Un ululato dal Medioevo – Uno studio multidisciplinare firmato dalle Università Sapienza, Bologna e Parma fornisce la descrizione più completa di un campione di lupo del Medioevo in Italia.
Un ululato dal Medioevo: un campione di lupo del Po. Foto del ritrovamento del cranio di lupo sulla spiaggia Boschi Maria Luigia, presso Coltaro (PR), 2018. (Foto di Davide Persico)
È stato pubblicato nei giorni scorsi un importante articolo sullo studio di un cranio fossile di lupo (Canis lupus), rinvenuto nel settembre 2018 nel Fiume Po da Davide Persico, Professore associato presso l’Università di Parma e autore senior che ha diretto lo studio.
Il fossile, completo e in ottimo stato di conservazione, è esposto nel Museo Paleoantropologico del Po di San Daniele Po (CR) ed è già stato oggetto di uno studio paleogenetico nel 2019. Nel recente articolo scientifico però, viene presentata la sua prima descrizione completa basata su un approccio multidisciplinare.
“Il riconoscimento e la prima classificazione tassonomica dell’esemplare, nonché la deter-minazione dell’età anagrafica e del sesso, sono state eseguite attraverso un’analisi biome-trica svolta presso il Dipartimento di Scienze Chimiche della Vita e della Sostenibilità ambientale dell’Università di Parma” – afferma Davide Persico.
Il cranio quasi completo è stato ritrovato sulla barra alluvionale del Fiume Po denominata Boschi Marialuigia, in sponda destra ma in territorio cremonese. Mediante l’analisi radiometrica al Carbonio 14, il fossile è stato collocato in pieno Medioevo, esattamente tra il 967 e il 1157 d.C.
Il periodo medievale ha rappresentato una fase cruciale per la storia evolutiva del lupo in quanto segnato sia da importanti cambiamenti ecosistemici, soprattutto nei paesaggi boschivi, sia da pesanti persecuzioni umane, che hanno portato questa specie a un drammatico declino demografico. Nonostante il lupo sia senza dubbio uno dei predatori più iconici e ampiamente studiati di tutti i tempi, in Europa i resti osteologici di lupi medievali sono estremamente rari, limitando la comprensione delle dinamiche e dei fenomeni che hanno influenzato l’evoluzione delle popolazioni passate di questa specie. Per questo motivo, il cranio fossile oggetto di studio ha rappresentato un’eccezionale e rara opportunità di ricerca.
Scansione tomografica del cranio (Foto di Dawid A. Iurino)
“Le analisi biometriche e quelle basate sulla Tomografia Computerizzata (TC)” – afferma Raffaele Sardella, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze della Terra di Sapienza Università di Roma – “indicano che il lupo del Po rientra nella variabilità cranica della sottospecie Canis lupus italicus esistente tutt’oggi nella nostra penisola”.
Confronto tra l’immagine fotografica del cranio (sinistra) e il modello 3D ottenuto tramite l’elaborazione di immagini tomografiche (destra). (Immagine di Dawid A. Iurino)
“L’usura dei denti ha consentito di ricondurre il cranio ad un individuo adulto tra i 6 e gli 8 anni, di sesso femminile – ha sottolineato Dawid Adam Iurino, primo autore dell’articolo, esperto di paleopatologie e applicazioni della paleontologia virtuale presso Sapienza. Questo esemplare – continua lo studioso – manifesta chiare prove di una grave parodontite che ha causato la completa perdita del canino sinistro producendo un grande foro che collega l’alveolo con la cavità nasale. Tale condizione patologica ha probabilmente debilitato gravemente il soggetto; non è però possibile stabilire con certezza se la morte sia stata una conseguenza di questa malattia”.
Scansione tomografica del cranio (Foto di Dawid A. Iurino)
Le analisi filogenetiche, condotte presso il Laboratorio del DNA antico dell’Università di Bologna, hanno collocato il pool genetico del DNA mitocondriale (piccola porzione del genoma ereditata solo per via materna) del reperto all’interno della variabilità genetica dei lupi moderni, chiaramente distinto da quello dei cani. In particolare, secondo Elisabetta Cilli, Professoressa a contratto di Archeogenetica all’Università di Bologna e co-autrice dello studio, il campione rientra nell’aplogruppo 2 dei lupi, cioè fa parte delle linee di discendenza materne più antiche che derivano tutte da un antenato comune. In Europa tale aplogruppo, a partire da almeno 2.700-1.200 anni fa, è stato in gran parte sostituito dal più recente aplogruppo 1, tranne in Italia dove persiste solo l’aplogruppo 2. Le stesse analisi hanno inoltre dimostrato che la sequenza mitocondriale dell’esemplare studiato è molto simile a quella tipica greca, chiamata W15, da cui mostra solo una mutazione di differenza.
Estrazione del DNA antico dal reperto (Foto Elisabetta Cilli)
Secondo Elisabetta Cilli, questa sequenza di DNA rappresenta parte dell’antica variabilità genetica della popolazione italiana di lupi oggi persa a causa dell’impatto negativo delle persecuzioni antropiche perpetrate nel Medioevo e, per l’Europa occidentale, in particolare negli ultimi 150 anni.
Questo studio multidisciplinare fornisce la descrizione più completa di un campione di lupo del Medioevo in Italia e dimostra come i campioni archeozoologici rappresentino una fonte essenziale di informazioni per comprendere le dinamiche, la diversità e la distribuzione dei lupi tra presente e passato.
Tra gli autori anche Romolo Caniglia, ricercatore di ISPRA, Elena Fabbri, ricercatrice di ISPRA, Marta Maria Ciucani dell’Università di Copenaghen e Beniamino Mecozzi di Sapienza Università di Roma.
Esemplare di Lupo ripreso recentemente nella bassa Pianura Padana (Foto di Alessandro Barbieri)
Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Cellule staminali pluripotenti di rinoceronte bianco del nord: il consorzio BioRescue fa un passo avanti verso le cellule uovo artificiali
Il consorzio BioRescue sta sviluppando metodi avanzati di riproduzione assistita per salvare il rinoceronte bianco del nord dall’estinzione. In questa missione gli ovociti delle ultime femmine rimaste giocano un ruolo chiave poiché da essi, tramite la fecondazione in vitro con lo sperma di maschi ormai deceduti, vengono creati embrioni. Il Max Delbrück Center for Molecular Medicine (MDC) di Berlino, che fa parte del consorzio BioRescue, sta lavorando con i partner di Monaco e di Kyushu (Giappone) su una seconda strategia: ottenere ovociti a partire da cellule staminali. Il team è riuscito a creare cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) da Nabire, un rinoceronte bianco del Nord. Questo rappresenta un significativo avanzamento nel processo di creazione di iPSC e della loro differenziazione in cellule staminali allo stadio di pluripotenza di tipo primed e naïve. Questo importante avanzamento verso la creazione di ovociti artificiali da cellule staminali è stato pubblicato nella rivista “Scientific Reports”.
Nabiré presso il Safari Park Dvur Kralove. Foto di Hynek Glos
Gli scienziati del MDC Technology Platform “Pluripotent Stem Cells” e dell’Helmholtz Zentrum München sono stati in grado di produrre cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) a partire da cellule cutanee conservate di Nabire, un rinoceronte bianco del Nord che viveva nel Safari Park Dvůr Králové (Repubblica Ceca) dove è morta, nel 2015, all’età di 31 anni. Il giorno stesso della sua morte, gli scienziati hanno prelevato dei campioni di pelle e altri tessuti e li hanno crioconservati per un successivo utilizzo. Il Dr. Micha Drukker, scienziato che si occupa di cellule staminali, e il suo team dell’Helmholtz Zentrum München e del Leiden Academic Centre for Drug Research dell’Università di Leiden sono riusciti a produrre cellule iPSC da questi tessuti utilizzando il metodo della riprogrammazione con vettori episomali. A tale scopo il Dr. Drukker e il suo team hanno introdotto nel genoma delle cellule della pelle del rinoceronte delle molecole di DNA esogeno, i cosiddetti plasmidi. Questi plasmidi contengono dei geni che riprogrammano le cellule della pelle in cellule iPS. È la prima volta che la creazione di cellule iPS a partire da campioni ottenuti da un rinoceronte di questa età ha avuto successo. Questo migliora significativamente le possibilità di creare ovociti artificiali, da usare per la riproduzione assistita avanzata, a partire da cellule staminali dato che i rinoceronti bianchi del nord donatori di tessuto sono o erano soggetti di età piuttosto avanzata.
Nabiré presso il Safari Park Dvur Kralove. Foto di Khalil Baalbaki
Un secondo, ma non meno importante, progresso nel processo e nei protocolli di produzione di cellule staminali di rinoceronte si è avuto grazie alle intuizioni del team sui diversi stadi di differenziazione delle cellule staminali. Le cellule iPS, infatti, hanno diversi stati di differenziazione: possono essere allo stadio di pluripotenza di tipo naïve – lo “stato base” della pluripotenza – o primed. Si pensa che cellule in quest’ultimo stadio abbiano raggiunto una fase dello sviluppo embrionale leggermente più avanzata. Gli esperimenti su cellule staminali di topo mostrano che queste sono particolarmente efficienti a produrre cellule germinali quando passano dallo stato primed a quello naïve. Quando, però, gli scienziati hanno tentato per la prima volta di convertire le cellule di rinoceronte in uno stadio di tipo naïve le cellule sono morte. Il team ha quindi introdotto un gene nelle cellule di rinoceronte che impedisce la morte cellulare e con questo hanno avuto successo nella produzione di cellule iPS naïve.
La dott.ssa Vera Zywitza presso il MDC lab. Foto di Jan Zwilling
“Abbiamo caratterizzato le cellule in dettaglio anche analizzando i dati del trascrittoma”, spiega il primo autore Dr.ssa Vera Zywitza che fa parte del team guidato dal Dr. Sebastian Diecke della Technology Platform “Pluripotent Stem Cells”del MDC. “Il successo della conversione a uno stato di pluripotenza simile a quello naïve è un punto di partenza promettente per la generazione di cellule germinali”.
Lo scienziato Norman Krüger presso il MDC lab- Foto di Jan Zwilling
Tuttavia, la Dr.ssa Vera Zywitza e i suoi colleghi non possono ancora passare alla fase successiva.
“Le cellule iPS che abbiamo coltivato contengono ancora del materiale genetico esogeno rappresentato dai fattori di riprogrammazione e dal gene che impedisce la morte cellulare”, spiega la Dr.ssa Zywitza. “Questo significa che non possiamo usarle per creare cellule germinali, perché c’è il rischio che queste vengano alterate patologicamente”.
La dott.ssa Vera Zywitza presso il MDC lab. Foto di Jan Zwilling
Nel frattempo, il team di Diecke ha creato altre cellule iPS usando un virus a RNA per introdurre i fattori di riprogrammazione invece dei plasmidi. Queste nuove cellule iPS non contengono nulla di estraneo e, ora, gli scienziati stanno cercando di produrre da esse cellule germinali primordiali.
“Questo lavoro contribuisce significativamente alla comprensione della pluripotenza, ossia della capacità delle cellule staminali di differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula del corpo”, dice la Dr.ssa Zywitza. “Questo segna un inizio promettente per la coltivazione di cellule germinali e, quindi, rappresenta una importante pietra miliare sulla via verso gli ovociti di rinoceronte generati artificialmente”.
Cellule staminali pluripotenti di rinoceronte bianco del nord. Il dott. Sebastian Diecke e la dott.ssa Vera Zywitza presso il MDC lab. Foto di Jan ZwillingCellule staminali pluripotenti di rinoceronte bianco del nord. Il dott. Sebastian Diecke e la dott.ssa Vera Zywitza presso il MDC lab. Foto di Jan Zwilling
Per il rinoceronte bianco del nord la riproduzione naturale non è più possibile dato che la popolazione rimanente è di soli due animali e sono entrambe femmine. Tuttavia, il consorzio BioRescue guidato dal Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW) sta sviluppando metodi che potrebbero rendere possibile la riproduzione nonostante queste circostanze avverse. Gli scienziati del team stanno prelevando ovociti (cellule uovo immature) dalle femmine, li fecondano in laboratorio con sperma scongelato da maschi ormai deceduti per creare degli embrioni, di cui 14 sono stati già crioconservati in azoto liquido. Usando una tecnologia ed un metodo completamente nuovi per i rinoceronti, attualmente in fase di ottimizzazione da parte del team di BioRescue, gli embrioni possono essere impiantati in femmine di rinoceronte bianco del sud che fungono da madri surrogate per dare alla luce la tanto desiderata prole dei rinoceronti più rari del mondo, quelli del nord.
“Ogni passo di questa missione è un territorio scientifico inesplorato. La disponibilità di un numero limitato di ovociti e la bassa variabilità genetica della popolazione rappresentata sono aspetti particolarmente impegnativi da risolvere”, dice il leader del progetto BioRescue, il Prof Thomas Hildebrandt, capo del Dipartimento di Gestione della Riproduzione al Leibniz-IZW. Gli ovociti possono essere prelevati e fecondati con successo solo da un individuo, ed è per questo che si stanno cercando strategie per ottenere un maggior numero di ovociti da soggetti diversi non imparentati tra loro.
Colture di cellule staminali al microscopio presso il MDC lab, Foto di Jan Zwilling
Come parte del consorzio BioRescue, l’MDC e l’Università di Kyushu, insieme ad altri partner come l’Helmholtz Zentrum München, stanno sviluppando metodi per produrre gameti (uova e sperma) da cellule della pelle. Nel 2016, il Prof Katsuhiko Hayashi (Kyushu University) è riuscito a generare ovociti dalla pelle dei topi, fecondarli artificialmente ed impiantarli in femmine di topo e i topi nati con questo metodo erano sani e fertili. “Se riuscissimo a fare lo stesso per il rinoceronte bianco del nord, potremmo smettere il difficoltoso prelievo di cellule uova da animali vivi e produrre, comunque, embrioni e anche in un numero maggiore”, afferma il Dr. Hildebrandt. “Questa strategia aumenterebbe anche significativamente il numero di animali che potremmo usare per produrre gli embrioni”. Finora, questo è limitato alle due femmine viventi, utilizzabili come donatrici di ovociti e ai quattro maschi di cui è stato crioconservato lo sperma. Sono, però, disponibili colture cellulari non solo di questi sei individui, ma anche di altri sei rinoceronti bianchi settentrionali, come ad esempio quello di Nabire.
Cellule staminali di rinoceronte, foto di Sebastian Diecke MDC
Tutte le procedure del Consorzio BioRescue sono sottoposte a un’approfondita valutazione etica al fine di valutare sistematicamente l’equilibrio tra il benessere degli animali ed il valore conservazionistico delle procedure. Poiché questo è particolarmente importante quando si sviluppano nuove tecnologie innovative per la conservazione, fa parte del team di BioRescue anche un team di specialisti di etica della fauna selvatica guidato dalla Prof.ssa Barbara de Mori dell’Università di Padova. Questo team sta valutando anche la dimensione etica delle procedure legate alle cellule staminali all’interno del BioRescue e continuerà ad accompagnare da vicino ogni ulteriore passo di questa missione.
Fatu e Najin presso l’Ol Pejeta Conservancy. Foto di Jan Zwilling
Nei prossimi mesi e anni gli scienziati del BioRescue affronteranno la sfida di riprogrammare le cellule iPS in modo tale che da esse sia effettivamente possibile produrre ovociti e spermatozoi. Se questo riuscisse, la procedura successiva sarebbe la stessa dell’approccio effettuato finora dal BioRescue. Gli ovociti artificiali verrebbero maturati e fecondati in laboratorio tramite iniezione intracitoplasmatica di sperma (ICSI) per dare origine ad embrioni di rinoceronte bianco del nord. Questi embrioni sarebbero crioconservati in azoto liquido per poi essere scongelati e trasferiti in una madre surrogata della specie affine del rinoceronte bianco del Sud.
“L’approccio delle cellule staminali è un pezzo fondamentale del puzzle della nostra missione, ma non ci esime dal dover affrontare anche altri passi impegnativi come il trasferimento degli embrioni in una madre recipiente per dare inizio alla gravidanza”, conclude Hildebrandt.
Fatu e Najin presso l’Ol Pejeta Conservancy. Foto di Jan Zwilling
Il progetto BioRescue può essere sostenuto finanziariamente su www.biorescue.org.
Lo scienziato Norman Krüger presso il MDC lab- Foto di Jan Zwilling
Pubblicazione
Zywitza V, Rusha E, Shaposhnikov D, Ruiz‑Orera J, Telugu N, Rishko V, Hayashi M, Michel G, Wittler L, Stejskal J, Holtze S, Göritz F, Hermes R, Wang J, Izsvak Z, Colleoni S, Lazzari G, Galli C, Hildebrandt TB, Hayashi K, Diecke S & Drukker M (2022): Naïve-like pluripotency to pave the way for saving the northern white rhinoceros from extinction. Sci Rep 12, 3100 (2022). https://doi.org/10.1038/s41598-022-07059-w
Comunicato Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW), Max Delbrück Center for Molecular Medicine in the Helmholtz Association (MDC), Avantea, Safari Park Dvůr Králové, Università di Padova.
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova.
BioRescue crea due nuovi embrioni in una corsa contro il tempo per prevenire l’estinzione del rinoceronte bianco del nord
Fatu dopo la raccolta degli ovociti. BioRescue /Jan Zwilling
In due serie di procedure, tra ottobre 2021 e febbraio 2022, il consorzio BioRescue ha creato due nuovi embrioni di rinoceronte bianco del nord, portando il totale a 14. Gli ovociti (cellule uovo) sono stati raccolti dalla femmina Fatu in ottobre e gennaio presso Ol Pejeta Conservancy, Kenya, e sono stati maturati e fecondati nei laboratori Avantea, in Italia. Gli embrioni sono stati poi crioconservati a novembre 2021 e febbraio 2022, e attendono di essere impiantati in una o più femmine di rinoceronte bianco del sud in un prossimo futuro.
Fatu e Najin presso l’Ol Pejeta Conservancy. BioRescue /Jan Zwilling
Le procedure che si sono svolte ad ottobre 2021 e a gennaio 2022 a Ol Pejeta segnano il successo della settima e ottava raccolta di ovociti condotta dal team di scienziati e conservazionisti del Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW), Safari Park Dvůr Králové, Kenya Wildlife Service, Wildlife Research and Training Institute, Ol Pejeta Conservancy, Avantea e Università degli Studi di Padova. Dal 2019, grazie alle otto procedure effettuate, il team ha recuperato un totale di 119 ovociti da Fatu e da sua madre Nájin—ottenendo 14 embrioni. Nel corso del 2021 il consorzio ha deciso di cessare la raccolta di ovociti su Najin dopo aver condotto una valutazione etica dei rischi.
Julia Bohner e Frank Göritz supervisionano mentre Fatu viene sedata per la raccolta degli ovociti. BioRescue /Jan Zwilling
Gli ovociti raccolti sono stati trasportati per via aerea ai laboratori Avantea di Cremona, in Italia, per la maturazione, la fecondazione, lo sviluppo embrionale e la crioconservazione. Entrambi gli embrioni prodotti sono stati fecondati usando il seme del rinoceronte bianco del nord Angalifu. In totale, ci sono ora 11 embrioni di Fatu e Suni e 3 embrioni di Fatu e Angalifu conservati in azoto liquido.
Ricerca degli ovociti al microscopio. BioRescue /Jan Zwilling
Un numero maggiore di embrioni aumenta le possibilità di vedere in futuro nascere nuovi rinoceronti bianco del nord. Il consorzio mira a ripetere la procedura di raccolta di ovociti da Fatu e lo sviluppo embrionale su base regolare, finché—considerando il benessere di Fatu e le possibilità di successo— ciò è fattibile e responsabile. Questo sarà determinato da regolari valutazioni etiche dei rischi che sono condotte prima di ogni procedura dal BioRescue sotto la guida del Laboratorio di Etica per la Medicina Veterinaria, Conservazione e Benessere Animale dell’Università di Padova.
Analisi all’ultrasuono durante la raccolta degli ovociti. BioRescue /Jan Zwilling
Istituto Leibniz per la ricerca su zoo e fauna selvatica (Leibniz-IZW)
Il Leibniz-IZW è un istituto di ricerca tedesco di fama internazionale del Forschungsverbund Berlin e.V. e membro dell’Associazione Leibniz. La nostra missione è quella di esaminare gli adattamenti evolutivi della fauna selvatica al cambiamento globale e sviluppare nuovi concetti e misure per la conservazione della biodiversità. Per raggiungere questo obiettivo, i nostri scienziati usano la loro vasta esperienza interdisciplinare che va dalla biologia e alla medicina veterinaria per condurre ricerche fondamentali ed applicate – dal livello molecolare al paesaggio – in stretto dialogo con il pubblico e le parti interessate. Inoltre, siamo impegnati in servizi unici e di alta qualità per la comunità scientifica.
Il Safari Park Dvůr Králové è un parco safari nella Repubblica Ceca. È uno dei migliori allevatori di rinoceronti fuori dall’Africa e l’unico posto dove il rinoceronte bianco del Nord è stato allevato in cattività; infatti, entrambe le femmine rimaste, Najin e Fatu, sono nate qui. Il Safari Park Dvůr Králové coordina gli sforzi per salvare i rinoceronti bianchi del Nord.
Il Kenya Wildlife Service è la principale istituzione governativa che conserva e gestisce la fauna selvatica per i kenioti e per il mondo. Fa anche rispettare le leggi e i regolamenti relativi.
Istituto di ricerca e formazione sulla fauna selvatica
Il Wildlife Research and Training Institute è una società statale istituita ai sensi del Wildlife Conservation and Management Act No. 47 del 2013 per intraprendere e coordinare la ricerca e la formazione sulla fauna selvatica attraverso approcci innovativi per consentire la fornitura di dati e informazioni accurate e affidabili per informare la formulazione delle politiche e il processo decisionale.
Ol Pejeta Conservancy
Ol Pejeta Conservancy è il più grande santuario di rinoceronti neri dell’Africa orientale, ed è l’unico posto in Kenya per vedere gli scimpanzé. È anche la casa degli ultimi due rinoceronti bianchi del nord del pianeta. La sicurezza all’avanguardia di Ol Pejeta include un’unità K-9 specializzata, telecamere con sensori di movimento lungo la recinzione elettrica a energia solare e un’unità dedicata alla protezione dei rinoceronti.
L’Università di Padova in Italia è una delle più antiche del mondo e festeggia 800 anni. Il suo Dipartimento di Biomedicina Comparata e Scienza dell’Alimentazione sta sviluppando una ricerca ed un’istruzione all’avanguardia nel campo della conservazione e del benessere della fauna selvatica, con un’attenzione particolare alla valutazione etica ed alla valutazione dei progetti di ricerca e dei programmi educativi sviluppati dal Laboratorio di Etica per la Medicina Veterinaria, la Conservazione e il Benessere degli Animali.
BioRescue crea due nuovi embrioni in una corsa contro il tempo per prevenire l’estinzione del rinoceronte bianco del nord. Frank Göritz, Isaac Lekolool, Thomas Hildebrand, Raffaella Simone, Susanne Holtze e Jan Stejskal (da sinistra verso destra). BioRescue /Jan Zwilling
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova.
COVID-19: dall’analisi di 59 genomi emerge la netta prevalenza in Italia di un unico ceppo
Un nuovo studio del team di ricercatori del dipartimento di Scienze biomediche della Statale evidenzia la prevalenza del ceppo virale “Europeo” B1.
COVID-19: dall’analisi di 59 genomi emerge la netta prevalenza in Italia di un unico ceppo. Foto di Tumisu
Nuovo studio sul COVID-19 dell’equipe guidata dalla ricercatrice Alessia Lai e dai docenti dell’Università Statale di Milano, Massimo Galli, Claudia Balotta e Gianguglielmo Zehender del dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche “Luigi Sacco” e del Centro di Ricerca Coordinata Epidemiologia e Sorveglianza Molecolare delle Infezioni dell’Università Statale di Milano (EpiSoMI). Dalla caratterizzazione di 59 nuovi genomi virali italiani, emerge la schiacciante prevalenza del ceppo virale “Europeo” B1 nella nostra epidemia (arrivato in Germania da Shanghai). Un solo genoma deriva invece dalla linea evolutiva di diretta importazione da Wuhan.
I nuovi dati incrementano significativamente il numero delle sequenze ottenute in Italia finora.
La nuova ricerca, frutto di un’estesa collaborazione tra il Laboratorio di Malattie Infettive dell’Università Statale di Milano e più di 10 tra Centri Clinici e Università del Centro e Nord Italia (tra cui Bergamo, Brescia, Cremona, Milano, Padova, Ancona, Siena) definisce con un numero maggiore di sequenze, su un’area geografica non limitata alla Lombardia e una temporizzazione più ampia, la dinamica evolutiva e le caratteristiche epidemiologico molecolari del virus SARS-CoV-2 in Italia.
Nel corso dello studio è stato possibile effettuare la caratterizzazione molecolare di 59 nuovi genomi virali ottenuti da pazienti Italiani dai primi giorni dalla manifestazione dell’epidemia fino alla seconda metà di aprile, quando la curva epidemica ha iniziato a declinare. I nuovi genomi virali studiati, che vengono messi a disposizione della comunità scientifica nelle banche dati pubbliche, incrementano significativamente il numero delle sequenze ottenute in Italia da infezioni autoctone disponibili ad oggi.
Dall’indagine emerge la netta prevalenza in Italia di un singolo lignaggio virale (e di suoi lignaggi discendenti) ascrivibile, secondo uno dei sistemi di classificazione più largamente impiegati, al lignaggio B.1 e correlabile al primo cluster Europeo, che ha avuto luogo in Germania attorno al 20 gennaio ed è stato causato dalla documentata importazione di un ceppo circolante a Shanghai.
Un po’ misteriosamente, un solo isolato, ottenuto da un paziente italiano residente in Veneto, che non ha riferito viaggi recenti o contatti con persone provenienti dalla Cina, si è rivelato appartenere invece al lignaggio ancestrale B, simile quindi all’isolato giunto in Italia alla fine di gennaio per diretta importazione dalla città di Wuhan con i due turisti cinesi poi assistiti allo Spallanzani.
La divergenza tra gli isolati B.1 è risultata relativamente modesta, con differenza nucleotidica media di soli 6 nucleotidi, con alcune eccezioni.
Tutti i genomi ‘italiani’ mostrano la mutazione 614G nella proteina Spike, che caratterizza ormai la gran parte dei genomi virali isolati in Europa e al mondo, non solo quelli del ceppo B1 ma anche l’unico appartenente al ceppo B. La mutazione di Spike del lignaggio B era peraltro stata rintracciata in alcuni isolati in Thailandia, Turchia, Romania, Olanda ed Israele.
L’approccio filodinamico, che attraverso l’analisi della forma dell’albero filogenetico consente di stimare il tasso di crescita esponenziale o il numero riproduttivo effettivo (Re), ha mostrato che il virus era già presente in Italia i primi di febbraio, anche se la crescita esponenziale si è verificata tra la fine di febbraio e la metà di marzo, quando l’Re è passato da un valore iniziale prossimo a 1 a più di 2.3 e il tempo di raddoppiamento dell’epidemia si è ridotto da 5 a 3 giorni.
Solo nella seconda metà di marzo, l’analisi ha potuto evidenziare una lieve flessione dei valori di Re, probabilmente in relazione alla adozione delle misure di distanziamento sociale.
Lo studio dei ricercatori della Statale estende le osservazioni preliminari attuate nelle primissime fasi dell’epidemia ad un numero di sequenze e ad un periodo più ampio e permette di ipotizzare la diffusione largamente prevalente in Italia di un ceppo di SARS-CoV-2 originato verosimilmente da un’unica fonte iniziale di contagio e la sua successiva ulteriore differenziazione in sotto-lignaggi attualmente largamente diffusi in tutto il mondo. Il ruolo, anche se probabilmente minoritario o marginale, sostenuto da ceppi diversi dal prevalente merita tuttavia una più approfondita indagine su un più ampio campione, anche al fine di comprenderne l’origine e la reale diffusione in Italia.
Testo sulla prevalenza in Italia del ceppo “Europeo” di COVID-19 dall’Università Statale di Milano