News
Ad
Ad
Ad
Tag

Luisa Girelli

Browsing

Una ricerca di Milano-Bicocca rivela che gli sport d’invasione potenziano le capacità d’attenzione

Sono gli sport d’invasione, come il basket, a potenziare le abilità attentive, in particolare quelle basate sulle caratteristiche visive. Una strategia cognitiva che, se opportunamente allenata, può fare la differenza, non solo nello sport.

 

Milano, 21 luglio 2025 – Distinguere rapidamente le maglie degli avversari da quelle dei propri compagni è molto importante negli sport d’invasione, come ad esempio il basket, dove le squadre condividono lo stesso spazio di gioco. Questa è una abilità  cognitiva che si può allenare. A rilevarlo è uno studio, guidato da un team di ricercatori di Milano-Bicocca, che ha dimostrato come l’attenzione selettiva, in particolare basata su caratteristiche visive, sia migliore negli atleti che praticano sport d’invasione.

Queste abilità rappresentano un elemento fondamentale in ogni disciplina sportiva, influenzando le performance e la capacità di adattamento degli atleti. Tuttavia, fino ad ora, pochi studi avevano indagato come la tipologia di sport praticato potesse affinare specifiche componenti dell’attenzione selettiva.

Per colmare questa lacuna, un team di ricercatori – Luisa Girelli, Simona Perrone, Simone Mattavelli e Marco Petilli (Università di Milano-Bicocca), Luca Bovolon (Università di Chieti e Pescara) e Carlotta Lega (Università di Pavia) – ha condotto lo studio dal titolo “Playing sports to shape attention: enhanced feature-based selective attention in invasion sports players”, appena pubblicato sulla rivista “Psychology of Sport and Exercise”.

I ricercatori hanno proposto agli atleti due esperimenti per capire come le richieste cognitive di diversi sport – in particolare gli sport d’invasione rispetto a quelli non d’ invasione (tipicamente quelli dove una rete divide il campo e le squadre non condividono lo spazio di gioco) – influenzano due sottocomponenti dell’attenzione selettiva: l’attenzione basata sulle caratteristiche visive (Feature-based Attention, FBA) e quella spaziale (Spatial-based Attention, SBA)

«Nel primo esperimento, 20 atleti di basket (sport d’invasione) e 20 partecipanti di controllo, equamente suddivisi per sesso, hanno completato due compiti: uno di ricerca visiva per valutare l’FBA e uno per misurare la SBA», spiega Luca Bovolon, uno degli autori dello studio. «I risultati hanno evidenziato che gli atleti di sport di invasione mostrano una maggiore capacità di attenzione basata sulle caratteristiche visive, mentre non sono state riscontrate differenze significative nel compito che valuta l’attenzione spaziale.»

Questi dati suggeriscono che l’allenamento in sport di invasione potenzia specificamente l’FBA, senza influenzare l’attenzione spaziale generale.

Per approfondire se questo effetto fosse strettamente legato al tipo di sport, è stato replicato lo studio con 22 giocatrici di pallavolo (sport non d’invasione) e 23 partecipanti di controllo. I risultati non hanno mostrato differenze di gruppo nelle misure attentive, rafforzando l’ipotesi che le richieste cognitive proprie degli sport di invasione modellano e affinano le capacità di attenzione selettiva, in particolare l’FBA.

«Praticare sport in modo intensivo è uno dei migliori allenamenti per le nostre funzioni cognitive», conclude Luisa Girelli, docente di Neuropsicologia e neuroscienze cognitive dell’Università di Milano-Bicocca e autrice dello studio. «Gli sport d’invasione vincono sugli altri per un effetto specifico sull’attenzione selettiva basata su caratteristiche visive»

il basket, uno degli sport d'invasione
Foto di Schorsch

Testo dall’Ufficio stampa Università di Milano-Bicocca.

Un orologio interno che spacca il secondo lo si può ottenere grazie al nuoto e alla corsa

Uno studio pubblicato sulla rivista Psychology of Sport & Exercise, frutto di una collaborazione tra Università di Milano-Bicocca e Università di Pavia, dimostra come il cervello dei nuotatori (ma anche di chi pratica la corsa) abbia elevate capacità di percepire e misurare il tempo.

Milano, 19 ottobre 2023 – Bracciata dopo bracciata, vasca dopo vasca, i nuotatori sviluppano un’eccezionale capacità di cronometrare il tempo. Come ci riescono, immersi come sono in un ambiente ovattato come l’acqua? Lo spiega una ricerca intitolata “Temporal perception in closed-skill sports: An experimental study on expert swimmers and runners”, coordinata da Luisa Girelli, insieme a Simona Perrone del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con Daniele Gatti e Luca Rinaldi del Dipartimento di Scienze del sistema nervoso e del comportamento dell’Università di Pavia.

Magari non ce ne accorgiamo, ma il nostro cervello misura continuamente il tempo grazie a una sorta di orologio interno: succede, per esempio, quando pianifichiamo o eseguiamo i movimenti necessari ad attraversare la strada oppure quando siamo alla guida di una macchina. Questa abilità cognitiva ha un ruolo chiave anche in ambito sportivo, non solo perché la prestazione sportiva dipende sempre anche da una perfetta calibrazione temporale dell’azione, ma anche perché in alcuni sport è il fattore tempo a determinare il successo.

È il caso degli sport closed skills: si tratta di discipline – come appunto il nuoto o la corsa – che si svolgono in un contesto stabile e prevedibile, dove la prestazione si basa sulla ripetizione ciclica dello stesso gesto motorio e in cui vince chi fa il miglior tempo.

«In acqua il nuotatore può controllare la performance e cronometrare l’andatura solo basandosi sulla propria percezione interna. Si tratta di un’attività molto diversa rispetto agli sport open skills, dove il contesto è mutevole e imprevedibile», spiega Luisa Girelli. «Pensiamo agli sport di squadra, come il calcio o il basket, dove l’atleta deve di continuo tenere conto delle situazioni esterne e dalle azioni degli altri giocatori in campo per decidere come agire. È sempre stato riconosciuto come queste discipline siano allenanti per funzioni cognitive come l’attenzione, l’abilità decisionale, la pianificazione e l’anticipazione motoria».

Che cosa accade invece a chi pratica a livello intensivo gli sport closed skills?

 «La nostra ipotesi di ricerca era che anche questi sport potenziassero determinate competenze cognitive, in particolare, le abilità di percepire e stimare il tempo, facendo ampio conto sul proprio ritmo interno»,

dice Girelli. E le conferme sono arrivate. I partecipanti allo studio – divisi in due gruppi di atleti, nuotatori e corridori, e un gruppo di controllo di non sportivi – sono stati sottoposti a compiti per valutare la loro capacità di stimare durate temporali e tenere il tempo. Gli sportivi sono risultati più abili, in particolare i nuotatori, abituati a sfidare il cronometro in acqua, dove gli stimoli uditivi e visivi sono attenuati e quindi meno rilevanti per mantenere il ritmo e tenere traccia dello scorrere del tempo. Ecco perché, tra una virata e l’altra, il nuotatore controlla al meglio il proprio “orologio” interno, affinandolo sempre di più.

nuoto orologio interno
Un orologio interno che spacca il secondo lo si può ottenere grazie al nuoto e alla corsa. Foto Flickr del Consell Comarcal del Baix Empordà, CC BY-SA 2.0

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca