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TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ: QUANDO PIANTE E HABITAT FANNO LA DIFFERENZA

La conservazione della biodiversità può essere più efficace se orientata verso la tutela dell’intero habitat piuttosto che delle singole specie. Questo perché sono meno condizionati da preferenze soggettive legate a diversi fattori, tra i quali i bias di preferenza soggettiva

 

Quali sono i fattori che determinano le modalità di finanziamento nella tutela delle specie vegetali protette e dei loro habitat? Con lo studio “Dimension and impact of biases in funding for species and habitat conservation”, pubblicato sulla rivista Biological Conservation, i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) sede di Verbania-Pallanza, l’Università di Helsinki, l’Università di Minho e il Dipartimento per la Ricerca e il Monitoraggio del Parco Nazionale Svizzero, hanno cercato di rispondere a questa domanda sfruttando i dati disponibili per i progetti LIFE, il principale programma di finanziamento per la conservazione della natura messo in atto dall’Unione Europea.

Tra il 1992, anno di fondazione del progetto LIFE, e il 2020, le specie animali hanno ricevuto un finanziamento in euro triplo (oltre 2 miliardi di euro) rispetto alle piante (690 milioni). Ma anche tra le piante sono evidenti diverse delle disparità. Alcune specie, come le orchidee, ricevono moltissimi fondi (circa un milione di euro a specie) e attenzioni, mentre le specie con una distribuzione più “nordica” o con areali più grandi, sono più finanziate. Anche il fattore estetico, ad esempio il colore dei fiori è importante: le specie con fiori blu/viola sono più finanziate; al contempo, il rischio di estinzione non è correlato allo sforzo finanziario.

Orchidee floreali colorate biodiversità habitat

È stato osservato invece come la conservazione degli habitat, nonostante non sia ben allineata con lo stato di conservazione degli ambienti, sia meno influenzata da bias di tipo estetico, confermando che orientare i programmi di conservazione della biodiversità verso gli habitat, piuttosto che verso le singole specie, consentirebbe di aumentare l’efficacia di questi programmi, soprattutto quando si interviene in aree geografiche estremamente frammentate ed antropizzate.

“La biodiversità – dichiara Martino Adamo, ricercatore del DBIOS Unito – è tra le più grandi ed imprescindibili risorse sul pianeta Terra. La consapevolezza dell’importanza di questo patrimonio globale si sta lentamente facendo strada nelle coscienze collettive. Per arrivare a questo risultato nel campo animale, le parti interessate hanno ampiamente utilizzato strategie molto vicine al marketing, cercando di fare leva sulla naturale propensione dell’uomo ad immedesimarsi nel soggetto da tutelare e ad antropomorfizzare la natura. Un fenomeno chiamato, ironicamente, «effetto cucciolo di foca»”.

Per le piante, invece, è ben noto il fenomeno opposto, quando si parla di cecità nei loro confronti (“plant blindness”). La maggior parte degli osservatori, infatti, percepisce la vegetazione che li circonda come un semplice elemento paesaggistico e non come un complesso mondo di interrelazioni tra individui, specie e comunità. Recentemente è stato evidenziato che nell’Unione Europea oltre il 75% dei fondi destinati ad interventi di tutela della natura sono andati a finanziare la tutela di mammiferi e uccelli.

 

Testo e immagine dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

QUALI PIANTE PIACCIONO AI RICERCATORI?

Una recente pubblicazione su Nature Plants ha rivelato che alcune caratteristiche morfologiche, come gli steli più alti e i fiori dai colori sgargianti, attirano di più l’attenzione dei ricercatori impegnati nello studio delle piante. Il lavoro è stato condotto dall’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) e dall’ Università di Torino in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, il Museo di scienze naturali di Berlino e la Curtin University in Australia e ha analizzato 113 specie delle Alpi sud-occidentali, menzionate in 280 pubblicazioni scientifiche negli ultimi 45 anni.

Veronica allionii – Alpe del Mey

Uno studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Nature Plants, e condotto da giovani ricercatori dell’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche di Verbania (Cnr-Irsa) e dell’Università Torino, in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, il Museo di scienze naturali di Berlino e la Curtin University in Australia ha rivelato che per gli scienziati “di campo” la scelta delle specie da studiare potrebbe essere influenzata da fattori estetici. Sul lungo periodo, questo potrebbe introdurre una distorsione negli sforzi di ricerca. Ma come quantificare questo bias?

piante ricercatori
Aquilegia alpina – Val Piora

Le piante hanno giocato un ruolo significativo nell’evoluzione della scienza moderna e le loro proprietà continuano ad essere al centro di importanti ricerche. “In questo studio abbiamo analizzato 280 articoli sottoposti a peer-review dedicati a 113 specie di piante tipiche delle Alpi sud-occidentali, pubblicati negli ultimi 45 anni. Abbiamo scoperto che alcune caratteristiche morfologiche, come gli steli più alti e i fiori dai colori ben visibili, siano tra i tratti che maggiormente attirano l’attenzione dei ricercatori”, dichiara Martino Adamo, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e primo autore dello studio.

piante ricercatori
Campanula barbata – Colle della Maddalena

“Abbiamo osservato come le piante dai fiori blu sono molto più studiate rispetto a quelle con fiori scarsamente pigmentati (verdi o marroni). Anche l’altezza dello stelo, che in un certo senso è la capacità di una pianta di svettare tra le altre e quindi ‘farsi notare’ dall’osservatore, è un fattore di selezione importante. Al contrario, e forse paradossalmente, il rischio di estinzione delle specie e i loro tratti ecologici non influiscono sulla probabilità che una specie venga studiata”, aggiunge Stefano Mammola del Cnr-Irsa.

piante ricercatori
Myricaria germanica – Festiona

Si genera così un “bias estetico” negli sforzi della ricerca, sostengono gli autori. “Questo pregiudizio può avere impatti negativi in quanto può orientare gli sforzi di conservazione a favore delle piante più attraenti, indipendentemente dalla loro importanza ecologica per la salute dell’ecosistema generale”, osserva il ricercatore di UniTo Adamo“Questi risultati hanno quindi implicazioni rilevanti per rendere più oggettiva la ricerca scientifica e, in senso ampio, per una più equa prioritizzazione delle specie da proteggere”.

Campanula spicata – V,ne del Valasco

Lo studio intende fornire un’occasione di ragionamento. “Il nostro lavoro non vuole essere una critica alla ricerca svolta dei colleghi, ma piuttosto uno spunto di riflessione”, conclude il ricercatore Cnr-Irsa Mammola“Sebbene le scelte siano a volte guidate dalla comunicabilità del risultato scientifico è comunque importante riflettere sul nostro approccio alla conservazione e renderlo il più equo ed oggettivo possibile: anche un fiore marroncino contribuisce al corretto funzionamento dell’ecosistema, ed è quindi importante studiarlo e proteggerlo”.

Alchemilla – Val Cénis

Testo e foto dall’Università degli Studi di Torino sullo studio pubblicato su Nature Plants circa le piante “preferite” dai ricercatori.