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La salute degli invisibili: pubblicato uno studio sulla diffusione dell’epatite tra le comunità emarginate italiane in Toscana

Un team di ricercatrici e ricercatori delle Università di Pisa e Firenze ha condotto uno screening in Toscana su oltre 1800 persone

Con una serie di campagne di screening pluriennali su gruppi marginali della popolazione, un team di ricercatrici e ricercatori delle Università di Pisa e Firenze è riuscito a monitorare l’incidenza delle infezioni da epatite B (HBV) e C (HCV) tra le comunità più emarginate della Toscana, riscontrando prevalenze molto più alte della media nazionale e in soggetti di età molto giovane. Inoltre, grazie alla collaborazione e al filo diretto con unità assistenziali di Firenze, Empoli, Prato e Pistoia, i soggetti positivi hanno avuto accesso all’assistenza clinica e, se necessario, alla terapia. Lo studio, dal titolo “HBV and HCV testing outcomes among marginalized communities in Italy, 2019–2024: a prospective study”, è stato recentemente pubblicato sulla rivista “The Lancet Regional Health – Europe”, con corresponding author Laura Gragnani, ricercatrice del dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, e prima autrice Monica Monti del Centro MaSVE dell’Università degli Studi di Firenze. Lo studio è stato finanziato da Gilead Science, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dalla Regione Toscana.

Tra il 2019 e il 2024, con una sospensione dovuta alla pandemia di COVID-19, il gruppo di ricerca ha testato marcatori per le infezioni da HBV (antigene di superficie dell’HBV – HbsAg) e da HCV (anticorpi anti-HCV) in 1.812 soggetti che frequentano mense popolari, centri di accoglienza, scuole di italiano per stranieri nelle aree metropolitane di Firenze, Prato e Pistoia. Lo studio ha rilevato che il 4,4% dei partecipanti era positivo all’HBsAg, segno di infezione attiva, mentre il 2,9% presentava anti-HCV, indicativi di un’esposizione al virus. La positività a HBV era più frequente tra gli uomini (91%) e individui di origine non italiana, provenienti soprattutto da aree con basse coperture vaccinali. I partecipanti positivi a HCV includevano una maggiore proporzione di cittadini italiani (51,9%) con storie di marginalità estrema spesso legate ad un pregresso consumo di droghe per via endovenosa. Lo screening è stato effettuato direttamente presso le strutture di accoglienza, con test rapidi su sangue capillare e risultati disponibili in pochi minuti. Questa strategia ha garantito un’alta adesione, pari all’82%. Inoltre, la presenza di mediatori culturali e la collaborazione con gli operatori delle associazioni ha facilitato il collegamento dei pazienti positivi ai centri clinici locali. Il 66,3% dei positivi a HBV e il 37,8% di quelli a HCV hanno intrapreso un percorso di monitoraggio o cura, in base alle valutazione clinica. Tra i pazienti con infezione HCV attiva, tutti quelli trattati con farmaci antivirali hanno ottenuto la guarigione.

“Le infezioni da HBV e HCV possono evolvere in gravi patologie come la cirrosi e il tumore al fegato e molti dei soggetti colpiti non sono consapevoli della loro condizione fino alle fasi avanzate della malattia – spiega la dott.ssa Laura Gragnani  – Questo ritardo diagnostico è evidente nelle comunità marginali, che non sono raggiunte dai programmi di prevenzione e screening nazionali e regionali e che spesso incontrano barriere nell’accesso ai servizi sanitari, come la mancanza di informazioni, fiducia o risorse economiche. I risultati raggiunti col nostro studio dimostrano l’importanza di strategie di screening mirate per ridurre le disuguaglianze sanitarie, ridurre la circolazione di questi virus nell’intera comunità e raggiungere l’obiettivo dell’OMS di eliminare le epatiti virali come minaccia infettiva entro il 2030”.

Laura Gragnani
La salute degli invisibili: pubblicato su The Lancet Regional Health – Europe uno studio sulla diffusione dell’epatite tra le comunità emarginate italiane in Toscana. In foto, Laura Gragnani

“Questa ricerca – aggiunge Monica Monti – ha inoltre evidenziato l’importanza di ‘agganciare’ e curare i soggetti marginali che spesso non accedono ai canali ufficiali di assistenza sanitaria”.

Allo studio hanno partecipato anche la professoressa Gabriella Cavallini e la dottoressa Maria Laura Manca dell’Ateneo pisano e la professoressa Anna Linda Zignego, docente in pensione dell’Università degli Studi di Firenze, direttrice del Centro MaSVE fino all’ottobre 2023.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.

Il ruolo cruciale delle vaccinazioni contro il virus dell’epatite B (HBV) e il papilloma virus (HPV) nella popolazione carceraria come strategia per promuovere l’equità sanitaria e prevenire il cancro.

Studio Università di Pisa pubblicato su The Lancet Regional Health evidenzia il ruolo cruciale delle vaccinazioni contro epatite B e papilloma nella popolazione carceraria.

Il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, in collaborazione con diversi partner internazionali, ha guidato uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet Regional Health – Europe. Nel lavoro dal titolo “Cancer-preventing vaccination programs in prison: promoting health equity in Europe”, la dottoressa Lara Tavoschi e gli altri coautori e coautrici evidenziano il ruolo cruciale delle vaccinazioni contro il virus dell’epatite B (HBV) e il papilloma virus (HPV) nella popolazione carceraria come strategia per promuovere l’equità sanitaria e prevenire il cancro.

La ricerca ha coinvolto 20 paesi europei, valutando i dati sui servizi di vaccinazione e le politiche sanitarie rispetto alle persone che vivono e che lavorano in carcere. Per quanto riguarda l’Italia, sono rientrati nello studio quattro istituti penitenziari: la casa circondariale di Milano San Vittore, l’istituto penale per i minorenni di Milano “Beccaria”, il carcere di Bollate, e la casa di reclusione di Opera per un totale di persone recluse coinvolte di circa 3600 persone (a fronte di una capacità ospitativa inferiore ai 3000 posti). Dall’analisi è emersa una notevole variabilità a livello europeo nella disponibilità e nella copertura dei servizi vaccinali. In Italia la vaccinazione contro il virus dell’epatite viene offerta mentre non sono disponibili dati specifici sulla realizzazione o i benefici della vaccinazione contro il papilloma virus.

Dal lavoro emergono dieci raccomandazioni chiave per migliorare le strategie vaccinali contro il cancro nell’ambito carcerario. Si va dalla richiesta di inclusione esplicita delle popolazioni carcerarie nelle strategie di vaccinazione nazionali e internazionali, enfatizzando il principio di “equivalenza delle cure” come dichiarato da The Nelson Mandela Rules, alla necessità di espansione dei programmi di vaccinazione contro HBV e HPV rivolti a tutte le persone incarcerate che ne possono beneficiare, in particolare adolescenti e giovani adulti, utilizzando approcci neutri rispetto al genere.

“Le vaccinazioni – dice Lara Tavoschi – dovrebbero far parte di un pacchetto più ampio di servizi di salute sessuale e riduzione del danno, compreso lo screening per altre infezioni sessualmente trasmissibili e garantendo il follow-up delle cure post-rilascio”.

“Questa ricerca – conclude Tavoschi – fornisce prove solide a sostegno dell’implementazione di programmi di vaccinazione che non lascino indietro nessuno, a beneficio dell’intera popolazione. Affrontando le specifiche esigenze sanitarie delle persone che vivono in carcere, questi programmi possono infatti contribuire in modo significativo alla prevenzione del cancro e al miglioramento complessivo della salute pubblica in Europa”.

Lo studio è stato sviluppato come parte del progetto RISE-Vac, co-finanziato dal 3° Programma per la Salute dell’Unione Europea nell’ambito del GA n° 101018353. Gli autori estendono la loro gratitudine a Europris e ai membri del consorzio RISE-Vac per i loro preziosi contributi.

Link all’articolo scientifico:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S266677622400125X

Foto di Joseph Fulgham

Testo dal Polo Comunicazione CIDIC – Centro per l’innovazione e la diffusione della cultura dell’Università di Pisa.

Milano-Bicocca, tracciate per la prima volta in Europa le malattie correlate all’epatite B e C

Il Centro di Studio e di Ricerca sulla Sanità Pubblica (CESP) dell’Ateneo ha ricostruito il trend del carico di incidenza, prevalenza, mortalità e di anni di vita aggiustati per la disabilità nel decennio 2010-2019 nei diversi Paesi europei. I risultati sono stati pubblicati in uno studio su The Lancet Public Health e offrono un contributo all’ambizioso obiettivo dell’OMS di eliminare i due virus entro il 2030.

Foto di StockSnap

Milano, 25 agosto 2023 – Eliminare l’epatite virale, ritenuta una delle principali minacce per la salute pubblica, entro il 2030. È l’ambizioso obiettivo di una risoluzione del 2016 dell’Assemblea Mondiale della Sanità, dettagliato poi dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in possibili strategie di sanità pubblica e relative risorse economiche. E inserito infine nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. I virus dell’epatite B (HBV) e dell’epatite C (HCV) possono causare infezioni acute e croniche e sono tra le principali cause al mondo di cirrosi, epatocarcinoma (cancro al fegato), trapianti e morti correlati a patologie riguardanti il fegato. Generando quindi oneri economici e sanitari elevati a causa dei loro effetti epatici ed extraepatici.

Un contributo arriva dall’Università di Milano-Bicocca, il cui Centro di Studio e di Ricerca sulla Sanità Pubblica (CESP), ha coordinato uno studio Europeo per valutare il carico di incidenza, prevalenza, mortalità e anni di vita persi per disabilità (DALYs) delle malattie correlate al virus dell’epatite B (HBV) e al virus dell’epatite C (HCV), nel contesto europeo e per il periodo dal 2010 al 2019, al fine di capire a che punto si trovino i diversi Paesi del continente nel raggiungere l’obiettivo prefissato dall’OMS entro il 2030.

Lo studio è appena stato pubblicato su The Lancet Public Health, la più prestigiosa rivista di sanità pubblica a livello internazionale, e si intitola “Hepatitis B and C in Europe: an update from the Global Burden of Disease Study 2019” (DOI: 10.1016/S2468-2667(23)00149-4). Si tratta del primo rapporto completo sul carico dell’HBV e HCV in Europa. Primo autore è Paolo Angelo Cortesi, ricercatore del CESP, che si è avvalso della collaborazione col Global Burden of Diseases, Injuries, and Risk Factors Study (GBD), coordinato dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’Università di Washington, che coinvolge oltre 9mila ricercatori provenienti da oltre 160 Paesi, permettendo di confrontare l’impatto delle malattie, degli infortuni e dei fattori di rischio sulla salute della popolazione nel tempo tra i differenti gruppi di età, sesso, paesi e regioni e di confrontare così il progresso della salute di un Paese con quello di altri Paesi. Nella coordinazione dello studio, oltre a Paolo Angelo Cortesi, sono stati coinvolti anche il professore Lorenzo Giovanni Mantovani, direttore del CESP, Simon I. Hay e Christopher J. L. Murray, rispettivamente professore e direttore dell’IHME.

Nel 2019 in Europa si sono verificati oltre 2 milioni di casi di epatite acuta B e quasi mezzo milione di casi di epatite C. Sono stati stimati 8,24 milioni di casi prevalenti di cirrosi correlata all’HBV e 11,87 milioni di cirrosi correlata all’HCV, con quasi 25mila decessi dovuti a cirrosi correlata all’HBV e circa 37mila decessi dovuti a cirrosi correlata all’HCV. Infine, si sono avuti 9mila decessi per cancro al fegato correlato all’HBV e 23mila dovuti al cancro al fegato correlato all’HCV.

«Tra il 2010 e il 2019 – aggiungono Paolo Cortesi e Lorenzo Mantovani – il carico della cirrosi dovuta all’HBV e HCV è diminuito. La cirrosi HBV correlata e l’epatite B acuta hanno mostrato le riduzioni più significative, con un tasso di prevalenza sceso del -20,6 per cento e un tasso di mortalità sceso del -33,19 per cento per la prima malattia e con un tasso di incidenza diminuito del -22,14 per cento e un tasso di mortalità diminuito del -33,27 per cento per la seconda malattia. Nel decennio non sono state osservate variazioni nei tassi standardizzati di incidenza, prevalenza, mortalità e DALYs per il cancro al fegato correlato all’HBV e all’HCV, mentre sono stati osservati aumenti nel numero assoluto di casi in tutte le età (+16,41 per cento nella prevalenza)».

Lo studio ha anche evidenziando differenze rilevanti all’interno dell’Europa, con aree che riportano un carico elevato, aree che hanno riportato piccole variazioni e aree che necessitano miglioramenti negli interventi di sanità pubblica per raggiungere gli obiettivi di eliminazione dell’OMS.

«Nel 2019, l’Europa centrale e orientale hanno presentato tassi di mortalità per cirrosi e epatocarcinoma HBV correlate più elevati rispetto all’Europa occidentale», precisano il ricercatore e il direttore del CESP.

Secondo Cortesi e Mantovani, «I risultati di questo studio hanno evidenziato notevoli e persistenti carichi di salute legati all’HBV e HCV in Europa, dimostrando che l’ambizioso obiettivo di eliminazione entro il 2030 è ancora lontano dall’essere raggiunto. La disponibilità di test diagnostici affidabili e interventi di trattamento e prevenzione costo-efficaci hanno creato le condizioni per rendere l’eliminazione dell’HCV e dell’HBV un obiettivo fattibile, come dimostrato da alcuni Paesi dove sono stati applicati con ottimi risultati; tuttavia in molti altri Paesi i piani d’azione e le strategie sono ancora inadeguati o assenti, così come il finanziamento per la loro attuazione. Strumenti come il GBD e lo studio appena pubblicato, sono fondamentali per capire se gli interventi implementati stiano portando o meno a raggiungere l’eliminazione dell’epatite virale entro il 2030».

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.