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PASSI IN AVANTI NELLA VALUTAZIONE DEL POTENZIALE TERAPEUTICO DELLA STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA (TMS): IDENTIFICATA UNA NUOVA REGIONE CEREBRALE COINVOLTA NELL’INIBIZIONE DELLE REAZIONI DI PAURA E DI ANSIA

In un recente studio ricercatori e ricercatrici dell’Università di Torino hanno fatto un passo avanti nell’impiego della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) per modulare le risposte di paura e ansia. Questa scoperta apre nuove strade nel trattamento di disturbi legati all’ansia e alla risposta allo stress, evidenziando il potenziale della TMS come strumento terapeutico innovativo e efficace.

Una nuova ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica eLife ha testato con successo una procedura di neurostimolazione per disinnescare le reazioni corporee di allarme associate alla memoria traumatica. La sperimentazione è stata condotta dal ricercatore Eugenio Manassero insieme al team di ricerca coordinato dal Prof. Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e dalla Prof.ssa Raffaella Ricci del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino.

In seguito a un’esperienza traumatica, nel cervello si forma un ricordo dell’evento che racchiude due principali componenti: la rappresentazione consapevole di ciò che è accaduto e la valenza emotiva associata all’episodio. Quest’ultima si manifesta attraverso modificazioni delle risposte corporee (come l’aumento del battito cardiaco e della sudorazione). Queste modificazioni degli stati corporei sono percepite come spiacevoli dalla persona, provocando sentimenti di paura o di panico, e possono talvolta evolversi in veri e propri sintomi di patologie, quali il disturbo post-traumatico o il disturbo d’ansia.

I ricercatori e le ricercatrici hanno applicato una sessione di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) focalizzata sulla corteccia prefrontale anteriore (aPFC) una settimana dopo che i partecipanti allo studio avevano appreso la valenza avversiva di uno stimolo. La tecnica di TMS è una tecnica di stimolazione cerebrale in grado di modulare l’attività di specifiche aree del cervello in maniera non dolorosa e non invasiva. In questo studio, per la prima volta, la TMS è stata applicata alla parte mediale della corteccia prefrontale anteriore (aPFC), un’area presente quasi esclusivamente nella specie umana e nei primati non-umani. Quando, dopo la neurostimolazione, veniva ripresentato ai partecipanti lo stimolo minaccioso, il gruppo stimolato nella aPFC mostrava risposte corporee di allarme nettamente inferiori rispetto al gruppo di controllo sottoposto ad una stimolazione placebo. Sorprendentemente, l’attenuazione delle risposte emotive persisteva in modo duraturo anche nel lungo termine, senza più dover ricorrere alla neurostimolazione. Questo effetto di attenuazione si verificava nonostante il ricordo consapevole degli stimoli minacciosi non venisse in alcun modo danneggiato. Infine, un confronto tra i risultati ottenuti stimolando la aPFC e quelli derivanti dalla stimolazione della corteccia prefrontale dorsolaterale, una regione studiata precedentemente, ha rivelato che la aPFC appare essere un candidato decisamente più promettente per regolare le iper-reazioni di allarme verso stimoli minacciosi.

“Questa ricerca – spiega Eugenio Manassero – riveste un’importanza significativa dal punto di vista clinico, poiché mette in luce un nuovo strumento che potrebbe in futuro affiancarsi in modo complementare e sinergico ad altre strategie terapeutiche per aiutare tutte le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche o che soffrono di un disturbo d’ansia. Tenendo conto di quanto sia fondamentale migliorare la qualità dei trattamenti in un’ottica di promozione della salute e del benessere della collettività, questa ricerca potrebbe aprire una nuova frontiera in questa direzione”.

Simulazione degli effetti della TMS sul tessuto neurale della corteccia prefrontale anteriore
Simulazione degli effetti della Stimolazione Magnetica Transcranica – TMS sul tessuto neurale della corteccia prefrontale anteriore: un nuovo studio indica il potenziale terapeutico dello strumento per ansia e stress

Riferimenti bibliografici:

Eugenio Manassero, Giulia Concina, Maria Clarissa Chantal Caraig, Pietro Sarasso, Adriana Salatino, Raffaella Ricci, Benedetto Sacchetti, Medial anterior prefrontal cortex stimulation downregulates implicit reactions to threats and prevents the return of fear, eLife (2024) 13:e85951, DOI: https://doi.org/10.7554/eLife.85951

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

DISTURBI DELLA MEMORIA: IDENTIFICATO IL PROCESSO CON IL CUI IL CERVELLO DISTINGUE E CONSERVA EVENTI SIMILI; I NEURONI INIBITORI NELL’AMIGDALA AIUTEREBBERO A MANTENERE DISTINTI I RICORDI DI EVENTI SIMILI

Una ricerca condotta da un team di ricerca del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino potrebbe fornire informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche per i disturbi della memoria.

Formare ricordi di eventi simili costituisce una vera e propria sfida per il nostro cervello. È essenziale che ogni evento venga memorizzato in maniera separata per preservarne la specificità. Tuttavia, è altrettanto importante riconoscere e ricordare gli aspetti comuni tra gli eventi. Se questo delicato processo viene compromesso, le persone rischiano di confondere un evento con un altro, perdendo così la chiarezza e la specificità dei propri ricordi.

Un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Cell Reports ha identificato un intricato processo cerebrale che consente di distinguere e memorizzare eventi simili in maniera separatamantenendo al contempo le somiglianze tra di essi. La ricerca è stata condotta principalmente dalle ricercatrici Giulia ConcinaLuisella Milano e Annamaria Renna coordinate dal Prof. Benedetto Sacchetti del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino.

I ricercatori hanno studiato l’attività cerebrale durante l’apprendimento di due eventi distinti ma con elementi in comune, scoprendo che nell’amigdala, una regione cerebrale chiave per la formazione dei ricordi, gruppi separati di neuroni si attivano per memorizzare separatamente eventi distinti. Tuttavia, alcuni neuroni rispondono a entrambi gli eventi, aiutando a ricordarne le somiglianze. Il numero di questi neuroni comuni è regolato da un particolare tipo di cellule chiamate neuroni inibitori. Bloccando queste cellule, i ricercatori hanno notato come il numero di neuroni comuni aumentasse notevolmente causando la confusione e sovrapposizione dei due eventi. Secondo i ricercatori, in conclusione, i neuroni inibitori contribuiscono quindi a mantenere distinti i ricordi di eventi simili.

La ricerca è stata condotta adottando un approccio multidisciplinare che ha integrato metodologie di analisi comportamentale, biologia molecolare, microscopia ad alta risoluzione e modulazione dell’attività cerebrale. In particolare, grazie all’utilizzo della tecnica innovativa della “marcatura chemogenetica”, i ricercatori hanno potuto visualizzare i neuroni coinvolti nella percezione sia degli aspetti distintivi di due eventi, sia delle loro caratteristiche comuni. Questa analisi ha permesso anche di individuare le cellule in grado di limitare il numero di neuroni condivisi, ovvero i neuroni inibitori. Infine, combinando le tecniche di marcatura chemogenetica e di inattivazione dell’attività neuronale, i ricercatori hanno selettivamente bloccato queste cellule, notando che ciò portava i soggetti a confondere gli eventi tra di loro.

“Questa ricerca – spiega il Prof. Benedetto Sacchetti – riveste un’importanza significativa poiché mette in luce l’esistenza di neuroni il cui ruolo è quello di mantenere separate le memorie di eventi distinti ma con aspetti in comune, consentendo così di conservare i ricordi di tali eventi in modo preciso e nitido. Considerando che una delle caratteristiche tipiche dei disturbi della memoria, come le demenze e il disturbo post-traumatico da stress, è la tendenza a confondere gli eventi passati, questa ricerca potrebbe fornire nuove informazioni utili per sviluppare nuove strategie terapeutiche.”

memoria amigdala processo
Immagine di Bernstein0275, CC BY-SA 4.0

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino