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La fisica del biliardo per guidare i microrganismi a esplorare l’ambiente

Lo studio, coordinato dalla Sapienza, ha messo a punto un metodo ispirato alla dinamica del tavolo da biliardo, per orientare il movimento di microrganismi all’interno di un ambiente delimitato. Tra le possibili applicazioni, la progettazione di algoritmi di navigazione per robot in grado di esplorare ambienti complessi e sconosciuti.

Lo studio è pubblicato su PNAS.

Particelle inanimate, come le molecole di un gas, raggiungono l’equilibrio termico, uno stato stabile in cui si distribuiscono uniformemente all’interno di un contenitore, indipendentemente dalla sua forma o dal materiale di cui è composto.

Oggetti che si muovono autonomamente invece quali microrganismi o robot, sono molto sensibili a quello che succede sulle pareti dell’ambiente che li contiene. Comprendere la relazione tra gli effetti al bordo e le distribuzioni spaziali potrebbe permettere di progettare contenitori con forme ottimizzate per il controllo geometrico della cosiddetta materia attiva.

In uno studio pubblicato su PNAS, Roberto Di Leonardo del dipartimento di Fisica della Sapienza insieme a ricercatori del Centro di Ricerca Biologica (Biological Research Center) in Ungheria hanno introdotto un nuovo metodo che consente di guidare il movimento di particelle attive in base alle regole con cui rimbalzano sui bordi dell’ambiente in cui si muovono.

Il metodo è stato testato con la microalga unicellulare Euglena gracilis che, come una palla su un tavolo da biliardo, si muove in linea retta rimbalzando sul confine tra luce e ombra di una zona illuminata. A differenza delle molecole di un gas che si distribuiscono uniformemente all’interno di un contenitore, le microalghe possono ricoprire una “macchia” di luce con distribuzioni altamente sensibili alle condizioni al contorno. In particolare, attraverso la progettazione di una sorta di “microbiliardo” multistadio, è stato possibile guidare le microalghe in regioni di accumulazione definite soltanto dalla forma di questo “biliardo di luce”.

In generale, questo metodo rende possibile progettare la forma di contenitori in modo che i oggetti attivi al loro interno si accumulino spontaneamente o evitino determinate regioni.

Le applicazioni potrebbero essere numerose: dal controllo spaziale e all’isolamento dei microrganismi fino alla progettazione di algoritmi di navigazione per robot microscopici e macroscopici in grado di esplorare in modo più efficiente ambienti complessi e sconosciuti.

“È sempre entusiasmante vedere – dichiara Roberto Di Leonardo – come concetti della fisica classica, sviluppati originariamente per la materia inanimata, possono essere generalizzati a oggetti che si muovono autonomamente, ciò che oggi chiamiamo materia attiva. Ogni volta che questo accade, emergono nuove idee che non solo approfondiscono la nostra comprensione di ciò che pensavamo di sapere già, ma aprono anche la strada a nuove applicazioni per sistemi viventi o robotici”.

Riferimenti bibliografici:

R. Di Leonardo, A. Búzás, L. Kelemen, D. Tóth, S.Z. Tóth, P. Ormos, & G. Vizsnyiczai, Active billiards: Engineering boundaries for the spatial control of confined active particles, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A. (2025) 122 (38) e2426715122, DOI: https://doi.org/10.1073/pnas.2426715122 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Cambiamenti climatici: oscillazioni termiche ed eventi estremi mettono a rischio gli ecosistemi marini, ecco come il biofilm reagisce alle variazioni di temperatura dell’aria

Lo studio condotto a Calafuria (Livorno) dall’Università di Pisa e dalla Scuola Superiore Sant’Anna pubblicato su Nature Communications.

Gli scogli di Calafuria in provincia di Livorno sono stati il laboratorio naturale al centro di uno studio dell’Università di Pisa e della Scuola Superiore Sant’Anna per capire come i cambiamenti climatici stiano alterando gli ecosistemi marini. La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature Communications, ha analizzato come il biofilm – una sottile pellicola vivente formata da microalghe e batteri fondamentale per la vita delle scogliere – reagisce alle variazioni di temperatura dell’aria.

I ricercatori hanno condotto un esperimento sul campo esponendo il biofilm a due diversi regimi termici: un riscaldamento costante e uno caratterizzato da forti oscillazioni, che simula le condizioni imprevedibili destinate a diventare sempre più comuni nel prossimo futuro a causa del cambiamento climatico. I risultati hanno mostrato che un regime costante di riscaldamento favorisce la presenza di specie con funzioni simili, capaci di “darsi il cambio” in caso di difficoltà. Questo meccanismo permette al biofilm di resistere meglio agli eventi estremi. Al contrario, forti oscillazioni di temperatura riducono la diversità favorendo specie a crescita rapida, capaci di riprendersi velocemente dopo uno shock termico, ma più vulnerabili funzionalmente nel lungo periodo.

L’area di Calafuria, nei pressi di Livorno, caratterizzata da piattaforme rocciose di arenaria esposte all’aria durante la bassa marea, ha fornito un ambiente ideale per studiare il biofilm marino in condizioni naturali. Per simulare l’aumento delle temperature, i ricercatori hanno utilizzato speciali camere di metallo riscaldate con piccole stufe, controllando le variazioni di calore con sensori elettronici. Per valutare la risposta del biofilm, è stata usata una fotocamera a infrarossi in grado di rilevare la quantità di clorofilla. Infine, grazie alla collaborazione con l’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, è stato analizzato il DNA dei microrganismi con tecniche avanzate di sequenziamento, simili a quelle utilizzate per studiare il genoma umano, per capire quali funzioni svolgono le diverse specie e come il loro patrimonio genetico le rende più o meno adatte a rispondere agli eventi estremi.

“Il cambiamento climatico non si manifesta solo attraverso l’aumento medio delle temperature, ma anche con una crescente variabilità termica, cioè oscillazioni imprevedibili tra picchi di calore e periodi meno caldi– dice il professore Luca Rindi dell’Università di Pisa, primo autore dello studio – In un mondo che si prospetta sempre più caldo e instabile, i microrganismi marini potrebbero, da un lato, reagire più rapidamente agli shock, ma dall’altro diventare più vulnerabili di fronte a eventi estremi ripetuti nel tempo. In vista delle sfide che il clima ci riserva, lo studio apre una finestra sul futuro, aiutandoci a capire come questo importante elemento dell’ecosistema costiero reagirà ai cambiamenti climatici.”

“Il successo di questa collaborazione dimostra ancora una volta il valore del sistema universitario pisano – dice il professore Matteo Dell’Acqua, direttore dell’Istituto di Scienze delle Piante della Scuola Sant’Anna e coautore dello studio – l’unione delle competenze uniche presenti sul nostro territorio ci permette di esplorare la frontiera della ricerca sugli effetti del cambiamento climatico”

L’Università di Pisa ha avuto un ruolo centrale nello studio, in particolare attraverso il Dipartimento di Biologia, dove hanno operato alcuni degli autori principali, come i professori Luca Rindi e Lisandro Benedetti-Cecchi. L’ateneo ha inoltre fornito supporto scientifico e logistico per la progettazione e la realizzazione degli esperimenti sul campo, oltre a contribuire all’analisi dei dati ecologici e microbiologici grazie al supporto fornito dal Green Data Center.

Il progetto è stato finanziato in parte dal programma europeo ACTNOW (Advancing understanding of Cumulative Impacts on European marine biodiversity, ecosystem functions and services for human wellbeing), che si occupa di studiare gli impatti cumulativi dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi marini.

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Cambiamenti climatici: oscillazioni termiche ed eventi estremi mettono a rischio gli ecosistemi marini, ecco come il biofilm reagisce alle variazioni di temperatura dell’aria; lo studio pubblicato su Nature Communications. In foto, gli scogli di Calafuria

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa.

CIPROMED, IL PROGETTO DI UTILIZZO CIRCOLARE E INCLUSIVO DELLE PROTEINE ALTERNATIVE NELL’AREA MEDITERRANEA

La siccità e i deficit ecologici stanno peggiorando l’autosufficienza delle filiere proteiche tradizionali. L’iniziativa mira a ridurre il rischio per i Paesi del Mediterraneo di dipendere dalle fonti proteiche importate.

Il team del progetto CIPROMED
Il team del progetto CIPROMED

Il 5 e 6 giugno si è svolto il kickoff meeting del progetto “CIPROMED- Circular and Inclusive utilisation of alternative PROteins in the MEDiterranean value chains”, finanziato dal programma di ricerca congiunto PRIMA. Il progetto, di durata triennale (giugno 2023 – giugno 2026), vede la partecipazione di ricercatori italiani dell’Università degli Studi di Torino del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) e del Dipartimento di Scienze Veterinarie (DSV).

Il progetto, coordinato dall’Università di Thessaly (Grecia), vede la partecipazione di 17 partner appartenenti a 10 paesi diversi. Il budget totale del progetto è pari a € 4.738.918,81€, di cui 350.354,69€ destinati a UniTo. Il referente scientifico per l’Ateneo torinese è la professoressa Laura Gasco.

Gli attuali sistemi di produzione agricola europei sono fortemente dipendenti dalle importazioni di proteine per coprire il fabbisogno nutrizionale dell’acquacoltura e dell’allevamento, ma anche per il consumo umano. Questa problematica interessa in particolar modo la regione mediterranea, dove la siccità e i deficit ecologici stanno peggiorando l’autosufficienza delle filiere proteiche tradizionali. L’UE ha urgentemente bisogno di fonti proteiche alternative efficienti, praticabili e prodotte localmente.

La maggior parte dei sistemi agricoli produce un’enorme quantità di sottoprodotti e scarti agroalimentari. Si stima che ogni anno vada perso il 27% della nostra produzione agricola, che corrisponde a 1,6 miliardi di tonnellate su base globale, per un valore di 750 miliardi di dollari all’anno. Allo stesso modo, un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano va perso o sprecato. Queste perdite rappresentano un grande risorse non sfruttate e sottovalutate.

L’obiettivo principale del progetto CIPROMED è quello di aumentare la stabilità e la resilienza dei sistemi di produzione agroalimentare del Mediterraneo attraverso lo sfruttamento diretto delle colture tradizionali prodotte localmente, nonché valorizzando le proteine dei prodotti secondari agroindustriali generati a livello locale (ad esempio, i cereali esausti dei produttori di birra o i panelli di semi oleosi), l’upcycling e la bioconversione dei loro residui di estrazione in proteine prodotte da insetti, legumi e microrganismi da utilizzare ulteriormente nei settori agroalimentare e dei mangimi.

CIPROMED utilizzerà un approccio multi-soggettivo, in cui insetti e microalghe saranno prodotti sfruttando i residui agroindustriali e i flussi secondari di estrazione come substrati, applicando tecniche di allevamento e coltivazione innovative per ottenere rese proteiche più elevate. Per chiudere il cerchio, gli scarti di allevamento (denominati “frass”) degli insetti saranno utilizzate come fertilizzante per la produzione di legumi (lupini e fave). Ingredienti proteici di alta qualità da residui agroindustriali, insetti, legumi e microalghe saranno estratti per applicazioni alimentari e mangimistiche attraverso processi di estrazione sostenibili dal punto di vista economico e ambientale.

Per raggiungere la circolarità, i residui generati dai processi di estrazione saranno integrati nelle diete formulate per l’allevamento degli insetti e la coltivazione eterotrofa delle microalghe, riducendo al minimo le quantità residue. La fermentazione microbica sarà utilizzata per migliorare la gamma, la stabilità e la funzionalità salutistica delle nuove proteine. Tutti gli ingredienti proteici saranno completamente caratterizzati, in termini di valore nutrizionale, proprietà funzionali, biologiche e di sicurezza. Sulla base dei risultati ottenuti, verranno formulati e convalidati nuovi prototipi di alimenti e mangimi contenenti i nuovi ingredienti proteici, utilizzando tecnologie di lavorazione avanzate e ottimizzate.

CIPROMED mira a ridurre il rischio per i Paesi del Mediterraneo di dipendere dalle fonti proteiche importate e aiuterà i Paesi partecipanti a fare maggiore affidamento sulle fonti di nutrimento prodotte localmente. La sfida sarà adattare la produzione di nuove proteine alle condizioni uniche del Mediterraneo, creando un nuovo sistema di produzione di proteine socio-economicamente fattibile e sostenibile dal punto di vista ambientale.

CIPROMED cercherà di raccogliere le percezioni/preferenze dei consumatori sui nuovi tipi di alimenti e mangimi nella regione mediterranea, tenendo conto anche delle peculiarità religiose e delle differenze demografiche di ciascun Paese partecipante. A differenza dell’agricoltura convenzionale, la produzione delle più comuni specie di insetti e di microalghe eterotrofe allevate a livello commerciale su mangimi di sottoprodotti è caratterizzata da emissioni di gas a effetto serra notevolmente ridotte (30-50% in meno), avendo quindi un minore impatto ambientale e un contributo al riscaldamento globale.

CIPROMED si concentrerà sul miglioramento della salute umana attraverso la progettazione e la valutazione di diete alternative a base di proteine che mireranno ai sistemi metabolici e immunitari e promuoveranno la salute umana. I Paesi mediterranei dovranno passare a sistemi agricoli con un uso più efficiente delle risorse naturali.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino