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Ettore Carretti

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IDENTIFICATO UN ALONE MAGNETICO NELLA VIA LATTEA: RIVELAZIONI SUI DEFLUSSI GALATTICI E SULL’ORIGINE DELLE BOLLE eROSITA
Un team guidato dall’INAF ha scoperto strutture magnetizzate su larga scala attorno alla Via Lattea, la nostra Galassia, probabilmente causate da flussi galattici provenienti da regioni attive di formazione stellare. Queste strutture sono allineate con le bolle eROSITA, suggerendo un’origine comune e collegando gli aloni magnetizzati all’attività di formazione stellare nelle galassie.

Una vista schematica dell'alone della Via Lattea. I deflussi del Centro Galattico corrispondono alle bolle di Fermi. Tuttavia, le bolle eROSITA corrispondono ai deflussi esterni che hanno origine dall'anello di formazione stellare nel disco, a più di diecimila anni luce dal Centro Galattico. Crediti: H.-S. Zhang (INAF) et al. 2024, Nature Astronomy
Una vista schematica dell’alone della Via Lattea. I deflussi del Centro Galattico corrispondono alle bolle di Fermi. Tuttavia, le bolle eROSITA corrispondono ai deflussi esterni che hanno origine dall’anello di formazione stellare nel disco, a più di diecimila anni luce dal Centro Galattico. Crediti: H.-S. Zhang (INAF) et al. 2024, Nature Astronomy

Un nuovo studio guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha rivelato importanti novità che potrebbero riscrivere la nostra conoscenza della Via Lattea: un alone galattico magnetizzato. Questa scoperta mette in discussione i modelli precedenti sulla struttura ed evoluzione della nostra Galassia. I ricercatori hanno identificato diverse strutture magnetizzate che si estendono ben oltre il piano galattico, raggiungendo altezze superiori a 16 mila anni luce. Tali strutture rivelano una delle origini delle cosiddette bolle di eROSITA, alimentate su scala galattica da intensi flussi di gas ed energia, generati dalla fine esplosiva delle stelle di grande massa come supernove. Sorprendentemente, queste bolle — osservate dal satellite eROSITA (un telescopio a raggi X a bordo della missione spaziale russo-tedesca Spectr-Roentgen-Gamma SRG) — si estendono da un orizzonte all’altro, offrendo le prime misurazioni dettagliate dell’alone magnetico della Via Lattea. I risultati sono stati pubblicati oggi sulla rivista Nature Astronomy.

Questa immagine confronta le bolle eROSITA a raggi X (in verde) e il campo magnetico nell'alone (in bianco). L'intensità polarizzata per la radiazione di sincrotrone è in rosso. I cerchi celesti sono le bolle di Fermi a raggi gamma. Le creste magnetiche associate alle bolle di Fermi sembrano emanare dal Centro Galattico. Al contrario, le creste nella regione esterna hanno origine nel disco galattico, a più di diecimila anni luce dal Centro Galattico. Crediti: H.-S. Zhang (INAF) et al. 2024, Nature Astronomy
Questa immagine confronta le bolle eROSITA a raggi X (in verde) e il campo magnetico nell’alone (in bianco). L’intensità polarizzata per la radiazione di sincrotrone è in rosso. I cerchi celesti sono le bolle di Fermi a raggi gamma. Le creste magnetiche associate alle bolle di Fermi sembrano emanare dal Centro Galattico. Al contrario, le creste nella regione esterna hanno origine nel disco galattico, a più di diecimila anni luce dal Centro Galattico. Crediti: H.-S. Zhang (INAF) et al. 2024, Nature Astronomy

Lo studio rivela che i campi magnetici all’interno di queste bolle formano strutture filamentose che si estendono per una distanza pari a circa 150 volte il diametro della Luna piena, dimostrando la loro immensa scala. I filamenti sono correlati a venti caldi, con una temperatura di 3,5 milioni kelvin, espulsi dal disco galattico e alimentati dalle regioni di formazione stellare.

He-Shou Zhang, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’INAF di Milano sottolinea: “I nostri risultati indicano che l’intensa formazione stellare alla fine del Centro Galattico contribuisce in modo significativo a questi ampi deflussi multifase”. Aggiunge inoltre: “Questo lavoro fornisce le prime misurazioni dettagliate dei campi magnetici nell’alone della Via Lattea, che emette raggi X e svela nuove connessioni tra le attività di formazione stellare e i deflussi galattici. I nostri risultati mostrano che le creste magnetiche osservate non sono semplici strutture casuali, ma sono strettamente legate alle regioni di formazione stellare della nostra Galassia”.

Il team di ricerca ha sfruttato l’intero spettro elettromagnetico, coprendo frequenze dalle onde radio ai raggi gamma, per analizzare queste strutture usando più di dieci diverse indagini all-sky. Un approccio così dettagliato ha permesso di confermare la natura estesa di queste strutture magnetiche. In particolare, lo studio rappresenta la prima evidenza osservativa che collega l’anello di formazione stellare della Via Lattea, situato alla fine del Centro Galattico, alla produzione di deflussi su larga scala.

“Questo studio rappresenta un significativo passo avanti nella nostra comprensione della Via Lattea”, afferma Gabriele Ponti, ricercatore INAF a Milano. “È ormai ben noto che una piccola frazione di galassie ‘attive’ può generare deflussi di materia alimentati dall’accrescimento su buchi neri supermassicci o da eventi di formazione stellare intensi, che influenzano profondamente la loro galassia ospite. Si ritiene che tali deflussi siano elementi fondamentali per regolare la crescita delle galassie e dei buchi neri al loro centro. Ciò che trovo affascinante in questo caso è notare che anche la Via Lattea, una galassia quiescente come molte altre, può espellere potenti deflussi, e in particolare che l’anello di formazione stellare alla fine del centro rotazionale contribuisce significativamente al flusso galattico. Forse la Via Lattea ci sta svelando un fenomeno comune nelle galassie simili alla nostra, aiutandoci così a far luce sulla crescita ed evoluzione di questi oggetti”.

Ettore Carretti, ricercatore INAF a Bologna, spiega il metodo di ricerca: “i nostri primi tentativi di confrontare le emissioni dell’intera volta celeste non hanno avuto successo, poiché le emissioni provenienti dalle strutture locali spesso si sovrapponevano a queste strutture più grandi. Tuttavia, abbiamo dedicato molto tempo all’uso di osservazioni multi-lunghezza d’onda per misurare le distanze delle creste magnetiche e delle bolle di eROSITA che emettono raggi X. L’analisi teorica per comprendere queste strutture, che emettono in modo termico e non-termico nell’alone galattico, è stata anch’essa molto complessa, richiedendo conoscenze sui deflussi galattici, sui campi magnetici e sul trasporto e l’accelerazione dei raggi cosmici. Fortunatamente, la nostra collaborazione include esperti di livello mondiale in tutti questi campi”.

L’INAF ha giocato un ruolo cruciale in questa scoperta, in collaborazione con molte istituzioni internazionali, tra cui gli Istituti Max Planck per la Fisica Extraterrestre e per la Fisica Nucleare, l’Università della California, la Scuola di Astronomia e Scienza Spaziale dell’Università di Nanchino, il Dipartimento di Astrofisica/IMAPP dell’Università di Radboud, l’Istituto di Dublino per gli Studi Avanzati, l’Università Statale di Yerevan, l’Università di Guangxi e l’Università dell’Insubria. Oltre al team di autori principali dell’INAF sopra menzionato, anche Ruoyu Liu (Università di Nanchino, Cina) e Mark Morris (UCLA, Stati Uniti) hanno contribuito in modo sostanziale a questo lavoro.

He-Shou Zhang conclude: “Il nostro lavoro è il primo studio multi-lunghezza d’onda completo sulle bolle di eROSITA dalla loro scoperta nel 2020. Lo studio apre nuove frontiere nella nostra comprensione dell’alone galattico e contribuirà ad approfondire la nostra conoscenza del complesso e impetuoso ecosistema di formazione stellare della Via Lattea”.


 

Riferimenti bibliografici:

L’articolo “A magnetised Galactic halo from inner Galaxy outflows“, di He-Shou Zhang, Gabriele Ponti, Ettore Carretti, Ruo-Yu Liu, Mark R. Morris, Marijke Haverkorn, Nicola Locatelli, Xueying Zheng, Felix Aharonian, Haiming Zhang, Yi Zhang, Giovanni Stel, Andrew Strong, Micheal Yeung, Andrea Merloni, pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

CON PEGASUS LA MAPPA DELL’1% DEL PIANO GALATTICO

Sfruttando i telescopi Parkes e ASKAP in Australia, è stata realizzata un’immagine ad altissima definizione dei campi magnetici nella Via Lattea, la nostra galassia. I dati arrivano dal progetto PEGASUS guidato dall’INAF, parte del più ampio programma EMU.

Portate a termine le osservazioni radio di una vasta sezione del piano galattico della Via Lattea (circa l’1%) con i radiotelescopi ASKAP e Parkes (Murriyang), entrambi sviluppati e gestiti dall’Agenzia scientifica australiana CSIRO. Radioastronomi dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) hanno coordinato il gruppo internazionale di ricerca che ha utilizzato il “grande disco” di Parkes per “fotografare” una porzione del disco della nostra galassia, nell’ambito del progetto di ricerca PEGASUS (POSSUM EMU GMIMS All Sky UWL Survey). PEGASUS è uno dei numerosi progetti di esplorazione del più ampio programma Evolutionary Map of the Universe (EMU), che consiste nell’osservazione di tutto l’emisfero sud con ASKAP, uno dei precursori del progetto SKA. L’immagine è stata unita a quella realizzata con le antenne ASKAP per il progetto EMU, guidato dalla Università Macquarie a Sydney, Australia, ottenendo un risultato di straordinaria qualità.

L’immagine,  ampia circa 6-7 gradi o come 12-14 volte il diametro apparente della Luna, mostra una regione caratterizzata da un’emissione estesa associata all’idrogeno gassoso che riempie lo spazio tra le stelle, stelle alla fine del loro ciclo evolutivo chiamate resti di supernova e bolle calde di idrogeno gassoso ionizzato legate alla nascita di nuove stelle. Le stelle non sono visibili in questa immagine poiché la loro luce contiene emissioni radio minime. Questa nuova fotografia della nostra Galassia mostra aspetti dell’evoluzione delle stelle visibili solo ai radiotelescopi.

CON PEGASUS LA MAPPA DELL’1% DEL PIANO GALATTICO
Crediti: R. Kothes (NRC), the EMU and POSSUM teams

Ettore Carretti, dell’INAF di Bologna, è il responsabile della survey PEGASUS insieme a Tom Landecker del National Research Council of Canada e a Xiaohui Sun dell’Università dello Yunnan, in Cina. PEGASUS intende sfruttare le potenzialità del telescopio Parkes (pathfinder del progetto SKA) per mappare tutto il cielo australe a 700-1440 MHz con circa 2100 ore di osservazione. PEGASUS contribuirà a tre progetti: EMU, POSSUM e GMIMS per studiare il magnetismo della Via Lattea. Il progetto PEGASUS ha appena completato le sue osservazioni pilota e mira a osservare l’intero cielo australe nei prossimi due anni.

Il radioastronomo dell’INAF spiega: “Con questa prima fase di PEGASUS abbiamo studiato un’ampia regione del piano Galattico della nostra Galassia. Gli oggetti visibili nell’immagine possono essere studiati nelle onde radio con altissima precisione e accuratezza grazie alla combinazione di dati dei radiotelescopi ASKAP e Parkes. Abbiamo poi combinato la mappa ottenuta con quella dei progetti EMU e POSSUM: il risultato è strabiliante, quando abbiamo aperto l’immagine per la prima volta siamo rimasti meravigliati da tanta qualità e bellezza”.

Carretti aggiunge: “L’obiettivo della survey è duplice. In primo luogo comprendere e studiare i campi magnetici della nostra Galassia, la loro origine e i loro effetti su vari fenomeni come resti di supernove e le grandi strutture della Via Lattea, come il Grande Sperone settentrionale, ma anche galassie, radiogalassie e ammassi di galassie. In secondo luogo, essendo ASKAP, come tutti gli interferometri, poco sensibile alle grandi scale angolari, i dati del progetto PEGASUS raccolti con Parkes completeranno quelli di ASKAP, aggiungendo ai dettagli finissimi già esistenti la forma, le dimensioni e la potenza totale emessa da questi oggetti. Tutto ciò per poter studiare la fisica dei fenomeni che li governano”.

Le survey come PEGASUS osservano l’intero cielo, incluso il cosiddetto Piano Galattico, vale a dire il luogo della Via Lattea in cui risiede il Sistema solare. Si tratta di una regione che contiene innumerevoli stelle, polveri e nubi di gas, nonché una notevole quantità di materia oscura. Studiare il piano della Via Lattea è da sempre uno degli obiettivi più importanti dei radioastronomi, ma la presenza di emissione diffusa nella Galassia rende difficile ottenere immagini prive di artefatti: ciò riduce di fatto la qualità delle immagini finali rendendo l’analisi dei dati un compito particolarmente impegnativo.

Tom Landecker spiega: “Il progetto GMIMS esplora le forze magnetiche nella Via Lattea. Oltre a plasmare la Via Lattea, le forze magnetiche sono coinvolte nella formazione della sua struttura a spirale e nella nascita e morte delle stelle all’interno dei suoi bracci a spirale. I dati principali che otteniamo sono le osservazioni della polarizzazione dell’emissione radio dalla Via Lattea effettuate con grandi radiotelescopi negli emisferi Sud e Nord. In dodici anni, abbiamo effettuato con successo rilevamenti del cielo con il telescopio Parkes, Murriyang, a frequenze radio sia più basse che più alte di quelle di PEGASUS. PEGASUS colmerà una lacuna nei nostri dati, fornendo una visione senza precedenti degli effetti magnetici in tre dimensioni. Osservazioni parallele sono state effettuate utilizzando telescopi canadesi, e altre sono in corso, fornendo una prospettiva globale”.

Andrew Hopkins, a capo del progetto EMU per l’Università Macquarie, afferma: “Il risultato finale della collaborazione PEGASUS/EMU sarà una vista senza precedenti di quasi tutta la Via Lattea, un’immagine circa cento volte più grande di quella realizzata in questa prima fase da PEGASUS, ma con lo stesso livello di dettaglio e sensibilità”.

CON PEGASUS LA MAPPA DELL’1% DEL PIANO GALATTICO. GALLERY


 

Per saperne di più:

ASKAP e Parkes sono gestiti da CSIRO, l’agenzia scientifica nazionale australiana, nell’ambito dell’Australia Telescope National Facility. CSIRO riconosce il popolo Wajarri Yamatji come proprietario storico e detentore del titolo nativo di Inyarrimanha Ilgari Bundara, l’Osservatorio radioastronomico Murchison dove si trova ASKAP, e il popolo Wiradjuri come proprietario storico dell’Osservatorio Parkes.

Testo, video e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

ABELL 523: SCOPERTA UN’EMISSIONE RADIO POLARIZZATA DI DIMENSIONI MAI VISTE

Un team internazionale di scienziati guidato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha rivelato per la prima volta un segnale polarizzato nel gas intergalattico dell’ammasso di galassie Abell 523 che si estende su scale mai osservate prima, circa ottanta volte la dimensione della Via Lattea. Questo segnale polarizzato fornisce una prova diretta della presenza di un debole ma esteso campo magnetico che pervade l’ammasso, fino alla sua periferia. Il risultato è in pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Abell 523 emissione radio
ammasso di galassie Abell 523: scoperta un’emissione radio polarizzata di dimensioni mai viste

Gli ammassi di galassie sono gli oggetti più grandi nell’universo a essere tenuti insieme dalla gravità e includono fino a centinaia o migliaia di galassie. Oltre che nella banda ottica e nei raggi X, gli ammassi di galassie sono studiati anche alle lunghezze d’onda radio. Le onde radio rivelano talvolta emissione diffusa che dimostra in maniera incontrovertibile la presenza di un gas di particelle che si muovono con velocità prossime a quella della luce e di un campo magnetico nel vasto spazio che separa le galassie dell’ammasso.

Se il campo magnetico intergalattico ha una struttura ordinata su scale molto estese, il segnale radio ad esso associato che viene captato dagli strumenti sulla Terra può rivelarci una sua importante caratteristica, ovvero la sua polarizzazione, che riflette il grado di ordine del campo magnetico dell’ammasso. Questa informazione permette di condurre uno studio dettagliato delle caratteristiche magnetiche del mezzo intergalattico, contribuendo ad ampliare la conoscenza dell’origine ed evoluzione del magnetismo cosmico, uno degli obiettivi chiave della radioastronomia moderna. Con questo obiettivo, il team a guida INAF ha concentrato la sua attenzione sull’ammasso di galassie denominato Abell 523, un ammasso di galassie invisibile a occhio nudo che si trova a circa 1,6 miliardi di anni luce dal Sistema solare e appare nel cielo circa a metà strada tra la costellazione di Orione e quella del Toro. Per le osservazioni sono stati usati i dati raccolti dallo Jansky Very Large Array (VLA), una rete di radiotelescopi costruita nel New Mexico, USA. Il campo di osservazione, pari a circa un grado quadrato, ha consentito di individuare una zona di emissione polarizzata senza soluzione di continuità pari a ben 80 galassie come la Via Lattea, cioè circa 8 milioni di anni luce.

“Grazie al Very Large Array (VLA) siamo riusciti ad osservare l’emissione polarizzata associata al mezzo intergalattico dell’ammasso Abell 523 e fare luce su un fenomeno altrimenti inaccessibile. L’emissione polarizzata che abbiamo scoperto si estende su scale spaziali in cui quella in intensità totale non è infatti visibile” spiega Valentina Vacca, ricercatrice dell’INAF di Cagliari e prima autrice dello studio.

“Le osservazioni in polarizzazione sono poco interessate da alcuni limiti strumentali, per gli addetti ai lavori si parla di limite di confusione, rispetto a quelle in intensità totale. A parità di tempo osservativo e risoluzione, le osservazioni in polarizzazione possono raggiungere sensibilità molto più elevate e rivelare sorgenti deboli che non sarebbero visibili altrimenti” commenta Federica Govoni, ricercatrice presso l’INAF di Cagliari e responsabile della Divisione Nazionale Abilitante per la Radioastronomia dell’INAF.

Già altri studi in passato indicavano che sarebbe stato possibile rivelare questo tipo di segnale con radiotelescopi sempre più avanzati.

“Pensavamo però di dover aspettare alcuni decenni e l’avvento dell’Osservatorio SKA. Il risultato che abbiamo ottenuto – dice Matteo Murgia, primo ricercatore dell’INAF di Cagliari – anticipa i tempi e dimostra che questo tipo di studi può essere già svolto con gli strumenti attuali”.

Lo studio è accettato per la pubblicazione nell’articolo “Puzzling large-scale polarization in the galaxy cluster Abell 523” di Valentina Vacca, Federica Govoni, Matteo Murgia, Richard A. Perley, Luigina Feretti, Gabriele Giovannini, Ettore Carretti, Fabio Gastaldello, Filippo Cova, Paolo Marchegiani, Elia Battistelli, Walter Boschin, Torsten A. Ensslin, Marisa Girardi, Francesca Loi e Federico Radiconi sul sito web della rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF