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IL CODICE DEL BOSCO, un film documentario di Alessandro Bernard e Paolo Ceretto

Prodotto da Zenit Arti Audiovisive
In anteprima internazionale al 73. Trento Film Festival
AL CINEMA DAL 5 MAGGIO, distribuito da OpenDDB
TUTTE LE DATE DEL TOUR IN SALA IN AGGIORNAMENTO SU: https://openddb.it/film/il-codice-del-bosco/

Il codice del bosco, film documentario di Alessandro Bernard e Paolo Ceretto poster
il poster del film

In una valle messa sottosopra dall’uragano Vaia e lentamente divorata da un insetto che lascia tracce simili a geroglifici, due scienziati non convenzionali esplorano il codice segreto del bosco ferito.

Nel cuore di una foresta devastata, tra tronchi abbattuti e radici scoperte, due scienziati visionari cercano un nuovo modo di dialogare con la natura: Alessandro Chiolerio, fisico che a tratti sembra un alchimista, che usa tecnologia e biologia per captare segnali elettrici dalle piante, e Monica Gagliano, ecologa visionaria che sfida la scienza moderna con i lavori su comunicazione e intelligenza delle piante, portano avanti i loro esperimenti nei luoghi dove all’uragano Vaia è seguita l’epidemia di bostrico.

“Il Codice del bosco”, un film di Alessandro Bernard e Paolo Ceretto, li ha seguiti nelle loro scoperte: il documentario sarà in anteprima assoluta al 73. Trento Film Festival, in programma nella sezione Proiezioni Speciali, in sala giovedì 1° maggio alle 18.45 (Cinema Modena). Il film sarà poi al cinema in tour dal 5 maggio. Prodotto da Zenit Arti Audiovisive in collaborazione con MIC e Film Commission Torino Piemonte, il film è distribuito in Italia da OpenDDB.

Tra l’ottobre e il novembre 2018 una forte tempesta si è abbattuta sul nord-est italiano: l’uragano Vaia ha colpito come mai prima l’ambiente delle Dolomiti e delle Prealpi Venete, le stime contano l’abbattimento di circa 14 mila alberi. Questo disastro ha reso possibile il diffondersi del bostrico, un minuscolo insetto che si nutre dell’abbondante quantità di alberi abbattuti, che ha moltiplicato la sua azione anche sugli abeti del bosco: in seguito alla particolare siccità e allo stress di piogge della stagioni del 2022, oggi è presente un’epidemia di bostrico, che minaccia tutta la foresta, a sei anni dalla tempesta.

Proprio in Val di Fiemme, a Costa Bocche (Paneveggio, TN), i due scienziati si incontrano per provare a entrare in contatto con il bosco, tra tronchi spezzati e radici capovolte, dove avanza inesorabile il minuscolo ospite a vista d’occhio, flagello degli alberi, che incide sotto la corteccia intricati segni come geroglifici da decifrare. Un linguaggio sconosciuto che sembra alludere a un mistero ancora da svelare. Tra nuove ipotesi scientifiche, antichi saperi e connessioni invisibili da esplorare, il film ci porta in un viaggio affascinante alla ricerca di un nuovo modo di vedere e vivere il nostro rapporto con la natura. Un racconto che intreccia scienza, tecnologia e mito, in cui il bosco si manifesta come un’entità viva, abitata da un genius loci con cui imparare a dialogare. La camera da presa incontra quindi diverse vedute della scienza, sguardi attenti e volontà di ascoltare, al fianco dei due ricercatori, tra il sapere locale e la pazienza della scoperta, che infine arriva – quasi inaspettata – rivelando la voce del bosco.

Alessandro Chiolerio è un fisico noto per il suo lavoro pionieristico e il suo approccio interdisciplinare tra fisica, nanotecnologie, elettronica e biologia (da Torino a Pasadena con la Nasa, fino al Max Planck Institute in Germania): oltre alla robotica bioispirata, il suo lavoro ha aperto una nuova frontiera nello studio della cibernetica della natura. Ha installato nel bosco i Cybertree, dispositivi da lui inventati, una chimera che unisce tecnologia e biologia per captare i segnali elettrici delle piante. Con lui c’è Monica Gagliano, scienziata di fama internazionale (ascoltata dai più importanti istituti e media mondiali), che ha esplorato le saggezze indigene del mondo, dalla selva amazzonica al bush australiano, apprendendo che la natura parla se la si sa ascoltare. Ha così aperto la strada al nuovissimo campo di ricerca della bioacustica delle piante, dimostrando per la prima volta sperimentalmente che le piante emettono le proprie “voci” e rilevano e rispondono ai suoni del loro ambiente, estendendo a queste il concetto di cognizione (inclusi percezione, processi di apprendimento, memoria).

“C’era un tempo in cui l’uomo guardava alla natura con rispetto e meraviglia. Boschi, fiumi e montagne erano visti come luoghi abitati da presenze invisibili, forze con cui bisognava entrare in sintonia prima di insediarsi, coltivare la terra o costruire un tempio. Un tempo in cui ci si poneva in rispettoso ascolto del “genius loci”. Oggi, invece, abbiamo smesso di ascoltare. – si legge le note di regia degli autori – Quello che doveva essere il resoconto lineare di un esperimento è diventata un’esperienza inattesa condivisa con gli scienziati, che ci ha rivelato il vero cuore del processo scientifico: un viaggio fatto di ipotesi, errori e scoperte, dove pianificazione e imprevisti si intrecciano. Lontana dall’essere un insieme di certezze, la scienza che ci affascina davvero è viva, una lente che allarga il nostro sguardo, apre nuove domande e ci spinge a ripensare il mondo. Oggi si parla molto di Intelligenza Artificiale, ma forse abbiamo bisogno prima di tutto di riconnetterci con un’altra intelligenza: quella della natura. Serve un cambio di prospettiva, una nuova rivoluzione copernicana che ci aiuti ad abbandonare l’idea di essere il centro del mondo, per riconoscerci parte di un ecosistema più grande, abitato da specie che esistevano prima di noi, hanno sperimentato l’evoluzione molto più a lungo e forse hanno qualcosa da insegnarci.”

Dal 2006, Alessandro Bernard scrive e dirige film documentari, lavorando anche come autore di progetti transmediali e podcast. Paolo Ceretto è filmmaker, autore e regista di documentari, e dal 2016 insegna sceneggiatura e regia presso lo IED, Istituto Europeo di Design di Torino. Insieme hanno co-diretto Wastemandala (2015), Quando Olivetti inventò il pc (2011) e Space Hackers (52’, 2006).

LE DATE – IN AGGIORNAMENTO: https://openddb.it/film/il-codice-del-bosco/

Lunedì 5 maggio
TORINO – ore 20.30, Cinema Massimo di Torino – alla presenza degli autori

FELTRE – ore 20, Cinema Teatro Officinema

Martedì 6 maggio
TORINO – ore 18, Cinema Massimo
FELTRE – ore 21, Cinema Teatro Officinema

Mercoledì 7 maggio

TORINO – ore 16, Cinema Massimo Torino – alla presenza di uno dei due autori

ore 21, Cinema Fratelli Marx – alla presenza degli autori

Giovedì 8 maggio
BOLOGNA – ore 21.30 Cinema Galliera – alla presenza di Alessandro Bernard

Venerdì 9 maggio

FIRENZE – ore 21, Cinema Astra – alla presenza di Alessandro Bernard

TORINO – ore 18.45, Cinema Fratelli Marx

Domenica 11 maggio

FIRENZE – ore 18, Cinema Astra

Lunedì 12 maggio
TORINO – ore 19, Cinema Fratelli Marx

CESENA – ore 21, Cinema Eliseo – collegamento di Paolo Ceretto

CUNEO – ore 21, Cinema Monviso – collegamento con uno dei registi

Martedì 13 maggio

MODENA – ore 21, Sala Truffaut – collegamento di Paolo Ceretto

BOLOGNA – ore 19, Cinema Galliera Bologna
Giovedì 14 maggio

CUNEO – ore 21, Cinema Monviso – collegamento con uno dei registi

Venerdì 30 maggio
ASTI – ore 21, Sala Pastrone

 

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio stampa OpenDDB. Aggiornato il 30 aprile 2025.

Gestione delle foreste e funzionalità degli ecosistemi: il delicato equilibrio tra uomo e natura

Una collaborazione internazionale, a cui partecipa un gruppo di ricercatori della Sapienza, ha pubblicato su Journal of Applied Ecology i risultati di uno studio che indaga i legami tra strategie di gestione delle foreste e caratteristiche funzionali del sottobosco, visto che queste ultime influenzano il grado di resilienza ai cambiamenti. La ricerca è stata resa possibile da un monitoraggio della biodiversità forestale che ha coinvolto 12 paesi in Europa.

La vasta maggioranza delle foreste d’Europa è attualmente utilizzata per la produzione di legname. Le strategie di gestione forestale deputate a questo scopo sono notevolmente varie ed è differente anche l’impatto delle singole metodologie sulla vegetazione del sottobosco e di conseguenza sulla biodiversità forestale, sul ciclo dei nutrienti e sulla capacità di rigenerazione dell’ecosistema.

Nonostante l’importanza delle foreste anche nella lotta al cambiamento climatico, nessuno finora aveva indagato il rapporto esistente tra metodi di gestione delle risorse forestali e ricchezza e resilienza degli ecosistemi. Una collaborazione di 52 scienziati provenienti da 12 paesi europei, tra cui un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha svolto per la prima volta una ricerca a vasta scala sul tema. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Applied Ecology della British Ecological Society.

In particolare i ricercatori hanno confrontato gli effetti di ciascuna strategia di gestione forestale su tre distinte componenti: diversità funzionale, ridondanza funzionale e dominanza misurate rispetto alle foreste non sfruttate per la produzione di legname.

Il primo indicatore stima la disponibilità di specie diversificate per funzioni ambientali. La presenza di un’elevata diversità funzionale incrementa la probabilità che, in caso di instabilità climatica o eventi catastrofici, alcune specie possano sfruttare a loro vantaggio le nuove condizioni, contribuendo così alla resilienza post-disturbo dell’ecosistema.

Il secondo indicatore si riferisce alla compresenza di specie che svolgono funzioni simili, le quali possano garantire il mantenimento di processi ecosistemici, come la produttività, la cattura del carbonio o il ciclo dei nutrienti dopo la perdita di specie dovuta a forti disturbi o perturbazioni.

Infine, il terzo riguarda la dominanza di una o più specie rispetto alle altre.

I dati necessari per valutare questi effetti sono stati raccolti a livello locale in 2107 punti di campionamento in 146 siti sparsi in tutta Europa, ognuno dei quali è associato ad una specifica strategia di gestione. Per ciascuna unità di campionamento è stata effettuata l’identificazione delle specie e la stima dell’abbondanza di piante vascolari presenti nel sottobosco. In seguito i dati sono stati inseriti su una piattaforma di gestione e armonizzazione dei dati, che ne ha permesso il confronto.

I risultati dimostrano come le differenti metodologie di silvicoltura impattano sul sottobosco e sulle sue caratteristiche. In particolare, se le foreste non gestite presentano sia un sottobosco funzionalmente diversificato che ridondante, gli stessi effetti possono essere ottenuti attraverso strategie di gestione e sfruttamento a bassa intensità.

D’altro canto, lo sfruttamento intensivo è associato a una diminuzione della diversità funzionale parzialmente controbilanciata da un aumento della ridondanza funzionale. Ciò implica che, sebbene la gestione intensiva possa mantenere le funzioni delle foreste in caso di perdita di alcune specie, con questo tipo di gestione viene anche fortemente limitata la gamma di risposte del sottobosco ai cambiamenti ambientali.

Dunque, i diversi regimi gestionali influenzano diversi aspetti delle caratteristiche funzionali del sottobosco e data la complessità delle interazioni tra queste componenti ambientali è impossibile individuare un regime di silvicoltura universalmente consigliabile. Le diverse opzioni dovrebbero essere bilanciate in un paesaggio forestale per sostenere le molteplici funzioni che le società umane richiedono agli ecosistemi forestali.

gestione delle foreste sottobosco ecosistemi
Foto di Kurt Bouda

Riferimenti bibliografici:

Silvicultural regime shapes understory functional structure in European forests – F. Chianucci, F. Napoleone, C. Ricotta, … S. Burrascano – Journal of Applied Ecology https://doi.org/10.1111/1365-2664.14740

Testo e video dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Un futuro incerto per la biodiversità del bacino del Congo

La prima review dedicata agli impatti dei cambiamenti climatici in una delle foreste pluviali più grandi al mondo ha evidenziato le possibili conseguenze negative sulla biodiversità: dall’estinzione delle specie alla diminuzione delle dimensioni degli organismi. I risultati del lavoro, coordinato dal Dipartimento di Biologia e biotecnologie della Sapienza, sono pubblicati sulla rivista Biological Conservation.

Il bacino del Congo, la seconda foresta pluviale continua più grande al mondo, è un centro chiave della biodiversità del pianeta e svolge un ruolo significativo nella mitigazione dei cambiamenti climatici.

Quest’area si trova ad affrontare minacce multiformi, tra cui il cambiamento di destinazione d’uso del territorio, lo sfruttamento delle risorse naturali e i mutamenti climatici.

Un team di ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza ha indagato e valutato criticamente lo stato attuale delle conoscenze relative agli impatti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità del bacino del Congo, a tutti i suoi livelli organizzativi, utilizzando una metodologia di revisione sistematica della letteratura.

I risultati del lavoro, pubblicato sulla rivista Biological Conservation, hanno evidenziato una traiettoria futura incerta per la biodiversità dell’area, considerando il suo stato poco studiato, l’entità delle incognite e le risposte negative trovate in letteratura.

I ricercatori si sono concentrati principalmente sul cambiamento climatico in quanto minaccia emergente ma poco studiata, potenzialmente in grado di assumere un ruolo primario nel determinare la perdita di biodiversità nella regione: dall’aumento della vulnerabilità delle specie all’estinzione, allo spostamento dell’areale delle specie, fino alla diminuzione delle dimensioni degli organismi.

“Questa sintesi  ci ha permesso di identificare i cluster di conoscenza più importanti nella letteratura scientifica esistente e di delineare un’agenda di ricerca futura– spiega Milena Beekmann della Sapienza, primo nome del lavoro che costituisce una parte della sua tesi di dottorato – A nostra conoscenza, questa è la prima review che si concentra sugli impatti dei cambiamenti climatici nel bacino del Congo”.

“Tuttavia – commenta Carlo Rondinini, tra gli autori dello studio e docente della Sapienza – permangono alti livelli di incertezza, legati ad allarmanti lacune nelle conoscenze, a processi ecologici non documentati e a una mancanza di informazioni”.

il fiume Epulu nella Riserva Faunistica Okapi, Repubblica Democratica del Congo
il fiume Epulu nella Riserva Faunistica Okapi, Repubblica Democratica del Congo. Foto di J. Doremus, United States Agency for International Development – USAID [1], in pubblico dominio

Riferimenti bibliografici: 

Uncertain future for Congo Basin biodiversity: A systematic review of climate change impacts – Milena Beekmann, Sandrine Gallois, Carlo Rondinini – Biological Conservation 2024, DOI: https://doi.org/10.1016/j.biocon.2024.110730

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

L’abete rosso in Scandinavia: una colonizzazione che ha avuto inizio più di 10.000 anni fa 

La recente scoperta di antichi resti di DNA antico, presenti nei sedimenti lacustri al margine meridionale della calotta glaciale scandinava e attribuibili all’abete rosso, porta nuova luce sulle dinamiche di risposta delle foreste ai cambiamenti climatici del passato. Lo studio internazionale, coordinato dalla Sapienza, è stato pubblicato su Nature Communications.

Härjehågna

L’abete rosso è oggi la specie arborea più comune in Fennoscandia, la parte d’Europa che comprende la Finlandia e la penisola scandinava. Diversi studi, basati su ritrovamenti di polline fossile di abete in antichi sedimenti lacustri, hanno dimostrato che ci sono volute diverse migliaia di anni prima che questa specie giungesse in Svezia dopo l’ultima glaciazione e diventasse la specie dominante delle foreste scandinave. Secondo tali analisi l’abete sarebbe giunto in Svezia dal nord-est solo 2.000 anni fa.

abete rosso in Scandinavia

Oggi, un nuovo studio che utilizza il DNA ambientale antico conservato negli stessi sedimenti dimostra che l’abete rosso era invece presente in Svezia meridionale già dopo l’ultima glaciazione, circa 14.000 anni fa. Il lavoro, coordinato dal Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza e dall’Università di Uppsala in Svezia, in collaborazione con gruppi di ricerca di Università europee e giapponesi, è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.

abete rosso in Scandinavia

Contrariamente a quanto sempre creduto, infatti l’abete rosso sembra essere uno dei primi alberi che ha colonizzato la Svezia, sebbene riuscì a diffondersi in larga misura solo 2.000 anni fa. Cosa abbia trattenuto l’abete per le successive migliaia di anni però non è ancora del tutto chiaro.

Questi ultimi risultati hanno evidenziato una somiglianza genetica fra i gruppi di abeti solitari che oggi crescono e si riproducono vegetativamente (cloni) in alto sui pendii montuosi nella Svezia centrale e quelli che arrivarono successivamente dal nord-est, dimostrando il ruolo delle piccole popolazioni arboree locali superstiti nella ricolonizzazione delle foreste del nord Europa dopo l’ultima glaciazione.

L’abete rosso in Scandinavia: una colonizzazione che ha avuto inizio più di 10.000 anni fa

“Le analisi genetiche mostrano che l’abete svedese è sopravvissuto molto vicino alla calotta glaciale – spiega Laura Parducci della Sapienza, coordinatrice del lavoro – e abbia dunque sperimentato diversi tentativi per impossessarsi delle foreste scandinave, ma che solo l’ultima espansione abbia avuto successo”.

Gli studi sulla conservazione e il ripristino delle foreste sono strumenti importanti per contrastare le minacce causate dalla frammentazione degli habitat e dai cambiamenti climatici. Tuttavia, per favorire la diversificazione e la resilienza delle foreste è necessario prima comprendere le dinamiche della risposta delle foreste ai cambiamenti climatici del passato. Pertanto, l’utilizzo del DNA antico per la comprensione della velocità con cui l’abete ha ricolonizzato la Fennoscandia è di grande importanza per prevedere le risposte ecologiche al futuro riscaldamento climatico.

abete rosso in Scandinavia

Riferimenti:

Norway spruce postglacial recolonization of Fennoscandia – Kevin Nota, Jonatan Klaminder, Pascal Milesi, Richard Bindler, Alessandro Nobile, Tamara van Steijn, Stefan Bertilsson, Brita Svensson, Shun K. Hirota, Ayumi Matsuo, Urban Gunnarsson, Heikki Seppä, Minna M. Väliranta, Barbara Wohlfarth, Yoshihisa Suyama & Laura Parducci – Nature Communications DOI https://doi.org/10.1038/s41467-022-28976-4

abete rosso in Scandinavia

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Biodiversità e clima: dal lago di Ocrida il segreto della resilienza delle foreste ai cambiamenti globali

Lo studio di un team internazionale di ricercatori coordinati dalla Sapienza, individua il ruolo del grande bacino d’acqua dolce situato al confine tra Albania e Macedonia del Nord, come di area di rifugio per le piante e gli alberi durante fasi climatiche sfavorevoli. La ricerca pubblicata su PNAS fornisce un importante contributo allo studio dei rifugi forestali e alle ricerche sulla conservazione e diversificazione delle foreste.

biodiversità clima lago di Ocrida
Biodiversità e clima: dal lago di Ocrida il segreto della resilienza delle foreste ai cambiamenti globali. In foto, il lago di Ocrida, piattaforma al tramonto. Foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

La conservazione e il ripristino delle foreste sono importanti strumenti di contrasto alle minacce causate dalla frammentazione degli habitat e dal cambiamento globale. Ma per favorire la diversificazione e la resilienza delle foreste occorre prima capire le dinamiche di risposta delle piante ai cambiamenti climatici del passato.

Uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), coordinato dal Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, analizzando polline e spore fossili da campioni di sedimenti provenienti dal fondo del lago di Ocrida, un grande bacino d’acqua dolce situato al confine tra Albania e Macedonia del Nord, identifica e descrive la risposta di numerosi elementi forestali ai cambiamenti climatici determinati dalle oscillazioni glaciali-interglaciali negli ultimi 1,36 milioni di anni.

Il record dei sedimenti del lago di Ocrida rappresenta il più antico archivio lacustre continuo d’Europa, a partire da quando il lago si generò.

Questa nuova ricerca spiega l’importanza di un’area umida qual è il lago Ocrida, come rifugio per le piante durante le fasi climatiche meno favorevoli, quelle aride e fredde.

I risultati suggeriscono che circa 1,16 milioni di anni fa la zona del lago di Ocrida era caratterizzata da foreste che lasciarono il posto a un ambiente più aperto, con erbe e arbusti indicatori di un aumento dell’aridità e dell’approfondimento delle acque lacustri. A questa fase seguì un’altra transizione, circa 0,94 milioni di anni fa, dovuta alla risposta della vegetazione a cicli glaciali-interglaciali sempre più lunghi e accentuati. Numerose piante, altrove estinte o rare, hanno avuto una maggiore persistenza nella zona di Ocrida, dimostrando che il lago era un’area di rifugio, almeno fino a circa 1 milione di anni fa. Lo studio mette anche in evidenza come molti alberi abbiano avuto decrescite più o meno rapide, prima di scomparire.

“La valutazione degli effetti a lungo termine rispetto a clima globale e cambiamento della vegetazione locale – spiega Alessia Masi della Sapienza – rivela un’influenza significativa delle condizioni interglaciali umide sulla successiva composizione e diversità vegetale nel periodo glaciale”.

“Questo effetto – conclude Laura Sadori della Sapienza, coordinatrice dello studio – è opposto nelle osservazioni alle alte latitudini, dove l’intensità glaciale è nota per controllare la successiva vegetazione interglaciale, e le evidenze dimostrano che il bacino del lago di Ocrida ha funzionato come rifugio sia per le specie arboree termofile che per quelle temperate”.

Secondo gli autori, il record del lago di Ocrida può dare un contributo notevole alla gestione delle foreste e alle ricerche sulla loro resilienza ai futuri cambiamenti climatici.

 

Riferimenti:

1.36 million years of Mediterranean forest refugium dynamics in response to glacial-interglacial cycle strength  Timme Donders, Konstantinos Panagiotopoulos, Andreas Koutsodendris, Adele Bertini, Anna Maria Mercuri, Alessia Masi, Nathalie Combourieu-Nebout, Sébastien Joannin, Katerina Kouli, Ilias Kousis, Odile Peyron, Paola Torri, Assunta Florenzano, Alexander Francke, Bernd Wagner, Laura Sadori. – PNAS 2021 DOI: https://doi.org/10.1073/pnas.2026111118

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma