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Comunicazione cervello-ambiente: il ruolo dei microrganismi intestinali

Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza, ha individuato alcuni ceppi batterici che mediano gli effetti benefici di un ambiente arricchito sulla plasticità del sistema nervoso centrale

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Comunicazione cervello-ambiente: il ruolo dei microrganismi intestinali. Foto di 政徳 吉田

Negli ultimi anni è stato dimostrato che un ambiente arricchito dal punto di vista motorio, sensoriale e sociale può avere un effetto benefico sul sistema nervoso centrale, poiché ne favorisce la plasticità cerebrale e la funzione cognitiva.

Tuttavia, non era ancora stato indagato il possibile ruolo dei microrganismi intestinali nel mediare questi effetti benefici.

Un nuovo studio, coordinato da Cristina Limatola del Dipartimento di Fisiologia e farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza, ha analizzato in un modello sperimentale murino le modifiche indotte dagli stimoli ambientali – di un ambiente arricchito rispetto alle condizioni standard dello stabulario – sul microbiota intestinale e sui suoi metaboliti. Questa ricerca ha permesso di identificare alcuni ceppi batterici e i prodotti del loro metabolismo – in particolare, gli acidi grassi a catena corta – che mediano gli effetti benefici dell’ambiente arricchito sulla plasticità del sistema nervoso centrale.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Communications Biology, nasce dalla collaborazione dei dipartimenti di Fisiologia e farmacologia Vittorio Erspamer, di Chimica, di Biologia ambientale e l’NMLab della Sapienza con l’Istituto Pasteur Italia, l’Istituto italiano di tecnologia, il Cnr, l’Università di Trieste e l’IRCCS Neuromed di Pozzilli.

“Il nostro lavoro – spiega Cristina Limatola, coordinatrice dello studio – aggiunge alle attuali conoscenze due elementi fondamentali. Il primo è che le cellule microgliali – cioè le cellule del sistema nervoso centrale con funzione immunitaria – rappresentano l’interfaccia tra ambiente e segnali provenienti dal microbiota intestinale. La seconda è che i cambiamenti dell’ambiente in cui viviamo e gli stimoli che da esso riceviamo contribuiscono in modo cruciale a determinare la composizione del nostro microbiota”.

Per ottenere questi risultati è stato necessario un approccio multidisciplinare, che ha unito le competenze di neurofisiologia e metabolomica – la scienza che studia il metaboloma, ovvero l’insieme di tutti i metaboliti che partecipano ai processi biochimici di un organismo – con la metagenomica – cioè la branca della genomica che studia le comunità microbiche nel loro ambiente naturale – e la bioinformatica.

“Questa ricerca – conclude Cristina Limatola – evidenzia il ruolo del microbiota, del metaboloma, delle cellule dell’immunità innata e degli acidi grassi a catena corta nei meccanismi di comunicazione tra cervello e ambiente e apre la strada a nuove interpretazioni di questo cross-talk bidirezionale”.

Riferimenti:
Short-chain fatty acids promote the effect of environmental signals on the gut microbiome and metabolome in mice – Francesco Marrocco, Mary Delli Carpini, Stefano Garofalo, Ottavia Giampaoli, Eleonora De Felice, Maria Amalia Di Castro, Laura Maggi, Ferdinando Scavizzi, Marcello Raspa, Federico Marini, Alberta Tomassini, Roberta Nicolosi, Carolina Cason, Flavia Trettel, Alfredo Miccheli, Valerio Iebba, Giuseppina D’Alessandro, Cristina Limatola – Communications Biology (2022) https://doi.org/10.1038/s42003-022-03468-9

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Un prelievo di sangue per identificare specifiche alterazioni cerebrali alla base della sindrome di Down

Un gruppo di ricercatori della Sapienza, in collaborazione con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù e la Fondazione Policlinico Gemelli, ha evidenziato per la prima volta la possibilità di identificare, con un semplice prelievo di sangue, le specifiche alterazioni del segnale dell’insulina nel cervello dei bambini con sindrome di Down, alla base della loro disabilità intellettiva. Lo studio è stato pubblicato su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.

prelievo di sangue Sindrome di Down trisomia 21
Cariotipo esemplificativo per la trisomia 21. Immagine U.S. Department of Energy Human Genome Program in pubblico dominio

La sindrome di Down è la più comune causa genetica di disabilità intellettiva ed è dovuta alla presenza, parziale o totale, di un cromosoma 21 in sovrannumero (la cosiddetta “trisomia 21”). Si stima che l’attuale prevalenza nella popolazione generale vari tra 1:1000 e 1:2.000 nati. La disabilità intellettiva è costante, ma di grado variabile. Inoltre, l’evoluzione della sindrome di Down può essere condizionata da un invecchiamento precoce e dalla comparsa della malattia di Alzheimer.

È noto il ruolo svolto dal segnale dell’insulina nel cervello che, in particolare, risulta fondamentale rispetto a funzioni cognitive quali memoria e apprendimento. Diversi studi precedenti hanno infatti evidenziato come alterazioni di questo segnale a livello del cervello, che vanno sotto il nome di insulino-resistenza cerebrale, siano alla base del declino cognitivo sia durante il normale processo di invecchiamento che durante lo sviluppo di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, caratterizzato proprio dalla comparsa della demenza.

Un gruppo di ricercatori coordinati da Eugenio Barone e Marzia Perluigi del Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza, in collaborazione con il Centro Sindrome di Down dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – che si prende cura di circa 800 bambini e ragazzi con sindrome di Down e che ha contribuito con la sua ampia casistica a reclutare i ragazzi coinvolti nello studio – e la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, ha evidenziato per la prima volta che le alterazioni del segnale dell’insulina a livello cerebrale si verificano molto presto nei bambini e negli adolescenti con sindrome di Down. Queste alterazioni dell’età pediatrica, indipendentemente dalla trisomia 21, contribuiscono in maniera importante alla disabilità intellettiva che presentano i bambini affetti da sindrome di Down. Inoltre, i ricercatori della Sapienza hanno messo in luce la possibilità di identificare questo tipo di alterazioni attraverso un semplice prelievo di sangue. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association.

“Quello che pensiamo – spiega Eugenio Barone della Sapienza – è che il perdurare di questo tipo di alterazioni possa facilitare lo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer in queste persone”.

“Questo lavoro rappresenta una scoperta importante principalmente per tre motivi – chiarisce Marzia Perluigi della Sapienza. “Il primo è l’aver dimostrato che queste alterazioni si verificano molto presto, già nei bambini con Sindrome di Down”; il secondo riguarda il metodo: riuscire con un prelievo di sangue a risalire ad alterazioni cerebrali per le quali oggi non abbiamo altri strumenti diagnostici in grado di identificarle”.

“Il terzo motivo – conclude Barone – sta nel fatto che identificare quanto prima le alterazioni che si verificano nel cervello, soprattutto nei bambini con sindrome di Down, permetterà di studiare in maniera ancora più approfondita le cause della loro disabilità intellettiva, aprendo di conseguenza a possibili trattamenti terapeutici in grado di migliorarne la qualità di vita”.

Riferimenti:

Aberrant crosstalk between insulin signaling and mTOR in young Down syndrome individuals revealed by neuronal-derived extracellular vesicles – Marzia Perluigi, Federico Marini, Giuseppe Familiari, Emanuele Marzetti, Anna Picca, Elita Montanari, Riccardo Calvani, Roberto Matassa, Antonella Tramutola, Fabio Di Domenico, D. Allan Butterfield, Alberto Villani, Kenneth J. Oh, Emanuele Marzetti, Diletta Valentini, Eugenio Barone – Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association DOI: 10.1002/alz.12499

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma.