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disturbi del sonno

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DIMOSTRATO PER LA PRIMA VOLTA IL LEGAME DIRETTO TRA SONNO E MALATTIA DI ALZHEIMER

UNA SCARSA QUALITÀ DEL SONNO SCATENA LA PATOLOGIA

La ricerca è stata condotta da medici del Centro di Medicina del sonno dell’ospedale Molinette della Città della Salute e ricercatori dell’Università di Torino.

È stata appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale Acta Neuropathologica Communications (https://doi.org/10.1186/s40478-022-01498-2) la scoperta che per la prima volta dimostra direttamente il legame tra sonno e malattia di Alzheimer. Il lavoro, frutto della collaborazione tra il Centro di Medicina del sonno dell’ospedale Molinette della Città della Salute di Torino (diretto dal professor Alessandro Cicolin) ed il Neuroscience Institute of Cavalieri Ottolenghi (NICO) (professoressa Michela Guglielmotto) entrambi afferenti al Dipartimento di Neuroscienze “Rita Levi Montalcini” dell’Università di Torino, ha esaminato l’effetto di un sonno disturbato in topi geneticamente predisposti alla deposizione di beta-amiloide.

Nota redazionale al comunicato: trattandosi di un unico studio, per ora solo su un modello animale, ci pare che comunque la cautela sia d’obbligo.

sonno
Foto di Pexels

La sola frammentazione del sonno ottenuta inducendo brevi risvegli senza modificare il tempo totale del sonno, per un periodo di 1 mese (approssimativamente corrispondente a 3 anni di vita dell’uomo), compromette il funzionamento del sistema glinfatico, fa aumentare il deposito della proteina beta-amiloide e compromette irreversibilmente le funzioni cognitive dell’animale anche se giovane.

Il riposo notturno nei pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer è spesso disturbato fino ad arrivare ad una vera e propria inversione del ritmo sonno-veglia, ma è stato anche osservato che i disturbi del sonno stessi (ad es. deprivazione di sonno, insonnia ed apnee) possono influenzare negativamente il decorso della malattia. Nei pazienti con sonno disturbato, sia in termini di quantità che di qualità, si riscontra un aumento del deposito cerebrale di una proteina (beta-amiloide) implicata nella genesi della malattia di Alzheimer.  Lo studio ha dimostrato che tale aumento dipende da una sua ridotta eliminazione da parte del sistema glinfatico (il “sistema di pulizia” del cervello, particolarmente attivo proprio durante il sonno profondo).

La ricerca, oltre a dimostrare il forte legame presente tra disturbi del sonno e malattia di Alzheimer e dimostrarne il meccanismo, porta anche ad ulteriori considerazioni:

  • in soggetti predisposti alla malattia di Alzheimer, fin dall’età giovanile, un sonno disturbato può favorire l’instaurarsi di processi neurodegenerativi;
  • i processi neurodegenerativi stessi, caratteristici della malattia, possono a loro volta compromettere la regolazione del sonno, instaurando un vero e proprio circolo vizioso che accelera irrimediabilmente la progressione della malattia;
  • non è solo la quantità del sonno ad essere rilevante, ma anche la sua “qualità”: infatti è solo nel sonno profondo che il sistema glinfatico può svolgere efficientemente il compito di “pulizia” ed eliminazione delle sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia;
  • anche in assenza di altri fattori (riduzione del tempo di sonno o condizioni ipossiche), la sola frammentazione del sonno a livello cerebrale, ostacolando il mantenimento del sonno profondo, è in grado di innescare e mantenere il processo.

Sempre di più il sonno svela i suoi misteri: da un iniziale concetto di semplice interruzione della veglia (“tempo perso”), si sta sempre più comprendendo come il sonno sia un fenomeno attivo, durante il quale vengono eliminate le sostanze neurotossiche che si accumulano in veglia e regola il nostro metabolismo, il sistema immunitario e circolatorio. È comprensibile quindi come i disturbi del sonno, quali insonnie, apnee nel sonno e sindrome delle gambe senza riposo, per citare solo i più frequenti, costituiscano un significativo fattore di rischio per obesità, ipertensione, diabete, infarto, ictus, cancro e demenze ed in tal senso da includere nelle politiche di prevenzione sanitaria.

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

Effetti del lockdown: sintomi depressivi o ansiosi per un italiano su quattro, oltre il 40% ha avuto disturbi del sonno

lockdown sintomi depressivi ansiosi COVID-19 coronavirus
Foto di Jeyaratnam Caniceus

Sono stati pubblicati sull’International Journal of Environmental Research and Public Health i risultati del progetto COCOS (Covid Collateral ImpactS), ideato e condotto dalla Prof.ssa Maria Rosaria Gualano e dal Dr. Gianluca VoglinoIl Gruppo di Ricerca – guidato dalla Prof.ssa Roberta Siliquini – della Sezione di Igiene del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, si occupa da anni di approfondire il tema del benessere mentale in un’ottica di sanità pubblica. Lo studio è stato realizzato nelle ultime due settimane della Fase 1 (19 aprile – 3 maggio 2020), valutando l’impatto del lockdown sui comportamenti e sul benessere degli italiani.

Dalle interviste condotte su un campione di oltre 1500 soggetti, tutti maggiori di 18 anni d’età, la salute mentale sembra essere un problema significativo.  Si possono evidenziare profili di fragilità tra le donne, i più giovani e tra coloro i quali hanno subito difficoltà economiche legate al lockdown. I dati mostrano che il 23,2% degli intervistati ha avuto disturbi di tipo ansioso, il 24,7% sintomi depressivi, il 42,4% disturbi del sonno e, per quest’ultima patologia, la probabilità di essere colpiti risulta doppia tra le donne. Ulteriori dati circa l’accesso alle cure, l’uso della mascherina e la paura di uscire e svolgere attività indotta dalle pressioni sociali saranno pubblicati dai ricercatori nelle prossime settimane e presentati al Congresso Mondiale di Sanità Pubblica che si terrà ad ottobre 2020.

“Bisogna mettere al centro dell’agenda di sanità pubblica la cura della salute mentale del cittadino – dichiara la Prof.ssa Maria Rosaria Gualano – in quanto la sofferenza mentale potrebbe rappresentare un’ennesima pandemia di cui occuparsi a livello globale, soprattutto per i soggetti più a rischio come i giovani, le persone sole e chi ha perso o rischia di perdere il lavoro”“L’alto interesse che lo studio ha suscitato tra gli intervistati – prosegue il Dr. Gianluca Voglino – testimonia la necessità di ascoltare i bisogni dei cittadini. Serve farsi carico delle persone in modo globale, ancor di più in momenti difficili come quello che stiamo vivendo”.

 

 

Testo sui sintomi depressivi e ansiosi legati al lockdown dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino