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Istituto di Fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche

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Un nuovo approccio fotonico alla manipolazione della casualità nei computer quantistici
Un gruppo di ricercatori guidati dal Quantum Lab group della Sapienza Università di Roma ha sviluppato nuove configurazioni per la manipolazione delle variabili casuali in computer quantistici fotonici. I risultati, contenuti in due paper di recente pubblicazione, sono stati ottenuti nell’ambito di ICSC – Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing e dei progetti europei “PHOQUSING – PHotonic QUantum SamplING Machine” e “QU-BOSS”.

Sfruttare le caratteristiche dei computer quantistici, come quella di rappresentare ed elaborare contemporaneamente stati di informazioni diversi grazie ai qubit, per riuscire a generare in maniera più efficace serie di numeri casuali costituisce un requisito fondamentale per avere delle applicazioni vantaggiose nei contesti di simulazione computazionale di sistemi fisici come nella crittografia. Questo è quanto sostenuto in due studi svolti nell’ambito di ICSC – Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing e dei progetti europei “PHOQUSING – PHotonic QUantum SamplING Machine” e “QU-BOSS” dal gruppo Quantum Lab della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’International Iberian Nanotechnology Labs (INL) e l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie – Consiglio Nazionale delle Ricerche (IFN-CNR). I risultati dei due lavori, apparsi di recente sulle prestigiose riviste scientifiche Nature Photonics e Science Advances, dimostrano come una piattaforma quantistica di tipo fotonico adeguatamente progettata e controllata sia in grado di implementare l’algoritmo della Bernoulli Factory. Quest’ultimo è un noto algoritmo utilizzato per la generazione di serie di variabili casuali, definendo così una nuova tecnica per la manipolazione delle variabili aleatorie che utilizza la meccanica quantistica chiamata “quantum-to-quantum Bernoulli Factory”.

Un nuovo approccio fotonico alla manipolazione della casualità nei computer quantistici; due studi su Nature Photonics e Science Advances. Gallery

Facendo ricorso all’esempio della serie di risultati derivanti dal lancio di una moneta, l’algoritmo Bernoulli factory, che svolge un ruolo centrale nell’integrazione numerica e nei metodi Monte Carlo utilizzati nei calcoli probabilistici, consente, a partire da una distribuzione di probabilità di lanci nota utilizzata in input, di generare come output lanci di moneta con una diversa distribuzione.

“Se abbiamo per esempio come obiettivo quello di creare una nuova moneta che mostri testa con una probabilità diversa da quella nota rivelata dai lanci effettuati”, spiega Fabio Sciarrino, responsabile del Quantum Lab group della Sapienza e responsabile della piattaforma fotonica per lo Spoke 10 ‘Quantum Computing’ di ICSC, “ l’algoritmo della Bernoulli factory ci permette astutamente di lanciare la moneta originale più volte e di sfruttare i vari risultati per simulare i lanci di una nuova moneta con la distribuzione di probabilità desiderata. Nel quadro della meccanica quantistica, questo procedimento è stato tradotto codificando le distribuzioni di probabilità come stati quantistici sia in input che in output. Da qui il nome ‘quantum-to-quantum Bernoulli factory’.

Le caratteristiche uniche delle Bernoulli factory hanno quindi spinto la collaborazione tra i gruppi di ricerca autori dei due studi a esplorare vari metodi per implementare queste ‘fabbriche di casualità’ realizzando piattaforme ottiche all’interno delle quali, modificando la configurazione dei circuiti, è stato possibile far evolvere nella maniera voluta la dinamica dei fotoni e degli stati di informazione quantistica di cui sono portatori. Dato il comportamento statistico che li caratterizza, l’evoluzione dei fotoni all’interno di questi dispositivi riesce perciò a generare più efficacemente una distribuzione di risultati casuale rispetto a quanto possa fare una simulazione effettuata da un computer classico.

“Al fine di implementare gli algoritmi Bernoulli factory”, prosegue Sciarrino, “abbiamo sviluppato due piattaforme che manipolano distinti gradi di libertà degli stati a singolo fotone. La prima, sviluppata in collaborazione con INL e IFN-CNR e che ha portato alla pubblicazione dell’articolo su Nature Photonics, lavora con i cosiddetti qubit codificati nel cammino, in cui l’informazione è scritta nel percorso di ciascun fotone. Ciò è stata reso possibile grazie all’elevato controllo e precisione ottenibile nella programmazione dei circuiti fotonici integrati in vetro realizzati da CNR-IFN, la riproducibilità dei quali è garantita dai sistemi automatizzati adottati, che agevolano l’utilizzo di questi dispositivi anche per l’implementazione di algoritmi con complessità maggiori. Nella seconda piattaforma, sviluppata in collaborazione con INL, i qubit sono invece codificati negli stati di polarizzazione di singoli fotoni. Con entrambe le piattaforme siamo stati in grado dimostrare tutti i passaggi necessari per realizzare genuini algoritmi di Bernoulli Factory quantistiche.”

Questi progressi rappresentano passi in avanti significativi nell’ambito di ricerca volto a comprendere come elaborare l’informazione sfruttando le proprietà quantistiche della luce. Le quantum-to-quantum Bernoulli Factories rappresentano inoltre un’ulteriore prova a favore dei vantaggi che i dispositivi quantistici possono garantire rispetto ai loro omologhi classici. Sfruttando le proprietà uniche della luce quantistica, i ricercatori potranno infatti ricercare nuove possibilità per un calcolo efficiente e una sofisticata manipolazione delle variabili casuali, aprendo la strada ad applicazioni innovative in vari campi, dalla crittografia, al calcolo e alla simulazione.

“Da un lato, l’architettura utilizzata per la codifica su percorso dei qubit, che vengono manipolati attraverso dispositivi di ottica integrata, rappresenta la soluzione ideale per l’implementazione delle Bernoulli Factories nel contesto della computazione quantistica, potendo per esempio essere impiegata come componente di un hardware fotonico quantistico più complesso” commenta Francesco Hoch, post-doc e primo autore dell’articolo su Nature Photonics. “Dall’altro lato, la seconda piattaforma che opera sugli stati di polarizzazione dei fotoni, realizzata attraverso elementi ottici che operano sia in aria che in fibra, risulta particolarmente adatta per interfacciare il dispositivo con le reti quantistiche e, più in generale, con i complessi protocolli di comunicazione e crittografia quantistica esistenti”, conclude Giovanni Rodari, dottorando e primo autore dell’articolo su Science Advances.

APPROFONDIMENTI:
Quantum Lab – Dipartimento di Fisica, Sapienza
www.quantumlab.itICSC – Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing
https://www.supercomputing-icsc.it/en/icsc-home/F. Hoch, et al., Modular quantum-to-quantum Bernoulli factory in an integrated photonic processor, Nature Photonics (2024).
https://www.nature.com/articles/s41566-024-01526-8G. Rodari, et al. Polarization-encoded photonic quantum-to-quantum Bernoulli factory based on a quantum dot source, Science Advances 10, 30 (2024).
https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.ado6244

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma e dall’Ufficio Comunicazione ICSC – Centro Nazionale di Ricerca in HPC, Big Data e Quantum Computing

Fisica quantistica: ora è possibile certificare le proprietà dei dispositivi ottici integrati programmabili

Un team di ricerca internazionale ha identificato nuove tecniche per quantificare le risorse computazionali fornite dalla meccanica quantistica nei dispositivi ottici.  Gli esperimenti, condotti presso il gruppo Quantum Lab del Dipartimento della Sapienza di Roma, hanno coinvolto anche l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr. I risultati, pubblicati sulla rivista Science Advances, serviranno a implementare le future applicazioni nei campi della metrologia, crittografia e della computazione.

Foto del chip integrato, insieme all'elettronica di controllo. Speciali stati quantistici della luce, ovvero stati a singolo fotone, vengono inviati nel chip e manipolati attraverso le guide d'onda, in modo da certificare le proprietà quantistiche considerando porzioni sempre più grandi del chip
Foto del chip integrato, insieme all’elettronica di controllo. Speciali stati quantistici della luce, ovvero stati a singolo fotone, vengono inviati nel chip e manipolati attraverso le guide d’onda, in modo da certificare le proprietà quantistiche considerando porzioni sempre più grandi del chip

Man mano che i nuovi dispositivi quantistici crescono in dimensioni e complessità, risulta fondamentale sviluppare metodi affidabili per certificare e individuare le risorse quantistiche che forniscono un effettivo vantaggio computazionale, al fine di delineare il modo migliore di utilizzarle.

In un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances è stato mostrato proprio come certificare le varie proprietà quantistiche di dispositivi fotonici integrati di crescente complessità.

Il risultato è frutto di una collaborazione scientifica di lunga data nel campo della certificazione quantistica tra la Sapienza di Roma, l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cnr-Ifn), il Politecnico di Milano e il Laboratorio Internazionale di Nanotecnologia iberica (INL).

I circuiti ottici integrati programmabili sono tra le principali piattaforme candidate per l’elaborazione dell’informazione quantistica basata sui qubits. Essi infatti consentono da un lato di effettuare esperimenti finalizzati a verificare le proprietà fondamentali della meccanica quantistica, dall’altro di implementare i dispositivi per future applicazioni nel campo della metrologia, crittografia e della computazione.

Team Quantum Lab della Sapienza Università di Roma
Team Quantum Lab della Sapienza Università di Roma

Gli esperimenti, guidati da Fabio Sciarrino della Sapienza e condotti presso il gruppo Quantum Lab dell’Ateneo, hanno certificato la presenza di caratteristiche quantistiche autentiche come la contestualità e la coerenza in un circuito ottico integrato programmabile.

La metodologia seguita è stata quella sviluppata dal team teorico guidato da Ernesto Galvão dell’INL in Portogallo.

“L’utilizzo di un chip fotonico completamente integrato e programmabile migliora la precisione e la coerenza del processo di caratterizzazione, offrendo il potenziale per l’implementazione di questi dispositivi in applicazioni pratiche”, commenta il Dott. Roberto Osellame, direttore di ricerca presso CNR-IFN.

“Il nostro lavoro – aggiunge Taira Giordani, ricercatrice presso la Sapienza e membro del team Quantum Lab – è la prima applicazione sperimentale di tale tecnica per quantificare le risorse computazionali fornite dalla meccanica quantistica nei dispositivi ottici”.

Le tecniche sviluppate hanno permesso però di verificare anche il vantaggio quantistico in applicazioni pratiche come il quantum imaging. I sistemi di imaging, grazie a determinate correlazioni quantistiche, permettono di ottenere una risoluzione che supera i limiti dell’ottica classica, trovando applicazione in diversi campi della metrologia e dei sensori.

“I nostri risultati – conclude Fabio Sciarrino, capogruppo del Quantum Lab della Sapienza – motivano la ricerca per nuove tecniche per lo studio delle risorse non classiche. Ci aspettiamo che questo lavoro stimolerà la ricerca sulla futura certificazione di dispositivi ottici che sfruttano stati quantistici della luce sempre più complessi”.

Questa linea di ricerca è supportata dal National Quantum Science and Technology Institute (NQSTI), il finanziamento italiano per la ricerca fondamentale sulle tecnologie quantistiche, dall’ERC Advanced Grant QU-BOSS, dal progetto Horizon Europe FoQaCiA e dalla FCT – Fundação para a Ciência e a Tecnologia del Portogallo.

Rappresentazione del chip fotonico integrato programmabile utilizzato utilizzato nel lavoro. Le guide d'onda vengono create mediante la scrittura laser a femtosecondo sul vetro. Le operazioni del circuito sono controllate applicando correnti su vari resistori disposti sulla superficie del chip
ora è possibile certificare le proprietà dei dispositivi ottici integrati programmabili. Rappresentazione del chip fotonico integrato programmabile utilizzato utilizzato nel lavoro. Le guide d’onda vengono create mediante la scrittura laser a femtosecondo sul vetro. Le operazioni del circuito sono controllate applicando correnti su vari resistori disposti sulla superficie del chip

Riferimenti bibliografici:

Experimental certification of contextuality, coherence, and dimension in a programmable universal photonic processor – Giordani T, Wagner R, Esposito C, Camillini A, Hoch F, Carvacho G, Pentangelo C, Ceccarelli F, Piacentini S, Crespi A, Spagnolo N, Osellame R, Galvão EF, Sciarrino F. – Sci Adv. 2023. doi: 10.1126/sciadv.adj4249

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Microcalcificazioni del seno: non tutte sono correlate all’insorgenza del tumore

Una ricerca dell’Università degli Studi di Milano e Istituti Clinici Scientifici Maugeri, realizzata in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche e il Paul Scherrer Institute in Svizzera, ha studiato la correlazione tra le microcalcificazioni al seno e la presenza di tumori, scoprendo che l’assenza di whitlockite, un minerale solitamente presente nelle microcalcificazioni, potrebbe essere un indicatore della presenza di tumore. La pubblicazione su Cancer Communication.

donna microcalcificazioni tumore seno
Foto di Benjamin Balazs

Milano, 20 settembre 2023 – Le microcalcificazioni, piccoli depositi di calcio che si formano nel tessuto mammario e che possono essere rilevati alla mammografia, sono spesso, ma non sempre, un segnale di allarme per la presenza di un tumore al seno. E la relazione fra microcalcificazioni e tumore non è stata mai chiarita.

Lo studio pubblicato, sulla rivista Cancer Communication, è frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri, coordinati dal Fabio Corsi, docente di Chirurgia Generale della Statale di Milano e capo della Breast Unit dell’IRCCS Maugeri Pavia, in collaborazione con colleghi dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn) e dell’Istituto di cristallografia (Cnr-Ic) del Consiglio nazionale delle ricerche e del Paul Scherrer Institute in Svizzera.

I ricercatori hanno infatti scoperto infatti che la relazione tra le microcalcificazioni e il tumore è legata alla presenza di un particolare minerale chiamato whitlockite, che è ricco di magnesio e che si trova nelle microcalcificazioni solo in assenza del tumore. I ricercatori hanno usato tecniche avanzate di spettroscopia (Raman, WAXS, XRF), per analizzare le microcalcificazioni prelevate da pazienti affette da tumore al seno. Hanno confrontato i campioni con quelli di donne sane e hanno osservato che nei tessuti tumorali la whitlockite era quasi assente, mentre nei tessuti sani era abbondante.

Questo suggerisce che il tumore al seno ha la capacità di alterare il metabolismo del calcio e del magnesio nel tessuto mammario, influenzando la formazione delle microcalcificazioni, eliminando la whitlockite e rendendole più dure, cosa che le rende in grado di stimolare ancora di più la crescita del tumore.

“Questo risultato apre nuove prospettive per lo sviluppo di metodiche più efficaci per lo screening del tumore al seno, basate sulla misurazione della concentrazione di whitlockite nelle microcalcificazioni”, spiega Fabio Corsi“Inoltre, potrebbe aiutare a capire meglio i meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna delle cellule mammarie. Da ultimo, infatti, questa scoperta potrebbe ridurre o meglio orientare l’indicazione alla biopsia mammarie ad oggi indispensabile per capire la natura del tessuto mammario in presenza di microcalcificazioni”.

 

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

DALLO STUDIO DEI G-QUADRUPLEX INDICAZIONI UTILI PER PROGETTARE NUOVI FARMACI ONCOTERAPICI

I ricercatori delle Università Milano-Bicocca, Insubria e Padova in collaborazione con il Cnr-Ifn hanno analizzato come si evolvono le strutture secondarie del DNA presenti in alcuni promotori di protooncogeni. Gli studi pubblicati su Nucleic Acids Research.

G-quadruplex farmaci
Dallo studio dei G-quadruplex indicazioni utili per progettare nuovi farmaci oncoterapici. Foto PublicDomainPictures 

Osservare da vicino il comportamento dei G-quadruplex, strutture secondarie del Dna, per contribuire alla messa a punto di farmaci oncoterapici di nuova generazione. I risultati degli studi condotti in collaborazione dai ricercatori delle Università dell’Insubria, di Milano-Bicocca e di Padova, con il coinvolgimento dell’Istituto di Fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn), sono confluiti in due lavori pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research (DOI: 10.1093/nar/gkab079 – 10.1093/nar/gkab674).

Quando pensiamo al Dna, la struttura che subito ci affiora alla mente è la doppia elica. Da anni, tuttavia, è noto come il Dna possa assumere localmente strutture non canoniche. Un aspetto particolarmente rilevante è che questi sistemi rappresentano degli interessanti punti di intervento terapeutico per trattare molte patologie tra cui tumori, malattie neurodegenerative, infezioni, e così via. Per la loro particolare importanza funzionale, le strutture secondarie non canoniche denominate G-quartets (G4s) occupano un posto di rilievo in questo contesto. Finora la ricerca di nuovi farmaci indirizzati verso questi bersagli non ha prodotto i risultati sperati e questo deriva in larga parte dal fatto che la struttura del Dna varia sensibilmente nel tempo e nello spazio.

I ricercatori hanno analizzato le proprietà conformazionali e nanomeccaniche dei G4s presenti nel promotore di un particolare protooncogene responsabile di diverse forme tumorali, abbinando tecniche di ensemble a misure di singola molecola per capire come queste strutture evolvono nel tempo, come la loro evoluzione è influenzata dalla matrice di Dna a doppia elica che le circonda e come interagiscono quando si formano una vicina all’altra. Inoltre, è stato osservato come la presenza di sequenze in grado di formare G4s in un tratto di Dna favorisca la denaturazione nanomeccanica della doppia elica in questo tratto, quindi l’inizio dell’espressione genica. Poiché le proteine deputate alla trascrizione del Dna, evento che dà inizio alla sintesi proteica, funzionano esercitando forze e torsioni sui promotori al fine di indurne la denaturazione locale, le informazioni raccolte costituiscono una “fotografia” ad alta risoluzione del bersaglio di elezione. Infine, è stato possibile seguire come si ripiegano queste sequenze e con quale velocità. Queste informazioni aiuteranno a progettare farmaci di nuova generazione che siano in grado di controllare la produzione di oncoproteine in pazienti neoplastici.

«Si tratta di una collaborazione fra soggetti lontani geograficamente, ma coinvolti in una sorta di laboratorio delocalizzato, che sono in grado di realizzare strumentazioni innovative non commerciali e di applicarle alla caratterizzazione di campioni biologici progettati ad hoc. Tutto questo è possibile, grazie anche al supporto delle nostre Istituzioni Universitarie che permettono e facilitano questo networking» dichiara il dottor Luca Nardo del Dipartimento di Scienza e alta tecnologia dell’Università dell’Insubria.

«La ricerca è stata condotta in modo interdisciplinare, con il coinvolgimento paritetico di Biofisici e Chimici Farmaceutici. Infatti, soltanto attraverso una stretta collaborazione tra ricercatori appartenenti a comunità scientifiche che tradizionalmente interagiscono solo marginalmente, disposti a compartecipare competenze complementari, è possibile dare risposte a domande che apparentemente sembrano insolubili. In particolare è stato necessario realizzare misure di singola molecola su filamenti di Dna studiati letteralmente uno per uno, al fine di caratterizzare aspetti che vengono generalmente nascosti da misure di insieme» afferma il professor Francesco Mantegazza, del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca».

«Il contributo fondamentale dei nostri risultati è quello di aver sottolineato in modo forte alla comunità scientifica come sia necessario capire l’evoluzione nel tempo e nello spazio dei bersagli che vogliamo colpire per intervenire in modo efficace e mirato. Il nostro network, coinvolgendo scienziati con visioni apparentemente diverse, ci ha consentito di rispondere a questa necessità mettendo a punto approcci innovativi e versatili che potranno quindi ora essere utilizzati a più ampio respiro» è quanto riassume la professoressa Claudia Sissi del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Padova.

«In qualità di responsabile del Laboratorio di Fotofisica e Biomolecole a Como, compartecipato da Cnr e Insubria, sono estremamente soddisfatta degli importanti risultati ottenuti negli ultimi anni e di questo in particolare. Ringrazio tutti i giovani ricercatori che nel tempo si sono alternati in laboratorio, senza la cui dedizione e competenza la ricerca sarebbe stata impossibile», conclude la professoressa Maria Bondani del Cnr-Ifn.

 

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Padova.