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Da Napoli lo studio dell’equipe della Diabetologia della Federico II pubblicato su “Advances in Nutrition”

Mangiare pesce fa bene al cuore? Sì, ma solo se è grasso!

Il consumo di pesce azzurro, anche detto pesce grasso, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità precoce, mentre il pesce bianco, identificato come pesce magro, non ha lo stesso potenziale.

Importante l’impatto che la ricerca avrà sulle scelte alimentari della popolazione adulta e sull’ecosistema marino.

acciughe pesce cuore
Mangiare pesce fa bene al cuore? Acciuga europea o alice (Engraulis encrasicolus). Acciughe fotografate nel Mar Ligure. Foto di Alessandro Duci, caricata da Massimiliano Marcelli, in pubblico dominio

Chi di noi, rivolgendosi ad un esperto, non ha ricevuto l’indicazione di consumare pesce almeno tre volte a settimana? Ebbene, da oggi qualcosa potrebbe cambiare.

Se, infatti, numerosi studi hanno dimostrato che il consumo di pesce si associa alla riduzione del rischio di malattie cardiovascolari ischemiche, come l’infarto del miocardio, sino ad ora nessuno aveva chiarito se i tipi di pesce fossero intercambiabili o se fosse meglio preferire le alici alla spigola, le sardine ai gamberi, in sintesi se fosse meglio il pesce azzurro, anche detto pesce grasso o il pesce bianco, noto come pesce magro.

La risposta è arrivata dallo studio dell’equipe della Diabetologia del Policlinico Federico II, guidata dalla professoressa Olga Vaccaro, che ha analizzato tutti i dati disponibili in letteratura sulla relazione tra il consumo di pesce e le malattie cardiovascolari.

Utilizzando una metodologia basata sulla sistematicità della ricerca, grazie a procedure statistiche in grado di combinare tutti i dati disponibili, abbiamo analizzato una popolazione di 1,320,509 individui, seguiti per un periodo di tempo che va dai 4 ai 40 anni. I risultati hanno mostrato, con estrema chiarezza, che il consumo di 1-2 porzioni di pesce grasso a settimana si associa ad una riduzione significativa del rischio di infarto e di altre patologie cardiache che, per i casi fatali, si colloca intorno al 17%. Al contrario, il consumo abituale di pesce magro, pur non aumentando il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari, non si associa a questi benefici”, spiega la professoressa Vaccaro.

Vale a dire che il consumo di pesce grasso, come sardine, sgombri ed altri pesci azzurri, riduce il rischio di malattie cardiovascolari e di mortalità precoce, mentre il pesce magro, come merluzzo, spigola, crostacei, molluschinon ha lo stesso potenziale.

I risultati di questo studio mettono in luce, per la prima volta, che l’effetto benefico sulla salute cardiovascolare attribuito finora al consumo di pesce in generale è in realtà limitato esclusivamente al pesce grasso. Questo ha una sua logica: il pesce grasso contiene, infatti, quantità fino a 10 volte più elevate di grassi cosiddetti omega-3, benefici per la salute, rispetto al pesce magro, inoltre, il pesce grasso è più ricco di molte altre sostanze salutari come calcio, potassio, ferro e Vitamina D, che possono contribuire all’impatto benefico del pesce azzurro sul cuore”, sottolinea il professore Gabriele Riccardi, già direttore della Diabetologia Federiciana.

Le conclusioni dello studio avranno implicazioni rilevanti per le scelte alimentari della popolazione adulta e per la preservazione dell’ecosistema marino.

La consapevolezza che bastano una o due porzioni di pesce azzurro a settimana per ridurre marcatamente il rischio di malattie cardiache facilita l’adesione alle raccomandazioni nutrizionali in confronto al generico consiglio di consumare ogni tipo di prodotto della pesca con una frequenza maggiore. Guardando agli aspetti ambientali, la scelta preferenziale di pesce azzurro di piccola taglia, e con un breve ciclo di vita come alici, sardine, sgombri, aringhe e molti altri pesci meno noti ma molto diffusi nel mar Mediterraneo, ha un impatto rilevante sull’ecosistema marino ed è molto più sostenibile dell’utilizzo di specie, ritenute più pregiate, che arrivano sulla nostra tavola grazie all’acquacultura o alla pesca intensiva”, conclude la professoressa Vaccaro.

All’innovativo studio, insieme ai professori Vaccaro e Riccardi, hanno preso parte le nutrizioniste Marilena Vitale e Ilaria Calabrese, la dottoranda di ricerca in “Nutraceuticals Functional Foods and Human Health” Annalisa Giosuè e la diabetologa Roberta Lupoli.

Testo dall’Ufficio Stampa Università Federico II di Napoli.

DA UNO STUDIO VIMM-UNIVERSITÀ DI PADOVA UN NUOVO METODO PER STIMOLARE LE CELLULE STAMINALI NELLE PERSONE AFFETTE DA DIABETE 

La ricerca è stata pubblicata su Diabetologia, la rivista ufficiale della Società Europea per lo Studio del Diabete (EASD).

cellule staminali diabete retinopatia
Gian Paolo Fadini

Il fenofibrato, un farmaco routinariamente utilizzato per il trattamento degli elevati livelli di trigliceridi è in grado di stimolare il livello delle cellule staminali circolanti in pazienti con retinopatia diabetica: è quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) sotto il coordinamento di Gian Paolo Fadini, Professore Associato di Endocrinologia e Principal Investigator dell’Unità di Diabetologia Sperimentale del VIMM.

L’articolo – pubblicato su «Diabetologia», la rivista ufficiale della Società Europea per lo Studio del Diabete (EASD) – parte, secondo la ricostruzione di Benedetta Bonora prima autrice dello studio, dalle precedenti osservazioni di due grandi studi internazionali che indicavano come il fenofibrato, un farmaco comunemente utilizzato anche nei diabetici per abbassare la concentrazione di trigliceridi nel sangue, fosse in grado di proteggere dalla progressione della retinopatia, una  temibile complicanza cronica del diabete che può portare alla cecità e per la quale le armi terapeutiche a disposizione sono limitate.

“Avevamo notato – sottolinea Gian Paolo Fadini – che i pazienti diabetici con bassi livelli di cellule staminali circolanti hanno un rischio aumentato di progredire verso stadi più avanzati di retinopatia. Abbiamo quindi cercato di capire come sia possibile stimolare le cellule staminali circolanti, che hanno un ruolo chiave nel proteggere i tessuti e gli organi dal danno cronico e il cui meccanismo di protezione è compromesso dal diabete. Partendo da questo assunto, Il nostro laboratorio potrà lavorare nell’identificazione di approcci terapeutici per ripristinare la protezione d’organo tramite le cellule staminali nei pazienti con diabete”.

“Comprendere il meccanismo di un trattamento – aggiunge Angelo Avogaro, professore Ordinario di endocrinologia e Direttore della Diabetologia di Padova – è un passo fondamentale per permetterne un suo utilizzo su larga scala. Questo nuovo studio fornisce un importante contributo alle nostre conoscenze di come sia possibile prevenire la progressione di una delle più temibili complicanze croniche del diabete per cui, ancora oggi, ci sono limitate opportunità terapeutiche”.

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Link all’articolo: https://rdcu.be/ctKHn

Titolo: Fenofibrate increases circulating haematopoietic stem cells in people with diabetic retinopathy: a randomised, placebo-controlled trial

Autori: Gian Paolo Fadini, Benedetta Maria Bonora, Mattia Albiero, Mario Luca Morieri, Roberta Cappellari, Francesco Ivan Amendolagine, Marta Mazzucato, Alberto Zambon, Elisabetta Iori, Angelo Avogaro

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova.