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Fabio Scirocchi

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Nuove frontiere terapeutiche per il trattamento del glioblastoma: rivelato il meccanismo di riprogrammazione metabolica di una specifica popolazione di neutrofili (CD71+) presenti nel microambiente del tumore cerebrale

Uno studio internazionale, frutto della collaborazione tra la Sapienza e l’Istituto Wistar, rivela il meccanismo di riprogrammazione metabolica di una specifica popolazione di neutrofili presenti nel microambiente del tumore cerebrale. I risultati della ricerca, pubblicati su “Cancer Discovery”, aprono nuove strade per lo sviluppo di strategie terapeutiche più efficaci per il trattamento del glioblastoma.

A oggi il glioblastoma rimane, tra i tumori cerebrali nell’adulto, la forma più aggressiva e maggiormente resistente alle terapie. La scarsa efficacia delle opzioni terapeutiche disponibili è dovuta alle caratteristiche biologiche proprie del microambiente di questo tumore. L’ampia eterogeneità cellulare, la forte ipossia, cioè la carenza di ossigeno, e l’immunosoppressione rendono inefficienti anche gli approcci terapeutici più recenti.

Lo studio, pubblicato sulla rivista internazionale “Cancer Discovery” che ha visto la partecipazione del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza, ha svelato il meccanismo con cui i neutrofili esprimenti il recettore per la transferrina (CD71) modificano il loro metabolismo in corrispondenza delle aree tumorali ipossiche. Il cambiamento metabolico di queste cellule potenzia la loro capacità immunosoppressoria, facilitando di conseguenza la progressione del glioblastoma.

In particolare, l’ambiente ipossico induce i neutrofili CD71+ a produrre una maggiore quantità di lattato. Questo metabolita è responsabile della lattilazione degli istoni, proteine che interagiscono con il DNA, e della conseguente produzione di arginasi-1, un enzima che contribuisce a bloccare la risposta dei linfociti T anti-tumorali. Lo studio ha evidenziato che bloccando la lattilazione degli istoni, si riduce la funzione immunosoppressoria dei neutrofili CD71+, rallentando la crescita tumorale.

Questo processo molecolare sembra essere particolarmente rilevante nel sostenere l’immunosoppressione nel glioblastoma. Infatti, lo stesso gruppo di ricercatori Sapienza-Wistar aveva descritto in un precedente lavoro che la lattilazione aumenta la capacità soppressoria dei macrofagi GLUT1+, infiltranti il microambiente tumorale.

“Il nostro lavoro – precisa Aurelia Rughetti, coordinatrice del team della Sapienza -sottolinea come la funzionalità delle cellule immunitarie infiltranti il tumore sia finemente regolata a livello epigenetico dalla lattilazione degli istoni. Interferire con questo processo molecolare, che interessa sia i neutrofili CD71+ che i macrofagi GLUT1+, può tradursi in una efficace strategia terapeutica per ridurre l’immunosoppressione, contrastare i meccanismi di resistenza del tumore e potenziare l’efficacia della target therapy e dell’immunoterapia.”

Al progetto hanno partecipato Alessio Ugolini, Fabio Scirocchi e Angelica Pace, alumni del Dottorato di Network Oncology and Precision Medicine, coordinati da Aurelia Rughetti e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina Sperimentale e i clinici Luca D’Angelo e Antonio Santoro della UOC di Neurochirurgia del Policlinico Universitario Umberto I.

Riferimenti bibliografici:

Ugolini A, De Leo A, Yu X, Scirocchi F, Liu X, Peixoto B, Scocozza D, Pace A, Perego M, Gardini A, D’Angelo L, Liu JKC, Etame AB, Rughetti A, Nuti M, Santoro A, Vogelbaum MA, Conejo-Garcia JR, Rodriguez PC, Veglia F. Functional reprogramming of neutrophils within the brain tumor microenvironment by hypoxia-driven histone lactylation, Cancer Discov. 2025 Feb 28, doi: 10.1158/2159-8290.CD-24-1056

Nuove frontiere terapeutiche per il trattamento del glioblastoma: il meccanismo di riprogrammazione metabolica di una specifica popolazione, i neutrofili CD71+ presenti nel microambiente del tumore cerebrale. Immagine di Gerd Altmann 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Un nuovo target terapeutico per il glioblastoma: descritto un nuovo meccanismo molecolare, responsabile della riprogrammazione metabolica dei macrofagi GLUT1+, che contribuisce all’inibizione della risposta immunitaria nel glioblastoma.

Uno studio internazionale, che ha visto la partecipazione di ricercatori della Sapienza Università di Roma, ha descritto un nuovo meccanismo molecolare che contribuisce all’inibizione della risposta immunitaria nel glioblastoma da parte di una specifica popolazione cellulare immunitaria, esasperando così l’aggressività di questo tumore. I risultati di questo studio, pubblicato sulla rivista Immunity, propongono nuovi bersagli cellulari e molecolari per il disegno di approcci terapeutici innovativi per il glioblastoma.

Il glioblastoma è la forma più aggressiva di tumore cerebrale nell’adulto e le opzioni terapeutiche oggi disponibili sono molto limitate. La marcata ipossia (mancanza di ossigeno) e l’immunosoppressione che caratterizzano il microambiente di questo tumore rendono inefficaci anche le più recenti strategie di immunoterapia.

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Immunity, frutto della collaborazione tra i ricercatori del Moffitt Cancer Center di Tampa in Florida, coordinati da Filippo Veglia, e i ricercatori del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza Università di Roma, coordinati da Aurelia Rughetti, ha identificato una sottopopolazione di cellule immunitarie, i macrofagi, caratterizzata da livelli elevati del recettore del glucosio (GLUT1) che mostrano una marcata capacità immunosoppressoria, in grado di inibire la risposta immunitaria e favorire la progressione del glioblastoma.

“Il nostro lavoro – spiega Aurelia Rughetti della Sapienza – ha evidenziato che l’attività immunosoppresssoria dei macrofagi GLUT1+ presenti nel tumore è regolata a livello epigenetico dalla lattilazione, che prevede l’aggiunta del lattato sui residui di lisina degli istoni. Questo meccanismo molecolare, recentemente descritto, sembra essere responsabile della riprogrammazione metabolica della popolazione macrofagica GLUT1+ che risulta così in grado di sopprimere i linfociti T anti-tumoraliˮ.

La caratterizzazione di questa popolazione cellulare immunosoppressoria e l’identificazione del meccanismo molecolare con cui i macrofagi sono riprogrammati nel tumore rappresentano nuovi potenziali target per lo sviluppo di  nuovi approcci terapeutici con cui rimuovere il blocco dell’immunosoppressione e poter così potenziare l’efficacia delle terapie immunologiche.

Al progetto hanno partecipato i dottorandi Alessio Ugolini, Fabio Scirocchi e Angelica Pace del Dottorato di Network Oncology and Precision Medicine coordinati da Aurelia Rughetti e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina Sperimentale e i clinici Luca D’Angelo e Antonio Santoro della UOC di Neurochirugia del Policlinico Universitario Umberto I.

Riferimenti bibliografici:

Glucose-driven histone lactylation promotes the immunosuppressive activity of monocyte-derived macrophages in glioblastoma – De Leo A, Ugolini A, Yu X, Scirocchi F, Scocozza D, Peixoto B, Pace A, D’Angelo L, Liu JKC, Etame AB, Rughetti A, Nuti M, Santoro A, Vogelbaum MA, Conejo-Garcia JR, Rodriguez PC, Veglia F. – Immunity 2024, DOI: 10.1016/j.immuni.2024.04.006.

Immagine istologica del glioblastoma macrofagi
Immagine istologica del glioblastoma. Foto di KGH, CC BY-SA 3.0

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Biomarcatori definiscono la fitness immunologica necessaria per la risposta clinica all’immunoterapia dei pazienti oncologici 

L’analisi di una specifica sottopopolazione di cellule del sistema immunitario consente di individuare meglio i pazienti che beneficeranno maggiormente dei trattamenti immunologici e di predire l’esito clinico della terapia. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Clinical Cancer Research.

biomarcatori immunoterapia
Biomarcatori definiscono la fitness immunologica necessaria per la risposta clinica all’immunoterapia dei pazienti oncologici. Foto di Konstantin Kolosov

Negli ultimi anni l’utilizzo di terapie basate sull’inibizione di molecole regolatrici di processi chiave del sistema immunitario (Immune Checkpoint) ha completamente cambiato il percorso terapeutico e la prognosi di pazienti affetti da cancro. In particolare, sono stati sviluppati anticorpi monoclonali capaci di legarsi in maniera specifica ad alcune cellule del sistema immunitario (in particolar modo ai linfociti T) e di bloccare l’interazione con le proteine presenti sulla superficie del tumore, permettendo una riattivazione e una amplificazione della risposta anti-tumorale.

L’introduzione di queste terapie (come l’immunoterapico anti-PD1), ha messo in evidenza quanto sia importante capire il livello del benessere del sistema immunitario dei pazienti che si sottopongono a tali trattamenti per predirne l’esito clinico.

Uno studio pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research e condotto dal Laboratorio di Immunologia dei tumori e terapie cellulari del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza Università di Roma, dall’Unità di Oncologia B e dal Dipartimento di Radiologia, oncologia e patologia del Policlinico Umberto I, in collaborazione con il Dipartimento di Oncologia del Policlinico Universitario Agostino Gemelli, ha dimostrato che la frequenza di un sottogruppo di cellule immunitarie, i linfociti CD137+, è in grado di definire i livelli di wellness del sistema immunitario del paziente oncologico e la sua capacità di rispondere all’immunoterapia.

Il gruppo di ricerca multidisciplinare, coordinato da Chiara Napoletano e Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza, ha dimostrato e validato che la frequenza dei linfociti T circolanti CD137+, analizzati prima dell’inizio del trattamento di immunoterapia, può essere considerato un marcatore di benessere del sistema immunitario, in grado di predire l’esito clinico della terapia, indipendentemente dal tipo di tumore e dal numero di terapie precedenti a cui il paziente oncologico è stato sottoposto.

“I pazienti con una elevata percentuale di linfociti T CD137+ nel sangue presentano una progressione libera da malattia e una sopravvivenza significativamente più alta rispetto ai pazienti che hanno in circolo livelli più bassi di queste cellule – spiega Chiara Napoletano. “Inoltre, associando la frequenza di questi linfociti con altri due parametri clinici, quali il sesso e lo stato clinico obiettivo (performance status) è stato possibile definire il profilo del paziente oncologico che meglio beneficerà dell’immunoterapia anti-PD1 in termini di sopravvivenza”.

L’analisi di questa sottopopolazione linfocitaria permetterà di migliorare la selezione dei pazienti che si sottoporranno ai trattamenti immunologici e di predire l’esito clinico della terapia permettendo agli oncologi di effettuare la migliore scelta terapeutica per il paziente.

Riferimenti:

Circulating CD137 + T cells correlate with improved response to anti-PD1 immunotherapy in cancer patients – Ilaria Grazia Zizzari, Alessandra Di Filippo, Andrea Botticelli, Lidia Strigari, Angelina Pernazza, Emma Rullo, Maria Gemma Pignataro, Alessio Ugolini, Fabio Scirocchi, Francesca Romana Di Pietro, Ernesto Rossi, Alain Gelibter, Giovanni Schinzari, Giulia d’Amati, Aurelia Rughetti, Paolo Marchetti, Marianna Nuti, Chiara Napoletano – Clin Can Res 2022 doi: 10.1158/1078-0432.CCR-21-2918

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma, sullo studio riguardante i biomarcatori definiscono la fitness immunologica necessaria per la risposta clinica all’immunoterapia dei pazienti oncologici.