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La Grande macchia rossa di Giove: una tempesta anticiclonica dalla profondità “contenuta”

I nuovi risultati delle misurazioni di gravità del pianeta ottenute dalla sonda Juno rivelano, in uno studio pubblicato su Science, che la grande macchia rossa, pur molto estesa, non è profonda come si immaginava. Questa scoperta potrebbe spiegare i motivi della sua evoluzione e forse della possibile scomparsa.

grande macchia rossa Giove
L’animazione simula il moto delle nuvole della Grande Macchia Rossa di Giove. E’ stata creata applicando il modello del movimento dei venti ad un mosaico di immagini scattate dallo strumento. Credits: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS/Gerald Eichstadt/Justin Cowart

Giove è il più grande pianeta del sistema solare, con un raggio equatoriale di 71.492 km, ed è composto principalmente da idrogeno ed elio e per questo viene definito “gigante gassoso”.

La caratteristica forse più iconica del pianeta è la Grande macchia rossa, una tempesta anticiclonica scoperta probabilmente da Giandomenico Cassini nel 1665. Oggi questa assomiglia a un ovale di dimensioni approssimativamente pari a 16000 x 12000 km, che ne fanno la più grande tempesta del sistema solare, seppur negli ultimi 100 anni, per cause ancora ignote, si sia ridotta considerevolmente. La Grande macchia rossa porta con sé ancora molti interrogativi: uno di questi riguarda la profondità con cui questa tempesta si inabissa dentro Giove.

A questo come ad altri quesiti sulla dimensione del nucleo ha risposto la sonda Juno, realizzata dalla NASA con un importante contributo italiano.

Rappresentazione artistica di Juno in orbita attorno a Giove. Crediti: Nasa/JPL-Caltech

Durante due sorvoli ravvicinati di Giove (febbraio e luglio 2019), la missione Juno della NASA (in orbita intorno a Giove dal 5 luglio 2016 per studiare i meccanismi di formazione, la struttura interna, la magnetosfera e l’atmosfera del gigante gassoso) ha osservato per la prima volta da vicino la Grande macchia rossa. Poiché l’interno del pianeta non è direttamente osservabile, per comprenderne la struttura più intima si ricorre a misurazioni accurate del campo gravitazionale, che è espressione della distribuzione della massa all’interno del pianeta.

grande macchia rossa Giove
Geometria delle osservazioni di Juno della Grande Macchia Rossa (GRS). Il campo di velocità della Grande Macchia Rossa (frecce nere) e le tracce a terra di Juno durante PJ18 e PJ21 (linee colorate) sono sovrimposte a una immagine della Grande Macchia Rossa effettuata da JunoCam durante PJ21. La quota della sonda durante il passaggio ravvicinato con la Grande Macchia Rossa (latitudine 20°S) era, rispettivamente per PJ18 e PJ21, di 13,000 km e 19,000 km, con scostamenti longitudinali di 11° e 2° 

Le misure del campo gravitazionale del pianeta avevano mostrato che i forti venti est-ovest (con velocità fino a 360 km/h), visibili tracciando il moto delle nubi, si spingono alla profondità di circa 3000 km.

Gli strati inferiori della Grande Macchia Rossa di Giove sono stati osservati da Juno anche usando i dati del radiometro a microonde (MWR). Ognuno dei sei canali dello strumento osserva diverse profondità sotto le nuvole

Oggi, una nuova ricerca, finanziata in parte dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e coordinata da Marzia Parisi, ex-dottoranda della Sapienza, ora post-doc al California Institute of Technology/Jet Propulsion Laboratory, insieme a un gruppo internazionale di cui fanno parte Daniele Durante e Luciano Iess del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, mostra come invece i venti della Grande macchina rossa abbiano una profondità di penetrazione verticale piuttosto contenuta, pari a circa 300 km, assai inferiore a quella dei venti che soffiano nelle bande visibili del pianeta. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Science.

“I risultati del nostro studio – spiega Daniele Durante del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza – attestano una massa della tempesta pari a circa la metà dell’intera atmosfera terrestre e poco meno di quella di tutta l’acqua del Mar Mediterraneo, e rappresentano la Grande macchia rossa come un oggetto molto simile a un disco assai esteso (la sua dimensione minore è pari all’incirca al diametro della Terra) ma piuttosto sottile, con caratteristiche che ricordano quelle delle più grandi tempeste terrestri”.

grande macchia rossa Giove
Le dimensioni della Grande macchia rossa a confronto con la Terra. La profondità determinata dalle misure di gravità è di soli 300 km.

Con un’orbita molto eccentrica, la sonda Juno è riuscita ad avvicinarsi molto al gigante gassoso, fino a 4-5000 km al di sopra delle nubi: a queste distanze è possibile avere una elevata sensibilità all’accelerazione gravitazionale esercitata principalmente dalle strutture dell’atmosfera del pianeta. La sonda ha utilizzato lo strumento di radioscienza KaT (Ka-Band Translator, realizzato da Thales Alenia Space-I e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana), il cuore dell’esperimento che ha permesso di determinare l’estensione verticale della Grande macchia rossa.

La Grande macchia rossa ha perturbato impercettibilmente l’orbita di Juno, ma l’estrema accuratezza della misura (fino a 0.01 mm/s) ha permesso di catturarne il debolissimo segnale gravitazionale e di stimare così la profondità a circa 300 km.

“Le misure di Juno – conclude Luciano Iess dello stesso Dipartimento – hanno fornito la terza dimensione a quel fenomeno dell’atmosfera di Giove che ha attratto l’attenzione di molti di noi, come anche quella degli astronomi da più di trecento anni, mostrando come sia una tempesta superficiale certamente molto estesa, ma ben poco profonda. Questa nuova misura contribuirà a capirne la natura, l’evoluzione e, forse, la sua possibile scomparsa”.

Riferimenti:

The depth of Jupiter’s Great Red Spot constrained by the Juno gravity overflights – Authors: M. Parisi, Y. Kaspi, E. Galanti, D. Durante, S. J. Bolton, S. M. Levin, D. R. Buccino, L. N. Fletcher, W. M. Folkner, T. Guillot, R. Helled, L. Iess, C. Li, K. Oudrhiri, M. H. Wong. Science 2021 DOI: 10.1126/science.abf1396

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Giove, il pianeta più grande del sistema solare

 

L’anima irrequieta dei pianeti

Un gruppo di studiosi del Dipartimento di Ingegneria civile edile e ambientale della Sapienza in un team con altre Università (Oxford, UAE, USF), ha formulato una teoria per misurare la turbolenza dei grandi pianeti. Lo studio, pubblicato su Geophysical Research Letters, mostra che Giove sarebbe quattro volte più turbolento di Saturno

pianeti Giove Saturno tempeste

Le immagini di Giove e Saturno della sonda Cassini mostrano che l’atmosfera di questi pianeti è caratterizzata da nuvole e tempeste estremamente vorticose, un noto esempio è la Grande Macchia Rossa di Giove. Sono le manifestazioni di una intensa attività turbolenta indotta dall’energia solare e dagli scambi di calore che avvengono all’interno del pianeta.

La turbolenza è associata al trasferimento non-lineare di energia tra le diverse scale del moto definito cascata di energia; in questo caso il trasferimento di energia avviene perlopiù verso le grandi scale del moto originando gli intensi flussi vorticosi osservati nelle atmosfere dei pianeti. Quantificare l’energia trasferita da una scala all’altra è quindi fondamentale per caratterizzare la turbolenza planetaria. Una nuova ricerca condotta presso il Dipartimento di Ingegneria civile edile e ambientale di Sapienza ha individuato un possibile metodo per misurare l’attività turbolenta dei grandi pianeti come Giove e Saturno. Il lavoro è stato finanziato nell’ambito del programma MARIE SKŁODOWSKA-CURIE ACTIONS Individual Fellowships e pubblicato su Geophysical Research Letters.

pianeti Giove Saturno tempeste

“In assenza di grandi quantità di dati ben definiti nello spazio e nel tempo una misurazione convenzionale appare non realizzabile – spiegano Stefania Espa e Simon Cabanes della Sapienza. La nostra ricerca mostra come sia possibile quantificare il trasferimento di energia turbolenta usando un metodo universale basato su una grandezza calcolabile in modo relativamente semplice con i dati disponibili, la vorticità potenziale (PV, il rapporto tra vorticità assoluta e spessore di fluido)”.

Il metodo descritto nello studio è stato provato sia con dati reali relativi a Giove e Saturno che con dati ottenuti da esperimenti di laboratorio e simulazioni numeriche. “Abbiamo verificato la consistenza del nostro metodo − conclude Stefania Espa − e mostrato per la prima volta che il trasferimento di energia su Giove è quattro volte superiore a quello che si verifica su Saturno”.

pianeti Giove Saturno tempeste

Riferimenti:

Revealing the intensity of turbulent energy transfer in planetary atmospheres – Simon Cabanes, Stefania Espa, Boris Galperin, Roland M. B. Young, Peter L. Read – Geophysical Research Letters, 2020. DOI https://doi.org/10.1029/2020GL088685

 

Testo e immagini dalla Sapienza Università di Roma

Anche se sommassimo le masse di tutti i pianeti del sistema solare, non riusciremmo a formare quella di Giove. Gli antichi Romani lo associarono al dio più potente, il sovrano di tutti gli dei, il padrone del cielo, come ci ricorda il simbolo astronomico del pianeta, una rappresentazione del fulmine.

Per via della sua massa, la forza di gravità di Giove è pari a 2.6 volte quella terrestre, ciò significa che per calcolare il vostro peso su Giove dovete moltiplicare il vostro peso attuale per 2.6. Si, saremmo tutti “ingrassati”! La densità del pianeta, però, è di poco superiore a quella dell’acqua: Giove è un’immensa palla di gas.

La composizione è stratificata: al centro è (forse) presente un nucleo roccioso coperto da un mantello di idrogeno metallico liquido su cui grava un pesante strato di atmosfera. Partendo dalla superficie e addentrandoci verso il cuore del pianeta, temperatura e pressione vanno via via aumentando sino ad arrivare, nel nucleo, a valori di temperatura superiori a 35000° C e pressioni di circa 4 milioni di volte quella terrestre.

La Grande macchia rossa, tempesta dalla profondità “contenuta”

Caratteristica di Giove è il bandeggio: nubi di ammoniaca ghiacciata disposte in fasce orizzontali di vari colori che si muovono in direzioni opposte e, in alcuni punti, si invorticano, formando immensi cicloni. Nell’atmosfera gioviana si possono contare centinaia di queste masse gassose vorticanti che, come sulla Terra, si distinguono in cicloni (stesso verso di rotazione del pianeta) e anticicloni (verso di rotazione opposto). Si formano e disfano in tempi che vanno dal giorno alle centinaia di anni, come la grande macchia rossa. Osservata probabilmente per la prima volta da Cassini nel 1664, è la tempesta più longeva conosciuta, nonché la più violenta del sistema solare: come dimensioni potrebbe contenere quasi tre Terre e si innalza per circa 8 km dalla superficie del pianeta. La temperatura arriva a -160° C ed è solcata da venti tremendi che sfiorano i 600 km/h. Il diametro della grande macchia sta, però, diminuendo, mentre è in aumento l’estensione di un altro anticiclone, la cosiddetta piccola macchia rossa che si trova vicina, appena sotto la grande macchia. Formatasi nel 2000 dall’unione di tre tempeste distinte, nel 2008 aveva già raggiunto le dimensioni della Terra.

Foto NASA, ESA, and J. Nichols (University of Leicester), in pubblico dominio

Per via del core di idrogeno metallico liquido, il campo magnetico di Giove è il più intenso del sistema solare (centinaia di volte più intenso di quello terrestre) e, interagendo con i venti solari, forma una vastissima magnetosfera, un oggetto di studio estremamente interessante per gli astronomi. Un fenomeno spettacolare dovuto al campo magnetico è quello delle aurore polari di Giove: molto più energetiche ed estese delle terrestri e, per di più, perenni. La loro straordinaria potenza non è alimentata solo dalla nostra stella, ma anche da Io, uno dei quattro satelliti galileiani, nonché tra gli oggetti più attivi del sistema solare, che rifornisce il campo magnetico del pianeta di particelle provenienti dai suoi numerosi vulcani.

Giove
Giove e e la sua luna Io visti dalla sonda Cassini (2001). Foto NASA/JPL/University of Arizona, pubblico dominio

Come gli altri tre giganti gassosi, anche Giove possiede un sistema di anelli, sebbene meno vistoso di quello di Saturno, tanto che fu osservato per la prima volta solo nel 1979 dalle missioni Voyager della NASA.

Galileo e Juno sono altre due missioni dell’agenzia spaziale americana che hanno dato un importante contributo alla scoperta di Giove. Juno, partita nel 2011, è tuttora in corso, mentre Galileo è terminata nel 2003 con un impatto guidato sul pianeta. La sonda Galileo ha avuto l’occasione di osservare un altro e ben più significativo impatto su Giove, quello avvenuto nel 1994 con la cometa Shoemaker-Levy 9. L’impatto avvenne in 6 giorni, tra il 16 e il 22 Luglio, poiché la cometa si era sbriciolata in 21 frammenti, divenendo simile ad una “collana di perle” e sprigionò una potenza di 6 miliardi di kt (per confronto, la bomba che distrusse Hiroshima era di soli 16 kt). Fu un evento scientifico e mediatico molto significativo: diversi telescopi furono puntati sul gigante gassoso e tanti esperti e non seguirono con trepidazione la diretta. Sulla superficie di Giove rimasero le tracce del bombardamento: vaste macchie circolari, la più grossa del diametro di 12000 km (quello terrestre è di 12742 km), che, come ferite scure, perdurarono un paio di mesi per poi sparire definitivamente.

Il luogo dell’impatto del frammento G della cometa Shoemaker-Levy 9. Foto Hubble Space Telescope Jupiter Imaging Team, in pubblico dominio

Video a cura di Inter Nos: Silvia Giomi e Marco Merico