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A scuola di biodiversità su un albero di quattro metri e mezzo: l’idea dei ricercatori di Milano-Bicocca viaggia con la campagna di crowdfunding Una Casa chiamata Albero

Realizzare un modello di albero alto oltre 4 metri per sensibilizzare sull’importanza degli alberi nella difesa della biodiversità? Sì, con la campagna di crowdfunding Una Casa chiamata Albero

 

Milano, 11 aprile 2024 – Salvare i patriarchi verdi, i grandi alberi-casa che accolgono un’ampia varietà di esseri viventi. È l’obiettivo delle ricercatrici e dei ricercatori di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca guidati da Claudia Canedoli, che hanno lanciato una campagna di crowdfunding per costruire un albero di quattro metri e mezzo.

«Vogliamo costruire un grande albero – dice Canedoli – in tutto e per tutto simile a uno vero, comprese le nicchie e i rifugi in cui trovano posto insetti, mammiferi e uccelli, e con questo albero-modello avviare una campagna di sensibilizzazione rivolta a tutti: dal cittadino comune a tutto il mondo della pubblica amministrazione, fino ai professionisti del verde».

L’obiettivo di Una Casa chiamata Albero è raccogliere 10.000 euro, per realizzare un modello didattico alto 4,5 metri che riproduca in modo realistico un albero-habitat e tutto l’ecosistema di cui è il perno essenziale. Infatti, quando si rimuove un albero si distrugge un intero ecosistema brulicante di vita e, anche piantando un albero giovane, non se ne recupera il valore ecologico. La campagna di raccolta fondi è attiva su Ideaginger.it, la piattaforma di crowdfunding con il tasso di successo più alto in Italia, ed è stata selezionata con la VI edizione di BiUniCrowd, l’iniziativa dell’Università di Milano-Bicocca che permette alle idee e ai progetti della comunità universitaria di ottenere sostegno e visibilità dall’esterno.

«Se il crowdfunding avrà successo – aggiunge Claudia Canedoli – l’albero modello sarà esposto in prima battuta presso il Museo civico di Storia naturale di Milano, in occasione della mostra temporanea Viaggio intorno a un albero a partire dal 19 settembre 2024. Ma questa sarà solo la sua prima dimora. L’albero sarà completamente smontabile e rimontabile, così da essere utilizzato come strumento didattico itinerante a disposizione di altri musei, università o luoghi di cultura. Per riuscirci però abbiamo bisogno del supporto di tutte le persone consapevoli del ruolo essenziale degli alberi, aiutateci con una donazione!».

Una Casa chiamata Albero è stato selezionato da Fondazione Cariplo, che cofinanzierà la campagna di crowdfunding con un contributo di 5.000 euro quando sarà stato raccolto il 50% del suo obiettivo.

«Si tratta di un progetto prezioso per sensibilizzare la comunità, diffondere cultura e creare una sensibilità diffusa su una tematica ambientale ineludibile come la tutela degli alberi», afferma Carlo Mango, direttore Area Ricerca di Fondazione Cariplo.

«Una Casa chiamata Albero incarna appieno i valori di Fondazione Cariplo, è stato naturale selezionare il progetto e promuoverlo con entusiasmo. Per usare una metafora legata agli alberi potremmo considerare il progetto ancora come un germoglio, ma che grazie al supporto di tutta la comunità può sviluppare solide radici e diramarsi sul territorio. Sono convinto che non potrebbe esserci strumento migliore del crowdfunding per realizzarlo».

Sostenere Una Casa chiamata Albero è semplicissimo, basta collegarsi alla pagina del progetto e fare una donazione scegliendo il metodo di pagamento preferito. Tra le ricompense per ringraziare i sostenitori c’è anche l’opportunità di ricevere dei contenuti di approfondimento curati dai ricercatori e di partecipare a una speciale visita al museo.

La squadra di lavoro che ha ideato Una Casa chiamata Albero è ampia e travalica i confini dell’Università di Milano-Bicocca. Insieme a Claudia Canedoli, referente del progetto e assegnista di ricerca, collaborano anche il professor Emilio Padoa-Schioppa, Davide Corengia, Noemi Rota, Emanuele Asnaghi, Elisa Maria Clotilde Caldarelli, Sara Pelladoni, Camilla Stefanini e Michele Corengia, ricercatori e liberi professionisti afferenti al Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra e anche a diverse altre realtà.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.

Bimbi prematuri: col progetto ParWelB, un’indagine di Milano-Bicocca dà voce alle esperienze dei genitori

Sono le madri dei neonati prematuri a soffrire di livelli di stress più elevati, in particolare le più giovani. A rivelarlo il progetto ParWelB, avviato nel 2021 in collaborazione con ASST Niguarda e ASST Rhodense, finanziato da Fondazione Cariplo.

Milano, 20 febbraio 2024 – Sono le madri di neonati prematuri a soffrire di livelli di stress più elevati, in particolare le più giovani. Ma, rispetto ai padri, sono sempre le madri a mostrare maggior “autoefficacia”, cioè percezione di saper gestire il proprio neonato, soprattutto se con prematurità più grave.

Questa la sintesi conclusiva del progetto ParWelB (Voicing preterm parents’ experiences. A multidisciplinary study to set neonatal practices and enhance families’ wellbeing), avviato a novembre 2021, con lo scopo di migliorare il benessere dei genitori di neonati prematuri e, allo stesso tempo, con l’obiettivo di facilitare il coinvolgimento dei cittadini e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della prematurità.

Lo studio, finanziato da Fondazione Cariplo, è stato coordinato dal Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale dell’Università di Milano Bicocca (Alessandra Decataldo) insieme al Reparto di Terapia intensiva neonatale dell’Azienda socio-sanitaria territoriale-ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda di Milano (diretto da Stefano Martinelli) e al Reparto di Terapia sub-intensiva neonatale dell’ASST Rhodense Ospedale di Rho (diretto da Salvatore Barberi).

Focus della ricerca sono state le interazioni tra le diverse componenti del personale sanitario (medici con diverse specializzazioni e infermieri); la relazione tra tali operatori e i genitori di bambini nati pretermine; infine, la relazione tra il benessere dei genitori e gli esiti in termini di salute del loro bambino.

I partecipanti hanno risposto a interviste con questionario e monitoraggio post dimissione con web app appositamente progettata per ParWelB. Tramite la web-app si è puntato a realizzare un monitoraggio annuale (con cadenza mensile) del benessere dei genitori pretermine che hanno aderito al progetto ParWelB. Oltre a questo, son state realizzate interviste narrative e video interviste.

Il progetto ParWelB ha previsto anche attività di supporto e public engagement tra cui: supporto psicologico; incontri informativi sulla prematurità; corsi pre-parto; incontri psico-educativi con i genitori di neonati in degenza; gruppi peer to peer di genitori post-dimissione; open meeting con differenti categorie professionali; infine, 4 workshop rivolti ad un pubblico più ampio.

Campione di ricerca

Le attività di ricerca hanno coinvolto 60 neonati (46 ricoverati presso l’Ospedale Niguarda e 14 presso quello di Rho) e 104 genitori.

Dei 104 genitori il 56,7 per cento erano donne (58 erano partorienti e 46 partner). L’età dei genitori variava dai 23 ai 53 anni. Per quanto riguarda l’occupazione, l’86,4 per cento dei genitori ha dichiarato di avere un lavoro (97,8 per cento degli uomini e 77,6 per cento delle donne).

Per quanto riguarda la gravità della prematurità, questa è stata misurata sia in base alle settimane di gestazione alla nascita, definita gravità di tipo 1 (suddivisa in estrema/molto alta con riferimento alla situazione dei bambini nati prima della trentaduesima settimana e moderata/lieve relativamente a quella dei nati dopo 32 più 1) sia in base al peso alla nascita, definita gravità di tipo 2 (e classificata come estrema/molto alta nel caso di bambini con un peso inferiore ai 1.500 grammi e moderata/lieve in quello dei nati con un peso superiore).

Il 34,6 per cento dei neonati coinvolti nella ricerca era nato prima della trentaduesima settimana di gestazione e il 42,3 per cento pesava meno di 1.500 grammi alla nascita.

Risultati dell’indagine

Gli esiti dello studio mostrano che le madri hanno livelli di stress più elevati rispetto ai padri. Ad avere sintomi di depressione più elevati, sono i genitori più giovani (23/24 anni), rispetto a quelli con età più alta (35 anni o più).

Contrariamente alle attese, i livelli di depressione più alti si osservano tra i genitori con figli con prematurità moderatamente grave rispetto a quelli i cui nascituri si trovavano in una situazione molto più critica. Questo risultato, apparentemente controintuitivo, è da attribuire alle maggiori competenze sviluppate dai genitori con degenze più lunghe dei loro neonati. Questi genitori, infatti, imparano all’interno del reparto e con il supporto del personale sanitario a comprendere e gestire i bisogni del proprio bambino.

Se si guarda all’autoefficacia percepita – in questo caso, la percezione dei genitori di essere in grado di gestire il proprio neonato – si osserva che le madri, pur più colpite da stress, come emerge dall’analisi precedente, mostrano livelli medi di autoefficacia decisamente più elevati di quelli dei padri (25,13 e 17,31 rispettivamente).

In particolare, l’autoefficacia risulta maggiore per i genitori con figli in condizioni più gravi, proprio grazie ai benefici tratti dal maggiore accompagnamento del personale sanitario e di supporto psicologico.

«Questa ricerca è nata da uno sforzo collettivo e interdisciplinare: quello di ragionare sull’esperienza dei genitori che hanno vissuto un’esperienza di ospedalizzazione in terapia intensiva neonatale non solo raccogliendo le loro narrazioni e le loro caratteristiche psico-sociali con diversi strumenti di rilevazione, ma anche coinvolgendoli nella creazione di uno spazio comune di riflessione sull’esperienza di prematurità e sul modo in cui questa investe la triade madre-padre-bambino. – ha detto Alessandra Decataldo, sociologa di Milano-Bicocca alla guida del progetto – La nostra attenzione è verso il benessere dei genitori con la convinzione che questo rappresenti le fondamenta per la salute del bambino. Oggi si conclude l’esperienza finanziata da Fondazione Cariplo, ma il progetto continuerà a vivere grazie ad un nuovo finanziamento del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica».

ospedale terapia cancro alla prostata Malattia di Charcot-Marie-Tooth di tipo 2A
Bimbi prematuri: col progetto ParWelB, un’indagine dell’Università di Milano-Bicocca dà voce alle esperienze dei genitori. Foto di tahabaz

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.

“Climada”, il clima degli ultimi 1000 anni svelato dai ghiacci dell’Adamello

È cominciata la fase di studio dei 224 metri di ghiaccio estratti nel 2021, per ricostruire le condizioni climatiche ed ambientali della parte centrale delle Alpi e monitorare il movimento del ghiacciaio.

 

ClimAda
“Climada”, il clima degli ultimi 1000 anni svelato dai ghiacci dell’Adamello

 

Milano, 28 aprile 2022 – Parte ClimADA, seconda fase del progetto che nell’aprile 2021 ha permesso l’estrazione di 224 metri di ghiacci dal Ghiacciaio dell’Adamello, grazie ad un’operazione mai riuscita prima nell’intero arco alpino. Nei laboratori dell’EuroCOLD della Bicocca è iniziata, infatti, la serie di analisi finalizzate a ricostruire le condizioni climatiche ed ambientali della parte centrale delle Alpi, che permetterà di andare indietro di 1000 anni circa.
All’indomani del sopralluogo sul Ghiacciaio per verificare lo stato della fibra e della raccolta dati, Fabrizio Piccarolo, Direttore di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, annuncia questa nuova fase dell’attività che vede partner pubblici e privati raccolti attorno all’obiettivo di studiare il ghiacciaio per capire i cambiamenti climatici sull’arco alpino e sui territori circostanti.
«Sono particolarmente grato a Fondazione Cariplo – sottolinea Piccarolo – e a Regione Lombardia che insieme all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Politecnico di Milano, Università di Brescia e Comunità Montana di Valle Camonica-Parco dell’Adamello, e con il supporto attivo di Edison e Bayer, ci dà modo di entrare nella seconda fase del progetto iniziato nel 2021 con l’estrazione dei 224 metri di ghiaccio dall’Adamello».

Mentre il ghiaccio estratto è custodito presso l’EuroCOLD Lab di Milano-Bicocca (che arriva a -50°C di temperatura e che, insieme a due “camere bianche” a bassissimi livelli di contaminazione, permette di simulare le condizioni presenti in alta montagna e nelle regioni polari), è proseguita la raccolta di dati provenienti dalla fibra ottica installata lungo la verticale di estrazione del ghiaccio: dalla loro posa si misurano spostamento e temperatura lungo tutta la verticale di sondaggio, dando informazioni preziose per comprendere come si muove il ghiacciaio dell’Adamello e quale sarà il suo futuro.
«Investire sullo studio dei cambiamenti climatici significa investire sul futuro del nostro ecosistema e su tutti gli aspetti ad esso collegati: vivibilità dei territori, salute delle persone, economia locale – spiega Giovanni Fosti, Presidente di Fondazione Cariplo. Per questo Fondazione Cariplo continua a sostenere il progetto ClimADA: grazie a questa seconda fase di ricerca sarà possibile avere nuovi elementi per capire quale è stato l’impatto dell’uomo sull’ambiente e quali sono le misure per ridurlo».

Insieme a Regione Lombardia per studiare il cambiamento climatico
«Regione Lombardia ha voluto sostenere fin dall’inizio questo progetto scientifico che è in linea con la politica ambientale del governo regionale – commenta Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia. I 224 metri di ghiaccio estratti e studiati permetteranno di leggere la storia del ghiacciaio e dei cambiamenti climatici, così come la fibra ottica sta fornendo informazioni preziose. Un risultato per la nostra Regione, per l’ambiente e per gli studi sulle evoluzioni dei ghiacciai.
Questo ci fa proseguire convintamente, attraverso la Fondazione, nel sostenere questo progetto con un importante stanziamento per i prossimi due anni, a favore dell’attività di ricerca per la ricostruzione climatica e ambientale dell’area dell’Adamello. A conferma della necessità di un lavoro continuo, che Regione Lombardia sta portando avanti sui temi ambientali, sul cambiamento climatico, sullo studio della biodiversità. Sempre in un’ottica di sviluppo sostenibile, guardando al futuro e alle tecnologie innovative».
ClimAda
La segmentazione della carota di ghiaccio
«Ora – spiega Valter Maggi, responsabile dell’EuroCOLD Lab, dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra – stiamo definendo un piano di taglio della “carota”. Saranno campionate sezioni di ghiaccio destinate alle misure degli isotopi stabili, necessarie per ricostruire l’origine delle masse d’aria che provocano le precipitazioni nevose sull’Adamello. In parallelo verranno effettuati campionamenti per le misure delle polveri fini atmosferiche, dei pollini e dei macroresti vegetali e per le misure dei black carbons di origine antropica. Sono previste anche datazioni di differente tipo (come radiocarbonio e Argon) necessarie per meglio capire la sequenza temporale degli eventi».

ClimAda

I 4 periodi analizzati, fino a 1000 anni di storia
Queste misurazioni sono fondamentali per comprendere l’evoluzione del Ghiacciaio dell’Adamello negli ultimi secoli, ricostruire le condizioni climatiche ed ambientali che si sono succedute fino ad ora, e fornire dati per gli scenari futuri sia sul ghiacciaio stesso che nelle Alpi centrali. In particolare la ricostruzione degli eventi climatici ed ambientali si concentrerà su 4 periodi specifici:
  • il periodo industriale
  • la Prima Guerra Mondiale, combattuta in modo molto cruento sull’Adamello, rappresenta un periodo di particolare importanza per valutare l’impatto delle situazioni belliche in aree montane;
  • la parte della Piccola Età Glaciale, del periodo pre-industriale;
  • la parte basale della carota (indicativamente gli ultimi 30 metri di carota) consentiranno infine di comprendere l’evoluzione climatico-ambientale di un periodo stimato intorno a 1000 anni dal presente.

 

Il movimento del Ghiacciaio seguito dalla fibra ottica
L’inserimento di 4 cavi in fibra ottica all’interno della perforazione – progettato ed eseguito dal team del prof. Mario Martinelli del Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano – ha permesso di monitorare l’evoluzione temporale del profilo termico e deformativo del ghiacciaio lungo la verticale fino alla profondità di 225 metri, con un elevato dettaglio spaziale. «Un sistema di monitoraggio di questo tipo – spiega Martinelli – non è mai stato applicato a un ghiacciaio alpino prima d’ora e potrà fornire anche in futuro preziosissime informazioni, che saranno utili a geologi e glaciologi per prevedere la futura evoluzione del più grande e profondo ghiacciaio d’Italia. Le misure del sensore a fibra ottica saranno successivamente integrate da dati satellitari, per seguire anche lo spostamento superficiale del ghiacciaio. L’integrazione di questi dati permetterà di stimare i parametri del modello termofluidodinamico (messo a punto dal prof. Ranzi e dalla prof.sa Grossi dell’Università di Brescia) e quindi di ottenere una descrizione più affidabile del ghiacciaio, simulandone il comportamento».

 

«Dalle valutazioni preliminari condotte dal team dell’Università di Brescia – ricorda Roberto Ranzi, professore di Costruzioni idrauliche e di Monitoraggio e sistemazione dei bacini idrografici in questo ateneo –  era risultato che difficilmente  il Ghiacciaio dell’Adamello sopravviverà  fino alla fine del secolo. Le misure effettuate nel progetto ClimADA potranno ridurre le incertezze delle nostre stime e gettare maggior luce sugli impatti del riscaldamento globale sulla criosfera e il regime dei deflussi nei bacini alpini glacializzati».

 

Una conoscenza diffusa sul territorio e nelle scuole

 

«Il ghiacciaio porta dentro di sé e restituisce eventi ed elementi preziosi per ricostruire la storia dei secoli trascorsi – osserva Alessandro Bonomelli, Presidente della Comunità Montana di Valle Camonica-Parco dell’Adamello. Nella lettura delle pagine ghiacciate del passato cerchiamo interpretazioni del presente e soluzioni efficaci per garantire un futuro al Pianeta e all’Umanità: da qui vengono gli obiettivi delle azioni progettuali in capo alla Comunità Montana di Valle Camonica-Parco dell’Adamello: informare e sensibilizzare i cittadini – con particolare riferimento ai bambini e ai ragazzi – sulle conseguenze che le nostre azioni e scelte quotidiane determinano sull’ambiente che ci ospita e ci dà la vita».

 

«Rinnoviamo con piacere il nostro impegno nella prosecuzione del progetto ClimADA, in coerenza con la nostra politica di sostenibilità che tra i suoi cardini ha la lotta al cambiamento climatico e la salvaguardia degli ecosistemi – dichiara Marco Stangalino, Vice Presidente Esecutivo Power Asset di Edison. Anche quest’anno, grazie alla collaborazione con i partner di progetto, consolidiamo la collaborazione con le scuole delle valli che ospitano i nostri impianti di energia rinnovabile, rendendo protagonisti gli stessi studenti, che avranno la possibilità di analizzare le “carote” estratte sull’Adamello».

 

«Come azienda che opera nel settore delle Life Sciences, abbiamo manifestato fin da subito il nostro interesse a supportare questo progetto. Contribuire allo sviluppo sostenibile, alla crescita inclusiva e alla consapevolezza di istituzioni e cittadini sul cambiamento climatico è un elemento centrale della nostra strategia aziendale. Il progetto ClimADA sposa perfettamente la nostra visione e l’attenzione che riserviamo verso attività concrete locali che si prestano a trovare soluzioni per la protezione dell’ambiente» – commenta Fabio Minoli, Direttore della Comunicazione, Relazioni Esterne e Sostenibilità di Bayer Italia.

 

«Comprendere: una semplice parola ma con un’importante densità etimologica» – sottolinea Oliviero Valzelli, Presidente del Consorzio Servizi Valle Camonica, spiegando come «comprendere quale sia lo stato di salute del nostro pianeta partendo dallo studio del clima grazie ai ghiacciai è un’azione ardua ma importantissima. Proprio sul tema della sostenibilità il Gruppo Valle Camonica Servizi dimostra la massima attenzione nei progetti che sta attuando a favore degli abitanti della Valle Camonica e in particolare per i giovani. Se tutti comprendiamo l’importanza dell’interconnessione tra l’uomo e le condizioni climatiche, le giuste azioni sono più fattibili, perché ricche di significato».
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca

CHI VACILLA NELLA DECISIONE DI VACCINARSI CONTRO IL COVID-19? COMPORTAMENTO OPPORTUNISTICO E RILUTTANZA A VACCINARSI

In uscita nel prossimo volume di «Preventive Medicine» uno studio del gruppo COMIT (COvid Monitoring in Italy) sull’incertezza di fronte alla vaccinazione contro il COVID-19 in un campione rappresentativo della popolazione italiana. Identificare chi è più incerto nelle proprie intenzioni consente di pianificare strategie specifiche per migliorare l’adesione vaccinale.

vacilla decisione vaccinazione vaccinarsi COVID-19
Chi vacilla nella decisione di vaccinarsi contro il COVID-19? Immagine di Gerd Altmann

L’indagine è parte di uno studio multinazionale in corso in 30 paesi europei promosso e coordinato dall’Ufficio Regionale per l’Europa dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per monitorare la conoscenza, la percezione del rischio, la fiducia e i comportamenti preventivi durante la pandemia di COVID-19. In Italia il progetto è stato denominato COMIT (COvid Monitoring in Italy) ed è coordinato da Giovanni de Girolamo dell’IRCSS Fatebenefratelli di Brescia, da Gemma Calamandrei dell’Istituto Superiore di Sanità e da Fabrizio Starace dell’AUSL di Modena, che si sono avvalsi della collaborazione di Lorella Lotto del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova. La recente pubblicazione riguarda i dati raccolti in un campione di 5.006 partecipanti arruolati tra gennaio e febbraio 2021 e si è concentrata sui fattori in grado di predire l’indecisione nei confronti della vaccinazione contro il COVID-19.

Come racconta Giovanni de Girolamo – psichiatra responsabile dell’Unità Operativa di Psichiatria Epidemiologica e Valutativa dell’IRCCS Fatebenefratelli “Quando l’ufficio regionale Europeo dell’OMS ha promosso questo studio mi sono subito impegnato per promuoverlo anche in Italia perché era essenziale valutare le problematiche psicosociali innescate dalla pandemia da COVID-19. La parte italiana dello studio, che abbiamo chiamato COMIT (COvid Monitoring in Italy), è stata possibile grazie ad un finanziamento della Fondazione CARIPLO e dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, che hanno consentito di reclutare un campione rappresentativo della popolazione italiana; il campionamento e la rilevazione sono stati effettuati dalla Doxa, azienda leader nel campo delle indagini sociali. Si tratta di un progetto ampio e questo è il primo di una serie di risultati interessanti al quale ha portato, grazie anche alla collaborazione con esperti multidisciplinari.”

Lorella Lotto

“Fin dalle prime fasi della campagna vaccinale ci siamo chiesti quanto fosse solida l’intenzione di vaccinarsi nella popolazione e chi sarebbe stato più a rischio di ripensamenti o di ritardare la vaccinazione” – spiega Lorella Lotto, professoressa ordinaria del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova,  che con il gruppo di ricerca del JDM Lab (Judgement and Decision Making Laboratory) si occupa da tempo di studiare i processi di decisione in molteplici ambiti, incluso l’ambito vaccinale.

Marta Caserotti

Del gruppo di ricerca fanno parte anche le prime autrici del lavoro Marta Caserotti (assegnista di ricerca) e Teresa Gavaruzzi (ricercatrice) dell’Università di Padova che spiegano:

“Pensando all’evoluzione dei contagi e della campagna vaccinale, due aspetti potevano contribuire a fare “vacillare” le persone relativamente all’intenzione di vaccinarsi: da una parte avevamo ipotizzato che coloro che si contagiano sviluppando sintomi lievi potessero sottovalutare la potenziale gravità della malattia. Dall’altra, prosegue Caserotti, abbiamo ipotizzato che l’aumento della copertura vaccinale nella popolazione, comportando una riduzione nella circolazione del virus, potesse ridurre la percezione del rischio in coloro che nutrivano dubbi riguardo alla vaccinazione e che, in modo più o meno intenzionale, ciò potesse portare ad ‘approfittare’ opportunisticamente del comportamento altrui, sfruttando la cosiddetta ‘immunità di gregge’”.

Teresa Garavuzzi

“I risultati principali dello studio, che ha coinvolto oltre 5.000 Italiani, hanno messo in luce i fattori che predicono l’incertezza nei riguardi della vaccinazione.” Come illustra Gavaruzzi – “I risultati di una serie di modelli statistici (di cui si è occupato Paolo Girardi, ricercatore dell’Università di Padova) dimostrano che sia coloro che propendono per un atteggiamento opportunistico sia coloro che si dicono riluttanti a vaccinarsi nel caso dovessero risultare positivi al COVID-19 sono maggiormente propensi nei confronti della vaccinazione quando sono: più favorevoli in generale alle vaccinazioni, adottano le misure di salute pubblica raccomandate, hanno fiducia nelle fonti istituzionali che si occupano di problemi sanitari (Ministero della Salute, ISS, OMS), e hanno maggiori  capacità  di resilienza (hanno cioè maggiori capacità di fronteggiare eventi stressanti).  Invece ‘vacillano’ maggiormente coloro che si avvalgono spesso o molto spesso di informazioni provenienti dai media e tendono a spiegare gli eventi attraverso teorie di tipo cospirazionista. Inoltre, le donne e le persone più giovani sono più riluttanti a vaccinarsi nel caso in cui dovessero risultare positivi al COVID-19, mentre chi ha un’elevata scolarizzazione tende ad essere meno propenso ad approfittare della vaccinazione altrui.”

Gli autori concludono che “questi risultati possono essere visti come pezzi di un puzzle complesso nel quale non si possono ignorare gli aspetti psicologici” e si augurano che “il monitoraggio dell’esitazione vaccinale e dei suoi determinanti psicologici possano entrare a fare parte della normale pianificazione sanitaria, al di là della pandemia, in modo da consentire interventi mirati e tempestivi nel caso di nuovi eventi epidemici.”

Link alla ricerca: https://doi.org/10.1016/j.ypmed.2021.106885

Titolo: “Who is likely to vacillate in their COVID-19 vaccination decision? Free-riding intention and post-positive reluctance” «Preventive Medicine» – 2022.

Autori: Marta Caserotti*a, Teresa Gavaruzzi*a, Paolo Girardia, Alessandra Tassob, Chiara Buizzac, Valentina Candinic, Cristina Zarboc, Flavia Chiarottid, Sonia Brescianinid, Gemma Calamandreid, Fabrizio Staracee, Giovanni de Girolamo*c, Lorella Lotto*a (*stesso contributo)

Affiliazioni: aUniversità di Padova; bUniversità di Ferrara; cIRCSS Fatebenefratelli; dIstituto Superiore di Sanità; eAUSL Modena.

Sito del progetto: https://studiocovidoms.it/

Sito del JDM Lab: https://jdmlab.dpss.psy.unipd.it

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova.