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Nuove immagini ad alta definizione dell’universo primordiale dall’Atacama Cosmology Telescope nel deserto cileno

Una nuova ricerca nell’ambito della collaborazione internazionale Atacama Cosmology Telescope (ACT), a cui ha preso parte anche la Sapienza, ha prodotto le immagini più chiare mai ottenute dell’universo primordiale, rivelando la formazione delle antiche nubi di idrogeno ed elio che presto si sarebbero trasformate nelle prime stelle e galassie.

La collaborazione dell’esperimento Atacama Cosmology Telescope (ACT), un progetto internazionale situato a 5200 m nel deserto di Atacama in Cile, che in Italia include i gruppi di Elia Battistelli presso l’Università Sapienza di Roma (di cui fanno parte anche Giovanni Isopi, Eleonora Barbavara, e Valentina Capalbo), e di Federico Nati presso l’Università di Milano-Bicocca, ha sottoposto il modello standard della cosmologia ad una nuova e rigorosa serie di test, dimostrandone la straordinaria solidità. Le nuove immagini dell’universo primordiale mostrano i dettagli della prima luce emersa dagli albori dell’Universo con una chiarezza senza precedenti, rivelando la formazione delle antiche nubi di idrogeno ed elio che presto si sarebbero trasformate nelle prime stelle e galassie.

 a sinistra la nuova mappa a mezzocielo, in intensità, della radiazione di fondo cosmico realizzata dall'Atacama Cosmology Telescope, in aggiunta a quelle di Planck. In basso, un ingrandimento della stessa di 10 x 10 gradi, in cui i punti rossi rappresentano galassie e i punti blu ammassi di galassie. È visibile anche la galassia dello Scultore. Il rosso e il blu indicano regioni più calde e più fredde.A destra la nuova mappa in polarizzazione con un ingrandimento (in basso) e la regione galattica della nebulosa di Orione (in alto). Il rosso e il blu indicano il movimento nelle antiche nubi di idrogeno ed elio. Il blu mostra dove i modelli di polarizzazione della luce sono radiali, con la materia che fluisce verso l'interno; il rosso traccia i modelli di polarizzazione tangenziali, dove la materia fluisce verso l'esterno. Crediti per le immagini: ACT Collaboration; ESA/Planck
a sinistra la nuova mappa a mezzocielo, in intensità, della radiazione di fondo cosmico realizzata dall’Atacama Cosmology Telescope, in aggiunta a quelle di Planck. In basso, un ingrandimento della stessa di 10 x 10 gradi, in cui i punti rossi rappresentano galassie e i punti blu ammassi di galassie. È visibile anche la galassia dello Scultore. Il rosso e il blu indicano regioni più calde e più fredde.
A destra la nuova mappa in polarizzazione con un ingrandimento (in basso) e la regione galattica della nebulosa di Orione (in alto). Il rosso e il blu indicano il movimento nelle antiche nubi di idrogeno ed elio. Il blu mostra dove i modelli di polarizzazione della luce sono radiali, con la materia che fluisce verso l’interno; il rosso traccia i modelli di polarizzazione tangenziali, dove la materia fluisce verso l’esterno.
Crediti per le immagini: ACT Collaboration; ESA/Planck

Le immagini più nitide dell’infanzia dell’universo

Una nuova ricerca della collaborazione Atacama Cosmology Telescope (ACT) ha prodotto le immagini più chiare mai ottenute dell’universo primordiale, provenienti dal tempo cosmico più lontano a cui l’umanità abbia mai avuto accesso. Misurando una luce che ha viaggiato per oltre 13 miliardi di anni prima di raggiungere il telescopio situato sulle Ande cilene, queste immagini rivelano l’universo quando aveva circa 380.000 anni – l’equivalente di fotografie di un neonato in un cosmo ormai maturo.

“Stiamo osservando i primi passi verso la formazione delle stelle e delle galassie più antiche”, ha dichiarato Suzanne Staggs, direttrice di ACT e docente di fisica all’Università di Princeton. “E non vediamo solo chiaro e scuro, ma anche la polarizzazione della luce ad alta risoluzione. Questo è un elemento distintivo che differenzia ACT da Planck e da altri telescopi precedenti.”

Le nuove immagini della radiazione cosmica di fondo (CMB) forniscono una risoluzione più alta rispetto a quelle ottenute più di un decennio fa dal telescopio spaziale Planck. Misurando sia l’intensità che la polarizzazione della luce con ACT, ora abbiamo una seconda immagine ad alta fedeltà dello stesso momento cosmico. L’immagine della polarizzazione svela il movimento dettagliato della materia nell’infanzia cosmica.

“Prima potevamo vedere dove si trovavano le cose, ora possiamo anche vedere come si muovono”, ha detto Staggs. “Proprio come le maree rivelano la presenza della Luna, il movimento tracciato dalla polarizzazione della luce ci dice quanto fosse forte l’attrazione gravitazionale in diverse regioni dello spazio.”

“Nelle prime centinaia di migliaia di anni dopo il Big Bang”, spiega Elia Battistelli, professore di fisica della Sapienza di Roma, “il plasma primordiale era così caldo che la luce non poteva propagarsi liberamente, rendendo l’universo di fatto opaco. La CMB rappresenta il primo stadio della storia dell’universo che possiamo osservare”.

“Le immagini forniscono una visione straordinariamente dettagliata delle variazioni, per quanto minime, nella densità e nella velocità dei gas. Quello che sembrano nuvole sfocate nell’intensità della luce sono in realtà regioni più e meno dense in un mare di idrogeno ed elio – colline e valli che si estendono per milioni di anni luce”, aggiunge Federico Nati, professore dell’Università di Milano-Bicocca. “Nei miliardi di anni successivi, la gravità ha attirato le regioni più dense di gas, dando origine a stelle e galassie”.

Queste immagini dettagliate dell’universo appena nato stanno aiutando gli scienziati a rispondere a domande di lunga data sulle origini del cosmo. “Osservando quel periodo, quando tutto era molto più semplice, possiamo ricostruire la storia di come l’universo si è evoluto fino alla complessità che vediamo oggi”, ha spiegato Jo Dunkley, docente di fisica e scienze astrofisiche a Princeton e responsabile dell’analisi di ACT.

“Abbiamo misurato con precisione che l’universo osservabile si estende per quasi 50 miliardi di anni luce in tutte le direzioni e contiene una quantità di massa equivalente a quasi 2 trilioni di trilioni di Soli”,

ha dichiarato Erminia Calabrese, docente di astrofisica all’Università di Cardiff. Di questi solo una minima parte rappresenta la materia normale – quella che possiamo osservare e misurare. Il resto è costituito da materia oscura e dall’energia oscura, le misteriose componenti che permeano il cosmo.

La tensione di Hubble

Negli ultimi anni, i cosmologi hanno ottenuto misure in leggero ma chiaro disaccordo sulla costante di Hubble, un parametro della teoria cosmologica che misura il tasso di espansione dello spazio. Le misurazioni basate sulla radiazione cosmica di fondo indicano costantemente un tasso di espansione di 67-68 km/s/Mpc, mentre le misure delle galassie vicine suggeriscono un valore più alto, fino a 73-74 km/s/Mpc. I nuovi dati di ACT confermano il valore più basso con una precisione persino maggiore.

Uno degli obiettivi principali dello studio era testare modelli alternativi che potessero spiegare la discrepanza, tuttavia i dati ACT non mostrano alcuna evidenza di nuove particelle o effetti non previsti dal modello standard e restringono ulteriormente il campo delle alternative possibili.

Il futuro della cosmologia

La radiazione cosmica di fondo misurata da ACT trasporta segnali estremamente deboli, difficilissimi da isolare dalle possibili contaminazioni.

“Per ottenere queste nuove immagini, abbiamo effettuato un’esposizione di cinque anni con un telescopio sensibile alle lunghezze d’onda millimetriche”,

ha spiegato Mark Devlin, vicedirettore del progetto. ACT ha completato le sue osservazioni nel 2022 e l’attenzione si sta ora spostando verso il più avanzato Simons Observatory, situato nella stessa area del deserto di Atacama, in Cile, per il quale Federico Nati presso l’Università di Milano-Bicocca guida un ambizioso programma di calibrazione che fa uso di stelle artificiali trasportate da droni, grazie al prestigioso finanziamento europeo ERC Advanced.

Questa ricerca è supportata dalla U.S. National Science Foundation (AST-0408698, AST-0965625 e AST-1440226 per il progetto ACT, oltre ai grant PHY-0355328, PHY-0855887 e PHY-1214379), dall’Università di Princeton, dall’Università della Pennsylvania e da un grant della Canada Foundation for Innovation. Il progetto è guidato dall’Università di Princeton e dall’Università della Pennsylvania, con 160 collaboratori provenienti da 65 istituzioni. In Italia, le attività del gruppo di F. Nati presso l’Università di Milano Bicocca sono supportate dal finanziamento europeo ERC, POLOCALC, 101096035. ACT ha operato dal 2007 al 2022.

Atacama Cosmology Telescope sulle Ande Cilene. Crediti per la foto: Debra Kellner
Atacama Cosmology Telescope sulle Ande Cilene. Crediti per la foto: Debra Kellner

Riferimenti

The Atacama Cosmology Telescope: DR6 Maps https://doi.org/10.48550/arXiv.2503.14451

The Atacama Cosmology Telescope: DR6 Constraints on Extended Cosmological Models https://doi.org/10.48550/arXiv.2503.14454

The Atacama Cosmology Telescope: DR6 Power Spectra, Likelihoods and ΛCDM Parameters https://doi.org/10.48550/arXiv.2503.14452

Testi, video e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma e dall’Ufficio stampa Università di Milano-Bicocca

Al progetto Polocalc di Federico Nati, Università di Milano-Bicocca, un ERC Advanced Grant da 2,4 milioni di euro per ricerche di cosmologia

Con il finanziamento europeo vinto dal professore del dipartimento di Fisica Federico Nati si realizzerà un sistema di sorgenti artificiali in volo su droni e palloni aerostatici, per calibrare i telescopi del Simons Observatory nel deserto di Atacama in Cile e ottenere misure di frontiera per scoperte fondamentali sugli albori dell’Universo.

Milano, 17 novembre 2023 – Il progetto Polocalc (POLarization Orientation CALibrator for Cosmology) di Federico Nati, professore di Experimental Cosmology del dipartimento di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca, è stato appena premiato dall’Unione Europea con un ERC Advanced Grant da 2,4 milioni di euro. L’obiettivo è realizzare in cinque anni una costellazione di sorgenti luminose di calibrazione, in volo su droni e palloni a quasi seimila metri di quota nel deserto di Atacama in Cile, per fornire un sistema di riferimento assoluto ai telescopi del Simons Observatory. Un metodo innovativo che permetterà di scoprire fenomeni finora mai osservati, come le onde gravitazionali nell’universo primordiale, per gettare luce su alcuni dei punti meno chiari della nascita del cosmo e della natura della materia oscura e dell’energia oscura.

Gli ERC Advanced Grant vengono assegnati dall’European Research Council a quei ricercatori che abbiano già una carriera consolidata alle spalle e che siano leader riconosciuti nel proprio settore, con un progetto di ricerca eccellente, particolarmente visionario e innovativo. È questo il primo ERC Advanced Grant ospitato direttamente presso Milano-Bicocca.

«I segnali astrofisici vengono normalmente calibrati usando sorgenti celesti conosciute – spiega Federico Nati – ma non sempre queste esistono o sono state osservate con sufficiente accuratezza da poter essere usate per tarare una scala di riferimento. Questo purtroppo è proprio il caso dei segnali cosmologici che potrebbero essere scoperti misurando la polarizzazione della luce proveniente dall’Universo primordiale, la radiazione cosmica di fondo. Questa radiazione fossile potrebbe contenere segnali di luce polarizzata previsti dalla teoria del Big Bang».

«Si tratta di segnali debolissimi – continua il professore di Milano-Bicocca – finora mai osservati che proverebbero l’esistenza di onde gravitazionali primordiali. I telescopi sono via via diventati sempre più sensibili per cercare di scoprirli, ma mancano di un riferimento assoluto per la calibrazione, in quanto nessuna sorgente celeste risulta attualmente adeguata allo scopo. Il progetto propone quindi di crearne di artificiali trasportate da droni e palloni aerostatici, portando così nel cielo sopra ai telescopi nel deserto di Atacama in Cile degli emettitori di luce polarizzata che saranno costruiti e finemente caratterizzati nei laboratori di Cosmologia Sperimentale dell’Università Bicocca. I telescopi del Simons Observatory, che iniziano quest’anno a operare a 5200 metri di quota, costituiscono il più grande programma di misura della radiazione cosmica di fondo per i prossimi anni, e grazie a questo progetto si renderanno possibili obiettivi scientifici altrimenti irraggiungibili, come per esempio la scoperta della birifrangenza cosmica, un effetto per ora solo ipotizzato teoricamente che potrebbe renderci sensibili alla presenza di materia oscura e di energia oscura».

Federico Nati
Federico Nati

A Polocalc, sotto la guida di Federico Nati lavoreranno 6-7 tra ricercatori, assegnisti e dottorandi di Milano-Bicocca.

Negli ultimi dieci anni, l’Ateneo milanese ha ricevuto finanziamenti per 16 progetti ERC: 5 Starting Grant, 7 Consolidator Grant, 1 Proof of Concept, 2 Synergy Grant) e, ora, l’Advanced Grant di Nati.

«Per il nostro Ateneo questo finanziamento costituisce il coronamento di un impegno che da anni ci spinge ad incoraggiare i nostri ricercatori a “pensare in grande” – afferma il prorettore alla Ricerca dell’Università di Milano-Bicocca, Guido Cavaletti – spingendosi verso limiti sempre più ambiziosi e con un orizzonte internazionale sempre più qualificato ed impegnativo. È un successo che ci indica chiaramente che la via che stiamo perseguendo è corretta e siamo quindi molto fiduciosi, oltre che nell’esito positivo di questa specifica ricerca, anche riguardo la possibilità per altri colleghi di ottenere analoghi risultati nelle call europee dove abbiamo dimostrato di poter essere molto competitivi».

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca

DA ATACAMA A MARTE IN CERCA DI VITA

Identificare segni inequivocabili di vita su Marte è uno degli obiettivi che spinge gli scienziati a inviare missioni spaziali sul Pianeta Rosso. Studi effettuati in uno dei luoghi più aridi del nostro pianeta – Piedra Roja, in Cile – suggeriscono che scoprire le tracce di vita su Marte sarà più difficile del previsto. Da quanto è emerso, gli attuali strumenti di rilevamento di tracce biologiche già presenti sulla superficie di Marte o in fase di progettazione, potrebbero non essere abbastanza sensibili per mettere in evidenza tracce di vita estinta. Questo è quanto mette in luce sostanzialmente uno studio appena pubblicato sulla rivista Nature Communications firmato da un team internazionale di ricercatori di istituti sparsi in tutto il mondo, tra cui l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

deserto di Atacama vita Piedras Rojas. Crediti: Armando Azua-Bustos
Da Piedras Rojas, nel deserto di Atacama, a Marte, in cerca di vita. Crediti: Armando Azua-Bustos

Piedra Roja è una regione estremamente inospitale per la vita: si tratta del delta di un ventaglio alluvionale formatosi in condizioni aride nel deserto di Atacama in un periodo che si estende dal Cretaceo inferiore al Giurassico superiore (163-100 milioni di anni).  Il sito è caratterizzato da rocce sedimentarie ricche di ossidi di ferro, ematite e fanghi contenenti argille come vermiculite e smectiti, e quindi geologicamente analogo a Marte.  I campioni prelevati presentano un numero importante di microrganismi con un insolito alto tasso di indeterminazione filogenetica – ciò che viene definito microbioma oscuro – e un mix di “firme biologiche” di microrganismi esistenti e antichi che sono a malapena rilevati con le più moderne attrezzature di laboratorio.

Questi risultati sottolineano l’importanza di riportare a Terra i campioni provenienti da Marte, al fine di utilizzare le più potenti tecniche di rilevamento a oggi disponibili nei laboratori.

Le analisi condotte con strumenti di prova che si trovano o saranno inviati su Marte rivelano che, sebbene la mineralogia di Piedra Roja corrisponda a quella rilevata dagli strumenti a terra sul Pianeta Rosso, livelli altrettanto bassi di sostanze organiche saranno difficili, se non impossibili, da rilevare nelle rocce marziane, a seconda dello strumento e della tecnica utilizzati. I risultati di questo studio sottolineano quindi l’importanza del ritorno dei campioni sulla Terra per stabilire con certezza se la vita sia mai esistita su Marte.

Dall’analisi del DNA dei microrganismi presenti in queste rocce è emerso un dato particolarmente interessante: circa il 9% è risultato non classificabile, mentre a circa il 41% è stato possibile assegnare solo il dominio o al massimo l’ordine, mettendo in evidenza che non sono chiare le relazioni di parentela evolutiva rispetto agli organismi terrestri noti. Si ritiene possano essere specie viventi che non sono ancora state individuate altrove sulla Terra, o in alternativa comunità superstiti di specie microbiche che un tempo abitavano il delta del fiume, delle quali però non sono conosciute specie parenti attualmente esistenti.

Inoltre, sono state rivelate biofirme molecolari di vita estinta e presente che potrebbero provenire da solfobatteri e fototrofi come i cianobatteri, ma che sono in concentrazioni ai limiti della sensibilità di strumentazione d’avanguardia presente nei nostri laboratori terrestri, difficilmente rilevabili con strumenti miniaturizzati come quelli a bordo dei rover marziani.

John Brucato, astrobiologo dell’INAF di Arcetri e tra i firmatari dell’articolo, osserva: “Questo è il classico esempio di come si lavora nell’ambito dell’astrobiologia, perché si tratta di un lavoro corale, che comprende la collaborazione di molteplici istituti di ricerca sparsi in tutto il mondo, in ognuno dei quali c’è una particolare expertise. Sono stati messi insieme risultati che riguardano la geologia, la petrologia, la mineralogia, la chimica, la biologia e la planetologia proprio perché questo tipo di lavori saranno utili per lo studio di Marte. Il lavoro congiunto dei diversi gruppi di ricerca è stato coordinato in maniera tale da raggiungere nuove conoscenze attraverso diverse tecniche, per capire la natura di questi microrganismi che vivono in un ambiente completamente arido. La regione in cui sono stati fatti questi prelievi è infatti il deserto più arido in assoluto che si possa trovare sulla Terra e questi microorganismi sembrano essere davvero peculiari e molto diversi da tutti gli altri conosciuti finora, se consideriamo che la quantità di microorganismi è talmente elevata che se ne scoprono continuamente di diversi. In questo caso, si tratta di una classe veramente nuova che ha permesso di capire la loro adattabilità in condizioni estreme che le può far considerare simili a quelle marziane”.

Teresa Fornaro, ricercatrice dell’INAF di Firenze, sottolinea: “Ci siamo occupati in particolare dell’analisi dei campioni utilizzando la tecnica di spettroscopia infrarossa a trasformata di Fourier di riflettanza diffusa (Drifts). Questo ci ha permesso di analizzare i campioni in modo analogo a strumenti a bordo di missioni marziane, come lo strumento SuperCam a bordo del rover Perseverance della missione della NASA Mars 2020 e lo strumento MicrOmega che volerà sulla futura missione dell’ESA ExoMars /Rosalind Franklin. Le nostre analisi hanno confermato la composizione mineralogica di queste rocce, ma la rivelazione di composti organici è stata possibile principalmente nella regione spettrale del medio infrarosso che non corrisponde a quella investigata dagli strumenti SuperCam e MicrOmega. Nella regione spettrale di SuperCam e MicrOmega abbiamo rivelato solo una banda a 1.36 μm che potrebbe essere dovuta a vibrazioni non fondamentali degli organici. La capacità quindi di questi strumenti di rivelare organici su Marte in concentrazioni basse come quelle di Piedra Roja è limitata”.


 

Per saperne di più:

L’articolo “Dark microbiome and extremely low organics in Atacama fossil delta unveil Mars life detection limits” di Armando Azua-Bustos, Alberto G. Fairén, Carlos González-Silva, Olga Prieto-Ballesteros, Daniel Carrizo, Laura Sánchez-García, Victor Parro, Miguel Ángel Fernández-Martínez, Cristina Escudero, Victoria Muñoz-Iglesias, Maite Fernández-Sampedro, Antonio Molina, Miriam García Villadangos, Mercedes Moreno-Paz, Jacek Wierzchos, Carmen Ascaso, Teresa Fornaro, John Robert Brucato, Giovanni Poggiali, Jose Antonio Manrique, Marco Veneranda, Guillermo López-Reyes, Aurelio Sanz-Arranz, Fernando Rull, Ann M. Ollila, Roger C.Wiens, Adriana Reyes-Newell, Samuel M. Clegg, Maëva Millan, Sarah Stewar Johnson, Ophélie McIntosh, Cyril Szopa, Caroline Freissinet, Yasuhito Sekine, Keisuke Fukushi, Koki Morida, Kosuke Inoue, Hiroshi Sakuma, Elizabeth Rampe, è stato pubblicato su Nature Communications.

Testo dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF