Bronchiolite in età pediatrica: negli ultimi anni casi più gravi associati a nuove varianti del virus VRS
Uno studio condotto da ricercatori della Sapienza in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità e pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Infection della Elsevier ha caratterizzato le varianti genetiche del virus emerse nel periodo post-pandemico, associate a forme di bronchiolite particolarmente gravi nei bambini.
Negli ultimi anni sono aumentati i casi gravi di bronchiolite nei bambini, e all’impennata hanno contribuito varianti del virus respiratorio sinciziale (VRS), responsabile della malattia. Lo suggeriscono i risultati di uno studio condotto dai virologi della Sapienza di Roma in collaborazione con il Dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato dal Journal of Infection,
La bronchiolite è una malattia spesso associata all’infezione da VRS che può causare insufficienza respiratoria soprattutto nei bambini con età inferiore a un anno. È importante riuscire a comprendere perché alcuni di loro sviluppino forme cliniche molto gravi e tali da richiedere l’ospedalizzazione e ricovero in terapia intensiva. La caratterizzazione di questi casi, inclusa l’individuazione di ceppi virali che provocano un decorso severo dell’infezione, è di fondamentale importanza per una migliore gestione clinica e terapeutica dei pazienti e per l’utilizzo mirato di misure profilattiche già disponibili o disponibili a breve, come anticorpi monoclonali e vaccini anti-VRS.
La ricerca, finanziata da un progetto Ccm del ministero della Salute, ha analizzato i casi ospedalizzati per bronchiolite presso i reparti del Dipartimento Materno Infantile del Policlinico Umberto I nelle stagioni pre-pandemiche, durante e dopo la pandemia, utilizzando i dati della piattaforma di sorveglianza RespiVirNet dell’Iss.
I risultati hanno dimostrato che nell’autunno 2021 si è verificato un numero di ospedalizzazioni per bronchiolite da VRS quasi doppio rispetto ai periodi pre-pandemici, probabilmente per effetto dell’allentamento delle misure di contenimento del virus. La malattia è stata causata principalmente da ceppi di VRS sottotipo A, che circolavano anche prima della pandemia di COVID-19, e la gravità è stata simile a quella delle stagioni precedenti. Diversamente, le ospedalizzazioni per bronchiolite del 2022-2023, in numero simile all’anno precedente, sono state principalmente causate da nuove varianti genetiche di VRSVù sottotipo B, associate a una maggiore severità della malattia se confrontata a quella delle stagioni precedenti, soprattutto per l’elevata necessità di supporto respiratorio e di ricovero in terapia intensiva.
“Un punto di forza delle nostre ricerche – spiega Guido Antonelli della Sapienza – è quello di aver svolto un’analisi virologica dettagliata su un numero elevato di pazienti pediatrici ospedalizzati per bronchiolite durante le ultime sei stagioni invernali dal 2018-2019 al 2022-2023. In tutti i bambini ricoverati, è stata eseguita la caratterizzazione molecolare e il sequenziamento del ceppo di VRS e una analisi statistica dettagliata dei dati demografici e clinici associati ad un maggiore rischio di forme gravi di bronchiolite.”
“Il nostro studio – spiegano Alessandra Pierangeli e Carolina Scagnolari, coordinatrici della ricerca condotta in stretta collaborazione con il gruppo di pediatri diretti da Fabio Midulla e il coordinamento del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità diretto da Anna Teresa Palamara – aggiunge nuovi elementi alla comprensione dei meccanismi patogenetici associati alle varianti di VRS circolanti nel periodo post-pandemico. In effetti sembra che la maggiore severità della patologia e l’aumento degli ingressi in terapia intensiva riscontrato nei casi di VRS sottotipo B, nel 2022-2023 non sono spiegabili solo dal debito immunitario associato ai periodi di lockdown”.
“Lo studio – sottolinea Palamara – evidenzia la necessità di rafforzare la sorveglianza epidemiologica a livello nazionale di VRS, così come degli altri virus respiratori circolanti soprattutto nei mesi invernali, e di progetti di sequenziamento genomico integrati da studi che possano monitorare infettività e patogenicità delle varianti virali. Attraverso dati come quelli evidenziati da questo studio è possibile prevedere l’intensità dei picchi stagionali di casi di bronchiolite allo scopo di razionalizzare le risorse sanitarie”.
Riferimenti:
Genetic diversity and its impact on disease severity in respiratory syncytial virus subtype-A and -B bronchiolitis before and after pandemic restrictions in Rome – A. Pierangeli, R. Nenna, M. Fracella, C. Scagnolari, G. Oliveto, L. Sorrentino, F. Frasca, M.G. Conti, L. Petrarca, P. Papoff, O. Turriziani, G. Antonelli, P. Stefanelli, A.T. Palamara, F. Midulla – Journal of Infectionhttps://doi.org/10.1016/j.jinf.2023.07.008
Lanciato verso la Stazione Spaziale Internazionale l’esperimento ZePrion, che avrà il compito di confermare il meccanismo molecolare alla base di un innovativo protocollo farmaceutico per contrastare le malattie da prioni. Sviluppato da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui le scienziate e gli scienziati italiani delle università di Milano-Bicocca e Trento, della Fondazione Telethon, dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBBA), l’esperimento potrebbe avere ricadute importanti anche per altre malattie.
Lancio di NG-19 con l’esperimento ZePrion. Foto NASA
Un esperimento lanciato con successo oggi, mercoledì 2 agosto 2023, verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), potrebbe portare ad una validazione del meccanismo di funzionamento di un protocollo del tutto innovativo per lo sviluppo di nuovi farmaci contro gravi malattie neurodegenerative e non solo. Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge diversi istituti accademici e l’azienda israeliana SpacePharma, l’esperimento ZePrion vede un fondamentale contributo dell’Italia attraverso l’Università Milano-Bicocca, l’Università di Trento, la Fondazione Telethon, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBBA). Decollato con la missione spaziale robotica di rifornimento NG-19 dalla base di Wallops Island, in Virginia (USA), ZePrion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico). L’arrivo di NG-19 e ZePrion sulla ISS è previsto per venerdì 4 agosto, quando in Italia saranno all’incirca le 8:00.
Il successo dell’esperimento ZePrion fornirebbe un possibile modo per confermare il meccanismo molecolare alla base di una nuova tecnologia di ricerca farmacologica denominata Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting (PPI-FIT), sviluppata da due ricercatori delle Università Milano-Bicocca e di Trento e dell’INFN. L’approccio PPI-FIT si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale.
“La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili”,
spiega Pietro Faccioli, professore dell’Università Milano-Bicocca, ricercatore dell’INFN, coordinatore dell’esperimento e co-inventore della tecnologia PPI-FIT.
Un tassello finora mancante per la validazione della tecnologia è la possibilità di ottenere un’immagine ad alta risoluzione del legame tra le piccole molecole terapeutiche e le forme intermedie delle proteine bersaglio (quelle che si manifestano durante il ripiegamento), in grado di confermare in maniera definitiva l’interruzione del processo di ripiegamento stesso. In genere, questo tipo di immagine viene ottenuta analizzando con una tecnica chiamata cristallografia a raggi X cristalli formati dal complesso ligando-proteina. Nel caso degli intermedi proteici, però, gli esperimenti necessari non sono realizzabili all’interno dei laboratori sulla Terra, in quanto la gravità genera effetti che interferiscono con la formazione dei cristalli dei corpuscoli composti da ligando e proteina, quando questa non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva. Questo ha spinto le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione ZePrion a sfruttare la condizione di microgravità che la Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione.
“Esiste infatti chiara evidenza che la microgravità presente in orbita fornisca condizioni ideali per la creazione di cristalli di proteine”, illustra Emiliano Biasini, biochimico dell’Università di Trento e altro co-inventore di PPI-FIT, “ma nessun esperimento ha provato fino ad ora a generare cristalli di complessi proteina-ligando in cui la proteina non si trovi in uno stato definitivo”.
Esattamente quanto si propone di fare l’esperimento ZePrion, lavorando in modo specifico sulla proteina prionica, balzata tristemente agli onori della cronaca negli anni Novanta durante la crisi del ‘morbo della mucca pazza’. Questa malattia è infatti causata da una forma alterata della proteina prionica chiamata prione, coinvolta in gravi malattie neurodegenerative dette appunto ‘da prioni’ tra le quali la malattia di Creutzfeld-Jakob o l’insonnia fatale familiare.
“Anche grazie al sostegno di Fondazione Telethon, che da sempre supporta le mie ricerche per individuare nuove terapie contro queste malattie, abbiamo l’opportunità di validare del meccanismo di funzionamento della tecnologia PPI-FIT, che potrebbe rappresentare veramente un punto di svolta in questo settore”, aggiunge Biasini.
“In orbita sarà possibile generare cristalli formati da complessi tra una piccola molecola e una forma intermedia della proteina prionica, che in condizioni di gravità ‘normale’ non sarebbero stabili. Questi cristalli potranno poi essere analizzati utilizzando la radiazione X prodotta con acceleratori di particelle, per fornire una fotografia tridimensionale del complesso con un dettaglio di risoluzione atomico. Campioni non cristallini ottenuti alla SSI verranno inoltre analizzati per Cryo-microscopia Elettronica di trasmissione (Cryo/EM)”, sottolinea Pietro Roversi, ricercatore CNR-IBBA.
ZePrion si compone di un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura (lab-in-a-box) realizzato da SpacePharma, che opererà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e verrà controllato da remoto. Oltre alla componente italiana, la collaborazione ZePrion si avvale della partecipazione delle scienziate e degli scienziati dell’Università di Santiago di Compostela.
Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.
Gli adolescenti italiani dopo la pandemia nella fotografia dell’ISS: 1 giovane su 2 ha dichiarato un effetto positivo nei rapporti famigliari, ma 2 su 5 ne hanno riconosciuto gli effetti negativi sulla salute mentale.
La fotografia dei comportamenti degli adolescenti italiani nel periodo post pandemia è stata scattata dalla VI rilevazione 2022 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena, con il supporto del Ministero della Salute, la collaborazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito e tutte le Regioni e Aziende Sanitarie Locali.
In calo l’abitudine alla prima colazione e all’attività fisica quotidiana, in crescita l’uso problematico dei social media.
I giovani hanno una discreta percezione della loro qualità di vita, anche se inferiore rispetto agli anni passati e maggiore tra i ragazzi rispetto alle ragazze. Nel complesso, gli adolescenti italiani si sentono supportati da amici e compagni di classe, si fidano degli insegnanti ma sono spesso stressati dagli impegni scolastici. Un adolescente su due ha dichiarato un impatto positivo della pandemia sui propri rapporti familiari e due su cinque sul rendimento scolastico. Pur dichiarando, sempre due adolescenti su cinque, che la propria salute mentale e la propria vita in generale ne abbianorisentitonegativamente.
<<La sorveglianza degli stili di vita dei nostri ragazzi e ragazze è, oggi, particolarmente preziosa – afferma Silvio Brusaferro, Presidente dell’ISS – perché ci aiuta ad intercettare fenomeni nuovi, come il cyberbullismo legato all’uso dei social media, dai quali dipendono in modo significativo la loro salute e la loro qualità di vita >>.
Abitudini alimentari e stili di vita possono migliorare: il consumo quotidiano della prima colazione diminuisce al crescere dell’età, specie tra le ragazze, e meno di un giovane su 10 svolge attività fisica tutti i giorni. Quasi tutti si relazionano tra loro attraverso i social media, un fenomeno in crescita ma non esente da criticità: il 17% delle ragazze (che arrivano al 20% tra le 15enni, quindi una su cinque) e il 10% dei ragazzi ne fanno un uso problematico con conseguenze negative sul loro benessere fisico e psicologico. Permangono comportamenti a rischio, quali l’assunzione di alcol, in aumento tra le ragazze (una su cinque tra le 15enni si è ubriacata almeno due volte nella vita), l’abitudine al fumo di sigaretta che vede ancora prevalere le ragazze (29% vs 20% dei ragazzi di 15 anni) e la propensione al gioco d’azzardo, che invece è un fenomeno prettamente maschile (il 47,2% dei ragazzi e il 21,5% delle ragazze 15enni hanno scommesso o giocato del denaro almeno una volta nella vita).
La fotografia dei comportamenti degli adolescenti italiani nel periodo post pandemia è stata scattata dalla VI rilevazione 2022 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena, con il supporto del Ministero della Salute, la collaborazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito e tutte le Regioni e Aziende Sanitarie Locali. La ricerca, che viene condotta ogni quattro anni, ha permesso inoltre un confronto con lo stato di salute di un gruppo analogo di adolescenti nel 2017/2018 consentendo così una stima degli effetti sul loro stato di salute e sui comportamenti ad esso legati.
L’indagine ha coinvolto un campione rappresentativo in tutte le Regioni di giovani di 11, 13, 15 e, per la prima volta quest’anno, di 17 anni. Per un totale di oltre 89.000 ragazzi e ragazze, più di 6.000 classi e più di 1800 istituti scolastici. I dati raccolti consentono all’Italia di essere rappresentata nel network internazionale HBSC, patrocinato dall’OMS, che conta più di 50 Paesi tra l’Europa e il Nord America.
I risultati della raccolta dati 2022 vengono illustrati oggi nell’Aula Pocchiari dell’ISS alla presenza dei referenti regionali e aziendali che hanno coordinato a livello locale le attività di raccolta dati e alla presenza di alcune delle più importanti Società Scientifiche, Federazioni e Ordini professionali che da anni si occupano della salute dei ragazzi e delle ragazze.
Salute e benessere
La percentuale di ragazzi che si reputano in buona salute è sensibilmente in calo rispetto al 2017/2018. In entrambi i generi, la percezione di ‘buona’ salute diminuisce all’aumentare dell’età, risultando più bassa tra le ragazze rispetto ai coetanei maschi sin dagli 11 anni: 91% vs 93% in femmine e maschi undicenni, rispettivamente, fino a 75% vs 89% nei quindicenni. Analogamente, meno della metà delle ragazze di 13 e 15 anni pensa di avere un buon benessere psicologico (43% e 32%, rispettivamente), a fronte del 73% e 64% dei coetanei maschi.
Il 49% dei ragazzi e il 74% delle ragazze riferisce di presentare almeno due dei seguenti sintomi – mal di testa, di stomaco, di schiena, sentirsi giù di morale, irritabilità, nervosismo, giramenti di testa e difficoltà nell’addormentamento – più di una volta a settimana negli ultimi sei mesi, dato in crescita rispetto ai dati 2017/2018. Le ragazze riferiscono più sintomi rispetto ai coetanei con un andamento crescente per età. Complessivamente, il 62% dei ragazzi dichiara di aver fatto ricorso a farmaci per almeno uno dei sintomi riferiti, e tra le ragazze il loro utilizzo cresce all’aumentare dell’età.
Alimentazione e stato ponderale
Sulla base di quanto auto-dichiarato, il 18,2% dei ragazzi di 11, 13 e 15 anni è in sovrappeso e il 4,4% obeso; l’eccesso ponderale diminuisce lievemente con l’età, è maggiore nei maschi e nelle Regioni del Sud. Rispetto alla precedente rilevazione, effettuata nel 2017/2018, tali valori risultano in aumento per entrambi i generi (17% sovrappeso e 3% obeso).
Tra i comportamenti alimentari scorretti, permane l’abitudine di non consumare la colazione nei giorni di scuola, con prevalenze che vanno dal 21% a 11 anni, al 27,9% a 13 anni e al 29,6% a 15 anni; tale percentuale è maggiore nelle ragazze in tutte le fasce d’età considerate ed è sostanzialmente stabile rispetto al passato.
Solo un terzo dei ragazzi consuma frutta almeno una volta al giorno (lontano dalle raccomandazioni) con valori migliori tra le ragazze e nella fascia d’età degli 11enni. Il consumo di verdura almeno una volta al giorno è raggiunto da solo un adolescente su quattro ed è maggiore nelle ragazze.
Le bibite zuccherate/gassate sono consumate più dai maschi in tutte e tre le fasce d’età considerate (le consumano almeno una volta al giorno: il 14,4% degli undicenni; il 14,5% dei tredicenni; il 12,6% dei quindicenni). Il trend, in discesa dal 2010 al 2018, subisce un arresto in quest’ultima rilevazione.
Attività fisica e sedentarietà
Siamo lontani dalla realizzazione delle raccomandazioni dell’OMS, per cui i giovani tra i 5 e i 17 anni dovrebbero svolgere quotidianamente almeno 60 minuti di attività motoria moderata-intensa, svolgere almeno tre volte a settimana attività fisica intensa e contemporaneamente ridurre i livelli di sedentarietà.
Dai dati emerge che meno di un adolescente su 10 svolge almeno 60 minuti al giorno di attività motoria moderata-intensa e questa abitudine diminuisce all’aumentare dell’età. In ogni classe di età si rilevano differenze di genere rispetto all’attività motoria moderata-intensa, con frequenze maggiori nei maschi. Rispetto alla rilevazione del 2017/2018 si evidenzia una lieve riduzione della percentuale di giovani che svolge ogni giorno almeno 60 minuti di attività fisica moderata-intensa (8,2% vs 10%). La metà dei giovani – in maggioranza ragazzi – svolge, almeno tre volte a settimana, attività fisica intensa. Relativamente ai comportamenti sedentari, con l’aumentare dell’età sia ragazzi che ragazze passano più tempo sui social network e a guardare DVD in TV e video su TV e You Tube, mentre dai 13 ai 15 anni diminuisce il tempo dedicato ai videogiochi. Le ragazze, in ogni fascia d’età, trascorrono meno tempo a giocare ai videogiochi rispetto ai loro coetanei maschi, ma dedicano più tempo ai social media.
Fumo, alcol, cannabis e gioco d’azzardo
La quota di adolescenti che dichiara di aver fumato almeno un giorno nell’ultimo mese aumenta con l’età, passando dall’1% a 11 anni, all’8% a 13, al 24% a 15 anni. Le ragazze di 15 anni fumano di più rispetto ai coetanei maschi: il 29% delle ragazze (erano il 32% nel 2017/2018) rispetto al 20% dei ragazzi (25% nel 2017/2018) ha fumato almeno un giorno nell’ultimo mese.
L’11% dei 15enni (16% nel 2017/2018) e il 10% delle coetanee femmine dichiara di aver fatto uso di cannabis nel corso degli ultimi 30 giorni.
Per quanto riguarda il fenomeno di abuso di sostanze alcoliche, si evidenzia un aumento rispetto al passato tra le ragazze di 15 anni che dichiarano di essersi ubriacate almeno due volte nella vita: nel 2022 la quota raggiunge il 21% fra le femmine e scende al 16% fra i maschi, laddove lo aveva riportato il 16% delle 15enni sia nel 2017/2018 che nel 2014, e il 19 e 20%, rispettivamente, dei coetanei maschi).
Il gioco d’azzardo si conferma un fenomeno prevalentemente maschile. La quota di quindicenni che ha dichiarato di aver scommesso o giocato del denaro almeno una volta nella vita è pari al 47,2% dei ragazzi rispetto al 21,5% delle ragazze. La percentuale di giocatori d’azzardo negli ultimi 12 mesi è del 37,5% dei ragazzi rispetto al 14% delle ragazze. Risultati in netta riduzione per i ragazzi rispetto al 2017/2018 quando il 62,5% aveva giocato una volta nella vita e il 50,3% aveva giocato una volta negli ultimi 12 mesi.
Il rapporto tra pari, il contesto scolastico, il bullismo e il cyberbullismo
La maggioranza degli adolescenti non ama la scuola. Solo il 13% dei ragazzi, con proporzioni leggermente maggiori per le ragazze e per i più piccoli, dichiara di apprezzare la scuola. Percentuale che scende drammaticamente al 6% tra i 15enni. All’incirca il 75% dei ragazzi si sente accettato dai propri insegnanti ma solo la metà si fida molto di loro (55%) e percepisce da parte dei professori un vero interessenei propri confronti (49%), con un trend in riduzione al crescere delle età. Di contro, circa la metà degli 11enni si sente molto stressato dagli impegni scolastici per crescere al 60% e al 78% rispettivamente nei ragazzi e nelle ragazze di 15 anni.
In merito ai rapporti con i pari, il 60% dei giovani dichiara di avere amici disponibili e circa il 70% di sentirsi accettato per come è.
Nei comportamenti relazionali più critici, invece, il bullismo sembra mantenere le sue peculiarità senza importanti variazioni. La sua occorrenza si colloca intorno al 15% complessivamente e decresce con l’aumentare dell’età, con proporzioni del 19% tra gli undicenni, il 16% nei tredicenni e poco più del 9% tra i 15enni. Analoghe proporzioni si osservano per il cyberbullismo, più frequente nelle ragazze (17% contro 13%) e nelle età più giovani: 19% a 11 anni, 16% a tredici e 10% a 15 anni.
Il contesto familiare
I dati evidenziano che i nuclei familiari maggiormente presenti sono le famiglie di tipo tradizionale, che rappresentano l’82% e l’81% delle famiglie rispettivamente nelle regioni del Nord e del Sud, mentre sono leggermente inferiori nelle regioni del Centro (79%).
Per quanto riguarda la comunicazione all’interno della famiglia, i dati HBSC confermano che al crescere dell’età diminuisce la facilità con cui i ragazzi si aprono ad entrambi i genitori. Le ragazze 13enni e 15enni, rispetto ai ragazzi coetanei, hanno una maggiore difficoltà a parlare con la figura paterna. In generale la madre rappresenta la figura di riferimento con cui i ragazzi e le ragazze comunicano maggiormente.
Si fanno più difficili i rapporti in famiglia. Il 68% dei ragazzi e il 60% delle ragazze percepisce una famiglia capace di sostenerli ed aiutarli nel prendere decisioni, di dare loro un supporto emotivo quando ne hanno bisogno, e di prestare ascolto ai loro problemi. Negli adolescenti 15enni però questa percentuale scende al 52% nelle ragazze ed al 61% nei ragazzi, evidenziando un trend negativo rispetto alla rilevazione del 2017/18 (67% nelle ragazze e 70% nei ragazzi).
L’uso problematico dei social media
La diffusione e l’uso dei social media richiede un’attenzione particolare. Se è vero che un uso responsabile può avere degli effetti positivi, l’uso problematico comporta conseguenze negative sul benessere fisico e psicologico dei giovani. I risultati mostrano che i giovani che fanno uso problematico dei social media sono il 16,9% delle ragazze e il 10,3% dei ragazzi. Tra le ragazze di 15 anni, la prevalenza arriva a superare il 20%.
Rispetto ai dati del 2017/2018, si può osservare un incremento di tale uso, soprattutto tra le ragazze, per cui la prevalenza aumenta del 5% (da 11,8% a 16,9%, rispetto ai ragazzi che passano dal 7,8% al 10,3%).
Le abitudini sessuali
Il 20% dei 15enni (21,6% maschi vs 18,4% femmine) dichiara di aver avuto rapporti sessuali completi. Il 66% dei ragazzi e delle ragazze che hanno avuto rapporti sessuali completi hanno dichiarato di aver usato il condom come contraccettivo, l’11,9% la pillola e il 56,3% il coito interrotto. Il 12,6% dichiara essere ricorso alla contraccezione di emergenza. La sezione riguardante le abitudini sessuali è stata rivolta solamente alla fascia dei 15enni e dei 17enni.
Sezione Covid (novità raccolta dati 2022)
Tra le novità dell’indagine 2022 vi è l’inserimento di una sezione dedicata all’impatto che la pandemia di COVID-19 ha avuto su vari aspetti della vita dei ragazzi e delle ragazze, quali sono state le loro principali fonti di informazione relative al COVID-19 e le misure di protezione adottate.
Il questionario ha indagato l’impatto che le misure di distanziamento quali lockdown, chiusure scolastiche, apprendimento a distanza (DAD), chiusura di palestre/piscine/centri sportivi dovute alla pandemia, hanno avuto sulla vita dei giovani. I dati mostrano un effetto positivo sui rapporti dei ragazzi e delle ragazze con le loro famiglie e sul rendimento scolastico, mentre negativo sulla vita nel suo insieme e sulla loro salute mentale (gestione delle emozioni, stress). Il 54% degli adolescenti dichiara un impatto positivo della pandemia sui rapporti famigliari e il 42% sul rendimento scolastico, mentre il 41% ritiene che la propria salute mentale ne abbia risentito negativamente, così come il 37% la propria vita in generale. In particolare, l’effetto positivo sulle relazioni familiari decresce con l’età, dal 67% degli undicenni al 45% dei diciassettenni, e tra gli undici e i quindici anni è prevalentemente maschile, mentre nei più grandi non si osservano differenze di genere. Anche sull’impatto positivo del rendimento scolastico si registra lo stesso andamento per età, dal 50% dei più giovani al 37% dei diciassettenni, senza sostanziali differenze tra maschi e femmine. L’effetto negativo è invece un fenomeno soprattutto femminile e crescente con l’età. Riguardo la domanda sulla propria salute mentale, il 52% delle ragazze dichiara un impatto negativo a fronte del 31% dei ragazzi, e si osserva tale risposta nel 29% degli undicenni (33% delle femmine e 25% dei maschi) e nel 53% dei diciassettenni (66% e 41%, rispettivamente).
Le principali fonti di informazione sulla pandemia sono state giornali e TV (55%), la famiglia (47%) e i social media (47%).
Tra le misure di prevenzione igienico-sanitarie, l’87% degli intervistati ha dichiarato di aver utilizzato spesso o sempre la mascherina (91% delle ragazze e 83% dei ragazzi) e il 73% di essersi lavato regolarmente le mani (78% vs 68%), mentre tra le misure di distanziamento sociale prevalgono l’essere rimasti a casa in presenza di sintomi (75%) e l’aver evitato contatti a rischio (66%). Eccetto che per i contatti a rischio, per tutte le altre misure di prevenzione si evidenzia una diminuzione dell’adesione con il crescere dell’età.
17 enni (novità raccolta dati 2022)
I ragazzi e le ragazze di 17 anni sono stati coinvolti per la prima volta nella rilevazione HBSC 2022 poiché il DPCM del maggio 2017 ha esteso la sorveglianza sugli adolescenti anche a questa fascia d’età che, per competenze relazionali e cognitive nonché differenze legate allo sviluppo corporeo, si differenzia notevolmente dai ragazzi di 11, 13 e 15 anni. Per tale motivo, la descrizione delle loro caratteristiche e dei loro stili di vita è stata volutamente trattata separatamente.
L’eccesso ponderale a questa età è pari al 19,3% (15,9% sovrappeso e 3,9% obesità) ed è sensibilmente maggiore nei maschi (maschi sovrappeso e obesi: 19,8% e 3,9% vs femmine: 11,7% e 2,8%). Circa un diciassettenne su due consuma tutti i giorni la prima colazione con valori lievemente inferiori tra le ragazze. Le ragazze consumano, più dei ragazzi, frutta e verdura almeno una volta al giorno (32% consumo di frutta e 36% consumo di verdura vs frutta 29% e verdura 24%).
L’attività fisica quotidiana è nettamente maggiore tra i maschi (7,1% vs 3%); per contro le ragazze a questa età passano più tempo davanti agli schermi.
Circa un ragazzo su tre e due ragazze su cinque hanno dichiarato di aver fumato almeno un giorno negli ultimi 30 giorni. Il consumo di alcol almeno una volta negli ultimi 30 giorni (7 ragazzi/e su 10) ha differenze di genere meno marcate.
L’83% delle ragazze e il 78% dei ragazzi dichiara di non aver mai fumato cannabis negli ultimi 30 giorni.
La percezione del proprio stato di salute come “eccellente/buono” è maggiore tra i maschi (86,7%) rispetto alle ragazze (72,6%).
Il 39,3% ha giocato d’azzardo almeno una volta nella vita con marcate differenze di genere (maschi 57,6% vs femmine 20,2%).
Rispetto ai comportamenti sessuali, il 43% ha dichiarato di aver avuto rapporti sessuali completi (42,5% maschi e 43,6% femmine). Il 61% dei ragazzi e delle ragazze che hanno avuto rapporti sessuali completi hanno dichiarato di aver usato il condom come contraccettivo, il 15,9% la pillola e il 57% il coito interrotto. Il 9% dichiara essere ricorso alla contraccezione di emergenza.
Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino
Ovospace: l’esperimento della Sapienza in collaborazione con la Nasa e l’ASI per svelare gli effetti della microgravità sui meccanismi legati alla fertilità e alla riproduzione
L’esperimento è stato lanciato tramite razzo vettore sulla International Space Station per osservare gli effetti della microgravità sulle funzioni endocrine di cellule ovariche bovine. I risultati serviranno a comprendere alcuni aspetti della riproduzione sulla Terra, ma anche in vista di missioni spaziali di lunga durata ed eventuali insediamenti umani in altri pianeti.
Il 7 novembre alle ore 5.35 del mattino sulla costa est degli USA, è stato lanciato con successo il razzo NG-18/Antares dalla base NASA Wallops Flight Facility (Virginia).
Il razzo vettore ha lanciato la navicella Cygnus che ha portato sulla International Space Station rifornimenti e alcuni esperimenti scientifici. Fra questi, l’esperimento del progetto OVOSPACE, finanziato e coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e ideato da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza guidati da Mariano Bizzarri.
OVOSPACE ha l’obiettivo di studiare l’effetto della microgravità sulle funzioni endocrine di due tipi di cellule ovariche bovine: cellule della teca e cellule della granulosa, responsabili della produzione di androgeni e della loro trasformazione in estrogeni, allo scopo di supportare la maturazione dell’ovocita e quindi la fertilità. Nei laboratori messi a disposizione dalla Eastern Virginia Medical School (EVMS) di Norfolk, Virginia, il team Sapienza composto da Andrea Fuso e da Valeria Fedeli, Noemi Monti e Tiziana Raia ha allestito l’esperimento collocando le cellule in un “MiniLab” in grado di garantire la sopravvivenza delle cellule in maniera automatizzata. Il MiniLab, ovvero il cosiddetto “hardware di volo”, è stato sviluppato da Aerospace Laboratory for Innovative Components S.c.a.r.l. (ALI Scarl) i cui tecnici erano anche presenti presso l’EVMS per l’assemblaggio ed i controlli. Dopo 72 ore dall’arrivo sulla ISS, le cellule saranno “fissate” sempre grazie al MiniLab in attesa del loro rientro sulla terra, a gennaio, per eseguire le analisi molecolari previste.
L’esperimento in orbita aiuta a comprendere il coinvolgimento di fattori biofisici sul processo di maturazione dell’ovocita. I risultati di OVOSPACE avranno un ruolo chiave per la salute e la riproduzione umana sulla terra ma anche in ottica di missioni spaziali di lunga durata e insediamenti umani in altri pianeti.
Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Covid-19: durante il lockdown sintomi depressione per 5 persone su 10, giovani e donne i più colpiti
In Italia durante il lockdown l’88,6% delle persone sopra i 16 anni ha sofferto di stress psicologico e quasi il 50% di sintomi di depressione, con le persone più giovani, le donne e i disoccupati che si sono rivelati più a rischio. Sono questi i risultati di una survey condotta dall’Iss e dall’Unità di Biostatistica Epidemiologia e Sanità Pubblica del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità pubblica dell’Università degli Studi di Padova, appena pubblicata dalla rivista Bmj Open.
Lo studio si basa su interviste somministrate via web attraverso il portale del progetto (www.prestoinsieme.com). In totale hanno risposto alla survey 5008 persone, di età media 37 anni e in prevalenza donne (63%).
Ecco i risultati principali:
l’88,6% del campione ha lamentato sintomi di stress psicologico, più frequente nelle donne (il 63% di chi ha avuto il sintomo era donna) e nei disoccupati.
metà dei soggetti hanno sofferto di sintomi depressivi moderati (il 25,5%) o gravi (il 22%). Le giovani donne hanno mostrato una maggiore probabilità di sintomi gravi.
il 23,3% ha mostrato un impatto psicologico moderato o severo. Anche in questo caso le donne e i giovani sono emersi come i gruppi più a rischio.
in generale si è assistito ad una diminuzione della qualità della dieta, con un consumo meno frequente di latticini, frutta e verdura, e, in particolare per soggetti con sintomatologia depressiva, un incremento dei consumi di cibi ricchi di grassi e zuccheri.
“Questi risultati – concludono gli autori – possono essere utili nella valutazione complessiva delle risposte a nuovi outbreaks pandemici, perché forniscono indicazioni sulla necessità di implementare programmi pubblici di supporto psicologico per la comunità a fianco delle misure per il controllo pandemico. Questi dati sono anche per valutare quali sono le ricadute a livello di salute pubblica, potenzialmente a lungo termine, sulla popolazione, nel caso debba affrontare lunghi periodi di stress o costrizione. La conoscenza e consapevolezza dei possibili effetti di una pandemia anche su chi non subisce direttamente il trauma della malattia, può comunque avere delle conseguenze a medio e lungo termine su ampie fasce di cittadini. Il fatto che si assista anche ad un cambiamento in senso peggiorativo di abitudini alimentari, ci pone di fronte all’evidenza che alti livelli di stress portano al bisogno di nutrirsi in modo “consolatorio”. L’aumento di zuccheri e grassi nella dieta quotidiana, per periodi di tempo lunghi, va ad appesantire il nostro metabolismo e ha conseguenze nello stato di salute delle persone più fragili. I risultati di una cattiva alimentazione, l’aumento di peso o l’insorgere di malattie connesse, si ripercuotono anche a livello psicologico. Agire preventivamente nell’educazione alimentare, aiuta sicuramente ad arginare le conseguenze di periodi di stress, individuali o comunitari, che registrano un costo sociale”.
Covid-19: durante il lockdown sintomi depressione per 5 persone su 10, giovani e donne i più colpiti. Foto di Sasin Tipchai
Testo dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova
CHI VACILLA NELLA DECISIONE DI VACCINARSI CONTRO IL COVID-19? COMPORTAMENTO OPPORTUNISTICO E RILUTTANZA A VACCINARSI
In uscita nel prossimo volume di «Preventive Medicine» uno studio del gruppo COMIT (COvid Monitoring in Italy) sull’incertezza di fronte alla vaccinazione contro il COVID-19 in un campione rappresentativo della popolazione italiana. Identificare chi è più incerto nelle proprie intenzioni consente di pianificare strategie specifiche per migliorare l’adesione vaccinale.
Chi vacilla nella decisione di vaccinarsi contro il COVID-19? Immagine di Gerd Altmann
L’indagine è parte di uno studio multinazionale in corso in 30 paesi europei promosso e coordinato dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per monitorare la conoscenza, la percezione del rischio, la fiducia e i comportamenti preventivi durante la pandemia di COVID-19. In Italia il progetto è stato denominato COMIT (COvid Monitoring in Italy) ed è coordinato da Giovanni de Girolamo dell’IRCSS Fatebenefratelli di Brescia, da Gemma Calamandrei dell’Istituto Superiore di Sanità e da Fabrizio Starace dell’AUSL di Modena, che si sono avvalsi della collaborazione di Lorella Lotto del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova. La recente pubblicazione riguarda i dati raccolti in un campione di 5.006 partecipanti arruolati tra gennaio e febbraio 2021 e si è concentrata sui fattori in grado di predire l’indecisione nei confronti della vaccinazione contro il COVID-19.
Come racconta Giovanni de Girolamo – psichiatra responsabile dell’Unità Operativa di Psichiatria Epidemiologica e Valutativa dell’IRCCS Fatebenefratelli “Quando l’ufficio regionale Europeo dell’OMS ha promosso questo studio mi sono subito impegnato per promuoverlo anche in Italia perché era essenziale valutare le problematiche psicosociali innescate dalla pandemia da COVID-19. La parte italiana dello studio, che abbiamo chiamato COMIT (COvid Monitoring in Italy), è stata possibile grazie ad un finanziamento della Fondazione CARIPLO e dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, che hanno consentito di reclutare un campione rappresentativo della popolazione italiana; il campionamento e la rilevazione sono stati effettuati dalla Doxa, azienda leader nel campo delle indagini sociali. Si tratta di un progetto ampio e questo è il primo di una serie di risultati interessanti al quale ha portato, grazie anche alla collaborazione con esperti multidisciplinari.”
Lorella Lotto
“Fin dalle prime fasi della campagna vaccinale ci siamo chiesti quanto fosse solida l’intenzione di vaccinarsi nella popolazione e chi sarebbe stato più a rischio di ripensamenti o di ritardare la vaccinazione” – spiega Lorella Lotto, professoressa ordinaria del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova, che con il gruppo di ricerca del JDM Lab (Judgement and Decision Making Laboratory) si occupa da tempo di studiare i processi di decisione in molteplici ambiti, incluso l’ambito vaccinale.
Marta Caserotti
Del gruppo di ricerca fanno parte anche le prime autrici del lavoro Marta Caserotti (assegnista di ricerca) e Teresa Gavaruzzi (ricercatrice) dell’Università di Padova che spiegano:
“Pensando all’evoluzione dei contagi e della campagna vaccinale, due aspetti potevano contribuire a fare “vacillare” le persone relativamente all’intenzione di vaccinarsi: da una parte avevamo ipotizzato che coloro che si contagiano sviluppando sintomi lievi potessero sottovalutare la potenziale gravità della malattia. Dall’altra, prosegue Caserotti, abbiamo ipotizzato che l’aumento della copertura vaccinale nella popolazione, comportando una riduzione nella circolazione del virus, potesse ridurre la percezione del rischio in coloro che nutrivano dubbi riguardo alla vaccinazione e che, in modo più o meno intenzionale, ciò potesse portare ad ‘approfittare’ opportunisticamente del comportamento altrui, sfruttando la cosiddetta ‘immunità di gregge’”.
Teresa Garavuzzi
“I risultati principali dello studio, che ha coinvolto oltre 5.000 Italiani, hanno messo in luce i fattori che predicono l’incertezza nei riguardi della vaccinazione.” Come illustra Gavaruzzi – “I risultati di una serie di modelli statistici (di cui si è occupato Paolo Girardi, ricercatore dell’Università di Padova) dimostrano che sia coloro che propendono per un atteggiamento opportunistico sia coloro che si dicono riluttanti a vaccinarsi nel caso dovessero risultare positivi al COVID-19 sono maggiormente propensi nei confronti della vaccinazione quando sono: più favorevoli in generale alle vaccinazioni, adottano le misure di salute pubblica raccomandate, hanno fiducia nelle fonti istituzionali che si occupano di problemi sanitari (Ministero della Salute, ISS, OMS), e hanno maggiori capacità di resilienza (hanno cioè maggiori capacità di fronteggiare eventi stressanti). Invece ‘vacillano’ maggiormente coloro che si avvalgono spesso o molto spesso di informazioni provenienti dai media e tendono a spiegare gli eventi attraverso teorie di tipo cospirazionista. Inoltre, le donne e le persone più giovani sono più riluttanti a vaccinarsi nel caso in cui dovessero risultare positivi al COVID-19, mentre chi ha un’elevata scolarizzazione tende ad essere meno propenso ad approfittare della vaccinazione altrui.”
Gli autori concludono che “questi risultati possono essere visti come pezzi di un puzzle complesso nel quale non si possono ignorare gli aspetti psicologici” e si augurano che “il monitoraggio dell’esitazione vaccinale e dei suoi determinanti psicologici possano entrare a fare parte della normale pianificazione sanitaria, al di là della pandemia, in modo da consentire interventi mirati e tempestivi nel caso di nuovi eventi epidemici.”
Titolo: “Who is likely to vacillate in their COVID-19 vaccination decision? Free-riding intention and post-positive reluctance” «Preventive Medicine» – 2022.
Autori: Marta Caserotti*a, Teresa Gavaruzzi*a, Paolo Girardia, Alessandra Tassob, Chiara Buizzac, Valentina Candinic, Cristina Zarboc, Flavia Chiarottid, Sonia Brescianinid, Gemma Calamandreid, Fabrizio Staracee, Giovanni de Girolamo*c, Lorella Lotto*a(*stesso contributo)
Affiliazioni: aUniversità di Padova; bUniversità di Ferrara; cIRCSS Fatebenefratelli; dIstituto Superiore di Sanità; eAUSL Modena.
Che fine fanno le zanzare d’inverno? Una task force italiana guidata dal Dipartimento di Sanità pubblica e Malattie infettive della Sapienza ha avviato un progetto di citizen-science per ottenere una mappatura spaziale e temporale delle più pericolose specie di zanzare ormai presenti sul nostro territorio attraverso una nuova versione dell’app Mosquito Alert. Primo obiettivo: scoprire grazie alle segnalazioni dei cittadini dove vanno le zanzare nella stagione invernale.
Le zanzare, si sa, non sono più quelle “di una volta”. Negli ultimi decenni, la globalizzazione e i cambiamenti climatici hanno portato alla diffusione in Italia e in Europa di specie di zanzare esotiche, un tempo confinate alle regioni tropicali, prima di tutte la famosa zanzara tigre (Aedes albopictus), ma anche altre specie meno note, come la zanzara giapponese (Aedes japonicus) e quella coreana (Aedes koreicus). Queste specie non solo hanno cambiato la vita di tutti noi a causa del loro comportamento di puntura aggressivo e diurno, ma hanno creato le condizioni per la trasmissione di virus esotici capaci di causare gravi patologie all’uomo. Per combattere questo pericoloso insetto, in Italia, è stata creata una task force nazionale coordinata dal gruppo di Entomologia Molecolare del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università Sapienza di Roma, con la collaborazione dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), MUSE -Museo delle Scienze di Trento, dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e dell’Alma Mater Studiorum Università degli Studi di Bologna. Il progetto si inserisce nell’ambito delle attività di sviluppo e ottimizzazione di strategie di sorveglianza e monitoraggio delle specie di zanzare invasive promosse dal progetto Europeo “Aedes Invasive Mosquito” COST ACTION (AIM-COST), coordinato dal gruppo della Sapienza, che vede ad oggi la partecipazione di ricercatori e professionisti di 41 paesi.
Il gruppo di lavoro si avvale del prezioso contributo di Mosquito Alert, un’applicazione gratuita per telefoni cellulari, attraverso la quale ogni cittadino può inviare segnalazioni e fotografie di zanzare. Mosquito Alert è attiva dal 2014 in Spagna dove ha permesso di rilevare rapidamente l’espansione della zanzara tigre a regioni settentrionali fino a poco fa ancora esenti e la presenza di nuove specie invasive, grazie ad oltre 18.000 avvistamenti inviati da un’ampia rete di volontari. Mosquito Alert ha da oggi una dimensione internazionale grazie a due progetti finanziati dalla Comunità Europea – la AIM-COST Action e Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) – che riuniscono 46 paesi in Europa ed in regioni limitrofe. È stata già tradotta in 17 lingue, Italiano incluso, e aggiornata rispetto alla versione del 2014. La nuova versione consente non solo l’invio di foto delle zanzare (aliene e non), ma anche segnalazioni delle punture ricevute. Attraverso una task force di oltre 50 esperti entomologi, le immagini inviate vengono identificate e archiviate per consentire una valutazione su larga scala della diffusione e stagionalità delle diverse specie, impossibile da ottenere con strumenti entomologici convenzionali isolato per isolato in tutti i centri abitati dei paesi interessati.
La presenza delle zanzare non va sottovaluta, nel 2017 un’epidemia del virus chikungunya, sostenuta dalla zanzara tigre, ha causato centinaia di infezioni nel Lazio e in Calabria, e nelle scorse settimane si sono registrati nel Vicentino i primi 10 casi autoctoni del più temibile virus della dengue. La trasmissione di questi virus a partire da viaggiatori infetti provenienti da regioni tropicali endemiche è diventata ormai la norma in molto paesi europei. Questi casi si sommano a quelli di un virus endemico nel nostro territorio – il virus del Nilo Occidentale – trasmesso dalla zanzara notturna nostrana (Culex pipiens), per il quale negli ultimi anni si è osservato un preoccupante aumento, probabilmente legato a un clima particolarmente favorevole al vettore. Secondo i dati del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle malattie (E-CDC), nel 2020 ci sono stati 29 casi di virus del Nilo Occidentale in Italia e 1.688 casi in Europa, con 13 decessi.
“L’Italia è certamente uno dei paesi europei in cui il rischio di un aggravarsi della trasmissione di malattie trasmesse da vettore è più elevato” sottolinea Beniamino Caputo responsabile della task force italiana “Per questo pensiamo che Mosquito Alert possa veramente rappresentare un significativo passo in avanti verso la mappatura spaziale e temporale delle più pericolose specie di zanzare ormai presenti sul nostro territorio e la sorveglianza di nuove invasioni. Per aiutare i cittadini a capire il significato e l’importanza del contributo che ci aspettiamo da loro, abbiamo creato un sito dedicato (https://www.allertazanzarevirus.com) che fornisce informazioni di base sulla biologia, i rischi sanitari e il controllo delle zanzare, e include una sezione dedicata a Mosquito Alert”.
Ma ha senso impegnarsi in questo sforzo proprio ora che la bella stagione (per noi, ma anche per le zanzare) volge al termine? “Senz’altro sì spiega Caputo “non sappiamo molto sul comportamento delle zanzare nei mesi freddi. Sappiamo che la zanzara tigre produce uova ibernanti che schiuderanno la prossima primavera, ma sappiamo anche che adulti di questa specie e di Culex pipiens vengono segnalati anche d’inverno. Solo con il contributo attivo dei cittadini potremo capire quanto importante sia questo fenomeno nelle varie regioni, e utilizzare questo dato per sviluppare più efficaci strategie di controllo. Inoltre, i dati che speriamo di ricevere a partire dalle prossime settimane ci serviranno per tarare ed ottimizzare il sistema per il prossimo anno. Senz’altro la prossima primavera ci faremo risentire per una chiamata alle armi di tutti i cittadini che vogliono aiutarci nella lotta contro questi fastidiosi e pericolosi nemici!”.
Progetti in corso
Mosquito Alert è un progetto di citizen-science no-profit attivo in Spagna sin dal 2014 coordinato da CEAB-CSIC, CREAF e dall’Università Pompeu Fabra. Ad oggi ha ricevuto e analizzato 18.300 segnalazioni da parte dei cittadini e ha contribuito ad aggiornare le mappe della distribuzione di Aedes albopictus in Spagna e a segnalare il primo rilevamento di Aedes japonicus nel paese.
La Aedes Invasive Mosquito COST ACTION (AIM-COST) è un network di esperti pubblici e privati che operano nella ricerca, sorveglianza e controllo delle zanzare invasive finanziato dalla Comunità Europea. È stato creato nel 2018 e raggruppa oggi ricercatori e professionisti di 33 paesi Europei e di 9 partner internazionali sotto la coordinazione del gruppo di Entomologia Medica del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive dell’Università di Roma SAPIENZA. Tra i suoi principali obiettivi, AIM-COST ha lo sviluppo di strategie di monitoraggio delle specie invasive di zanzare su scala nazionale ed europea tramite la combinazione di metodi entomologici convenzionali con attività di citizen science. Il progetto ha contribuito e contribuirà al passaggio di Mosquito Alert da una scala nazionale a quella europea.
Il Versatile Emerging Infectious Disease Observatory (VEO) è un progetto finanziato dalla Comunità Europea, partito a gennaio 2020, volto a creare un sistema di allarme per malattie infettive emergenti basato su evidenze scientifiche. La rivoluzione digitale, insieme alla “data science” e all’uso di tecnologie genomiche innovative, offre grandi opportunità per rilevare malattie infettive, grazie ad un processo iterativo tra esperti di tecnologia, data scientist, big data, medicina, entomologia, epidemiologia, scienziati sociali e scienziati il grazie al contributo attivo dei cittadini nella generazione di dati osservazionali. Il progetto ha contribuito alla creazione della nuova versione di Mosquito Alert, e si occuperà dell’elaborazione dei dati ottenuti e della loro integrazione con altri database di informazioni demografiche, geografiche e climatiche per sviluppare modelli descrittivi e predittivi per patologie potenzialmente pandemiche.
Testo dall’Ufficio Stampa Sapienza Università di Roma
CoVID-19 e Sindrome di Down, mortalità fino a 10 volte più elevata
Le persone con Sindrome di Down sono state al centro di uno studio congiunto ISS-Università Cattolica che ha tracciato un profilo clinico e demografico di questi pazienti durante la pandemia da CoVID-19, calcolando tra essi livelli di mortalità ben più alti rispetto a quelli della popolazione generale
La mortalità per CoVID-19 tra le persone con Sindrome di Down (SD) potrebbe essere stata fino a 10 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale. A questa conclusione sono giunti i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) che, insieme a quelli dell’Università Cattolica, Campus di Roma, hanno analizzato 3.438 grafici, elaborati dallo stesso ISS dal 22 febbraio 2020 all’11 giugno 2020, identificando 16 decessi in persone con SD. Persone più giovani rispetto a quelle senza SD decedute con CoVID-19 (52 contro 78 anni) e con un rischio maggiore di complicanze non respiratorie come sepsi (31% vs. 13%).
Lo studio, pubblicato sull’American Journal of Medical Genetics, è in linea con le conclusioni di un altro studio retrospettivo condotto negli Stati Uniti sui pazienti ospedalizzati con CoVID-19, che ha descritto un aumento di nove volte la percentuale prevista di pazienti con SD ospedalizzati rispetto alla popolazione generale.
“La prevalenza di persone con Sindrome di Down nel nostro campione è stata dello 0,5% (16 individui). Questo porta ad una stima di 100-130 individui con SD deceduti con CoVID-19 in Italia fino all’11 giugno scorso. La prevalenza di SD nella popolazione generale italiana è circa lo 0,05%, suggerendo che la mortalità da CoVID-19 in questa popolazione potrebbe essere fino a 10 volte maggiore della popolazione generale – spiega Graziano Onder, direttore del Dipartimento di malattie cardiovascolari, endocrino-metaboliche e dell’invecchiamento dell’ISS – Questi pazienti sono più suscettibili alle infezioni, sperimentano l’invecchiamento precoce di più organi e sistemi, sviluppano un ampio spettro di comorbidità, comprese endocrinopatie, malattie neurologiche, reumatiche, muscoloscheletriche. Inoltre, presentano spesso diverse anomalie anatomiche delle vie aeree superiori che aumentano la probabilità di ostruzione delle medesime vie aeree, una condizione che può predisporre all’ipertensione polmonare, che a sua volta può aumentare la gravità dell’infezione da CoVID-19”.
“In sintesi, le persone adulte con SD rappresentano una popolazione fragile e vulnerabile alle infezioni e pertanto da tutelare con estrema attenzione in questa fase epidemica – dichiara Emanuele Rocco Villani, dottorando di ricerca in Scienze dell’invecchiamento all’Università Cattolica e primo autore della ricerca – Le persone con SD rientrano dunque nella fascia di popolazione per cui l’accesso al vaccino per SARS-COV2 dovrà essere prioritario, nel momento in cui esso sarà finalmente disponibile”.
Le caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti con Sindrome di Down
Gli individui con SD erano più giovani di quelli senza SD (52 contro 78 anni), mentre la distribuzione del sesso era simile (femmine 38% vs. 33%). Le malattie autoimmuni come tiroidite di Hashimoto e psoriasi (44% vs. 4%), l’obesità (38% vs. 11%), e la demenza (38% vs. 16%) erano però significativamente più diffuse negli individui con SD. Queste condizioni sono noti fattori di rischio, in quanto associate ad uno stato proinfiammatorio, che sembra avere un ruolo nell’insorgenza di gravi complicazioni di CoVID-19. Tutti e 16 i soggetti inoltre hanno sviluppato, come complicanza, la sindrome da distress respiratorio acuto.
Anche le superinfezioni batteriche, come le infezioni del sangue (sepsi) e la polmonite batterica, sono state più comuni tra i soggetti con SD morti con CoVID-19 rispetto alla popolazione generale (31% contro il 13%), un dato in linea con l’osservazione che gli individui con SD presentano una maggiore suscettibilità alle infezioni per la presenza di deficit immunitari.
Inoltre, i 16 pazienti esaminati avevano un’alta prevalenza di demenza, il che è coerente con ciò che si vede nella popolazione con SD, nella quale possono verificarsi danni cognitivi progressivi a partire dall’età di 45 anni, raggiungendo una prevalenza complessiva di demenza fino al 68-80% a 65 anni. Anche questo è in linea con l’osservazione che le caratteristiche dell’invecchiamento si verificano in genere prima rispetto alla popolazione generale e coinvolgono soprattutto il cervello e il sistema immunitario. L’età media di morte nei soggetti con DS è stata stimata intorno a 60 anni.
Relativamente alla terapia farmacologica, la prescrizione di antibiotici (81% e 86%, rispettivamente), antivirali/antimalarici (63% e 60%, rispettivamente) e tocilizumab (6% vs. 4%) è stata simile in entrambi i gruppi. Al contrario, l’uso di steroidi sistemici era più prevalente tra gli individui con DS (75% vs. 38%).
Testo dall’Ufficio Stampa Istituto Superiore di Sanità
www.iss.it
Riaperture scolastiche: in un documento congiunto le indicazioni
agli istituti perla gestione di casi e focolai di Covid-19
Identificare un referente scolastico per il Covid-19 adeguatamente formato, tenere un registro degli eventuali contatti tra alunni e/o personale di classi diverse, richiedere la collaborazione dei genitori per misurare ogni giorno la temperatura del bambino e segnalare eventuali assenze per motivi di salute riconducibili al Covid-19.
Sono alcune delle raccomandazioni contenute nel rapporto “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell’infanzia” messo a punto da ISS, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, INAIL, Fondazione Bruno Kessler, Regione Veneto e Regione Emilia-Romagna, che contiene anche i comportamenti da seguire e le precauzioni da adottare nel momento in cui un alunno o un operatore risultino casi sospetti o positivi.
“Questo documento è il frutto di un impegno condiviso tra molte istituzioni nazionali e Regioni e Province Autonome. La necessità di riprendere le attività scolastiche è indicata da tutte le agenzie internazionali, tra le quali l’Oms, come una priorità ed è tale anche per il nostro Paese.– commenta il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro –. Pertanto, in una prospettiva di possibile circolazione del virus a settembre e nei prossimi mesi, è stato necessario sviluppare una strategia nazionale di risposta a eventuali casi sospetti e confermati in ambito scolastico o che abbiano ripercussioni su di esso, per affrontare le riaperture con la massima sicurezza possibile e con piani definiti per garantire la continuità”.
Il documento, di taglio operativo, descrive le azioni da intraprendere nel caso un alunno o un operatore scolastico abbia dei sintomi compatibili con il Covid-19, sia a scuola che a casa. Ad essere attivati saranno il referente scolastico, i genitori, il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale e il dipartimento di Prevenzione. Se ad esempio un alunno manifesta la sintomatologia a scuola, le raccomandazioni prevedono che questo vada isolato in un’area apposita assistito da un adulto che indossi una mascherina chirurgica e che i genitori vengano immediatamente allertati ed attivati. Una volta riportato a casa i genitori devono contattare il pediatra di libera scelta o medico di famiglia, che dopo avere valutato la situazione, deciderà se è necessario contattare il Dipartimento di prevenzione (DdP) per l’esecuzione del tampone. Se il test è positivo il DdP competente condurrà le consuete indagini sull’identificazione dei contatti e valuterà le misure più appropriate da adottare tra le quali, quando necessario, l’implementazione della quarantena per i compagni di classe, gli insegnanti e gli altri soggetti che rientrano nella definizione di contatto stretto. La scuola in ogni caso deve effettuare una sanificazione straordinaria. Fra i compiti degli istituti il documento prevede anche il monitoraggio delle assenze, per individuare ad esempio casi di classi con molti alunni mancanti che potrebbero essere indice di una diffusione del virus e che potrebbero necessitare di una indagine mirata da parte del DdP.
Il documento sottolinea che è difficile stimare al momento quanto la riapertura delle scuole possa incidere su una ripresa della circolazione del virus in Italia. “In primo luogo – scrivono gli esperti –, non è nota la trasmissibilità di SARS-COV-2 nelle scuole. Più in generale, non è noto quanto i bambini, prevalentemente asintomatici, trasmettano SARS-COV-2 rispetto agli adulti, anche se la carica virale di sintomatici e asintomatici, e quindi il potenziale di trasmissione, non è statisticamente differente. Questo non permette una realistica valutazione della trasmissione di SARS-COV-2 all’interno delle scuole nel contesto italiano. Non è inoltre predicibile il livello di trasmissione (Rt) al momento della riapertura delle scuole a settembre”. È previsto che il documento venga aggiornato per rispondere alle esigenze della situazione e alle conoscenze scientifiche man mano acquisite.
Con le riaperture scolastiche, grande attenzione al COVID-19. Foto di Alexandra Koch
Testo dall’Ufficio Stampa Istituto Superiore di Sanità (www.iss.it) sul documento relativo alla gestione di casi e focolai di COVID-19 dopo le riaperture scolastiche.