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Un orologio interno che spacca il secondo lo si può ottenere grazie al nuoto e alla corsa

Uno studio pubblicato sulla rivista Psychology of Sport & Exercise, frutto di una collaborazione tra Università di Milano-Bicocca e Università di Pavia, dimostra come il cervello dei nuotatori (ma anche di chi pratica la corsa) abbia elevate capacità di percepire e misurare il tempo.

Milano, 19 ottobre 2023 – Bracciata dopo bracciata, vasca dopo vasca, i nuotatori sviluppano un’eccezionale capacità di cronometrare il tempo. Come ci riescono, immersi come sono in un ambiente ovattato come l’acqua? Lo spiega una ricerca intitolata “Temporal perception in closed-skill sports: An experimental study on expert swimmers and runners”, coordinata da Luisa Girelli, insieme a Simona Perrone del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca, in collaborazione con Daniele Gatti e Luca Rinaldi del Dipartimento di Scienze del sistema nervoso e del comportamento dell’Università di Pavia.

Magari non ce ne accorgiamo, ma il nostro cervello misura continuamente il tempo grazie a una sorta di orologio interno: succede, per esempio, quando pianifichiamo o eseguiamo i movimenti necessari ad attraversare la strada oppure quando siamo alla guida di una macchina. Questa abilità cognitiva ha un ruolo chiave anche in ambito sportivo, non solo perché la prestazione sportiva dipende sempre anche da una perfetta calibrazione temporale dell’azione, ma anche perché in alcuni sport è il fattore tempo a determinare il successo.

È il caso degli sport closed skills: si tratta di discipline – come appunto il nuoto o la corsa – che si svolgono in un contesto stabile e prevedibile, dove la prestazione si basa sulla ripetizione ciclica dello stesso gesto motorio e in cui vince chi fa il miglior tempo.

«In acqua il nuotatore può controllare la performance e cronometrare l’andatura solo basandosi sulla propria percezione interna. Si tratta di un’attività molto diversa rispetto agli sport open skills, dove il contesto è mutevole e imprevedibile», spiega Luisa Girelli. «Pensiamo agli sport di squadra, come il calcio o il basket, dove l’atleta deve di continuo tenere conto delle situazioni esterne e dalle azioni degli altri giocatori in campo per decidere come agire. È sempre stato riconosciuto come queste discipline siano allenanti per funzioni cognitive come l’attenzione, l’abilità decisionale, la pianificazione e l’anticipazione motoria».

Che cosa accade invece a chi pratica a livello intensivo gli sport closed skills?

 «La nostra ipotesi di ricerca era che anche questi sport potenziassero determinate competenze cognitive, in particolare, le abilità di percepire e stimare il tempo, facendo ampio conto sul proprio ritmo interno»,

dice Girelli. E le conferme sono arrivate. I partecipanti allo studio – divisi in due gruppi di atleti, nuotatori e corridori, e un gruppo di controllo di non sportivi – sono stati sottoposti a compiti per valutare la loro capacità di stimare durate temporali e tenere il tempo. Gli sportivi sono risultati più abili, in particolare i nuotatori, abituati a sfidare il cronometro in acqua, dove gli stimoli uditivi e visivi sono attenuati e quindi meno rilevanti per mantenere il ritmo e tenere traccia dello scorrere del tempo. Ecco perché, tra una virata e l’altra, il nuotatore controlla al meglio il proprio “orologio” interno, affinandolo sempre di più.

nuoto orologio interno
Un orologio interno che spacca il secondo lo si può ottenere grazie al nuoto e alla corsa. Foto Flickr del Consell Comarcal del Baix Empordà, CC BY-SA 2.0

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca

uno Starting Grant del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) aggiudicato al Progetto “OutOfSpace” del professor Luca Rinaldi: indagando sui meccanismi neurocognitivi alla base delle mappe mentali
1,5 milioni di euro alla ricerca dell’Università di Pavia


Il Consiglio Europeo della Ricerca (ERC) ha recentemente reso noti i vincitori dei programmi di ricerca scientifica per i giovani ricercatori europei (Starting Grant).
Si tratta di finanziamenti riservati a progetti innovativi, trasversali e di frontiera, grazie al quale il Consiglio Europeo ha erogato 628 milioni di euro a giovani ricercatori in un’ampia gamma di settori disciplinari.

Tra i vincitori del bando ERC Starting Grant, il professor Luca Rinaldi del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia ha ottenuto un finanziamento per il progetto “Structuring spatial knowledge through domain-general, non-spatial learning mechanisms” (acronimo: “OutOfSpace”), per un importo di circa 1,5 milioni di euro.

Il progetto è risultato “pionieristico”, capace cioè di aprire nuove frontiere nell’ambito della ricerca neuroscientifica, e indagherà i meccanismi neurocognitivi che stanno alla base delle mappe mentali.
In particolare, “OutOfSpace” si occuperà di studiare quanto tali meccanismi siano gli stessi che supportano il ragionamento spaziale. In altre parole: è vero che i nostri processi di pensiero sono strettamente legati alla nostra capacità di elaborare lo spazio che ci circonda?

Secondo alcune teorie neuroscientifiche recenti, infatti, il nostro cervello sfrutterebbe i circuiti neurali originariamente predisposti per la navigazione spaziale – circuiti condivisi con altre specie animali – per creare delle vere e proprie mappe mentali ed esplorare qualsiasi tipo di conoscenza, incluse quelle più concettuali e astratte. Gli stessi meccanismi neurali che supporterebbero il ragionamento spaziale (ad esempio, indicare quali tra due città si trova più a Nord) sarebbero dunque coinvolti anche in forme di ragionamento non spaziale (ad esempio, indicare quali tra due autovetture ha il motore più potente).

Il progetto “OutOfSpace” mette invece in discussione lo spazio come elemento fondante della nostra cognizione: la struttura delle mappe mentali che creiamo quotidianamente non sarebbe di natura spaziale, bensì associativa (non spaziale). L’obiettivo è dunque quello di chiarire la natura (spaziale o associativa) dei meccanismi mentali – e delle sottostanti strutture neurali – che consentono all’uomo di organizzare le proprie conoscenze in mappe concettuali. Per fare ciò, il progetto utilizzerà un approccio multistrumentale, combinando tecniche recenti di intelligenza artificiale (modelli di semantica distribuzionale) con metodiche comportamentali (eye-tracking), di neurostimolazione (TMS-EEG) e di neuroimmagine (fMRI e intracranial-EEG). Nei cinque anni di durata del progetto verranno quindi elaborati nuovi modelli neuroscientifici che chiariranno l’apporto del ragionamento spaziale e non spaziale nella formazione di mappe mentali.

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Premiato con lo Starting Grant il progetto OutOfSpace del professor Luca Rinaldi. Immagine di ElisaRiva

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pavia.