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Enrico Bertuzzo

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EFFETTI DEL Mo.S.E. SULLA STRUTTURA MORFOLOGICA
DELLA LAGUNA DI VENEZIA

Team di ricercatori coordinato dall’Università di Padova evidenzia che l’utilizzo del sistema Mo.S.E., modificando l’idrodinamica e il trasporto di sedimenti, condiziona il mantenimento della preziosa diversità morfologica della laguna

Se da un lato l’utilizzo del sistema Mo.S.E. a protezione della città di Venezia risolve, almeno temporaneamente, il problema delle acque alte che sempre più frequentemente minacciano Venezia e gli altri insediamenti lagunari, dall’altro avrà un impatto importante sull’evoluzione morfologica della laguna nel suo insieme. L’utilizzo del Mo.S.E. per la regolazione delle maree con livello previsto maggiore di 110 cm sul riferimento di Punta della Salute ha, infatti, importanti conseguenze sull’idrodinamica e sul trasporto di sedimenti all’interno della laguna. In particolare, la riduzione dei livelli di marea incrementa la risospensione dei sedimenti dai bassifondali lagunari, favorendo l’interrimento dei canali e riducendo al contempo la capacità delle barene – formazioni pianeggianti tipiche degli ambienti lagunari – di sopravvivere al progressivo innalzamento del livello medio del mare. Se non opportunamente contrastati, tali processi porteranno nel tempo a un progressivo appiattimento della topografia lagunare, modificandone in modo sostanziale l’attuale morfologia.

Mo.S.E. laguna di Venezia
Effetti del Mo.S.E. sulla struttura morfologica della laguna di Venezia. Photo credit: Davide Tognin

Questo è quanto emerge dallo studio Loss of geomorphic diversity in shallow tidal embayments promoted by storm-surge barriers, pubblicato da un team di ricercatori dell’Università di Padova sulla prestigiosa rivista scientifica «Science Advances», frutto della collaborazione tra Centro Interdipartimentale di Idrodinamica e Morfodinamica Lagunare (CIMoLa), Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (ICEA) e Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, che ha coinvolto anche il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e il Dipartimento di Ingegneria Ambientale dell’Università della Calabria e che si è svolto nell’ambito del Progetto Venezia 2021, finanziato dal Provveditorato alle Acque di Venezia tramite CO.RI.LA. – il Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia.

Andrea D’Alpaos

La ricerca, coordinata dai docenti Luca Carniello del Dipartimento ICEA e Andrea D’Alpaos del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, ha analizzato gli effetti delle prime chiusure del Mo.S.E. avvenute nell’autunno 2020 sulla morfologia della laguna di Venezia.

Luca Carniello

Integrando strumenti modellistici e misure di campo, i ricercatori hanno analizzato gli effetti prodotti dall’utilizzo del sistema di paratoie mobili alle bocche di porto sul trasporto di sedimenti e sull’evoluzione morfologica della laguna di Venezia.

Mo.S.E. laguna di Venezia
Effetti del Mo.S.E. sulla struttura morfologica della laguna di Venezia. Photo credit: Davide Tognin

L’effetto principale della riduzione dei livelli di marea prodotta dal sollevamento delle paratoie del Mo.S.E. durante i cosiddetti eventi di “acqua alta” è un aumento della risospensione dei sedimenti dai bassifondali, dovuta principalmente all’azione delle onde che si generano all’interno della laguna a causa dei forti venti che tipicamente accompagnano questo tipo di eventi e che, contro intuitivamente, sollecitano maggiormente i fondali quando il livello di marea in laguna è regolato dalle paratoie.

Una volta rimobilitati dalle onde, a causa del ridotto dinamismo delle acque lagunari causato dalla chiusura delle bocche di porto, i sedimenti tendono ad essere depositati all’interno dei canali, contribuendo così all’interrimento degli stessi, con conseguenze negative sul ricambio d’acqua in condizioni ordinarie e sull’aumento dei costi di dragaggio per mantenerne la navigabilità.

Allo stesso tempo, la riduzione dei livelli di marea in laguna contribuisce ad una sostanziale riduzione del volume di sedimenti depositato sulle barene.

Tali sedimenti, che sono di vitale importanza per permettere alle barene di sopravvivere all’innalzamento del livello medio del mare, vengono depositati su di esse in larga parte proprio durante gli eventi di acqua alta per i quali è prevista l’attivazione delle barriere del Mo.S.E.

Pertanto, l’utilizzo ripetuto e prolungato del Mo.S.E. rischia, se non opportunamente controbilanciato, di minare tale processo di accrescimento delle barene minacciandone l’esistenza e, con essa, l’espletamento dei numerosi servizi ecosistemici che queste forme lagunari forniscono.

Se da un lato la temporanea chiusura delle bocche di porto risulta indispensabile per la limitazione delle acque alte – evidenziando, allo stesso tempo, che soluzioni ingegneristiche diverse da quella adottata per il Mo.S.E. non avrebbero modificato in modo sostanziale le dinamiche evidenziate dallo studio –, dall’altro i ricercatori sostengono la necessità di trovare un compromesso tra le esigenze di salvaguardia delle aree urbane dalle inondazioni e la conservazione dell’ecosistema lagunare.

Appare pertanto urgente e inderogabile la necessità di mettere allo studio interventi in grado di mitigare gli effetti messi in luce dalle indagini, in modo da poterli realizzare prima possibile. Soluzioni complementari al sistema Mo.S.E. potrebbero, ad esempio, essere adottate al fine di ridurre il numero complessivo di chiusure annuali, mitigandone così, almeno in parte, gli effetti negativi sulla conservazione della morfologia lagunare.

Link alla ricerca: 10.1126/sciadv.abm8446

Titolo: Loss of geomorphic diversity in shallow tidal embayments promoted by storm-surge barriers – «Science Advances» – 2022 Autori: Davide Tognin, Alvise Finotello, Andrea D’Alpaos, Daniele P. Viero, Mattia Pivato, Riccardo A. Mel, Andrea Defina, Enrico Bertuzzo, Marco Marani, Luca Carniello

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova

Studio di un team italiano pubblicato su Scientific Reports

CLIMA E ANTRACE: RISCHI PER I PASTORI SIBERIANI

STUDIATI CON UN MODELLO MATEMATICO

Estati sempre più miti: lo scongelamento del permafrost rilascia spore del batterio letale.

Tra le misure possibili l’adattamento dei tempi della stagione del pascolo

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La steppa russa nell’oblast d’Orenburg. Foto di Ghilarovus, CC BY-SA 4.0

VENEZIA – Il cambiamento climatico può favorire direttamente epidemie letali per gli animali e per l’uomo. Un caso emblematico è il crescente rischio di diffusione di antrace in Siberia a causa dello scongelamento del permafrost durante la stagione estiva.

Scienziati dell’Università Ca’ Foscari Venezia, dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche e del Politecnico di Milano hanno studiato il primo modello matematico sulla diffusione del batterio dell’antrace nelle zone artiche, pubblicando i risultati oggi sulla prestigiosa rivista scientifica Scientific Reports. Hanno scoperto che il rischio è legato più alla durata della stagione ‘calda’ rispetto alla profondità di scongelamento del terreno.

L’ultima grave epidemia di antrace in Siberia è stata registrata nel 2016, nella penisola del Taymyr, la propaggine più settentrionale dei continenti euroasiatici. Morirono un dodicenne e oltre 2.300 renne.

Le spore del batterio, che si diffondono nel suolo  a partire dalle carcasse degli animali che muoiono per l’infezione, sopravvivono per decenni nel permafrost congelato. Quando le temperature salgono e la morsa del gelo si allenta, le spore tornano a diffondersi nel suolo e ad infettare gli erbivori al pascolo. Sono proprio gli animali a infettare poi le popolazioni indigene, che nella pastorizia hanno una tra le principali fonti di sostentamento.

“E’ come se il permafrost fosse un grande serbatoio che viene aperto dalle temperature sempre più miti – spiega Enrico Bertuzzo, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e autore corrispondente dello studio -. Abbiamo analizzato con un modello i possibili percorsi del batterio proprio considerando l’ambiente e il ruolo della pastorizia”.

Gli scienziati hanno utilizzato i dati temporali di profondità di scongelamento dello strato attivo sopra il permafrost, da correlare al rischio di trasmissione. Il modello distingue spore che vengono rilasciate dai nuovi casi infetti e spore che possono essere riattivate in seguito ai processi che si sviluppano dallo scongelamento del suolo.

“Gli animali sono maggiormente esposti durante il pascolo estivo, quando si ha maggior scongelamento dello strato attivo sopra il permafrost, e degli strati più superficiali di permafrost – aggiunge Elisa Stella, ricercatrice del Cnr e prima autrice dell’articolo – dal nostro studio è emerso che il rischio di trasmissione è probabilmente legato maggiormente alla durata del periodo di scongelamento rispetto alla profondità di scongelamento”.

La ricerca offre un nuovo strumento per lo studio del fenomeno, ma sono molti gli interrogativi a cui rispondere per mitigare il rischio a cui sono esposti gli abitanti della regione siberiana. Non è disponibile, tra l’altro, una mappa delle sepolture degli animali infetti. Questo espone a rischio di attraversare aree contaminate.

Una misura suggerita dai ricercatori italiani è di anticipare o posticipare il pascolo stagionale, evitando il periodo più caldo e riducendo la permanenza del bestiame nelle aree a rischio.

 

L’articolo

Permafrost dynamics and the risk of anthrax transmission: a modelling study

Scientific Reports

Link alla ricerca: www.nature.com/articles/s41598-020-72440-6

Testo dall’Università Ca’ Foscari Venezia sull’antrace in Siberia in conseguenza dello scongelamento del permafrost per il cambiamento del clima.