News
Ad
Ad
Ad
Tag

Luca Zappacosta

Browsing

LUCE SUI TITANI DELL’ALBA COSMICA: I PRIMI QUASAR SFIDANO I LIMITI DELLA FISICA PER CRESCERE
Scoperte nuove evidenze che spiegano come si siano formati i buchi neri supermassicci nel primo miliardo di anni di vita dell’Universo. Lo studio, condotto dai ricercatori dell’INAF, analizza 21 quasar distanti e rivela che questi oggetti si trovano in una fase di accrescimento super veloce, offrendo preziose informazioni sulla loro formazione ed evoluzione, in parallelo con quella delle galassie ospitanti.

In un articolo pubblicato oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics emergono nuove indicazioni che suggeriscono come i buchi neri supermassicci, con masse pari ad alcuni miliardi di volte quella del nostro Sole, si siano formati così rapidamente in meno di un miliardo di anni dopo il Big Bang. Lo studio, guidato dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), analizza un campione di 21 quasar, tra i più distanti scoperti finora, osservati nei raggi X dai telescopi spaziali XMM-Newton e Chandra. I risultati suggeriscono che i buchi neri supermassicci al centro di questi titanici quasar, i primi a essersi formati durante l’alba cosmica, potrebbero aver raggiunto le loro straordinarie masse grazie a un accrescimento molto rapido e intenso, fornendo così una spiegazione plausibile alla loro esistenza nelle prime fasi dell’Universo.

I quasar sono galassie attive, alimentate da buchi neri supermassicci al loro centro (chiamati nuclei galattici attivi), che emettono enormi quantità di energia mentre attraggono materia. Sono estremamente luminosi e lontani da noi. Nello specifico, i quasar esaminati in questo studio sono tra gli oggetti più distanti mai osservati e risalgono a un’epoca in cui l’Universo aveva meno di un miliardo di anni.

In questo lavoro, l’analisi delle emissioni nei raggi X di tali oggetti ha rivelato un comportamento completamente inaspettato dei buchi neri supermassicci al loro centro: è emerso un legame tra la forma dell’emissione in banda X e la velocità dei venti di materia lanciati dai quasar. Questa relazione associa la velocità dei venti, che può raggiungere migliaia di chilometri al secondo, alla temperatura del gas nella corona, la zona che emette raggi X più prossima al buco nero, legata a sua volta ai potenti meccanismi di accrescimento del buco nero stesso. I quasar con emissione X a bassa energia, quindi con una minore temperatura del gas nella corona, mostrano venti più veloci. Ciò è indice di una fase di crescita estremamente rapida che valica un limite fisico di accrescimento di materia denominato limite di Eddington, per questo motivo tale fase viene chiamata ‘super Eddington’. Viceversa, i quasar con emissioni più energetiche nei raggi X tendono a presentare venti più lenti.

“Il nostro lavoro suggerisce che i buchi neri supermassicci al centro dei primi quasar che si sono formati nel primo miliardo di anni di vita dell’Universo possano effettivamente aver aumentato la loro massa molto velocemente, sfidando i limiti della fisica”, afferma Alessia Tortosa, prima autrice del lavoro e ricercatrice presso l’INAF di Roma. “La scoperta di questo legame tra emissione X e venti è cruciale per comprendere come buchi neri così grandi si siano formati in così poco tempo, offrendo in tal modo un’indicazione concreta per risolvere uno dei più grandi misteri dell’astrofisica moderna”.

Il risultato è stato raggiunto soprattutto grazie all’analisi di dati raccolti con il telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che ha permesso di osservare i quasar per circa 700 ore, fornendo dati senza precedenti sulla loro natura energetica. La maggior parte dei dati, raccolti tra il 2021 e 2023 nell’ambito del Multi-Year XMM-Newton Heritage Programme, sotto la direzione di Luca Zappacosta, ricercatore dell’INAF di Roma, fa parte del progetto HYPERION, che si propone di studiare i quasar iperluminosi all’alba cosmica dell’Universo. L’estesa campagna di osservazioni è stata guidata da un team di scienziati italiani e ha ricevuto il sostegno cruciale dell’INAF, che ha finanziato il programma, sostenendo così una ricerca di avanguardia sulle dinamiche evolutive delle prime strutture dell’Universo.

“Per il programma HYPERION abbiamo puntato su due fattori chiave: da una parte l’accurata scelta dei quasar da osservare, selezionando i titani, cioè quelli che avevano accumulato la maggior massa possibile, e dall’altra lo studio approfondito delle loro proprietà nei raggi X, mai tentato finora su così tanti oggetti all’alba cosmica”, sostiene Zappacosta. “Direi proprio che abbiamo fatto bingo! I risultati che stiamo ottenendo sono davvero inaspettati e puntano tutti su un meccanismo di crescita dei buchi neri di tipo super Eddington”.

Questo studio fornisce indicazioni importanti per le future missioni in banda X, come ATHENA (ESA), AXIS e Lynx (NASA), il cui lancio è previsto tra il 2030 e il 2040. Infatti, i risultati ottenuti saranno utili per il perfezionamento degli strumenti di osservazione di nuova generazione e per la definizione di migliori strategie di indagine dei buchi neri e dei nuclei galattici nei raggi X a epoche cosmiche più remote, elementi essenziali per comprendere la formazione delle prime strutture galattiche nell’Universo primordiale.

Rappresentazione artistica generata tramite intelligenza artificiale, basata su un’immagine NASA (https://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA16695), che mostra un buco nero supermassiccio in accrescimento, circondato da gas che spiraleggiano verso l'orizzonte degli eventi e emettono potenti venti di materia. Crediti: Emanuela Tortosa
Rappresentazione artistica generata tramite intelligenza artificiale, basata su un’immagine NASA (https://photojournal.jpl.nasa.gov/catalog/PIA16695), che mostra un buco nero supermassiccio in accrescimento, circondato da gas che spiraleggiano verso l’orizzonte degli eventi e emettono potenti venti di materia. Crediti: Emanuela Tortosa

Riferimenti bibliografici:

L’articolo “HYPERION. Shedding light on the first luminous quasars: A correlation between UV disc winds and X-ray continuum”, di Tortosa A. et al. 2024, è stato pubblicato online sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

Rilevato gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nel mezzo interstellare della galassia che ospita il quasar Pōniuā‘ena

Osservato per la prima volta gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nella galassia che ospita un buco nero supermassiccio in un’epoca remota della storia del cosmo, quando l’Universo aveva solo settecento milioni di anni. La scoperta, realizzata da un team internazionale guidato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è stata possibile grazie all’osservatorio NOEMA sulle Alpi francesi.

Le 12 antenne dell’osservatorio NOEMA, sulle Alpi francesi.
Crediti: IRAM, J.Boissier

Come si influenzano a vicenda la crescita di un buco nero supermassiccio e quella della galassia che lo ospita? Che impatto hanno questi buchi neri sulle primissime fasi evolutive delle galassie? Un team internazionale guidato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) si è posto questi quesiti, tra i più spinosi dell’astrofisica contemporanea, e per affrontarli ha osservato uno dei tre quasar luminosi più distanti noti, la cui luce è partita circa tredici miliardi di anni fa, quando l’universo aveva un’età di appena settecento milioni di anni.

Illustrazione del quasar Pōniuāʻena.
Crediti: International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA/P. Marenfeld

I quasar sono nuclei estremamente brillanti di galassie attive, la cui enorme luminosità deriva dall’intensa attività del buco nero supermassiccio nascosto nel cuore della galassia. Il quasar scelto dal team si chiama Pōniuā‘ena, che in lingua hawaiana “evoca l’invisibile fonte rotante della creazione, circondata da brillantezza”, ed è alimentato da un buco nero la cui massa è pari a un miliardo e mezzo di volte quella del Sole. La galassia che lo ospita si trova nel mezzo dell’epoca della reionizzazione, quel periodo della storia cosmica, verificatosi alcune centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, durante il quale l’Universo è diventato trasparente alla radiazione emessa da stelle e galassie, così che la loro luce può raggiungerci oggi. Quasar come questo si sono formati molto presto nella sequenza temporale del cosmo, trovandosi in ambienti estremi caratterizzati dall’accumulo di enormi quantità di gas e polvere, ma le ragioni di una comparsa così rapida sono ancora uno dei misteri più grandi nell’astrofisica extragalattica.

gas molecolare freddo quasar Pōniuā‘ena
Mappa dell’emissione di gas molecolare (monossido di carbonio) da parte del quasar Poniua‘ena, realizzata dall’osservatorio NOEMA.
Crediti: IRAM/NOEMA/C. Feruglio (INAF)

Osservando il quasar Pōniuā‘ena con il Northern Extended Millimeter Array (NOEMA), il più potente radiotelescopio del suo genere nell’emisfero nord, il team ha rilevato gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nel mezzo interstellare della galassia che ospita il quasar. Si tratta di un rilevamento da record: non era mai stato osservato gas molecolare freddo a epoche così antiche nella storia dell’Universo. I risultati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Letters.

gas molecolare freddo quasar Pōniuā‘ena
Mappa dell’emissione di gas molecolare (monossido di carbonio) da parte del quasar Poniua‘ena, realizzata dall’osservatorio NOEMA.
Crediti: IRAM/NOEMA/C. Feruglio (INAF)

Si ritiene che il gas molecolare freddo sia uno degli ingredienti chiave per una efficiente formazione stellare. Per questo, gli astronomi ritengono che il gas molecolare fosse presente già nell’Universo primordiale, anche prima che le stelle si formassero in grandi quantità. Di conseguenza, la scoperta del monossido di carbonio nel quasar Pōniuā’ena rappresenta una nuova pietra miliare per comprendere la formazione delle primissime molecole nell’Universo.

“È la prima volta che misuriamo la riserva di gas molecolare freddo e polvere nell’Universo primordiale, appena qualche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang”, spiega Chiara Feruglio, ricercatrice INAF a Trieste e prima autrice dello studio. “Troviamo che le galassie ospiti di quasar nell’Universo antico hanno già la capacità di accumulare una massa di gas e polvere molto elevata: circa venti miliardi di masse solari, comparabile con quanto osservato in epoche cosmiche successive. È interessante notare che, nonostante il breve tempo cosmico intercorso dal Big Bang all’epoca in cui osserviamo il quasar Pōniuā‘ena, le quantità relative di gas freddo e polvere fredda è già molto simile al valore misurato nella nostra galassia, la Via Lattea, e altre galassie che popolano l’Universo odierno”.

“Sappiamo che questo quasar ospita un buco nero molto massiccio, che deve essersi formato o da una marcata concentrazione primordiale di massa oppure tramite accrescimento di gas a un tasso molto elevato su concentrazioni di massa più piccole” nota la co-autrice Francesca Civano, Chief Scientist presso il Physics of the Cosmos Program Office del NASA Goddard Space Flight Center a Greenland nel Maryland, Stati Uniti. “Le osservazioni erano state programmate per studiare solamente la componente della polvere, non ci aspettavamo di rilevare anche una grande riserva di gas freddo, anche perché, per gli altri due quasar noti a distanze così elevate, il gas freddo non è stato ancora individuato. Invece con sorpresa abbiamo trovato due righe molto forti, che indicano una massiccia riserva di gas freddo e denso”.

“Solo la notevole sensibilità recentemente raggiunta da NOEMA, unita alla sua ampia larghezza di banda di frequenza, ha consentito la scoperta del monossido di carbonio a Pōniuā’ena” aggiunge Jan Martin Winters, astronomo dell’Institut de radioastronomie millimétrique (IRAM) in Francia e co-autore dello studio. “La potenza recentemente acquisita da NOEMA mantiene ora la promessa di rilevare il gas molecolare freddo in molte più sorgenti che ospitano quasar in queste epoche cosmiche primordiali. Tali rilevazioni permetterebbero di far luce anche sulla produzione di elementi pesanti nelle primissime fasi dell’Universo”.

L’idrogeno molecolare è di fondamentale importanza in quanto è il costituente base da cui nascono le stelle, e spesso viene invocato come il “serbatoio” della formazione stellare. Sfortunatamente, l’idrogeno molecolare non può essere osservato di per sé, ma si può utilizzare una relazione empirica tra la massa del monossido di carbonio e la massa dell’idrogeno molecolare per ricavare la quantità di idrogeno molecolare dalla quantità misurata di monossido di carbonio. L’osservazione del monossido di carbonio nel quasar Pōniuā’ena ha quindi permesso al team di ottenere una prima stima della densità cosmica di idrogeno molecolare. La stima di questo parametro fornisce importanti informazioni sulla chimica primordiale, svelando nuovi dettagli su come si sono formate le prime e più semplici molecole dell’Universo. Queste stime erano finora limitate a epoche cosmiche molto successive, a partire da circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. “La densità cosmica di idrogeno molecolare stimata grazie alle osservazioni del quasar Pōniuā‘ena concorda con quanto predetto dai più recenti modelli di formazione ed evoluzione di gas freddo nelle prime fasi dell’Universo e dalle simulazioni cosmologiche”, ricorda il ricercatore INAF Umberto Maio, co-autore dello studio. Questo risultato indica che i modelli teorici sono sulla buona strada per spiegare le proprietà fondamentali dell’Universo primordiale.

Conclude Luca Zappacosta dell’INAF, co-autore della ricerca e a capo della collaborazione scientifica HYPERION: “Pōniuā‘ena fa parte di HYPERION, un campione dei quasar primordiali luminosi, specificamente selezionati per le ‘abitudini alimentari’ estreme dei loro buchi neri massicci. Studiando i quasar di HYPERION miriamo a comprendere la natura della comparsa così precoce di questi oggetti sorprendenti e a caratterizzare l’evoluzione simultanea di un buco nero e della sua galassia ospite. In questo contesto, questo rilevamento da record è cruciale in quanto pone le basi per scoprire il ruolo del gas molecolare freddo accumulato nei primi quasar in formazione e le avide abitudini alimentari dei buchi neri”.

 


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo HYPERION: First constraints on dense molecular gas at z=7.5149 from the quasar Pōniuā‘ena, di Chiara Feruglio, Umberto Maio, Roberta Tripodi, Jan Martin Winters, Luca Zappacosta, Manuela Bischetti, Francesca Civano, Stefano Carniani, Valentina D’Odorico, Fabrizio Fiore, Simona Gallerani, Michele Ginolfi, Roberto Maiolino, Enrico Piconcelli, Rosa Valiante, Maria Vittoria Zanchettin, è stato pubblicato online sulla rivista Astrophysical Journal Letters.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)