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Diego Rubolini

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COME GLI UCCELLI SI ADATTANO ALL’URBANIZZAZIONE DEI TERRITORI: TORINO È UN RIFUGIO VERDE PER I VOLATILI FORESTALI

Uno studio condotto in sei città italiane da parte dell’Università di Torino e appena pubblicato su Scientific Reports rivela come le specie di uccelli rispondano all’urbanizzazione in maniera differente in base alle stagioni.

L’espansione delle città è una delle principali cause del declino globale della biodiversità, ma le comunità di uccelli possono rispondere in modo sorprendentemente diverso a questa minaccia nei vari periodi dell’anno. È quanto emerge dalla ricerca “Different traits shape winners and losers in urban bird assemblages across seasons”, pubblicata oggi sulla prestigiosa rivista Scientific Reports e frutto di una collaborazione tra ricercatori di diverse università italiane e straniere, sotto la guida del National Biodiversity Future Center (NBFC).

Coordinato da Riccardo Alba, ricercatore del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino e del Bird Lab Torino, lo studio ha analizzato come le specie di uccelli rispondano all’urbanizzazione lungo un gradiente che va dai centri cittadini fino alle periferie rurali. La ricerca, che ha coinvolto le città italiane di Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli e Campobasso, ha adottato un approccio multi-stagionale, includendo sia il periodo riproduttivo che quello invernale, per cogliere appieno la complessità delle dinamiche ecologiche urbane. Una particolare attenzione è stata posta ai tratti funzionali delle specie – come dieta, strategia riproduttiva, comportamento sociale e modalità di nidificazione – per comprendere quali caratteristiche favoriscano o penalizzino le diverse specie in ambienti urbanizzati.

I risultati mostrano come alcune specie, definite “winners”, riescano a prosperare in città grazie alla nidificazione coloniale, un’elevata numero di covate o una lunga durata della vita. In inverno, invece, prevalgono le specie solitarie e opportuniste, dotate di una dieta generalista. Al contrario, le specie “losers” tendono ad essere insettivore, migratrici e a nidificare al suolo – caratteristiche che le rendono vulnerabili alla perdita di habitat e alle pressioni dell’ambiente urbano. Tuttavia, la maggior parte delle specie rientra nella categoria degli “urban adapters”: non completamente favorite dagli ambienti urbani, ma comunque in grado di sfruttare efficacemente i contesti con un livello intermedio di urbanizzazione. Alcune specie, inoltre, mostrano però notevoli capacità di adattamento stagionale, frequentando aree urbane in inverno ma non durante la stagione riproduttiva e viceversa.

Torino si distingue tra le grandi città del Nord Italia per la sua eccezionale estensione di aree verdi e parchi urbani, che creano un mosaico urbano capace di ospitare una notevole diversità di uccelli, inclusi quelli tipici degli ambienti forestali. I grandi parchi urbani come il Parco della Colletta, il Meisino, il Valentino e la Pellerina offrono habitat idonei a molte specie sensibili, spesso rare in altri contesti metropolitani. In alcuni di questi parchi, ad esempio, si possono osservare specie come la cincia bigia, il rampichino comune e il picchio muratore, ma anche specie più rare nidificano, come il picchio rosso minore, il picchio nero, la colombella o il lodolaio.

Un ruolo chiave è svolto anche dalla collina di Torino, che con il Parco Naturale della Collina di Superga rappresenta un importante polmone verde a ridosso della città, fungendo da serbatoio di biodiversità e da zona di nidificazione per molte specie. Inoltre, il fiume Po, con le sue fasce perifluviali alberate, agisce come un vero e proprio corridoio ecologico, facilitando gli spostamenti e il collegamento tra le aree verdi urbane e quelle naturali circostanti. Questi elementi, inclusi i grossi viali alberati della città, rendono Torino un esempio virtuoso di come le città possano contribuire concretamente alla conservazione della biodiversità, anche di specie forestali più esigenti. Allo stesso tempo, la presenza di una fauna ricca e diversificata nelle aree verdi urbane migliora la qualità della vita dei cittadini, offrendo occasioni di contatto con la natura. Così la biodiversità urbana diventa un patrimonio sociale e culturale da valorizzare.

“Lo studio – dichiara Riccardo Alba – evidenzia la straordinaria capacità degli uccelli di adattarsi a una vasta gamma di condizioni ambientali, anche all’interno di paesaggi fortemente modificati dall’uomo. Considerare le variazioni stagionali è fondamentale per comprendere pienamente le risposte ecologiche delle specie all’urbanizzazione. Questo approccio può contribuire a migliorare la pianificazione del tessuto urbano, rendendolo più sensibile alle esigenze della fauna selvatica e più efficace nel promuovere città sostenibili e ricche di biodiversità”.

Riferimenti bibliografici:

Alba, R., Marcolin, F., Assandri, G. et al., Different traits shape winners and losers in urban bird assemblages across seasons, Sci Rep 15, 16181 (2025), DOI: https://doi.org/10.1038/s41598-025-00350-6

un picchio rosso minore. Foto di Carlo Caimi, CC0
un picchio rosso minore. Foto di
Carlo Caimi, CC0

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Lo stress termico prolungato ha un effetto drammatico sugli animali selvatici e sull’intero ecosistema: il caso del falco grillaio (Falco naumanni)

Pubblicata su Global Change Biology una ricerca che dimostra sperimentalmente l’effetto drammatico che le ondate di calore possono avere su alcune specie di uccelli selvatici nell’area mediterranea. Lo studio è stato coordinato dall’Università degli Studi di Milano e condotto in stretta collaborazione con Università di Padova, CNR-IRSA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) e Provincia di Matera.

Milano/Padova – 27 luglio 2023 – Lo stress termico prolungato, connesso alla disidratazione e all’impossibilità di dissipare calore, può avere effetti drammatici sugli animali selvatici, in particolare sugli uccelli, fino a condurre alla morte. Per evitare questo esito infausto, basterebbe avere alcuni accorgimenti nella progettazione e costruzione delle strutture destinate ad ospitarli.

 

Lo stress termico prolungato ha un effetto drammatico sugli animali selvatici e sull’intero ecosistema: il caso del falco grillaio. Gallery, foto di Davorin Tome

Ecco la conclusione a cui sono giunti i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università di Padova che, assieme all’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), al CNR-IRSA e alla Provincia di Matera, hanno appena pubblicato i risultati dell’esperimento empirico su Global Change Biology, in Open Access.

L’aumento di frequenza e intensità delle ondate di calore nell’area mediterranea negli anni recenti, una conseguenza della crisi climatica in atto, sta infatti avendo profonde ripercussioni sulla biodiversità di questa zona, ma lo studio degli effetti degli eventi estremi è tuttavia complicato dalla loro relativa imprevedibilità temporale e richiede studi di lungo periodo.

Lo studio è stato condotto a Matera durante le ondate di calore che hanno investito il sud Italia nel giugno 2021 e 2022, dove si sono registrate temperature superiori a 37°C per più giorni consecutivi, condizioni estreme di temperatura mai verificate in quest’area nei 20 anni precedenti. I ricercatori hanno sperimentato una metodologia innovativa di raffrescamento dei nidi, per quantificare sperimentalmente l’effetto dell’esposizione a ondate di calore intense e prolungate sul successo riproduttivo di una specie di uccello rapace coloniale caratteristico delle regioni mediterranee, il falco grillaio (Falco naumanni).

Matera ospita infatti ospita una delle maggiori colonie riproduttive mondiali di questa specie, con circa un migliaio di coppie nidificanti, ed è parte integrante del patrimonio culturale della città. Un tempo estremamente abbondante, il falco grillaio è un piccolo rapace migratore (circa 140 g) di interesse conservazionistico a livello europeo, tutelato dalla Direttiva Uccelli, che ha subito un drastico declino delle popolazioni nella seconda metà del secolo scorso, causato dall’intensificazione agricola e da eventi di siccità nella regione del Sahel dove trascorre l’inverno. Nelle regioni mediterranee, la specie nidifica in aree urbane, in cavità di edifici, monumenti e pareti rocciose, e frequenta spesso cassette nido posizionate appositamente dai ricercatori per studiarne l’ecologia e il comportamento riproduttivo e per favorirne la conservazione.

Il raffrescamento sperimentale è avvenuto mediante una semplice ombreggiatura delle cassette nido, che ha consentito di abbassare la temperatura interna delle cassette nido di circa 4°C rispetto a quelle non ombreggiate. Il successo riproduttivo della specie nelle cassette nido non schermate è stato drammaticamente ridotto: solo un terzo delle uova deposte ha generato pulcini pronti all’involo, mentre nelle cassette nido ombreggiate tale valore rientra nella norma (circa 70%). Nelle cassette nido non ombreggiate si sono verificati diffusi episodi di mortalità dei pulcini, tutti in corrispondenza con le giornate più calde (con temperatura dell’aria superiore a 37°C all’ombra e temperature interne delle cassette nido superiori a 44°C), mentre tali eventi sono risultati molto rari nelle cassette nido ombreggiate. Inoltre, i pulcini cresciuti in cassette nido schermate sono risultati essere in condizioni fisiche decisamente migliori e di taglia maggiore, caratteristiche che ne promuovono la sopravvivenza una volta involati.

“Questi risultati evidenziano come fenomeni di temperature estreme, in passato estremamente rari e in alcuni casi mai registrati prima, possano avere effetti profondi e molto rapidi sulle popolazioni di animali selvatici. Considerato che gli scenari di cambiamento climatico prevedono un ulteriore aumento della frequenza e intensità delle ondate di calore nei prossimi decenni, in particolare nella regione mediterranea, ciò potrebbe rappresentare una ulteriore grave minaccia per la biodiversità delle regioni colpite”spiega il prof. Diego Rubolini dell’Università Statale di Milano.

Tra l’altro, l’attuale persistenza dell’anticiclone africano ha determinato nel 2023 condizioni ancora più calde rispetto al 2021-2022 e i risultati preliminari delle nostre attività di monitoraggio indicano un effetto ancora peggiore sui falchi grillai rispetto a quanto osservato in precedenza.

“Questi risultati suggeriscono anche che limitati accorgimenti nella progettazione e costruzione di strutture destinate ad ospitare animali selvatici, come un incremento dell’isolamento termico delle cassette nido, debbano essere attentamente considerati in quanto possono favorire in maniera significativa il successo dei progetti di conservazione in uno scenario di riscaldamento globale”conclude il prof Andrea Pilastro, dell’Università di Padova.

Lo studio è stato realizzato con il parziale supporto del programma di finanziamento LIFE della Comunità Europea (progetto LIFE FALKON, www.lifefalkon.eu) e del MUR (PRIN 2017).

 

Testo dagli Uffici Stampa dell’Università Statale di Milano e dell’Università di Padova.