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Marta Del Bianco

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Coltivare le verdure nello spazio: sarà possibile anche in assenza di luce 

La ricerca, a cui ha preso parte un team di biologi della Sapienza Università di Roma, ha individuato i meccanismi molecolari che consentono ad alcune microverdure di germogliare e crescere al buio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista “Plant Communications”.

Tra le principali sfide nella coltivazione di verdure nello spazio, una delle più rilevanti è la limitata disponibilità di risorse energetiche, in particolare la luce, fondamentale per la crescita e il corretto sviluppo delle piante.

L’individuazione di varietà di microverdure in grado di essere coltivate in contesti ambientali estremi, come le missioni spaziali, rappresenta una soluzione ideale soprattutto per rifornire di cibi freschi gli astronauti durante i viaggi e la loro permanenza nello spazio.

Uno studio, pubblicato sulla rivista “Plant Communications” e coordinato dai ricercatori Raffaele Dello Ioio e Paola Vittorioso del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie della Sapienza, in collaborazione con l’Institute of Experimental Botany, l’Agenzia Spaziale Italiana e il Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, ha permesso di isolare microverdure capaci di germinare al buio identificando un meccanismo molecolare che promuove la loro crescita indipendentemente dalla luce.

La ricerca si è focalizzata sulla Cardamine hirsuta, più comunemente nota come crescione amaro peloso, una pianta modello con caratteristiche di microverdura.

I ricercatori hanno dimostrato che la Cardamine è capace di germinare indipendentemente dalla luce e che deve questa sua capacità agli alti livelli di Acido gibberellico (GA), ormone presente in tutte le piante e responsabile della loro crescita, e al regolatore DAG1, che invece è coinvolto nel processo indipendentemente dalle condizioni di luce.

I risultati ottenuti dalla ricerca permetteranno di traslare queste conoscenze anche ad altre microverdure attraverso tecnologia TEA (tecniche di evoluzione assistita), aumentando il plafond di prodotti vegetali disponibili per gli astronauti e avvicinando la colonizzazione di altri pianeti.

Grazie alla joint venture del gruppo di Paola Vittorioso e di Raffaele Dello Ioio, finanziata dalla regione Lazio, sarà possibile inoltre approfondire nuove prospettive per lo sviluppo di colture più resilienti e che riescano ad adattarsi a contesti ambientali sempre più complessi a causa del cambiamento climatico.

 “Oggi le tematiche legate all’ambiente – commenta Dello Ioio – coinvolgono la società in tutte le sue componenti rendendo necessario lo sviluppo di strategie alternative per rendere le coltivazioni sostenibili e adattabili alle nuove condizioni climatiche. La generazione di piante di interesse agronomico i cui semi sono capaci di germinare in condizioni non ottimali rappresenterebbe quindi un importante traguardo per la generazione di colture tolleranti i cambiamenti ambientali”.

Riferimenti bibliografici:

Andrea Lepri, Hira Kazmi, Gaia Bertolotti, Chiara Longo, Sara Occhigrossi, Luca Quattrocchi, Mirko De Vivo, Daria Scintu, Noemi Svolacchia, Danuse Tarkowska, Veronika Tureckova, Miroslav Strnad, Marta Del Bianco, Riccardo di Mambro, Paolo Costantino, Sabrina Sabatini, Raffaele Dello Ioio, Paola Vittorioso, A DOF transcriptional repressor-gibberellin feedback loop plays a crucial role in modulating light-independent seed germination, Plant Communications, Volume 0, Issue 0, 101262, DOI: https://www.cell.com/plant-communications/fulltext/S2590-3462(25)00024-0

Coltivare le verdure nello spazio: sarà possibile anche in assenza di luce; la ricerca si è concentrata sul crescione amaro peloso (Cardamine hirsuta). Foto di Rasbak, CC BY-SA 3.0

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Contrastare la sterilità dei terreni con piante tolleranti alle alte concentrazioni saline 

Una nuova ricerca coordinata da Raffaele Dello Ioio della Sapienza Università di Roma ha individuato il meccanismo molecolare che inibisce lo sviluppo delle radici quando una pianta si trova in un terreno con elevate presenza di sale. Lo studio, pubblicato su Communications Biology, può portare allo sviluppo di piante in grado di sopravvivere e avere alta resa agricola anche se esposte a questo minerale.

Come effetto del riscaldamento globale, le condizioni climatiche di molte aree nel mondo stanno radicalmente cambiando aumentando le zone soggette ad inaridimento del suolo o ad alluvioni. Tali cambiamenti causano un aumento della concentrazione salina nel suolo, rendendo molte aree coltivabili quasi completamente sterili. Infatti, l’aumento di sale nel suolo inibisce la crescita delle piante causando una notevole riduzione nella resa agricola.

Il primo organo che viene a contatto con il sale presente nel suolo è la radice: da questa propagano segnali che generano molteplici anomalie nello sviluppo di tutta la pianta che conducono alla morte.

Un nuovo studio coordinato da ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza di Roma ha combinato esperimenti di biologia molecolare, genetica e biologia computazionale giungendo a identificare il meccanismo molecolare che inibisce la crescita della radice quando una pianta è esposta ad alte concentrazioni saline. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Communications Biology.

Il gruppo di ricerca si è servito della nota pianta modello Arabidopsis thaliana, meglio conosciuta come Arabetta comune, percomprendere come le condizioni chimiche, fisiche e meccaniche del suolo interferiscano con lo sviluppo della radice alterando di conseguenza lo sviluppo della pianta in toto.

“Questo studio – commenta Raffaele Dello Ioio – è seminale per la produzione futura di piante resistenti ad alte concentrazioni saline. Infatti, è plausibile che rendendo le radici delle piante insensibili alla presenza di sale nel suolo queste potranno sopravvivere ed avere alta resa agricola anche se esposte a questo minerale”.

Arabidopsis thaliana piante tolleranti concentrazioni saline
Contrastare la sterilità dei terreni con piante tolleranti alle alte concentrazioni saline: la pianta modello Arabidopsis thaliana. Foto di Flocci Nivis, CC BY-SA 4.0

Riferimenti:

microRNA165 and 166 modulate response of the Arabidopsis root apical meristem to salt stress – Daria Scintu, Emanuele Scacchi, Francesca Cazzaniga, Federico Vinciarelli, Mirko De Vivo, Margaryta Shtin, Noemi Svolacchia, Gaia Bertolotti, Simon Josef Unterholzner, Marta Del Bianco, Marja Timmermans, Riccardo Di Mambro, Paola Vittorioso, Sabrina Sabatini, Paolo Costantino & Raffaele Dello Ioio – Communications Biology (2023)  https://www.nature.com/articles/s42003-023-05201-6

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma