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Giovanni Battista Ferrero

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Identificata la causa della malattia genetica rara della piccola Bea nel gene ARHGAP36

La prestigiosa rivista Nature Communications ha pubblicato il lavoro internazionale che ha studiato la malattia rara relativa al caso della piccola Bea.

Nel 2010 Bea venne visitata nell’Ambulatorio di Genetica Clinica Pediatrica dell’Ospedale Infantile Regina Margherita di Torino perché presenta delle tumefazioni alle articolazioni. Le radiografie e la TAC rilevarono rapidamente una situazione molto particolare, una serie di “calcificazioni” che stavano progressivamente trasformando la cartilagine in osso. Bea era una bimba vivace ed intelligente, ma ben presto le articolazioni si bloccarono, rendendo impossibili i movimenti di braccia e gambe. Gli esami radiologici mostrarono un quadro sempre più grave: nessuno specialista aveva mai visto un caso come quello di Bea in tutto il mondo. La famiglia creò una Onlus, si adoperò per far conoscere il caso e la zia pubblicò #Leggera come una piuma – Il Mondo di Bea (Pathos edizioni) per far conoscere la malattia. I mezzi di comunicazione si interessarono al caso e Bea venne conosciuta da molte persone che accompagnarono la famiglia nel lungo percorso di malattia della bambina.

Dopo 13 anni e centinaia di esperimenti, un gruppo internazionale di ricercatori, coordinati dalla dott.ssa Elisa Giorgio ricercatrice dell’Università di Pavia e di Fondazione Mondino IRCCS, è riuscito ad identificare la causa della malattia di Bea, chiarendo come questa sia una malattia genetica non solo rarissima, ma semplicemente unica. La ricerca è iniziata attraverso la collaborazione tra i Pediatri che hanno inizialmente approfondito il quadro clinico (Prof. Giovanni Battista Ferrero, Prof.ssa Margherita SilengoUniversità di Torino) ed il laboratorio di Genetica Medica e malattie rare del prof. Alfredo Brusco (Dipartimento di Scienze MedicheUniversità di TorinoCittà della Salute e della Scienza, Torino). Per capire il complesso meccanismo alla base della malattia è stata necessaria una collaborazione con diversi centri italiani (Dott. Marco Tartaglia, Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, Roma; Prof. Massimo Delledonne, Università di Verona) ed esteri (Prof. Malte Spielmann, Università di Lubecca e Kiel, Germania).

Nella foto da sinistra: Palazzo del Lavoro (edificio coperto con il tricolore), Pala Vela (dietro al CTO), Ospedali CTO (grattacielo) e Regina Margherita (edificio ai piedi del CTO) e il Tetto di Torino Esposizioni (tetto ad arco tra gli alberi). Foto Flickr di Simone Graziano Panetto, CC BY 2.0

Inizialmente erano state approfondite le cause note di malattie genetiche associate alle calcificazioni ectopiche, quadri clinici caratterizzati da formazione di osso in tessuti normalmente non ossificati, come muscoli, tendini e legamenti. Questi disturbi sono solitamente causati da una mutazione genetica, come nella Fibrodisplasia ossificante progressiva (FOP), una rara malattia genetica in cui i muscoli e i tessuti molli vengono gradualmente sostituiti dalle ossa. La FOP è causata da una mutazione nel gene ACVR1, responsabile dell’informazione necessaria per formare tessuto osseo nei vari distretti scheletrici. Quando questo gene è mutato, invia un segnale anomalo a vari tessuti che progressivamente calcificano e si trasformano in osso

 

LA RICERCA

La malattia di Bea aveva molte similitudini con la FOP, ma si era presentata nelle prime settimane di vita con un’evoluzione molto rapida ed invalidante. Le analisi genetiche avevano da subito escluso questa malattia.

Nel frattempo il gruppo di ricerca aveva identificato, con una serie di approfondimenti, un’anomalia cromosomica unica, mai descritta in letteratura caratterizzata dalla presenza di un segmento del cromosoma 2 doppio, inserito sul cromosoma X della bambina.

Questa anomalia dei cromosomi, ovvero l’inserzione di una regione di un cromosoma su un altro, può portare a un’espressione genica alterata. Questi eventi sono rari, molto eterogenei tra loro, ed è assai complesso capirne le conseguenze biologiche. Solo negli ultimi anni la tecnologia ha messo a disposizione dei ricercatori degli approcci estremamente complessi per poter studiare queste anomalie cromosomiche.

L’attività di ricerca ha permesso di capire che il pezzo di cromosoma 2 in più conteneva delle regioni in grado di attivare i geni sul cromosoma X nei tessuti sbagliati. In particolare, si è dimostrato che il gene ARHGAP36 produce una proteina in quantità molto più elevate dell’atteso, ma soprattutto nel tessuto sbagliato, la cartilagine. Proprio questo gene induce la formazione si tessuto osseo dove non dovrebbe essere presente.

“Questo studio è la dimostrazione di come la collaborazione tra gruppi di ricerca con competenze diverse sia la chiave per ottenere successi scientifici” spiega la dott.ssa Giorgio. “La ricerca ha bisogno di tempo e si costruisce sulle conoscenze che a mano a mano gli scienziati accumulano; nel 2010 non avevamo i mezzi tecnologici, né le conoscenze di base per capire la malattia di Bea”. Proprio la Dott.ssa Giorgio nel 2015 aveva scoperto un meccanismo simile a quello che causa la malattia di Bea (chiamato in gergo tecnico “adozione di un enhancer”) come causa di una rara forma di malattia neurodegenerativa, l’ADLD, adesso uno dei filoni di ricerca del suo laboratorio a Pavia.

La definizione del meccanismo biologico alla base del quadro clinico ha permesso di dare alla famiglia della bambina una risposta attesa da molti anni, una risposta che permette, come in tutte le malattie rare, di porre fine all’odissea diagnostica, complessa e dolorosa che caratterizza queste patologie.

LE PROSPETTIVE 

Studiando le malattie rare come quella di Bea, gli scienziati possono trovare percorsi e meccanismi che potrebbero essere coinvolti anche in malattie più comuni. Lo studio identifica un gene ARHGAP36 come implicato nella formazione ossea, un’informazione del tutto sconosciuta fino ad ora. Studiando questo gene e la sua funzione è possibile che capiremo meglio le malattie ossee nella popolazione generale. Al momento è troppo presto per pensare ad un utilizzo pratico della ricerca fatta, ma i ricercatori coinvolti sono entusiasti di aver contribuito a risolvere uno dei casi più difficili di malattia genetica rara conosciuta, quello della piccola Bea.

 

Nature Communications, Nat Commun. 2023 Apr 11;14(1):2034. doi: 10.1038/s41467-023-37585-8. PMID: 37041138

Enhancer hijacking at the ARHGAP36 locus is associated with connective tissue to bone transformation.

Melo US, Jatzlau J, Prada-Medina CA, Flex E, Hartmann S, Ali S, Schöpflin R , Bernardini L, Ciolfi A, Moeinzadeh M-H, Klever M-K, Altay A, Vallecillo-Garcia P, Carpentieri G, Delledonne M, Ort M-J, Schwestka M, Ferrero GB, Tartaglia M, Brusco A, Gossen M, Strunk D, Geißler S, Mundlos S, Stricker S, Knaus P, Giorgio E, Spielmann M. –  https://www.nature.com/articles/s41467-023-37585-8

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

STUDIO DI UNITO SCOPRE UN NUOVO GENE RESPONSABILE DELL’AUTISMO, CAPRIN1

La prestigiosa rivista Brain ha pubblicato il lavoro internazionale, guidato dall’Università di Torino, che fornisce nuove prove sulle basi genetiche dell’autismo

CAPRIN1 è un gene responsabile di autismo. Grazie a uno studio multicentrico internazionale, coordinato dal Prof. Alfredo Brusco, docente di Genetica medica del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino e della Genetica medica universitaria della Città della Salute di Torino, sviluppato in collaborazione con l’Università di Colonia e recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Brain, è stato dimostrato il ruolo del gene CAPRIN 1 nello sviluppo di una rara forma di autismo. Lo studio è basato sulle nuove tecnologie di sequenziamento del DNA e sullo sviluppo di modelli in vitro di cellule neuronali.

Scoperto nuovo gene responsabile dell'autismo, CAPRIN1
Scoperto nuovo gene responsabile dell’autismo, CAPRIN1. Immagine di un neurone derivato da cellule staminali,  acquisita con microscopio confocale e tecniche di immunofluorescenza. I diversi colori indicano intensità di segnale diverso della proteina CAPRIN1 oggetto di studio

L’autismo è un frequente disturbo del neurosviluppo che esordisce nei primi anni di vita e colpisce l’1% della popolazione nelle sue varie forme di presentazione, ed è caratterizzato da compromissione dell’interazione sociale, alterazione della comunicazione e interessi limitati, stereotipati e ripetitivi che impediscono di interagire adeguatamente con le persone e l’ambiente. Il disturbo si manifesta con una vasta gamma di presentazioni cliniche e diversi livelli di gravità, tanto da essere definito come spettro autistico, definizione recentemente introdotta nella pratica clinica e indubbiamente più appropriata. Questa evoluzione concettuale sottolinea che la presentazione dei disturbi dello spettro autistico è estremamente eterogenea e correlata a numerosi specifici sottogruppi clinici con specifiche basi biologiche. Negli ultimi anni, grazie ai progressi tecnologici che permettono di studiare su larga scala il genoma umano, è stata dimostrata la base genetica di molte condizioni caratterizzate da manifestazioni che rientrano nei disturbi dello spettro autistico.

Oggi viene fatto un importante passo avanti nella comprensione delle basi genetiche dell’autismo grazie al Progetto NeuroWES di UniTo: progetto collaborativo guidato dai Proff. Alfredo Brusco del Dipartimento di Scienze Mediche e Giovanni Battista Ferrero del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche.

Lo studio ha permesso di dimostrare che mutazioni nel gene CAPRIN1 sono responsabili di alterazioni di specifici meccanismi neuronali che provocano dal punto di vista clinico una forma di disturbo dello spettro autistico.

L’uso di tecnologie di sequenziamento dei geni umani (analisi dell’esoma e analisi del genoma) hanno permesso attraverso una collaborazione internazionale di identificare 12 pazienti colpiti da questa forma di disordine del neurosviluppo e comprenderne i meccanismi biologici associati.

gene autismo CAPRIN1
Scoperto nuovo gene responsabile dell’autismo, CAPRIN1. Le rosette neuronali possono essere derivate dalle cellule staminali dei pazienti, e costituiscono lo stadio prematuro del differenziamento verso le cellule neuronali. Nell’immagine, acquisita con microscopio confocale e tecniche di immunofluorescenza, si vede una rosetta neuronale con il segnale in rosso della proteina CAPRIN1

LA RICERCA

Il gruppo di ricerca del Progetto NeuroWES si è dedicato dal 2015 allo studio della genetica dei disturbi dello spettro autistico, grazie alla collaborazione con molti gruppi italiani e dell’Autism Sequencing Consortium (ASC) alla Icahn School of Medicine, Mount Sinai di New York. L’analisi di centinaia di pazienti ha permesso di individuare un caso piemontese in cui era persa un’ampia regione di un cromosoma che comprendeva il gene CAPRIN1. Questa iniziale osservazione ha permesso di ipotizzare il ruolo di CAPRIN 1 nella patogenesi dell’autismo e la successiva identificazione di 12 pazienti con una mutazione nel gene ne ha dimostrato il ruolo patogenico. I pazienti mostrano ritardo del linguaggio, disabilità intellettiva, deficit di attenzione ed iperattività, disturbo dello spettro autistico. Per approfondire i meccanismi patologici correlati a queste mutazioni, la dott.ssa Lisa Pavinato, dottoranda presso il Dipartimento di Scienze Mediche, ha lavorato per quasi un anno presso il laboratorio della Prof.ssa Brunhilde Wirth all’Istituto di Genetica Umana di Colonia (Germania).

Abbiamo utilizzato la tecnologia CRISPR/Cas9 per modificare cellule pluripotenti umane in coltura in modo da spegnere una delle due copie del gene, mimando così la situazione dei pazienti”, spiega la dott.ssa Pavinato. “La parte più complessa dello studio è stata derivare dei neuroni da queste cellule, e studiarne la funzione in laboratorio”, continua la dottoressa.

Un approccio anche noto come “Malattia in provetta” o “disease in a dish”. La ricerca ha dimostrato che perdere una delle due copie di CAPRIN1 causa un’alterazione della organizzazione e della funzione dei neuroni, nonché della loro attività elettrica. L’importanza dello studio risiede, inoltre, nella definizione del ruolo biologico di CAPRIN1, in quanto è stato possibile dimostrare che regola la sintesi di molte proteine nei neuroni regolando l’espressione di molti geni nel cervello. CAPRIN1 è una proteina molto importante, quindi, uno snodo all’intersezione di numerosi meccanismi biologici dei neuroni, che permetterà di identificare numerosi altri geni associati a disordini del neurosviluppo.

LE PROSPETTIVE

La ricerca pubblicata su CAPRIN1 segue una serie di lavori pubblicati nel contesto del Progetto NeuroWES che ha contribuito a chiarire le basi genetiche del disturbo dello spettro autistico. I dati ora pubblicati sono solo la punta di un iceberg: in collaborazione con genetisti clinici, pediatri, neuropsichiatri infantili è stata raccolta un’ampia casistica sottoposta alle indagini genomiche ed è in corso la progressiva valutazione dei risultati delle analisi dei casi piemontesi, rivalutando le famiglie alla luce dei dati genetici, grazie ad Ambulatori dedicati a questo progetto istituiti presso la SC Genetica Medica della Città della Salute e della Scienza di Torino, diretta dalla Prof.ssa Barbara Pasini, l’Ospedale Infantile Regina Margherita, sotto la responsabilità del Prof. Alessandro Mussa, presso l’Azienda ospedaliera-universitaria San Luigi Gonzaga, sotto la responsabilità del Prof. Giovanni Battista Ferrero. È rilevante sottolineare come si stia riportando alle famiglie dei pazienti una diagnosi definitiva in oltre il 30% dei casi analizzati e, allo stesso tempo, lavorando su nuovi geni associati a disturbo dello spettro autistico che stiamo attivamente studiando.

L’identificazione di nuovi geni associati a forme di disturbo dello spettro autistico è in rapida evoluzione e si prevede siano oltre 1000 i geni implicati nella patogenesi di questa condizione. Infatti, buona parte dei disturbi del neurosviluppo associati ad autismo sono probabilmente associati a diverse varianti in geni coinvolti nello sviluppo del sistema nervoso centrale in grado di esitare in franca patologia solo quando sinergicamente presenti. Le sfide del prossimo futuro, che potranno essere affrontate proprio grazie alle collaborazioni internazionali, sono molteplici: identificare nuovi geni e meccanismi correlati ai disturbi dello spettro autistico, classificare i pazienti in base ai meccanismi biologici coinvolti nelle specifiche forme cliniche, porre le basi per future terapie nel contesto di un approccio di medicina di precisione.

Identificare nuovi geni significa quindi non solo comprendere meglio la neurobiologia di queste malattie, ma anche fornire risposte alle famiglie con pazienti affetti da disturbo dello spettro autistico, e porre le basi per i futuri approcci terapeutici.

Brain. 2022 Jul 27. doi: 10.1093/brain/awac278.

Pavinato L, Delle Vedove A, Carli D, Ferrero M, Carestiato S, Howe JL, Agolini E, Coviello DA, van de Laar I, Au PYB, Di Gregorio E, Fabbiani A, Croci S, Mencarelli MA, Bruno LP, Renieri A, Veltra D, Sofocleous C, Faivre L, Mazel B, Safraou H, Denommé-Pichon AS, van Slegtenhorst MA, Giesbertz N, van Jaarsveld RH, Childers A, Rogers RC, Novelli A, De Rubeis S, Buxbaum JD, Scherer SW, Ferrero GB, Wirth B, Brusco A. CAPRIN1 haploinsufficiency causes a neurodevelopmental disorder with language impairment, ADHD and ASD. Brain. 2022 Jul 27:awac278. doi: 10.1093/brain/awac278. Epub ahead of print. PMID: 35979925.

Testo e immagini dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino