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PORFIRIONE: DA UN BUCO NERO, LA COPPIA DI GETTI RECORD, LUNGA 23 MILIONI DI ANNI LUCE

Scoperta la più grande coppia di getti emessi da un buco nero mai osservata: si estende per 23 milioni di anni luce, una distanza equivalente a 140 galassie come la Via Lattea, allineate una dopo l’altra. A individuarle è stato il radiotelescopio europeo LOFAR. Nel team che ha scoperto queste megastrutture e che ha firmato un articolo apparso oggi sulla rivista Nature ci sono due ricercatori INAF.

Rappresentazione artistica del più esteso sistema di getti emessi da buchi neri mai osservato. Denominato Porfirione, dal nome di un gigante mitologico greco, questi getti si estendono per circa 7 megaparsec, ovvero 23 milioni di anni luce. La stessa distanza che coprirebbero 140 galassie come la Via Lattea allineate una dietro l'altra. Crediti: E. Wernquist / D. Nelson (IllustrisTNG Collaboration) / M. Oei
Rappresentazione artistica del più esteso sistema di getti emessi da buchi neri mai osservato. Denominato Porfirione, dal nome di un gigante mitologico greco, questi getti si estendono per circa 7 megaparsec, ovvero 23 milioni di anni luce. La stessa distanza che coprirebbero 140 galassie come la Via Lattea allineate una dietro l’altra. Crediti: E. Wernquist / D. Nelson (IllustrisTNG Collaboration) / M. Oei

Scoperti da un team internazionale di ricerca due giganteschi getti di gas e particelle prodotti da un remoto buco nero supermassiccio, che si estendono per una distanza di 23 milioni di anni luce, ovvero quanto il diametro di 140 galassie come la Via Lattea. La megastruttura, la più grande di questo tipo finora nota, è stata soprannominata Porfirione in onore di un gigante della mitologia greca. Questi getti risalgono a un’epoca in cui il nostro universo aveva 6,3 miliardi di anni, ovvero meno della metà della sua attuale età, pari a 13,8 miliardi di anni. Si stima che l’energia che alimenta i getti sia equivalente a quella di migliaia di miliardi di soli.

Prima di questa scoperta, il più grande sistema di getti mai osservato era Alcioneo, individuato nel 2022, con una estensione di circa 100 volte la grandezza della Via Lattea. Ma la scoperta di Porfirione suggerisce che questi giganteschi sistemi di getti potrebbero aver influenzato la formazione delle galassie nell’universo giovane più di quanto si pensasse in precedenza.

“La scoperta di Porfirione rappresenta un passo molto importante nella comprensione dell’evoluzione dei buchi neri e delle galassie, con implicazioni potenzialmente rilevanti anche per le proprietà dell’universo su grandissima scala”, commenta Andrea Botteon, ricercatore INAF coinvolto nello studio. “Questo risultato è stato possibile grazie all’utilizzo della vasta rete di antenne che compongono LOFAR, la quale ci ha permesso per la prima volta di individuare Porfirione e quindi di condurre osservazioni di follow-up con altri telescopi per determinarne le proprietà fisiche”.

Questa immagine, ottenuta dal radiotelescopio europeo LOFAR (LOw Frequency ARray), mostra la più estesa coppia di getti di buchi neri ad oggi conosciuta. Soprannominato Porfirione dal nome di un mitologico gigante greco, il sistema di getti si estende per 23 milioni di anni luce. La galassia che ospita il buco nero supermassiccio, distante 7,5 miliardi di anni luce, è il punto al centro dell'immagine. La struttura luminosa più grande, vicina al centro, è un altro getto più piccolo
Questa immagine, ottenuta dal radiotelescopio europeo LOFAR (LOw Frequency ARray), mostra la più estesa coppia di getti di buchi neri ad oggi conosciuta. Soprannominato Porfirione dal nome di un mitologico gigante greco, il sistema di getti si estende per 23 milioni di anni luce. La galassia che ospita il buco nero supermassiccio, distante 7,5 miliardi di anni luce, è il punto al centro dell’immagine. La struttura luminosa più grande, vicina al centro, è un altro getto più piccolo

Grazie al telescopio radio Europeo LOFAR (LOw Frequency ARray), oltre a Porfirione, sono state scoperte oltre 10.000 megastrutture poco visibili. Sebbene centinaia di grandi sistemi di getti fossero già noti prima delle osservazioni del LOFAR, si pensava fossero rari e in media di dimensioni più piccole rispetto ai migliaia di sistemi scoperti.

“Questa coppia non è solo delle dimensioni di un sistema solare o di una Via Lattea; stiamo parlando di 140 diametri della Via Lattea in totale,” afferma Martijn Oei, ricercatore post-dottorato al Caltech e autore principale di un nuovo articolo pubblicato su Nature. “La Via Lattea sarebbe un piccolo punto in queste due gigantesche eruzioni”.

Per localizzare la galassia da cui proviene Porfirione, il team ha utilizzato il Giant Metrewave Radio Telescope (GMRT) in India insieme ai dati provenienti da un progetto chiamato Dark Energy Spectroscopic Instrument (DESI), che opera dal Kitt Peak National Observatory in Arizona. Le osservazioni hanno individuato l’origine dei getti: una galassia circa dieci volte più massiccia della nostra Via Lattea.

Il team ha poi utilizzato l’Osservatorio W. M. Keck alle Hawaii per mostrare che Porfirione si trova a 7,5 miliardi di anni luce dalla Terra. Questo risultato suggerisce che se i getti distanti come questi possono raggiungere la scala della rete cosmica, allora ogni luogo nell’universo potrebbe essere stato influenzato dall’attività dei buchi neri a un certo punto nella storia cosmica.

Le osservazioni dal telescopio Keck hanno anche rivelato che Porfirione proviene da quello che è chiamato un buco nero attivo in modalità radiativa, piuttosto che in modalità getto. In questo particolare stato, il buco nero supermassiccio emette energia sotto forma di radiazioni e getti quando attira a sé e riscalda il materiale circostante: una sorpresa per i ricercatori, che non ritenevano possibile l’emissione di getti così potenti da un buco nero in questa modalità. La scoperta suggerisce quindi che nell’universo distante, dove abbondano i buchi neri in modalità radiativa, potrebbero esserci molti altri getti così potenti ancora da scoprire.

Come possano i getti estendersi così lontano oltre le loro galassie ospitanti senza destabilizzarsi è ancora poco chiaro. L’ipotesi più plausibile è che nella galassia ospite avvenga un evento di accrescimento insolitamente duraturo e stabile attorno al buco nero supermassiccio centrale per consentirgli di rimanere attivo così a lungo – circa un miliardo di anni – e garantire che i getti continuino a puntare nella stessa direzione durante tutto quel tempo.

“Le osservazioni a bassa frequenza continuano a mostrare il loro incredibile potenziale”, afferma Francesco de Gasperin, co-autore dello studio e ricercatore INAF. “Riuscire a osservare ed elaborare correttamente questi dati è estremamente complesso, ma negli ultimi anni sono stati fatti grossi passi avanti che hanno permesso un elevato numero di scoperte importanti tra cui molte sulla fisica dei buchi neri supermassicci e sul loro impatto nel modificare la vita delle galassie ospitanti”.

Il prossimo passo per i ricercatori sarà quello di approfondire come queste megastrutture influenzano il loro ambiente e, in particolare, come i getti diffondono raggi cosmici, calore, atomi pesanti e campi magnetici nello spazio intergalattico. Altro obiettivo degli scienziati è anche comprendere i meccanismi che sono legati alla propagazione dei campi magnetici associati a questi enormi getti, il modo in cui essi influenzano la distribuzione dei campi magnetici nella grande rete cosmica e il ruolo che i campi magnetici possono avere sulla formazione e il mantenimento delle condizioni favorevoli alla vita, così come accade sul nostro pianeta.

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Black hole jets on the scale of the cosmic web”, di Martijn S. S. L. Oei, Martin J. Hardcastle, Roland Timmerman, Aivin R. D. J. G. I. B. Gast, Andrea Botteon, Antonio C. Rodriguez, Daniel Stern, Gabriela Calistro Rivera, Reinout J. van Weeren, Huub J. A. Röttgering, Huib T. Intema, Francesco de Gasperin, S. G. Djorgovski è stato pubblicato online sulla rivista Nature. DOI: https://www.nature.com/articles/s41586-024-07879-y

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

LOFAR: LA PIÙ GRANDE RETE DI RADIOTELESCOPI ALLE BASSE FREQUENZE SI RAFFORZA DIVENENDO UN CONSORZIO EUROPEO DI INFRASTRUTTURA DI RICERCA (ERIC)

Il radiotelescopio europeo LOFAR (LOw Frequency ARray) acquisisce la nuova configurazione di European Research Infrastructure Consortium (ERIC). L’avvio di questa entità legale pensata per ottimizzare la gestione dell’infrastruttura e consolidare la leadership mondiale dell’Europa nel campo è stato ufficialmente dato nel corso della prima riunione del Consiglio di LOFAR ERIC svoltasi oggi.

Crediti per l’immagine: ASTRON

L’infrastruttura di ricerca di LOFAR, composta da 70mila antenne distribuite su ben dieci Paesi europei a cui anche l’Italia partecipa con la guida dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, forma il telescopio a bassa frequenza più potente del pianeta ed è il più grande precursore del futuro radiotelescopio SKA alle basse frequenze. LOFAR ha già rivoluzionato la ricerca sulla radioastronomia, dando luogo a una valanga di pubblicazioni scientifiche nell’ultimo decennio. In particolare, la comunità Italiana sta giocando un ruolo fondamentale nell’utilizzo scientifico dei dati LOFAR e ha dato un contributo tecnologico importante nella progettazione e realizzazione dei sistemi che saranno utilizzati nell’aggiornamento della infrastruttura (LOFAR 2.0) prevista per il 2025.

LOFAR ERIC governerà proprio la sfida tecnologica alla base di LOFAR 2.0, che porterà ad un grande potenziamento di LOFAR mettendo a disposizione della comunità astronomica una capacità di osservazione ed elaborazione dei dati ancora più all’avanguardia, producendo un ulteriore balzo in avanti nella sensibilità e risoluzione delle immagini prodotte da LOFAR.

“Siamo fieri di contribuire in modo decisivo al progetto LOFAR” commenta Marco Tavani, Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “L’Italia è infatti uno dei Paesi fondatori di questo ERIC che oggi rafforza la leadership mondiale dell’Europa nel campo della radioastronomia. Il lavoro incessante per migliorare a livello tecnologico e organizzativo questa infrastruttura di ricerca sarà fondamentale per entrare in una nuova era dello studio dell’universo nelle onde radio, quando sarà operativo anche lo Square Kilometre Array Observatory”.

LOFAR ERIC fornirà un accesso trasparente a un’ampia gamma di servizi di ricerca scientifica per la comunità europea e globale, promuovendo collaborazioni e consentendo ai ricercatori di portare avanti progetti innovativi su larga scala in tutti i settori scientifici, tra cui lo studio dell’universo primordiale, la formazione e l’evoluzione delle galassie, la fisica delle pulsar e dei fenomeni radio transitori, la natura delle particelle cosmiche ad altissima energia e la struttura dei campi magnetici cosmici. LOFAR ERIC garantirà l’accesso ad una mole di dati senza precedenti attraverso un archivio distribuito su scala Europea e aperto alla comunità.

I membri fondatori di LOFAR ERIC sono Bulgaria, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi e Polonia. Collaborazioni con istituti in Francia, Lettonia, Svezia e Regno Unito garantiscono un’ulteriore partecipazione all’infrastruttura distribuita LOFAR e al programma di ricerca. La sede statutaria di LOFAR ERIC è a Dwingeloo, nei Paesi Bassi, ospitata dal NWO-I/ASTRON (Netherlands Institute for Radio Astronomy, che ha guidato la progettazione di LOFAR).

“L’istituzione di LOFAR ERIC consolida l’eccellenza a livello mondiale per l’Europa in un importante settore di ricerca”, dice René Vermeulen, direttore fondatore di LOFAR ERIC. “Con la sua impareggiabile infrastruttura di ricerca distribuita e il suo solido partenariato paneuropeo, LOFAR ERIC entra nello Spazio europeo della ricerca come una potenza all’avanguardia nella scienza e nella tecnologia dell’astronomia, con il potenziale per contribuire a sfide complesse più ampie”.

Informazioni su LOFAR ERIC

LOFAR ERIC (LOw-Frequency ARray European Research Infrastructure Consortium) assicura il futuro della radioastronomia a bassa frequenza sfruttando l’infrastruttura di ricerca distribuita LOFAR come osservatorio leader mondiale per la ricerca astronomica su larga scala. LOFAR ERIC consolida la leadership mondiale dell’Europa in questo campo. È stato istituito dalla Commissione europea il 20 dicembre 2023. I membri fondatori di LOFAR ERIC sono Bulgaria, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi e Polonia. Collaborano a LOFAR ERIC anche istituti in Francia, Lettonia, Svezia e Regno Unito.

LOFAR ERIC
Crediti per l’immagine: ASTRON

Informazioni su LOFAR

LOFAR è il più grande e sensibile radiotelescopio al mondo che opera a basse frequenze radio, tra 10 e 240 MHz. Si tratta di un’infrastruttura di ricerca distribuita che consiste in molteplici stazioni d’antenna, geograficamente distribuite in tutta Europa, tutte gestite via software e dotate di un potente sistema di calcolo e di una massiccia archiviazione di dati in diversi centri dati distribuiti. Il funzionamento congiunto forma un sistema di osservazione ed elaborazione dati unificato, altamente agile e capace. Con una sensibilità cento volte superiore a quella di qualsiasi telescopio precedente a queste frequenze, una risoluzione d’immagine senza precedenti su un ampio campo visivo e la capacità di osservare simultaneamente in più direzioni, LOFAR è di gran lunga il telescopio a bassa frequenza più potente del pianeta e sta rivoluzionando la nostra visione dell’universo radio a bassa frequenza. LOFAR è stato originariamente sviluppato dal NWO-I/ASTRON, l’Istituto olandese di radioastronomia, che ora ospita LOFAR ERIC e fornisce la maggior parte dei servizi operativi di LOFAR ERIC. LOFAR ERIC è finanziato congiuntamente dai suoi membri e partner, che stanno implementando collettivamente un importante aggiornamento (LOFAR2.0) per migliorare e ampliare notevolmente le capacità di ricerca scientifica.

LOFAR ERIC
Crediti per l’immagine: ASTRON

Testo e immagini dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

LOFAR “FOTOGRAFA” IL GIGANTESCO BAGLIORE RADIO ATTORNO A UN AMMASSO DI GALASSIE, ABELL 2255

I dati sono stati raccolti durante 18 notti osservative con le migliaia di antenne che formano il radiotelescopio LOFAR.  L’origine dell’emissione radio attorno ad Abell 2255 sembra sia legata all’enorme energia rilasciata durante il processo di formazione dell’ammasso stesso. L’emissione sarebbe grande almeno 16 milioni di anni luce.

Sfruttando la potenza del radiotelescopio europeo Low Frequency Array (LOFAR), la più estesa rete al mondo attualmente operativa per osservazioni radioastronomiche a bassa frequenza, un team europeo di astronomi in Italia, Olanda e Germania ha osservato l’enorme emissione di onde radio diffusa intorno all’ammasso di galassie Abell 2255. Per 18 notti, le sensibili  antenne LOFAR hanno “ascoltato” un’area di cielo delle dimensioni apparenti di quattro lune piene, distante circa un miliardo di anni luce dalla Terra (in direzione della costellazione del Dragone). Per la prima volta gli astronomi hanno studiato un ammasso di galassie con osservazioni così profonde. Gli astrofisici, coordinati da Andrea Botteon, dell’Osservatorio di Leida, nei Paesi Bassi, recentemente trasferito al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna in qualità di assegnista di ricerca e associato presso l’INAF di Bologna, hanno pubblicato oggi i dati delle loro osservazioni sulla rivista Science Advances.

Abell 2255 LOFAR "fotografa" il gigantesco bagliore radio attorno all'ammasso di galassie Abell 2255
Immagine composita dell’ammasso di galassie Abell 2255. In blu sono evidenziati i dati a raggi X di ROSAT, che mostrano il gas caldo tra le galassie. In arancione e viola sono descritti i dati radio di LOFAR, che mostrano particelle in rapido movimento nei campi magnetici dell’ammasso. Il bagliore viola è l’emissione radio che circonda l’intero cluster. L’immagine ottica di sfondo è stata scattata con l’SDSS. L’immagine composita misura circa 18 milioni per 18 milioni di anni luce, e il campo visivo copre una regione del cielo corrispondente a circa quattro lune piene. Crediti: ROSAT/LOFAR/SDSS/Botteon et al., immagine creata da Frits Sweijen

Oggetti molto interessanti per gli astrofisici, gli ammassi di galassie si trovano nelle regioni più dense dell’Universo e contengono da centinaia a migliaia di galassie. Il volume tra le galassie è permeato da un gas estremamente rarefatto di particelle ad alta energia mescolate a campi magnetici. La loro origine è ancora avvolta da molti interrogativi: da dove vengono le particelle più energetiche in questo gas? E come interagiscono con i campi magnetici degli ammassi?

“Abbiamo scoperto che Abell 2255 è avvolto da un debole bagliore di emissione radio che incorpora migliaia di galassie presenti nell’ammasso e si estende su grandi scale come mai fino ad ora osservato, ovvero almeno 16 milioni di anni luce”, afferma Botteon, autore principale dello studio. “Questa emissione è generata da particelle ad alta energia che si muovono a velocità prossime a quella della luce in deboli campi magnetici – un milione di volte più deboli del campo terrestre – che riempiono l’intero volume dell’ammasso, anche nelle sue regioni più periferiche”.

Il ricercatore spiega, che “è la prima volta che abbiamo informazioni dettagliate sulla distribuzione e le proprietà di questi componenti su così vaste estensioni e che possiamo studiare i processi fisici che si verificano a grandi distanze dal centro dell’ammasso, nelle regioni più rarefatte dell’Universo. Riteniamo che l’origine dell’emissione radio in Abell 2255 sia legata all’enorme energia rilasciata durante il processo di formazione dell’ammasso”.

Le immagini ottenute dal gruppo di ricerca sono 25 volte più nitide e hanno un rumore 60 volte inferiore rispetto ai dati ottenuti in passato con altri strumenti. Nel corso degli ultimi due anni, il team ha dovuto sviluppare nuove e avanzate tecniche di analisi per elaborare il grande volume di dati.

“La sfida dell’analisi delle osservazioni di Abell 2255 – aggiunge Botteon – sta nel fatto che è la prima volta che osserviamo un oggetto esteso così a lungo (le osservazioni LOFAR tipicamente durano 8 ore). Questo richiede da un lato di correggere le distorsioni introdotte dalla ionosfera terrestre distribuite in un’area di cielo molto grande e dall’altro di ricostruire l’emissione diffusa e debole dell’ammasso con molta attenzione. Dato che le nostre osservazioni si spingono fino a frequenza molto bassa (50 MHz), dove le distorsioni della ionosfera si manifestano in maniera più evidente, le tecniche che abbiamo sviluppato hanno dovuto risolvere questi problemi in condizioni particolarmente complesse. Queste tecniche però hanno dato i loro frutti: l’immagine di Abell 2255 che abbiamo ottenuto a 50 MHz è l’immagine più profonda mai realizzata finora a questa frequenza”.

“Teoricamente credevamo che le regioni nelle periferie degli ammassi di galassie fossero molto attive e che la turbolenza e gli shock generati in questi ambienti potessero accelerare le particelle ad altissima energia e amplificare i campi magnetici locali. Grazie alle nostre osservazioni, ora siamo in grado di studiare questi processi in territori inesplorati”,

sottolinea Gianfranco Brunetti, dell’INAF di Bologna, il quale da alcuni anni guida a livello internazionale le ricerche LOFAR nell’ambito degli ammassi di galassie ed è coordinatore nazionale della collaborazione LOFAR.

Svelare le proprietà di regioni inesplorate delle strutture su larga scala del nostro Universo è l’obiettivo dei prossimi anni per gli astronomi che operano in questo campo. Per tale motivo, i ricercatori utilizzeranno LOFAR 2.0 e il futuro radiotelescopio SKA (così come altri strumenti) per andare oltre gli ammassi stessi, tracciando la rete di filamenti che collega gli ammassi di galassie nell’Universo: la famosa ragnatela cosmica.


 

Per ulteriori informazioni:

L’INAF ha aderito all’International LOFAR Telescope nel 2018. Con oltre 25 mila antenne raggruppate in 51 stazioni distribuite in 7 stati europei, il Low Frequency Array (LOFAR), gestito da ASTRON, è la più estesa rete per osservazioni radioastronomiche in bassa frequenza attualmente operativa. Con la firma del contratto per la realizzazione di una nuova stazione presso Medicina, in provincia di Bologna, LOFAR diventerà ancora più esteso e aumenteranno di conseguenza le sue capacità osservative. L’INAF guida un consorzio nazionale, di cui fa parte anche il dipartimento di fisica dell’Università di Torino, e parteciperà allo sviluppo della nuova generazione di dispositivi elettronici che equipaggeranno questo radiotelescopio diffuso sul territorio europeo. Il consorzio ha l’obiettivo di fornire agli scienziati italiani le condizioni per l’accesso e l’analisi dei dati di LOFAR, massimizzando l’impatto scientifico della ricerca. L’INAF gestisce, inoltre, l’infrastruttura computazionale nazionale per l’analisi dei dati LOFAR, distribuita in tre siti: Bologna, Trieste e Catania.

 

L’articolo “Magnetic fields and relativistic electrons fill entire galaxy cluster”, di Andrea Botteon,  Reinout J. van Weeren, Gianfranco Brunetti, Franco Vazza, Timothy W. Shimwell, Marcus Brüggen, Huub J. A. Röttgering, Francesco de Gasperin, Hiroki Akamatsu, Annalisa Bonafede, Rossella Cassano, Virginia Cuciti, Daniele Dallacasa, Gabriella Di Gennaro, Fabio Gastaldello, è stato pubblicato sulla rivista Science Advances.

Testo, video e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

LOFAR SI SINTONIZZA SUI “MEGAHALO”, STERMINATE REGIONI DI SPAZIO CHE EMETTONO DEBOLI SEGNALI RADIO

Un gruppo internazionale di ricercatrici e ricercatori, tra cui alcuni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Bologna, ha individuato per la prima volta attorno a quattro ammassi di galassie delle gigantesche regioni che emettono onde radio e si estendono anche per 10 milioni di anni luce. Lo studio viene pubblicato oggi sulla rivista Nature.

Megahalo

Un gruppo di ricerca internazionale ha individuato quattro differenti ammassi di galassie interamente avvolti da una debole emissione radio che si estende fino alle loro estreme periferie. Queste sorgenti radio –  denominate “Megahalo” – raggiungono i 10 milioni di anni luce e coprono un volume 30 volte più grande rispetto alle sorgenti radio finora note rilevate in ambienti simili. La ricerca – pubblicata oggi sul sito web della rivista Nature – è stata realizzata utilizzando dati raccolti dal radiotelescopio LOFAR (LOw Frequency ARray), costituito da una rete di antenne distribuite in vari Paesi europei.

I risultati ottenuti suggeriscono che i “Megahalo”, alimentati dall’energia gravitazionale che modella la struttura dell’universo, potrebbero essere un fenomeno comune in molte parti dell’universo.

“Abbiamo scoperto un acceleratore di particelle di proporzioni cosmologiche e questo studio suggerisce che molti altri ammassi di galassie potrebbero mostrare emissioni su scale così grandi”,

commenta Virginia Cuciti, prima autrice dell’articolo, Alexander von Humboldt fellow all’Università di Amburgo e associata INAF. Virginia Cuciti ha ottenuto il dottorato in Astrofisica dall’Università di Bologna, lavorando presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

“Questa scoperta potrebbe essere solo la punta dell’iceberg: con osservazioni più dettagliate, come quelle che potremo avere con il nuovo LOFAR 2.0 e con il radiotelescopio SKA, potremmo essere in grado di individuare un numero maggiore di ammassi di galassie che presentano queste caratteristiche”, aggiunge Francesco De Gasperin, ricercatore dell’INAF, secondo autore dello studio.

La materia nell’universo è distribuita lungo una complessa rete di filamenti che gli astronomi chiamano “ragnatela cosmica” (“cosmic web”). In corrispondenza dei nodi di questa ragnatela, si concentrano ammassi galattici formati da centinaia o anche migliaia di galassie.

Quando due di questi ammassi di galassie collidono per fondersi in un unico ammasso, si generano eventi tra i più potenti mai avvenuti nell’universo dopo il Big Bang, che rilasciano enormi quantità di energia. In questi casi, gli elettroni vengono accelerati a velocità prossime a quella della luce, ed emettono così onde radio che possono essere rilevate dai radiotelescopi.

LOFAR
LOFAR

Analizzando le emissioni registrate dal radiotelescopio LOFAR per 310 ammassi di galassie, gli studiosi hanno così individuato quattro ammassi completamente avvolti da una debole emissione radio, con dimensioni e caratteristiche uniche rispetto alle sorgenti radio conosciute finora, che hanno ribattezzato “Megahalo”.

I “Megahalo” mostrano come gli elettroni accelerati a velocità prossime a quella della luce e i campi magnetici possono estendersi ben oltre l’emissione radio osservata comunemente negli ammassi di galassie, e le loro proprietà indicano che le condizioni fisiche delle regioni più esterne degli ammassi di galassie sono molto differenti rispetto a quelle centrali.

 “I risultati ottenuti ci aiutano a capire in che modo l’energia viene dissipata durante la formazione di strutture cosmologiche su larga scala e come le particelle vengono accelerate nel plasma a bassa densità”,

aggiunge Franco Vazza, professore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna e associato INAF, tra gli autori dello studio.

 

LOFAR è un telescopio realizzato per esplorare l’Universo alle basse frequenze radio (10-240 MHz). È composto da un network di antenne radio pan-europeo, guidato da ASTRON, l’Istituto di Radioastronomia dei Paesi Bassi. All’iniziativa partecipano Italia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Svezia, Regno Unito e Bulgaria. Dal 2018 l’Istituto Nazionale di Astrofisica guida un consorzio nazionale, partecipando con il suo personale anche allo sviluppo della nuova generazione di dispositivi elettronici allo stato dell’arte che equipaggeranno il radiotelescopio e al software che regola il funzionamento del telescopio. Lo studio degli ammassi di galassie è uno fra i campi di maggiore interesse della collaborazione LOFAR e vede un coinvolgimento molto importante del personale INAF.

 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Galaxy clusters enveloped by vast volumes of relativistic electrons” di V. Cuciti, F. de Gasperin, M. Brüggen, F. Vazza, G. Brunetti, T. W. Shimwell, H. W. Edler, R. J. van Weeren, A. Botteon, R. Cassano, G. Di Gennaro, F. Gastaldello, A. Drabent, H. J. A. Röttgering, e C. Tasse è stato pubblicato online sulla rivista Nature.

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)