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Journal of Applied Ecology

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Gestione delle foreste e funzionalità degli ecosistemi: il delicato equilibrio tra uomo e natura

Una collaborazione internazionale, a cui partecipa un gruppo di ricercatori della Sapienza, ha pubblicato su Journal of Applied Ecology i risultati di uno studio che indaga i legami tra strategie di gestione delle foreste e caratteristiche funzionali del sottobosco, visto che queste ultime influenzano il grado di resilienza ai cambiamenti. La ricerca è stata resa possibile da un monitoraggio della biodiversità forestale che ha coinvolto 12 paesi in Europa.

La vasta maggioranza delle foreste d’Europa è attualmente utilizzata per la produzione di legname. Le strategie di gestione forestale deputate a questo scopo sono notevolmente varie ed è differente anche l’impatto delle singole metodologie sulla vegetazione del sottobosco e di conseguenza sulla biodiversità forestale, sul ciclo dei nutrienti e sulla capacità di rigenerazione dell’ecosistema.

Nonostante l’importanza delle foreste anche nella lotta al cambiamento climatico, nessuno finora aveva indagato il rapporto esistente tra metodi di gestione delle risorse forestali e ricchezza e resilienza degli ecosistemi. Una collaborazione di 52 scienziati provenienti da 12 paesi europei, tra cui un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha svolto per la prima volta una ricerca a vasta scala sul tema. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Applied Ecology della British Ecological Society.

In particolare i ricercatori hanno confrontato gli effetti di ciascuna strategia di gestione forestale su tre distinte componenti: diversità funzionale, ridondanza funzionale e dominanza misurate rispetto alle foreste non sfruttate per la produzione di legname.

Il primo indicatore stima la disponibilità di specie diversificate per funzioni ambientali. La presenza di un’elevata diversità funzionale incrementa la probabilità che, in caso di instabilità climatica o eventi catastrofici, alcune specie possano sfruttare a loro vantaggio le nuove condizioni, contribuendo così alla resilienza post-disturbo dell’ecosistema.

Il secondo indicatore si riferisce alla compresenza di specie che svolgono funzioni simili, le quali possano garantire il mantenimento di processi ecosistemici, come la produttività, la cattura del carbonio o il ciclo dei nutrienti dopo la perdita di specie dovuta a forti disturbi o perturbazioni.

Infine, il terzo riguarda la dominanza di una o più specie rispetto alle altre.

I dati necessari per valutare questi effetti sono stati raccolti a livello locale in 2107 punti di campionamento in 146 siti sparsi in tutta Europa, ognuno dei quali è associato ad una specifica strategia di gestione. Per ciascuna unità di campionamento è stata effettuata l’identificazione delle specie e la stima dell’abbondanza di piante vascolari presenti nel sottobosco. In seguito i dati sono stati inseriti su una piattaforma di gestione e armonizzazione dei dati, che ne ha permesso il confronto.

I risultati dimostrano come le differenti metodologie di silvicoltura impattano sul sottobosco e sulle sue caratteristiche. In particolare, se le foreste non gestite presentano sia un sottobosco funzionalmente diversificato che ridondante, gli stessi effetti possono essere ottenuti attraverso strategie di gestione e sfruttamento a bassa intensità.

D’altro canto, lo sfruttamento intensivo è associato a una diminuzione della diversità funzionale parzialmente controbilanciata da un aumento della ridondanza funzionale. Ciò implica che, sebbene la gestione intensiva possa mantenere le funzioni delle foreste in caso di perdita di alcune specie, con questo tipo di gestione viene anche fortemente limitata la gamma di risposte del sottobosco ai cambiamenti ambientali.

Dunque, i diversi regimi gestionali influenzano diversi aspetti delle caratteristiche funzionali del sottobosco e data la complessità delle interazioni tra queste componenti ambientali è impossibile individuare un regime di silvicoltura universalmente consigliabile. Le diverse opzioni dovrebbero essere bilanciate in un paesaggio forestale per sostenere le molteplici funzioni che le società umane richiedono agli ecosistemi forestali.

gestione delle foreste sottobosco ecosistemi
Foto di Kurt Bouda

Riferimenti bibliografici:

Silvicultural regime shapes understory functional structure in European forests – F. Chianucci, F. Napoleone, C. Ricotta, … S. Burrascano – Journal of Applied Ecology https://doi.org/10.1111/1365-2664.14740

Testo e video dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

L’urbanizzazione e le api. Uno studio sull’area metropolitana di Milano

La ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicata sul Journal of Applied Ecology, indica come la maggiore o minore cementificazione incida sugli impollinatori e sull’ecosistema di impollinazione
urbanizzazione api Milano
L’urbanizzazione e le api. Uno studio sull’area metropolitana di Milano

 

Milano, 5 maggio 2022 – L’urbanizzazione del paesaggio e del clima influisce sulla presenza di impollinatori e sull’entità di nettare e polline da essi trasportato. Così, le città e i dintorni diventano laboratori di transizioni ambientali in grado di restituire informazioni sul servizio ecosistemico di impollinazione di una data area utili per la pianificazione e gestione di paesaggi urbani più attenti all’ambiente.
Sono i temi al centro di uno studio di un gruppo di ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, dal titolo “City climate and landscape structure shape pollinators, nectar and transported pollen along a gradient of urbanization”, appena pubblicato sul ”Journal of Applied Ecology“ (DOI: 10.1111/1365-2664.14168). La ricerca, col supporto di Regione Lombardia nell’ambito del progetto “Pignoletto”, dimostra che «la variazione della cementificazione del paesaggio in una regione – come spiega Paolo Biella, ricercatore di Ecologia dell’ateneo milanese – crea un gradiente di trasformazione del paesaggio dovuto all’urbanizzazione».
Paolo Biella
Paolo Biella
Gli scienziati di Milano-Bicocca si sono focalizzati sull’effetto dell’urbanizzazione del paesaggio e del clima su due gruppi di impollinatori (api selvatiche e sirfidi), sulle risorse floreali a loro disposizione (il nettare utilizzato per l’alimentazione) e anche sul polline trasportato sui loro corpi che serve per impollinare le piante.
«Lo abbiamo fatto in un insieme di 40 siti collocati principalmente nella città metropolitana di Milano, da aree seminaturali a basso impatto ad aree con diversi livelli di edificato». Con campionamenti svolti da maggio a luglio del 2019.
Gli effetti dell’urbanizzazione sono risultati in generale negativi per la presenza di impollinatori. «Le aree suburbane erano le più ricche – spiega Biella –: le abbondanze di impollinatori hanno raggiunto il picco quando il paesaggio era occupato dal 22 per cento di superfici cementate, con la rilevazione di oltre 100 individui in 24 ore, e sono poi diminuite con la crescente urbanizzazione. Inoltre, la presenza era influenzata dalla distanza tra le aree verdi e dall’ampiezza del parco urbano: più erano distanti le aree o più era grande il parco, meno erano le api selvatiche e i sirfidi rilevati».
urbanizzazione api Milano
Bombus argillaceus (foto di Paolo Biella)
Siti particolarmente ricchi di impollinatori si sono rivelati, nella cintura periurbana di Milano, Cesano Boscone, Cuggiono, San Bovio e Vimodrone. Nella città di Milano, invece, siti particolarmente friendly per api e sirfidi sono risultati il parco Nord, il parco Segantini e la Collina dei Ciliegi, in zona Bicocca.
I tre ambienti principali che sono stati campionati: superfici di parchi urbani circondati da abitati
A influire negativamente sulla minore presenza di impollinatori non è stata solo la mancanza di verde e di risorse floreali, ma anche il clima locale.
«Gli impollinatori sono diminuiti nelle aree più urbane – prosegue il ricercatore – che hanno infatti minime variazioni di temperatura tra la primavera e l’estate, che si mantiene alta più a lungo rispetto a aree semiurbane o agricole».
I tre ambienti principali che sono stati campionati: margini di campi agricoli con varie superfici impervie nelle vicinanze
Altro aspetto rilevato: il nettare disponibile – la massa zuccherina di cui si nutrono gli impollinatori quando si posano sui fiori – aumentava proporzionalmente alla copertura cementata e anche alle precipitazioni.

«I nettari delle città erano meno consumati dagli impollinatori, meno presenti, e le piante erano più produttive, forse avvantaggiate dalle più copiose precipitazioni».

Infine, l’urbanizzazione incide anche sul servizio ecosistemico di impollinazione. «Nel polline trasportato dagli impollinatori abbiamo trovato progressivamente meno specie di piante al crescere delle aree cementificate e il polline di città conteneva un’elevata incidenza di piante esotiche e ornamentali, suggerendo comunità vegetali molto antropizzate», aggiunge Biella. Arbusti come la deutzia, la rosa ornamentale, il filadelfo e fiori come le campanule, l’arnica, il nasturzio e il garofano.
I tre ambienti principali che sono stati campionati: prati seminaturali in prossimità di boschi (1 km) con poca urbanizzazione nelle vicinanze
Ora l’equipe di ricercatori del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze sta portando avanti altri campionamenti.
«Le città e i dintorni offrono una grande opportunità per capire come piante e impollinatori reagiscono alle transizioni ambientali. Questi due gruppi di esseri viventi sono la chiave di molti processi direttamente e indirettamente connessi con le società umane e con il funzionamento della natura», conclude Biella.
File per approfondire (pdf): Rilevamenti – I sitiRilevamenti – La mappa
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca