Sartore-Bianchi, per correlare l’eventuale presenza della tossina alla risposta clinica ai farmaci. Abbiamo già ottenuto dei primi risultati incoraggianti che confermano le ricadute traslazionali della nostra scoperta”. L’obiettivo dei ricercatori è adesso di validare questo approccio su coorti più grandi e rappresentative di pazienti di cancro al colon.

cancro colon-retto gene
Perché alcuni tumori al colon-retto non rispondono alla chemioterapia? Immagine di Elionas2

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino