News
Ad
Ad
Ad
Tag

Istituto Nazionale di Astrofisica

Browsing

Ricevitore MISTRAL, un vento d’innovazione nelle osservazioni di SRT

MISTRAL è un ricevitore di nuova generazione per osservazioni nelle lunghezze d’onda millimetriche realizzato nell’ambito del recente progetto di potenziamento del Sardinia Radio Telescope per lo studio dell’universo radio ad alta frequenza. Le caratteristiche principali di questo strumento consistono nel grandissimo numero di rivelatori che vengono raffreddati a temperature prossime allo zero assoluto e di un’ottica fredda dedicata che permettono di ottenere immagini di grande nitidezza. MISTRAL ha effettuato la sua “prima luce” osservando ben tre diversi oggetti celesti: la nebulosa di Orione, i lobi radio del buco nero supermassiccio nella galassia M87 e il resto di supernova Cassiopea A. Queste immagini rappresentano le prime osservazioni scientifiche a 90 GHz ottenute utilizzando SRT.

MISTRAL è il ricevitore di nuova generazione installato sul Sardinia Radio Telescope (SRT) e costruito da Sapienza Università di Roma per l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) nell’ambito del potenziamento del radiotelescopio per lo studio dell’universo alle alte frequenze finanziato da un progetto PON (Programma Operativo Nazionale), concluso nel 2023 e che oggi vede risultati sempre più concreti. MISTRAL, in questo caso, sta per “MIllimetric Sardinia radio Telescope Receiver based on Array of Lumped elements kids” , ovvero “ricevitore di onde millimetriche per il Sardinia Radio Telescope basato su una rete di rivelatori a induttanza cinetica”.

MISTRAL è un ricevitore innovativo sotto molteplici aspetti. I ricevitori radioastronomici sono tipicamente “mono pixel”, cioè sensibili alla radiazione proveniente da una sola direzione e questo richiede lunghe scansioni con il telescopio per poter realizzare immagini panoramiche della zona di cielo di interesse. Una soluzione per superare questa limitazione è costruire ricevitori “multi pixel”, sensibili cioè alla radiazione proveniente da più direzioni simultaneamente. MISTRAL porta questo concetto all’estremo. Al suo interno è infatti custodito un cuore ultra-freddo composto da una matrice di 415 rivelatori a induttanza cinetica (KIDs) sviluppati in collaborazione con il CNR-IFN di Roma e raffreddati ad appena una frazione di grado dalla temperatura di zero assoluto, pari a -273,15 gradi Celsius.

“È proprio questo elevato numero di rivelatori accoppiato con un sistema ottico sviluppato appositamente a rendere MISTRAL uno strumento estremamente efficace e rapido per l’imaging a largo campo di sorgenti deboli ed estese”, commenta Paolo de Bernardis, Coordinatore Scientifico del ricevitore per Sapienza Università di Roma.

MISTRAL è stato installato nel maggio 2023 nel fuoco gregoriano, localizzato al centro della grande parabola di 64 metri di diametro di SRT. Subito dopo è iniziata la messa in servizio del ricevitore, il cosiddetto commissioning, un’intensa serie di test tecnici e osservativi con l’obiettivo di integrare il ricevitore nel sistema del telescopio. Un team di ricercatori di INAF e Sapienza sta lavorando fianco a fianco con l’obiettivo di portare MISTRAL alle sue massime prestazioni e poterlo quindi offrire alla comunità scientifica per osservazioni regolari.

“Il commissioning – spiega Matteo Murgia, Responsabile Scientifico del ricevitore per INAF – è normalmente un passaggio di routine nella installazione di nuova strumentazione. Tuttavia, si trasforma in una vera sfida nel caso di un ricevitore nel millimetrico come MISTRAL, che richiede che le prestazioni del telescopio siano spinte al limite sotto ogni aspetto”.

“Inizialmente – dichiara Elia Battistelli, Project Manager del ricevitore per Sapienza Università di Roma – si sono affrontati e superati diversi ostacoli legati alla criogenia davvero eccezionale del ricevitore, ottenendo infine la temperatura necessaria per mettere in misura i KIDs, ossia appena 0,2 gradi sopra lo zero assoluto”.

Il miglioramento delle prestazioni della superficie attiva di SRT ha permesso a partire da settembre 2024 di raggiungere la sensibilità adeguata per calibrare lo strumento. È stato quindi possibile procedere all’ ottimizzazione dell’allineamento tra le ottiche di MISTRAL e quelle di SRT.

Il team di commissioning ha inoltre lavorato senza sosta per sviluppare le procedure e il software necessari per il puntamento e la messa a fuoco. Contemporaneamente, INAF e Sapienza hanno realizzato le procedure di calibrazione e composizione delle immagini. A questo punto MISTRAL era finalmente pronto per le osservazioni di “prima luce” di sorgenti radio estese. In successione sono stati osservati tre oggetti celesti iconici: la Nebulosa di Orione, la radiogalassia M87, e il resto di supernova Cassiopea A. Queste osservazioni hanno evidenziato la grande versatilità di MISTRAL e confermato le sue capacità di realizzare immagini di grande dettaglio di oggetti celesti in contesti astrofisici anche molto diversi tra loro.

“Il traguardo raggiunto con le immagini di prima luce di SRT a 90 GHz – commenta Isabella Pagano, Direttrice Scientifica dell’INAF – segna un passo importante nell’ampliamento degli orizzonti scientifici del radiotelescopio che dimostra così di essere in grado di operare con successo alle alte frequenze radio per le quali era stato progettato”.

Con la “prima luce” ottenuta osservando questi affascinanti oggetti cosmici, si conclude questa prima fase di test tecnici e inizia una fase, non meno importante, di validazione scientifica, volta a verificare le prestazioni di MISTRAL con sorgenti sempre più deboli, per garantire che sia pronto per le numerose sfide scientifiche per cui è stato progettato. MISTRAL affronterà un’ampia gamma di questioni scientifiche, dalla cosmologia e fisica degli ammassi di galassie, allo studio dei nuclei galattici attivi, della struttura delle nubi molecolari e della loro relazione con la formazione stellare nelle galassie vicine e nella Via Lattea, fino allo studio dei corpi celesti del nostro Sistema Solare. Le attività del team di commissioning continuano quindi con l’obiettivo di verificare le prestazioni di MISTRAL in ciascuno di questi casi scientifici e di rendere il ricevitore disponibile alla comunità scientifica il prima possibile.

 

Le prime immagini acquisite da MISTRAL

A dicembre 2024 MISTRAL è stato puntato verso la famosa Nebulosa di Orione (nota anche come M42) al centro della omonima costellazione. Situata a una distanza di circa 1350 anni luce dalla Terra, M42 è una delle regioni di formazione stellare attive più vicine ed è caratterizzata da idrogeno ionizzato eccitato da un gruppo di stelle massicce, noto come il Trapezio. M42 fa parte di un vasto complesso di nubi molecolari che si estende per 30 gradi nel cielo, mentre MISTRAL ne ha osservato la parte centrale ad una risoluzione angolare di 12 secondi d’arco. Nell’immagine è ben visibile la Barra di Orione a sud, che segna un confine netto tra la regione di idrogeno ionizzato e la nube molecolare sottostante. Si notano inoltre i picchi di emissione in prossimità delle stelle del Trapezio e della Nebulosa Kleinmann–Low, una densa nube molecolare di formazione stellare che ospita un ammasso stellare interessato in passato da un evento esplosivo. L’ emissione di M42 visibile a 90 GHz è una miscela pressoché uguale di radiazione prodotta dall’idrogeno ionizzato e quella delle polveri fredde contenute nel complesso di nubi molecolari sottostante.

Nel riquadro a sinistra si mostra l’immagine della nebulosa M42 realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL. A destra una sovrapposizione dell’immagine MISTRAL con una immagine a più largo campo ottenuta dall’ Hubble Space Telescope (Credits: MISTRAL commissioning team; NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA))
Nel riquadro a sinistra si mostra l’immagine della nebulosa M42 realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL. A destra una sovrapposizione dell’immagine MISTRAL con una immagine a più largo campo ottenuta dall’ Hubble Space Telescope (Crediti per l’immagine: MISTRAL commissioning team; NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA))

A febbraio 2025 MISTRAL ha osservato, sempre alla frequenza di 90 GHz, la radiogalassia M87, il cui nucleo attivo contiene un ormai famoso buco nero supermassiccio presente nella costellazione della Vergine, il primo di cui è stata ottenuta una immagine diretta grazie alla storica osservazione dell’Event Horizon Telescope nel 2019. La sorgente radio che circonda M87 ha una struttura complessa, costituita da lobi interni delle dimensioni di circa trentamila anni luce (poco più della distanza che ci separa dal centro della Via Lattea) circondati da una bolla di plasma esterna su più larga scala. Queste strutture sono il risultato dell’attività del buco nero centrale nel corso dei precedenti milioni di anni. Nell’immagine di MISTRAL sono visibili I lobi radio interni, le strutture più recenti tuttora alimentate da una coppia di getti radio relativistici che si propagano dal buco nero centrale. Osservare queste strutture a frequenze così alte fornisce informazioni nuove e preziose sui meccanismi fisici che alimentano le particelle radio emittenti all’interno della sorgente.

Immagine della sorgente radio attorno a M87 rivelata da MISTRAL a 90 GHz rappresentata in toni di rosso e curve di livello, sovrapposta ad una immagine ottica, in toni di blu, della galassia (Crediti per la foto: MISTRAL commissioning team; Sloan Digital Sky Survey)
Immagine della sorgente radio attorno a M87 rivelata da MISTRAL a 90 GHz rappresentata in toni di rosso e curve di livello, sovrapposta ad una immagine ottica, in toni di blu, della galassia (Crediti per la foto: MISTRAL commissioning team; Sloan Digital Sky Survey)

Infine, nell’ultima sessione di aprile 2025, MISTRAL ha osservato, attraverso due scansioni incrociate di circa mezz’ora ciascuna, il resto di supernova Cassiopea A (Cas-A) una delle più intense radio sorgenti del cielo avente una dimensione angolare di circa 5 minuti d’arco (circa un sesto del diametro apparente della luna piena). Il guscio di gas in espansione è visibile nella sua interezza e, grazie alla risoluzione angolare di SRT a queste lunghezze d’onda, si possono apprezzare i dettagli e le variazioni di luminosità della struttura filamentare.

Immagine del resto di supernova Cassiopea A realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL (Crediti per l'immagine: MISTRAL commissioning team)
Immagine del resto di supernova Cassiopea A realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL (Crediti per l’immagine: MISTRAL commissioning team)

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma e dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

IXPE SVELA LA POLARIZZAZIONE DEI RAGGI X DI UNA MAGNETAR ATTIVA, 1E 1841-045

IXPE ha osservato per la prima volta la magnetar 1E 1841-045 durante una fase di attivazione, rilevando l’emissione di raggi X polarizzati. Questa scoperta fornisce nuovi indizi sul campo magnetico della stella e sui meccanismi di produzione di radiazione ad alta energia nelle pulsar altamente magnetizzate.

Osservata per la prima volta la polarizzazione di una magnetar dopo una fase di attivazione, chiamata outburst, grazie all’Imaging X-ray Polarimetry Explorer (IXPE), missione spaziale nata dalla collaborazione tra la NASA e l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). I due lavori che riportano l’osservazione, uno guidato da ricercatrici e ricercatori italiani dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università degli Studi di Padova, e l’altro da ricercatrici e ricercatori che lavorano negli Stati Uniti, sono stati pubblicati oggi sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

La magnetar 1E 1841-045, una stella di neutroni situata nei resti della supernova Kes 73 a circa 28.000 anni luce dalla Terra, ha sorpreso la comunità scientifica riattivandosi il 20 agosto 2024. È stata osservata da tutti i telescopi sensibili alle alte energie, compreso IXPE che per la prima volta in assoluto è riuscito a osservare la radiazione X polarizzata di una magnetar in uno stato di attività. La luce polarizzata è la luce in cui le onde elettromagnetiche oscillano su un piano preferenziale, e non in modo disordinato come succede con la luce “normale”. Misurare come e quanto la luce è polarizzata offre indizi cruciali sulla sua origine e sull’ambiente che ha attraversato per giungere fino a noi.

Una stella di neutroni è il residuo di una stella massiccia che, giunta alla fine del suo ciclo evolutivo, collassa su se stessa, lasciando un nucleo estremamente denso, con una massa simile a quella del Sole, ma compresso in una sfera dal diametro paragonabile all’estensione di una città come Roma. Poiché le stelle di neutroni esaltano le proprietà delle loro stelle progenitrici, come la velocità di rotazione e l’intensità del campo magnetico, danno luogo ad alcuni dei fenomeni fisici più estremi dell’universo osservabile, offrendo opportunità uniche per studiare condizioni che sarebbero impossibili da replicare in un laboratorio sulla Terra.

Le magnetar, stelle di neutroni con campi magnetici estremamente intensi, sono tra gli oggetti più affascinanti ed enigmatici dell’universo. Quando una di queste stelle si attiva, può rilasciare fino a mille volte l’energia che emetterebbe normalmente, dando luogo a fenomeni fisici ancora più estremi. Tuttavia, i meccanismi alla base di queste fluttuazioni energetiche non sono ancora del tutto compresi. In questo contesto, la misurazione della luce polarizzata gioca un ruolo cruciale: i dati raccolti mostrano che l’emissione di raggi X da 1E 1841-045 diventa sempre più polarizzata a livelli di energia più elevati, pur mantenendo lo stesso angolo di polarizzazione. Questo significa che le diverse componenti di emissione sono legate tra loro e che quella più ad alta energia, finora la più elusiva, è fortemente influenzata dal campo magnetico.

“È la prima volta che riusciamo a osservare la polarizzazione di una magnetar in stato di attività e questo ci ha permesso di vincolare i meccanismi e la geometria di emissione che si celano dietro a questi stati attivi”, dice Michela Rigoselli, ricercatrice dell’INAF di Milano e prima autrice dell’articolo. “Ora sarà interessante osservare 1E 1841-045 una volta tornata allo stato di quiescenza per monitorare l’evoluzione delle sue proprietà polarimetriche”.

Questa osservazione evidenzia chiaramente le potenzialità della scienza delle magnetar, che può ancora essere approfondita attraverso la polarimetria ad alta energia.

Rappresentazione artistica di una magnetar, una stella di neutroni che possiede un forte campo magnetico.Crediti: ESA
IXPE svela la polarizzazione dei raggi X della magnetar 1E 1841-045, stella di neutroni situata nei resti della supernova Kes 73. Rappresentazione artistica di una magnetar, una stella di neutroni che possiede un forte campo magnetico.
Crediti: ESA


 

Per ulteriori informazioni:

Lanciata il 9 dicembre 2021 dal Kennedy Space Center della NASA su un razzo Falcon 9, la missione IXPE fa parte della serie Small Explorer della NASA. IXPE, frutto di una collaborazione tra NASA e Agenzia Spaziale Italiana (ASI), è una missione interamente dedicata allo studio dell’universo attraverso la misura della polarizzazione dei raggi X. Utilizza tre telescopi installati a bordo con rivelatori finanziati dall’ASI e sviluppati da un team di scienziati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con il supporto industriale di Ohb-Italia.

L’articolo “IXPE detection of highly polarized X-rays from the magnetar 1E 1841-045”, di Rigoselli M., Taverna R., Mereghetti S., Turolla R., Israel G.L., Zane S., Marra L., Muleri F., Borghese A., Coti Zelati F., De Grandis D., Imbrogno M., Kelly R. M. E., Esposito P., Rea N., è stato pubblicato online sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

L’articolo “X-ray polarization of the magnetar 1E 1841-045”, di Stewart R., Younes G., Harding A.K., Wadiasingh Z., Baring M.G., Negro M., Strohmayer T.E., Ho W.C.G., Ng M., Arzoumanian, Z., Dinh Thi H., Di Lalla N., Enoto T., Gendreau K., Hu C., van Kooten A., Kouveliotou C., McEwen A., è stato pubblicato online sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

FONDI FIS2/MUR: ALL’INAF 1,2 MILIONI DI EURO PER STUDIARE L’UNIVERSO OSCURO COL PROGETTO DARKER

Con il sostegno del Fondo Italiano per la Scienza, la ricercatrice INAF Cristiana Spingola guiderà l’ambizioso progetto DARKER per cercare minuscole lenti gravitazionali e sondare i misteri di energia e materia oscura.

 

Il progetto DARKER – Accurate constraints on dark energy and dark matter using strong lensing in the era of precision cosmology riceve un finanziamento di 1,2 milioni di euro grazie al Fondo Italiano per la Scienza – FIS 2, erogato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR). A guidare la ricerca sarà Cristiana Spingola, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), con l’obiettivo di sondare alcuni degli enigmi più profondi della cosmologia: energia oscura e materia oscura, che insieme costituiscono circa il 95% dell’intero Universo.

Il progetto DARKER ha l’obiettivo di scoprire nuove lenti gravitazionali molto piccole che, come potentissimi telescopi naturali, permetteranno di indagare in modo ancora più accurato alcuni aspetti dell’Universo lontano. Il fenomeno della lente gravitazionale, o lensing in inglese, è un effetto previsto dalla teoria della relatività generale di Albert Einstein.

“Se un oggetto molto massiccio – come una galassia o un ammasso di galassie – si trova tra noi e una sorgente luminosa lontana – come un quasar – il suo potenziale gravitazionale può deviare la radiazione, producendo immagini multiple della sorgente di sfondo”, spiega Cristiana Spingola.

“Ogni variazione di intensità luminosa avverrà in tempi diversi nelle diverse immagini, ovvero con un ritardo temporale (time delay). È proprio quest’ultima proprietà che DARKER sfrutterà per cercare questi oggetti estremamente rari, finora sfuggiti all’osservazione”.

La particolarità del progetto risiede quindi nel suo approccio innovativo: per la prima volta, la ricerca di lenti gravitazionali verrà condotta nel dominio temporale (time-domain) invece che tramite immagini statiche. Per la conferma delle “candidate lenti” serviranno osservazioni ad altissima risoluzione angolare. In questo contesto osservazioni con i tre radiotelescopi italiani dell’INAF – il Sardinia Radio Telescope (Cagliari) e le parabole gemelle di Medicina (Bologna) e Noto (Siracusa) – in modalità VLBI (Very Long Baseline Interferometry), saranno fondamentali per determinare la natura di queste rarissime lenti gravitazionali di piccolissima massa.

“Sappiamo ancora troppo poco di materia ed energia oscura. Grazie a questo approccio innovativo, potremo identificare simultaneamente lenti gravitazionali molto piccole e sorgenti variabili sullo sfondo, finora invisibili con le tecniche tradizionali”,

commenta Spingola, la quale svolgerà il suo progetto presso l’Istituto di Radioastronomia e in collaborazione con l’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio, le due sedi bolognesi dell’INAF.

Il progetto punta quindi a identificare centinaia di nuove lenti usando dati raccolti in passato dai telescopi spaziali GAIA e Fermi, cercando in particolare oggetti molto compatti con masse di pochi milioni di masse solari, la cui esistenza – o assenza – potrebbe aiutare a chiarire la vera natura della materia oscura, distinguendo tra modelli ‘freddi’ o ‘caldi’.

Spingola Aggiunge: “La conferma finale della natura di questi oggetti sarà possibile solo usando la tecnica della Very Long Baseline Interferometry, di cui l’INAF vanta un’esperienza storica ed è oggi tra i protagonisti della tecnica VLBI in Europa, con le sue strutture radioastronomiche che rappresentano un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale”.

DARKER contribuirà anche alla determinazione precisa della costante di Hubble (H₀), parametro che misura la velocità di espansione dell’Universo.

“Questa misura sarà indipendente da quelle attualmente disponibili e potrà aiutare a risolvere una delle più grandi controversie dell’astrofisica moderna, la cosiddetta ‘tensione di Hubble’, che consiste nel disaccordo tra le stime di H₀ ottenute da osservazioni dell’universo primordiale e quelle basate su misure più vicine a noi. DARKER potrebbe rappresentare, quindi, un passo importante per fare luce sull’Universo oscuro”, conclude la ricercatrice.

La ricercatrice INAF Cristiana Spingola davanti al radiotelescopio Hartebeesthoek in Sudafrica. Crediti: INAF
La ricercatrice INAF Cristiana Spingola davanti al radiotelescopio Hartebeesthoek in Sudafrica. Crediti: INAF

Originaria di Perugia e laureata in Astrofisica all’Università di Bologna, Cristiana Spingola si è formata scientificamente tra Italia e Paesi Bassi, dove ha conseguito il dottorato all’Università di Groningen. Ricercatrice a tempo indeterminato dal 2023, è esperta di interferometria radio e lensing gravitazionale, e partecipa attivamente alla preparazione scientifica della prossima generazione di interferometri radio, come quelli del progetto SKA.

Il finanziamento complessivo è stato erogato nell’ambito del macrosettore Physical Sciences and Engineering – Universe Sciences del FIS 2. I fondi FIS sostengono ogni anno progetti di ricerca altamente innovativi nei principali settori scientifici, seguendo il modello dell’European Research Council (ERC).


Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

UNA STELLA FATTA A PEZZI DA UN BUCO NERO: RARO EVENTO COSMICO OSSERVATO IN DUE GALASSIE IN COLLISIONE; L’EVENTO DI DISTRUZIONE MAREALE AT 2022wtn, NEL NUCLEO DELLA GALASSIA MENO MASSICCIA DELLA COPPIA (SDSSJ232323.79+104107.7)

 

Pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society un articolo scientifico a guida dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) riporta l’osservazione di un raro evento di distruzione mareale (o TDE, dall’inglese Tidal Disruption Event) in una coppia di galassie in interazione. Chiamato AT 2022wtn, il fenomeno è stato segnalato alla comunità astronomica dalla Zwicky Transient Facility (ZTF) e quindi classificato come TDE grazie a osservazioni spettroscopiche a cui ha fatto seguito una campagna multi-frequenza nell’ambito della collaborazione ePessto+, coprendo lo spettro elettromagnetico dalla banda radio agli infrarossi, per arrivare fino ai raggi X. Questo studio apre nuove prospettive sui processi che si innescano quando una stella si avvicina troppo a un buco nero supermassiccio al centro di una galassia e sulla connessione tra questi eventi distruttivi e l’evoluzione dinamica delle galassie.

L’evento di distruzione mareale si è verificato nel nucleo della galassia meno massiccia della coppia (denominata SDSSJ232323.79+104107.7), circa dieci volte più piccola della sua compagna, in un sistema in fase iniziale di “fusione” che ha probabilmente già subito un primo passaggio ravvicinato.

AT 2022wtn mostra caratteristiche particolarmente insolite rispetto agli eventi simili già noti, come spiega Francesca Onori, assegnista di ricerca dell’INAF in Abruzzo e prima autrice dello studio.

“È un evento peculiare. La sua curva di luce è caratterizzata de un plateau nella fase di massima luminosità – della durata di circa 30 giorni – accompagnato da un brusco crollo della temperatura e una sequenza spettrale che mostra lo sviluppo di due righe in emissione in corrispondenza delle lunghezze d’onda dell’elio e dell’azoto. Qualcosa che non avevamo mai osservato con tanta chiarezza”.

Gli eventi di distruzione mareale si verificano quando una stella si avvicina a un buco nero supermassiccio, generalmente situato al centro di una normale galassia. La potente forza gravitazionale esercitata dal buco nero supera la forza di gravità che tiene insieme la stella, riuscendo prima a deformarla e poi a distruggerla, allungandola sino a formare sottili filamenti, in un processo, chiamato “spaghettificazione”, durante il quale viene rilasciata un’enorme quantità di energia osservabile da Terra. I frammenti stellari catturati formano un disco di materiale che orbita intorno al buco nero (il disco di accrescimento) che, cadendo su di esso, si riscalda a temperature altissime ed emette radiazioni intense alle frequenze X, UV e del visibile.

Tra gli aspetti più sorprendenti riportati nell’articolo c’è anche la rilevazione di un’emissione radio transiente, segno della presenza di flussi di materia in uscita (outflow in inglese), e forti variazioni nel tempo delle velocità delle linee spettrali. Tutti questi indizi indicano che una stella di bassa massa è stata completamente distrutta da un buco nero supermassiccio di circa un milione di masse solari, generando il disco di accrescimento e una sorta di “bolla” quasi sferica di gas espulso in espansione.

“Abbiamo trovato tracce chiare della dinamica del materiale circostante anche in alcune righe in emissione – spiega Francesca Onori – che mostrano caratteristiche compatibili con una veloce propagazione verso l’esterno. Grazie alla nostra campagna di monitoraggio siamo riusciti a proporre un’interpretazione dell’origine della radiazione osservata: AT2022wtn ha dato luogo a una rapida formazione del disco attorno al buco nero e alla successiva espulsione di parte della materia stellare. Questo risultato è particolarmente rilevante, poiché la sorgente della luce visibile e le condizioni fisiche della regione da cui essa proviene, nei TDE, sono ancora oggetto di studio”.

Il gruppo di ricerca si è inoltre concentrato sull’ambiente galattico dell’evento. AT 2022wtn è il secondo TDE osservato in una coppia di galassie in interazione, una coincidenza che, secondo quanto si legge nello studio, non è casuale: le prime fasi delle fusioni galattiche potrebbero infatti favorire un aumento della frequenza di questi fenomeni estremi, ancora poco compresi.

“Questa eccellente scoperta scientifica mette in luce quanto l’astrofisica moderna richieda sempre maggiori conoscenze interdisciplinari e notevoli capacità di analisi multibanda. È davvero molto importante che l’INAF sia pronto a raccogliere queste sfide scientifiche con giovani ricercatrici come Francesca Onori”, conclude Enzo Brocato, dirigente di ricerca presso l’INAF a Roma e tra gli autori dell’articolo.

Immagine dal Legacy Survey DR10 del campo di AT 2022wtn. Nel riquadro viene mostrato il transiente che si è verificato nel nucleo della galassia minore in interazione, indicata dalla croce blu. Sono ben visibili le code mareali, risultato dell’interazione gravitazionale e della fusione tra le due galassie. Crediti: Legacy Surveys / D. Lang (Perimeter Institute) / INAF / F. Onori
Immagine dal Legacy Survey DR10 del campo di AT 2022wtn. Nel riquadro viene mostrato il transiente che si è verificato nel nucleo della galassia minore in interazione, indicata dalla croce blu. Sono ben visibili le code mareali, risultato dell’interazione gravitazionale e della fusione tra le due galassie. Crediti: Legacy Surveys / D. Lang (Perimeter Institute) / INAF / F. Onori

Riferimenti bibliografici:

L’articolo “The case of AT2022wtn: a Tidal Disruption Event in an interacting galaxy”, di F. Onori, M. Nicholl, P. Ramsden, S. McGee, R. Roy, W. Li, I. Arcavi, J. P. Anderson, E. Brocato, M. Bronikowski, S. B. Cenko, K. Chambers, T. W. Chen, P. Clark, E. Concepcion, J. Farah, D. Flammini, S. González-Gaitán, M. Gromadzki, C. P. Gutiérrez, E. Hammerstein, K. R. Hinds, C. Inserra, E. Kankare, A. Kumar, L. Makrygianni, S. Mattila, K. K. Matilainen, T. E. Müller-Bravo, T. Petrushevska, G. Pignata, S. Piranomonte, T. M. Reynolds, R. Stein, Y. Wang, T. Wevers, Y. Yao, D. R. Young, è stato pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

LA VIOLENTISSIMA TEMPESTA COSMICA NEL CUORE DEL QUASAR PDS 456, PRODOTTA DA UN BUCO NERO SUPERMASSICCIO

Roma, 14 maggio 2025 – Immaginate una tempesta colossale che si scatena appena al di fuori di un buco nero supermassiccio: è proprio ciò che ha rivelato Resolve, il nuovo spettrometro ad altissima risoluzione nei raggi X a bordo del satellite XRISM, nel contesto di una missione spaziale guidata dall’agenzia spaziale JAXA (Giappone), con la partecipazione di NASA (Stati Uniti) ed ESA (Europa).

Grazie ai dati ad altissima precisione di XRISM, è stato possibile – per la prima volta – identificare cinque componenti distinte di questo vento nel cuore del quasar PDS 456, ognuna espulsa dal buco nero centrale a velocità relativistiche, comprese tra il 20% e il 30% della velocità della luce.  Per fare un confronto, basti pensare che le tempeste più violente sulla Terra – come un uragano di categoria 5 – raggiungono al massimo 300 km/h. Questa “tempesta cosmica” è milioni di volte più veloce.

Lo studio nato da questa collaborazione internazionale (JAXA, NASA, ESA) nell’ambito della missione XRISM, a cui partecipano anche ricercatrici e ricercatori dell’Università di Roma Tor Vergata e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è pubblicato oggi sulla rivista internazionale Nature, con un articolo dal titolo “Structured ionized winds shooting out from a quasar at relativistic speeds”, che evidenzia la scoperta di cinque distinti flussi di plasma che fuoriescono dal disco di accrescimento del buco nero centrale a velocità estreme, pari al 20–30% di quella della luce.

“Il nostro gruppo ha giocato un ruolo chiave nell’interpretazione di questi dati, grazie a tecniche spettroscopiche avanzate nei raggi X e a modelli teorici innovativi per la fisica dei venti prodotti dai buchi neri.  Questi risultati aprono una nuova finestra sullo studio dell’universo estremo, e gettano le basi per comprendere meglio come i buchi neri influenzano l’evoluzione delle galassie”.  Commenta così Francesco Tombesi, professore associato di Astrofisica presso il dipartimento di Fisica dell’università di Roma Tor Vergata e associato INAF. In qualità di XRISM Guest Scientist selezionato dall’ESA (uno dei soli due in Italia insieme a James Reeves, associato INAF), Tombesi ha partecipato alla pianificazione e all’analisi dell’osservazione del quasar PDS 456, il più luminoso dell’universo locale, utilizzando il nuovo spettrometro ad alta risoluzione Resolve.

“Roma Tor Vergata ha avuto un ruolo di primo piano – prosegue Tombesi – anche grazie al contributo di due giovani ricercatori cresciuti all’interno del nostro Ateneo: Pierpaolo Condò, dottorando al secondo anno del PhD in Astronomy, Astrophysics and Space Science (AASS), e Alfredo Luminari, ricercatore post-doc presso INAF ed ex dottorando AASS”.

Un’energia così enorme e una struttura così complessa rivoluzionano la nostra comprensione dell’ambiente estremo intorno ai buchi neri supermassicci e mettono in seria discussione i modelli attuali di feedback tra buco nero e galassia. “Le teorie finora accettate – conclude Tombesi – non riescono a spiegare una simile combinazione di forza e frammentazione: è chiaro che serviranno nuovi modelli per descrivere questi mostri cosmici”.

“PDS456 è un laboratorio prezioso per studiare nell’universo locale i potentissimi venti prodotti dai buchi neri supermassivi. Questa  nuova osservazione ci ha permesso di misurare la geometria e distribuzione in velocità del vento con un livello di dettagli impensabile prima dell’avvento di XRISM”, aggiunge Valentina Braito, ricercatrice INAF a Milano.

Un ruolo vincente all’interno della campagna osservativa di PDS456 lo ha avuto ancora una volta l’osservatorio spaziale Neil Gehrels Swift, satellite NASA con una importante partecipazione dell’INAF con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). È stato infatti grazie a un programma osservativo Swift – ottenuto da Valentina Braito – che il team è riuscito a costruire i modelli specifici per PDS456 utilizzati nell’analisi dei dati XRISM.

 

Riferimenti bibliografici:

XRISM collaboration, Structured ionized winds shooting out from a quasar at relativistic speeds, Nature (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s41586-025-08968-2

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

EINSTEIN TELESCOPE: INAUGURATO A FIRENZE IL LABORATORIO DI OTTICA ADATTIVA ADONI-ET 

Firenze, 13 maggio 2025 – Nel quadro del progetto PNRR ETIC è stato inaugurato oggi, martedì 13 maggio, il laboratorio di ottica adattiva ADONI-ET all’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, la sede fiorentina dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). L’evento inaugurale è stato aperto dai saluti istituzionali di Simone Esposito, direttore dell’INAF di Arcetri, e Giovanni Passaleva, direttore della sezione di Firenze dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). A seguire, prima del tradizionale taglio del nastro, Michele Punturo, coordinatore scientifico del progetto ETIC e responsabile internazionale di Einstein Telescope, e Armando Riccardi, responsabile di ADONI-ET, hanno illustrato rispettivamente le sfide del progetto ET e del nuovo laboratorio di ottica adattiva.

La realizzazione del laboratorio ADONI-ET rientra nel progetto Einstein Telescope Infrastructure Consortium (ETIC), finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR), nell’ambito della Missione 4 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), di cui l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è capofila.

INAF partecipa al progetto PNRR ETIC attraverso il laboratorio nazionale per ottiche adattive ADONI, che ha nella propria missione il trasferimento delle tecnologie adattive sviluppate per i telescopi ottici in altri campi scientifici.

Nel campo degli interferometri gravitazionali come l’Einstein Telescope, l’obiettivo del laboratorio ADONI-ET è studiare un concetto innovativo per la correzione degli specchi di ET, che utilizza fasci infrarossi per controllare la forma di un elemento correttore mediante il riscaldamento locale. È previsto che il sistema funzioni in ciclo chiuso, regolando il riscaldamento locale utilizzando le informazioni di un canale di misura che verifica la forma effettiva degli specchi da controllare.

«Il laboratorio, progettato e realizzato grazie ai fondi del PNRR-ETIC, nasce dall’esperienza consolidata dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e del suo laboratorio ADONI, punto di riferimento a livello nazionale e internazionale nel campo dell’ottica adattiva per applicazioni astronomiche», sottolinea il direttore di INAF Arcetri Simone Esposito. «Le tecniche sviluppate in questo ambito trovano nuova applicazione nel controllo dei fasci ottici degli interferometri gravitazionali. Il programma PNRR-ETIC ha quindi offerto un impulso molto importante allo sviluppo multidisciplinare dell’ottica adattiva, estendendone l’uso a strumenti scientifici d’avanguardia come gli interferometri gravitazionali».

«Come direttore della Sezione INFN di Firenze, sono particolarmente felice e orgoglioso dell’inizio delle attività del laboratorio ETIC-ADONI, presso l’Osservatorio di Arcetri. ETIC-ADONI è stato finanziato nell’ambito del progetto PNRR ETIC, con capofila l’INFN, che si occupa dello studio di fattibilità e della caratterizzazione del sito italiano candidato a ospitare Einstein Telescope e della creazione di una rete di laboratori di ricerca per lo sviluppo delle tecnologie che saranno adottate dal nuovo osservatorio gravitazionale, coinvolgendo molte università ed enti di ricerca italiani, tra cui l’INAF», aggiunge il direttore di INFN Firenze Giovanni Passaleva. «L’INAF è un partner fondamentale per ETIC e con il laboratorio ETIC-ADONI giocherà un ruolo chiave, trasferendo le proprie competenze di eccellenza nell’ottica adattiva nell’ambito della ricerca sulle onde gravitazionali. Si aggiunge così un altro tassello all’eccellenza della ricerca fiorentina, che vede INFN e INAF collaborare insieme a uno dei progetti scientifici più importanti e rivoluzionari dei prossimi decenni, sulla storica collina di Arcetri che ospitò giganti della scienza come Galileo, Fermi, Occhialini, Hack e Pacini».

«I segnali generati dalle onde gravitazionali sono talmente deboli da richiedere strumenti perfettamente isolati e privi di distorsioni ottiche, per evitare che gli effetti di tali “imperfezioni” riducano drasticamente la sensibilità della detezione. Questo è particolarmente vero per l’Einstein Telescope, che si propone di aumentare di un ordine di grandezza la sensibilità rispetto all’attuale generazione di telescopi gravitazionali (LIGO, Virgo), richiedendo soluzioni innovative per il controllo del sistema. In particolare ogni differenza delle ottiche del fascio di misura dalla loro forma ideale, che sia un inevitabile residuo di fabbricazione o una deformazione dovuta alla variazione della loro temperatura, deve essere compensata. L’ottica adattiva ha esattamente questo scopo: agire con un elemento correttore all’interno del sistema per compensare gli effetti delle deformazioni delle ottiche in tempo reale», spiega il responsabile di ADONI-ET Armando Riccardi. «Il laboratorio ADONI-ET, presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri, ha lo scopo di trasferire l’esperienza acquisita in INAF con le tecniche di ottica adattiva, per la correzione degli effetti della turbolenza atmosferica sulle immagini astronomiche, a Einstein Telescope. In particolare, nel laboratorio stiamo sviluppando e verificheremo la capacità di uno specchio deformabile di modulare la luce di un laser di potenza, per variare la mappa di temperatura di un’ottica da utilizzare come elemento correttore dei fasci di misura di ET (compensation plate) e verificare che le distorsioni del fronte d’onda ottenute siano in accordo con le accuratezze richieste da questo formidabile strumento per la detezione delle onde gravitazionali».

Con questo progetto del laboratorio ADONI, INAF si candida concretamente a contribuire allo sviluppo di un sistema adattivo per ET anche attraverso la formazione di giovani ricercatrici e ricercatori.

Il consorzio ETIC è composto da quattordici università ed enti di ricerca italiani, con l’obiettivo di sostenere la candidatura italiana a ospitare il futuro osservatorio di onde gravitazionali di nuova generazione Einstein Telescope (ET), una delle più grandi e ambiziose infrastrutture di ricerca che saranno costruite in Europa nei prossimi decenni, incluso nella roadmap di ESFRI (European Strategy Forum on Research Infrastructure), l’organismo che indica su quali infrastrutture scientifiche è decisivo investire in Europa.

A fronte di un investimento totale di 50 milioni di euro, le attività di ETIC si stanno concentrando, da un lato, sulla caratterizzazione del sito candidato a ospitare ET, nell’area intorno alla miniera dismessa di Sos Enattos, nel Nuorese, in Sardegna, e dall’altro sulla realizzazione o potenziamento di una rete di laboratori di ricerca per lo sviluppo delle tecnologie che saranno adottate dal nuovo osservatorio gravitazionale.

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

CEFEO A HW2: ECCO COME SI FORMANO LE PROTOSTELLE MASSICCE

Lo studio a guida INAF di Cefeo A HW2, una stella massiccia in formazione, mostra sorprendenti caratteristiche di questo oggetto celeste, avvolto da un enorme disco di polveri e gas in cui è stata individuata una forte concentrazione di ammoniaca calda. I risultati, pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics, non solo migliorano la nostra comprensione dei processi di formazione delle stelle più massicce, ma anche dei fenomeni legati all’ evoluzione galattica e all’arricchimento chimico nell’universo.

Come si formano e come si accrescono le stelle di grande massa? Uno studio guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) affronta queste domande risolvendo per la prima volta un dibattito di lungo corso riguardante l’esistenza, o meno, di un disco di accrescimento attorno a Cefeo A HW2, la seconda protostella supermassiccia più vicina al Sole avente una massa di sedici volte quella della nostra stella. Grazie a osservazioni effettuate con i radiotelescopi del Jansky Very Large Array (VLA), il disco e i gas che si muovono al suo interno sono stati osservati con un dettaglio finora mai raggiunto. Le simulazioni di laboratorio hanno completato il quadro gettando così nuova luce su come le stelle giganti accumulino un’enorme massa proveniente dal disco di accrescimento durante i loro primi millenni di vita.

In ambito astronomico e divulgativo sentiamo spesso parlare delle “supernove” e del fatto che siano ciò che resta di incredibili esplosioni dovute al collasso di enormi stelle ormai esauste. Non è però comune sentir parlare di come queste stelle massicce, che per definizione hanno una stazza di almeno otto masse solari, riescano a formarsi e ad accrescere la loro massa quando sono ancora molto giovani. La risposta sta nell’esistenza e nelle proprietà del cosiddetto disco di accrescimento, ovvero una grande concentrazione di gas e polveri che gravita spiraleggiando intorno alle protostelle durante la loro formazione e le nutre aumentandone la massa. Il tutto, prima ancora che avvenga l’innesco di una fusione nucleare stabile che possa definirle come stelle vere e proprie.

Una delle questioni più intriganti discusse tra gli specialisti negli ultimi decenni è stata capire se i dischi di accrescimento fossero caratteristici solo di stelle medio-piccole come il Sole, che è una nana gialla, o se fossero in grado di sostenere anche gli enormi flussi di materia necessari ad accrescere una giovane stella decine di volte più massiccia della nostra.

Cefeo A HW2 protostella
Cefeo A HW2: ecco come si formano le protostelle massicce, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics

A dissolvere questo dubbio è arrivato uno studio, appena pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics, che coinvolge una dozzina di centri di ricerca e università tra Stati Uniti, Europa e Sudamerica, tra cui quattro osservatori dell’INAF: Cagliari, Arcetri (Firenze), Bologna e Napoli. Le osservazioni sono state eseguite con una potente rete di radiotelescopi che si trova negli Stati Uniti, il Jansky Very Large Array per osservare la radio-sorgente Cepheus A HW2. Questa sorgente possiede alcune interessanti caratteristiche che la fanno ritenere una protostella piuttosto massiccia, tra l’altro molto osservata dagli astronomi negli ultimi 40 anni. Dista infatti solo 2300 anni luce da noi e ciò consente di poterla osservare con il VLA alla definizione minima di 100 unità astronomiche ovvero con un dettaglio sufficiente a individuarne il disco. Inoltre, HW2 possiede una massa stimata in ben sedici volte quella del Sole.

Per poter verificare l’esistenza di un disco di accrescimento intorno a HW2, risolvendone struttura e proprietà, il radiotelescopio americano – finanziato dalla National Science Foundation (NSF) e gestito dal National Radio Astronomy Observatory (NRAO) – ha osservato la sorgente a una  frequenza di circa 24 GHz, alla ricerca di un tracciante in particolare: l’ammoniaca interstellare (NH3). Questa molecola, così comune e utilizzata sulla Terra, è anche la prima molecola poliatomica (ovvero con tre o più atomi) rilevata al di fuori del Sistema solare e tra le più abbondanti specie presenti nelle comete.

Nel caso di HW2 è stato dunque osservato un denso anello di ammoniaca calda che si estende per raggi che vanno da 200 a 700 unità astronomiche intorno alla stella e che mostra anche densità differenti da zona a zona. Per avere un facile riscontro, basti pensare che Nettuno, l’ultimo dei grandi pianeti gassosi, dista dal Sole circa 30 unità astronomiche, ovvero 30 volte la distanza Terra-Sole. Tuttavia queste distanze che oggi appaiono troppo piccole e impossibili da osservare su HW2 con il Vla, potranno verosimilmente – come sottolinea Todd Hunter di NRAO – essere raggiunte nel giro di 10 anni con lo sviluppo del next generation VLA. Il comportamento dell’ammoniaca è stato poi direttamente confrontato con simulazioni di laboratorio effettuate da André Oliva, professore dell’Università e Space Research Center della Costa Rica, che hanno permesso di riprodurre le osservazioni spiegando allo stesso tempo la dinamica del gas attorno alla protostella.

I risultati confermano quindi che i dischi protostellari possono sostenere tassi di accrescimento di massa molto alti, anche quando la stella centrale ha già raggiunto una massa decine di volte superiore a quella del nostro Sole.

“Le nostre osservazioni – afferma Alberto Sanna, ricercatore INAF e primo autore dell’articolo scientifico – forniscono una prova diretta che anche stelle massicce possono formarsi attraverso un disco di accrescimento fino a decine di masse solari. HW2 è la seconda stella giovane e massiccia più vicina alla Terra e, da decine d’anni, costituisce un laboratorio privilegiato per mettere alla prova le attuali teorie sulla formazione stellare. In particolare, il nostro studio risolve un dibattito di lunga data sull’esistenza o meno di un disco di accrescimento attorno ad HW2”.

Questo studio ha consentito inoltre una misura diretta della quantità di gas e polveri che fluisce attorno alla stella, arrivando alla conclusione che la materia in “caduta libera” verso HW2 ammonta a circa due masse del pianeta Giove all’anno, uno dei tassi più alti mai osservati, che corrisponde a una crescita ipotetica della stella pari a ben due masse solari ogni mille anni. Tuttavia, molte domande rimangono ancora aperte.

“Se da una parte – puntualizza infatti Sanna – i nostri risultati dimostrano che dischi circumstellari attorno a giovani stelle massicce sono in grado di sostenere gli alti tassi di accrescimento previsti dalla teoria, allo stesso tempo ci chiediamo: quanto di quell’enorme flusso di materia osservato diventerà effettivamente parte della massa finale della stella?”

Questo lavoro non solo migliora la nostra comprensione delle dinamiche che portano alla formazione delle stelle più massicce, ma ha anche implicazioni più ampie sull’evoluzione galattica e l’arricchimento chimico nell’universo. Sono proprio queste stelle extra large che, durante tutto il loro ciclo evolutivo ma in particolare nella turbolenta e catastrofica fase finale, disseminano le galassie di elementi pesanti e specie molecolari più complesse, creati proprio dalle immense temperature e pressioni che solo questi oggetti sono in grado di generare.


Riferimenti bibliografici:

L’articolo “Gas infall via accretion disk feeding Cepheus A HW2”, di A. Sanna, A. Oliva, L. Moscadelli, C. Carrasco-González, A. Giannetti, G. Sabatini, M. Beltrán, C. Brogan, T. Hunter, J.M. Torrelles, A. Rodríguez-Kamenetzky, A. Caratti o Garatti, R. Kuiper, è stato pubblicato online sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

KEPLER-10c: UN PIANETA DI ACQUA SVELATO DAI CIELI DELLE CANARIE

Un team guidato dall’INAF ha misurato con grande precisione la massa del pianeta Kepler-10c, definendolo come un possibile mondo in gran parte composto da ghiaccio di acqua. Lo studio, pubblicato oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics e realizzato grazie ai dati raccolti dallo spettrografo HARPS-N installato al Telescopio Nazionale Galileo, ha permesso anche di confermare la presenza di un altro pianeta nel sistema di Kepler-10, fornendo nuove informazioni per comprendere la formazione dei pianeti e le origini del nostro Sistema solare.

Un team internazionale guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha determinato la massa e la densità del pianeta Kepler-10c con precisione e accuratezza senza precedenti. Grazie a circa 300 misure di velocità radiale raccolte con lo spettrografo High Accuracy Radial velocity Planet Searcher for the Northern hemisphere (HARPS-N) installato al Telescopio Nazionale Galileo (TNG) che scruta il cielo dalle Isole Canarie, è stato possibile stimarne la sua composizione – in gran parte di acqua allo stato solido ma forse anche liquido – e capire come si possa essere formato. Lo studio è stato pubblicato oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

Kepler-10 è un sistema esoplanetario storico: ospita Kepler-10b, la prima super-Terra rocciosa scoperta dalla missione spaziale Kepler della NASA con un periodo orbitale inferiore al giorno terrestre, e Kepler-10c, un pianeta con un periodo orbitale di 45 giorni, classificato come sub-Nettuno, ovvero un pianeta con raggio e massa inferiori a quelli di Nettuno. Per anni, la massa di Kepler-10c è stata oggetto di grande incertezza: stime discordanti avevano reso difficile capire di cosa fosse fatto.

I dati acquisiti con HARPS-N sono stati elaborati con un nuovo metodo che corregge per effetti strumentali e variazioni dell’attività magnetica della stella madre, anche se di bassa intensità, e sono stati analizzati indipendentemente da tre gruppi dentro il team, raggiungendo gli stessi risultati. Questo lavoro ha permesso di capire che probabilmente Kepler-10c è un water world, ovvero un pianeta con gran parte della sua massa in acqua allo stato solido (ghiaccio) e forse, in piccola percentuale, anche liquido. I ricercatori ritengono che il pianeta si sia formato oltre la cosiddetta linea di condensazione dell’acqua a circa due o tre unità astronomiche dalla sua stella, e che poi si sia progressivamente avvicinato fino alla sua attuale orbita.

Ma non è tutto: il team ha anche confermato l’esistenza di un terzo pianeta, non visibile nei transiti ma rivelato per una piccola anomalia che esso induce sull’orbita di Kepler-10c, riscontrabile nelle  variazioni dei tempi di transito proprio del pianeta Kepler-10c, in modo analogo alla scoperta di Nettuno grazie alle anomalie osservate nell’orbita di Urano. Questo pianeta “fantasma” era stato ipotizzato in precedenza, ma solo ora è stato possibile determinarne in modo accurato il periodo orbitale di 151 giorni e la massa minima, grazie all’eccezionale qualità delle misure di velocità radiale HARPS-N.

“L’analisi delle velocità radiali e delle variazioni dei tempi di transito, dapprima singolarmente e poi in combinazione tra loro, ha dato dei risultati in ottimo accordo sui parametri del terzo pianeta; abbiamo così corretto precedenti stime inaccurate delle sue proprietà”, commenta Luca Borsato dell’INAF di Padova, secondo autore dell’articolo.

Aldo Bonomo dell’INAF di Torino, primo autore dell’articolo, aggiunge: “L’esistenza dei water world è stata prevista teoricamente dai modelli di formazione e migrazione planetarie, ma non ne abbiamo ancora una conferma certa. Tuttavia, una quindicina di pianeti attorno a stelle di tipo solare come Kepler-10c sembrano avere proprio la composizione prevista da questi modelli. La prova del nove dell’esistenza dei water world dovrebbe venire dallo studio delle loro atmosfere con il telescopio spaziale James Webb, perché ci aspettiamo che essi abbiano delle atmosfere particolarmente ricche di vapore acqueo”.

Lo studio del sistema Kepler-10 ci aiuta a capire come si formano i pianeti attorno alle loro stelle. Super-terre come Kepler-10b e sub-Nettuni come Kepler-10c, così comuni nella Galassia ma assenti nel nostro Sistema solare, rappresentano un tassello cruciale per comprendere la varietà dei mondi che orbitano attorno ad altre stelle. In particolare, studiare la composizione dei pianeti cosiddetti sub-nettuniani e capire se sono ricchi o poveri di ghiaccio, può fornire indicazioni non solo sulla loro origine, ma anche sulle prime fasi di formazione dei sistemi planetari e quindi del nostro stesso Sistema solare. Conoscere come e dove si formano questi pianeti e i loro moti di migrazione verso la loro stella, significa guardare indietro nel tempo per scoprire qualcosa in più sulle origini della Terra e forse anche  della vita.


 

Riferimenti Bibliografici:

L’articolo In-depth characterization of the Kepler-10 three-planet system with HARPS-N radial velocities and Kepler transit timing variations, di A. S. Bonomo, L. Borsato, V.M. Rajpaul, L. Zeng, M. Damasso, N.C. Hara, M. Cretignier, A. Leleu, N. Unger, X. Dumusque, F. Lienhard, A. Mortier, L. Naponiello, L. Malavolta, A. Sozzetti, D.W. Latham, K. Rice, R. Bongiolatti, L. Buchhave, A.C. Cameron, A.F. Fiorenzano, A. Ghedina, R.D. Haywood, G. Lacedelli, A. Massa, F. Pepe, E. Poretti e S. Udry è stato pubblicato online sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

QUANDO UN BUCO NERO SI È RISVEGLIATO: LAMPI DI RAGGI X DA ANSKY

Un buco nero supermassiccio si è recentemente risvegliato, emettendo potenti lampi di raggi X. Grazie alle osservazioni del telescopio XMM-Newton, un team internazionale a cui partecipa anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica, ha studiato questo raro fenomeno, offrendo nuove e preziose informazioni sul comportamento dei buchi neri supermassicci.

Un buco nero supermassiccio al centro della galassia SDSS1335+0728, situata a 300 milioni di anni luce dalla Terra, ha recentemente iniziato a rilasciare intensi e regolari lampi di raggi X, attirando l’attenzione degli astrofisici. Dopo decenni di inattività, questo colosso dalla smisurata forza di attrazione gravitazionale si è improvvisamente “risvegliato”, dando vita a un fenomeno raro che offre una straordinaria opportunità per studiare il comportamento di un buco nero in tempo reale. L’osservazione di questi lampi, resa possibili grazie al telescopio spaziale XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ha portato a scoperte senza precedenti sugli eventi energetici generati dai buchi neri supermassicci. I risultati del lavoro condotto da un team di ricercatrici e ricercatori internazionali, di cui fa parte anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è stato pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy.

Sebbene i buchi neri supermassicci (con masse di milioni o addirittura miliardi pari a quella del nostro Sole) siano noti per nascondersi al centro della maggior parte delle galassie, la loro stessa natura li rende difficili da individuare e quindi studiare. In contrasto con l’idea popolare che i buchi neri “divorino” continuamente materia, questi mostri gravitazionali possono passare lunghi periodi in una fase dormiente. Questo è stato il caso del buco nero al centro di SDSS1335+0728, soprannominato Ansky, che per decenni è rimasto inattivo. Nel 2019 qualcosa cambia, quando gli astronomi osservano un’improvvisa “accensione” della galassia, seguita da straordinari lampi di raggi X. Questi segnali hanno portato alla conclusione che il buco nero fosse entrato in una nuova fase attiva, trasformando la galassia che lo ospita in un nucleo galattico attivo.

Nel febbraio 2024, il team di ricerca guidato da Lorena Hernández-García, ricercatrice presso l’Università di Valparaíso in Cile, ha iniziato a osservare i lampi regolari di raggi X provenienti da Ansky.

“Questo raro evento ci permette di osservare il comportamento di un buco nero in tempo reale, utilizzando i telescopi spaziali XMM-Newton e quelli della NASA NICER, Chandra e Swift”, spiega. “Questo fenomeno è conosciuto come eruzione quasi periodica (in inglese Quasiperiodic Eruption, QPE) di breve durata ed è la prima volta che osserviamo un tale evento in un buco nero che sembra essersi risvegliato”.

Tali fenomeni sono stati finora associati a piccole stelle od oggetti che interagiscono con la materia in orbita attorno al buco nero stesso, il cosiddetto disco di accrescimento, ma nel caso di Ansky, non ci sono prove che una stella sia stata distrutta. Gli astronomi ipotizzano che i lampi possano derivare da oggetti più piccoli che disturbano ripetutamente il materiale del disco di accrescimento, generando potenti shock che liberano enormi quantità di energia. Ognuna di queste eruzioni sta rilasciando cento volte più energia rispetto alle eruzioni quasi periodiche tipiche: sono infatti dieci volte più lunghe e luminose, e con una cadenza mai osservata prima di circa 4,5 giorni, che mette alla prova i modelli teorici esistenti sui buchi neri.

Rappresentazione artistica del disco di accrescimento attorno al buco nero massiccio Ansky e della sua interazione con un piccolo oggetto celeste (crediti ESA)
Rappresentazione artistica del disco di accrescimento attorno al buco nero massiccio Ansky e della sua interazione con un piccolo oggetto celeste (crediti ESA)

Osservare l’evoluzione di Ansky in tempo reale offre agli astronomi un’opportunità unica per approfondire la comprensione dei buchi neri e degli eventi energetici che li alimentano. Attualmente, esistono ancora più modelli che dati sulle eruzioni quasi periodiche, e saranno quindi necessarie ulteriori osservazioni per comprendere a pieno il fenomeno.

“Nonostante la notevole attività nella banda dei raggi X, Ansky risulta ancora sopito nella banda radio”, commenta Gabriele Bruni, ricercatore dell’INAF e co-autore del lavoro pubblicato. “Infatti, né le nostre osservazioni con il radiotelescopio australiano ATCA, né le campagna osservativa radio che hanno osservato la sua regione di cielo negli ultimi anni hanno rilevato emissione dalla sua direzione, escludendo così la presenza di un getto relativistico prodotto durante la riattivazione del buco nero. Nei prossimi mesi continueremo a tenere d’occhio Ansky per scovare la possibile nascita di un getto come già verificato in altri casi di nuclei galattici attivi riattivati”.

Le eruzioni ripetitive di Ansky potrebbero anche essere associate alle onde gravitazionali, obiettivo dalla futura missione LISA dell’ESA. L’analisi di questi dati nei raggi X, insieme agli studi sulle onde gravitazionali, aiuterà a risolvere il mistero di come i buchi neri massicci evolvono e interagiscono con l’ambiente circostante.


Riferimenti bibliografici:

L’articolo “Discovery of extreme Quasi-Periodic Eruptions in a newly accreting massive black hole”, di Lorena Hernández-García, Joheen Chakraborty, Paula Sánchez-Sáez, Claudio Ricci, Jorge Cuadra, Barry McKernan, K.E. Saavik Ford, Arne Rau, Riccardo Arcodia, Patricia Arevalo, Erin Kara, Zhu Liu,Andrea Merloni, Gabriele Bruni, Adelle Goodwin, Zaven Arzoumanian, Roberto Assef, Pietro Baldini, Amelia Bayo, Franz Bauer, Santiago Bernal, Murray Brightman, Gabriela Calistro Rivera, Keith Gendreau,  David Homan, Mirko Krumpe, Paulina Lira, Mary Loli Martínez-Aldama, Mara Salvato e Belén Sotomayor è stato pubblicato online sulla rivista Nature Astronomy, (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s41550-025-02523-9

Testo e immagini dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

COME NASCONO GLI AMMASSI STELLARI NUCLEARI: ECCO LE PRIME IMMAGINI, LA PRIMA OSSERVAZIONE DEGLI STESSI IN FASE DI FUSIONE

Pubblicato oggi su Nature un nuovo studio scientifico riporta la prima osservazione diretta di ammassi stellari in fase di fusione nella regione nucleare di cinque galassie nane. Questa scoperta conferma la plausibilità – a lungo dibattuta tra gli esperti – di tale modalità di formazione per i nuclei delle galassie di piccole dimensioni (ossia composte da un numero di stelle variabile da poche migliaia ad alcuni miliardi). Il gruppo di ricercatrici e ricercatori è stato guidato dall’Università di Oulu (Finlandia) e ha visto la partecipazione anche dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Esempio di due galassie nane dai campioni della survey MATLAS che mostrano le prove della fusione tra ammassi stellari. Crediti: NASA, ESA, Mélina Poulain, e STScI
Esempio di due galassie nane dai campioni della survey MATLAS che mostrano le prove della fusione tra ammassi stellari. Crediti: NASA, ESA, Mélina Poulain, e STScI

Rispetto alla nostra Galassia sono piccoli puntini nel cielo notturno, ma le galassie nane sono il tipo di galassia più abbondante nell’Universo. Con un numero di stelle circa 100 volte inferiore rispetto alla Via Lattea (o anche meno), le galassie nane rappresentano i mattoni fondamentali delle galassie più massicce. Comprendere la loro formazione è quindi essenziale per studiare l’evoluzione delle galassie.

Rebecca Habas, assegnista di ricerca INAF e tra le autrici dell’articolo su Nature, spiega: “Riportiamo la scoperta fortuita di cinque galassie nane che sembrano essere nel processo di formazione di un ammasso stellare nucleare (nuclear star cluster in inglese). Cosa sono? Si tratta di  gruppi di stelle gravitazionalmente legate, situati al centro (o molto vicino al centro) di molte galassie, inclusa la nostra Via Lattea. Questi ammassi contengono milioni, fino a centinaia di milioni di stelle, e rappresentano i sistemi stellari più densi conosciuti nell’Universo”.

Il mistero irrisolto è però la comprensione di come si formino, quando e perché a volte non si formino affatto.

“In che modo la loro presenza (o assenza) influenza l’evoluzione delle galassie ospiti? Per questo motivo, gli ammassi stellari nucleari sono oggetti di grande interesse scientifico”, aggiunge Habas, esperta di galassie diffuse, fluttuazioni della brillantezza superficiale e misure di distanza stellari.

Simulazione della fusione di ammassi stellari. Crediti: Rory Smith
Simulazione della fusione di ammassi stellari. Crediti: Rory Smith

Una scoperta casuale, quindi, perché il team – parte della collaborazione internazionale MATLAS (Mass Assembly of early-Type GaLAxies with their fine Structures) – era impegnato in osservazioni di galassie nane con il telescopio spaziale Hubble quando ha notato alcune galassie con un ammasso stellare nucleare dall’aspetto insolito. In alcune di esse si osservavano un paio di ammassi stellari vicini tra loro, mentre in altre era presente una struttura simile a un debole flusso di luce collegato all’ammasso stellare nucleare.

“Siamo rimasti sorpresi dai flussi di luce visibili vicino al centro delle galassie, poiché non era mai stato osservato nulla di simile in passato”, commenta Mélina Poulain, prima autrice dell’articolo e ricercatrice presso l’università finlandese.

Habas aggiunge: “Abbiamo identificato diverse galassie con strutture insolite al loro centro. Per esempio, alcuni sistemi sembrano avere più ammassi stellari nucleari o ammassi globulari multipli vicino al centro (le loro proprietà sono parzialmente sovrapposte, rendendo difficile distinguerli con certezza), e altre invece mostrano deboli scie di luce che sembrano provenire da questi oggetti”.

“Abbiamo combinato le nostre osservazioni con simulazioni di fusioni di ammassi globulari, che suggeriscono che queste strutture corrispondono esattamente a ciò che ci si aspetterebbe di vedere durante, o poco dopo, la fusione di due ammassi globulari. Pertanto, riteniamo di aver identificato le prime immagini della formazione di un ammasso stellare nucleare tramite la fusione di ammassi globulari”.

Le simulazioni indicano che fusioni di ammassi globulari come questa avvengono su scale temporali relativamente brevi (qualche milione di anni, che è effettivamente poco per i processi astronomici), rendendo molto improbabile catturare immagini di questo evento in corso. Tuttavia, è possibile compensare questa rarità con un campione statistico più ampio.

“Abbiamo osservato qualche decina di galassie con Hubble, un campione piccolo, ma queste galassie sono state selezionate da un catalogo iniziale di 2210 galassie nane, permettendoci di individuare gli oggetti più interessanti”,

afferma la giovane ricercatrice. Il campione originale di galassie era stato identificato utilizzando immagini ottiche profonde del telescopio Canada-France-Hawaii (CFHT).

Conclude Habas: “Ci aspettiamo che le future indagini del cielo, come quelle pianificate dal telescopio spaziale Euclid e dall’Osservatorio Vera C. Rubin, identificheranno ancora più esempi di ammassi stellari nucleari in via di formazione”.


Riferimenti bibliografici:

L’articolo “Evidence of star cluster migration and merger in dwarf galaxies”, di Mélina Poulain, Rory Smith, Pierre-Alain Duc, Francine R. Marleau, Rebecca Habas, Patrick R. Durrell, Jeremy Fensch, Sungsoon Lim, Oliver Muller, Sanjaya Paudel e Ruben Sanchez-Janssen, è stato pubblicato sulla rivista Nature.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF