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ALTERAZIONE DEI RITMI CIRCADIANI, ISOLAMENTO E STRESS PSICOFISICO: L’UNIVERSITÀ DI PADOVA TESTA I LIMITI DI CORPO E MENTE IN AMBIENTI ESTREMI

Pubblicata su «European Journal of Applied Physiology» la ricerca dell’Ateneo patavino che studia gli effetti dell’esposizione a condizioni difficili sul corpo umano

In che modo l’esposizione a condizioni ambientali estreme, simili a quelle spaziali, può influenzare il corpo umano? Come reagisce il corpo allo stress dell’isolamento e del distacco dalle condizioni abituali terrestri? L’esplorazione spaziale non è più un sogno lontano ma una realtà tangibile: capire come questi fattori interagiscono con i processi biologici è fondamentale non solo per preparare gli astronauti a missioni future, ma anche per applicare tali conoscenze al miglioramento della sicurezza e della salute in ambienti estremi sulla Terra come quelli affrontati da subacquei, aviatori, alpinisti e persino lavoratori in ambienti industriali difficili.

Questo è stato argomento di studio del gruppo di ricerca dell’Università di Padova all’interno del programma EMMPOL (Euro Moon Mars POLand analog mission) che offre una piattaforma sperimentale di simulazione di missioni spaziali in ambienti che ne mimano i possibili habitat e che offrono una prospettiva unica su come lo stress, l’isolamento e l’esposizione a condizioni difficili possano influenzare il corpo umano studiando gli effetti di tali condizioni su stress ossidativo, infiammazione e invecchiamento biologico.

Le missioni EMMPOL, coordinate da Sofia Pavanello del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova, e responsabile del BioAgingLab – che ha l’obiettivo di esplorare il tema dell’invecchiamento biologico –, hanno prodotto preziosi dati scientifici che avvicinano non solo alla comprensione delle sfide legate ai voli spaziali, ma offrono anche soluzioni per migliorare la salute in condizioni estreme sulla Terra.

Durante una di queste missioni simulate Tommaso Antonio Giacon, medico specializzando dell’Università di Padova, insieme ad altri quattro studenti di diverse nazionalità e università, ha trascorso una settimana di missione come astronauta analogo in isolamento nel Centro di Addestramento per Astronauti Analoghi (AATC) in Polonia. All’interno di un habitat che riproduce le condizioni di un insediamento lunare, gli studenti hanno affrontato sfide complesse come l’alterazione dei ritmi circadiani, l’isolamento, gli alti carichi di lavoro e lo stress psicofisico, esplorando i limiti del corpo e della mente umana.

I risultati di questa missione, pubblicati nello studio dal titolo “Environmental study and stress-related biomarkers modifications in a crew during analog astronaut mission EMMPOL 6” sulla rivista scientifica «European Journal of Applied Physiology», rivelano un aumento significativo dello stress ossidativo e dei livelli di cortisolo, segno che anche brevi periodi di isolamento e stress psicofisico possono alterare parametri biologici chiave. La ricerca vede come primo autore Tommaso Antonio Giacon, medico specializzando dell’Università di Padova, e come coordinatrice Sofia Pavanello, docente del Dipartimento di Scienze Cardio-Toraco-Vascolari e Sanità Pubblica dell’Università di Padova con la partecipazione di Gerardo Bosco, docente del dipartimento di Scienze biomediche dell’Ateneo patavino e di Simona Mrakic-Sposta del CNR di Milano, entrambi coautori.

La riduzione delle ore di sonno e la compromissione della qualità del riposo hanno ulteriormente evidenziato l’impatto profondo che queste condizioni hanno sul benessere psicofisico.

«La simulazione di una missione spaziale ci permette di comprendere come il corpo umano si adatti a condizioni estreme. Questi risultati non si limitano ai futuri astronauti, ma offrono preziose informazioni per migliorare la salute e la sicurezza di chi vive o lavora in ambienti estremi, come alpinisti, subacquei e lavoratori in contesti industriali complessi» spiega Sofia Pavanello, coordinatrice dello studio.

Sofia Pavanello
Sofia Pavanello

Le missioni EMMPOL rappresentano un esempio brillante di ricerca multidisciplinare: la collaborazione tra diversi settori – dalla biomedicina, alla fisiologia, fino all’ingegneria e architettura spaziale – ha permesso di raccogliere dati che arricchiscono la conoscenza scientifica e hanno ricadute pratiche per molteplici ambiti della vita quotidiana.

La partecipazione degli studenti dell’Università di Padova a queste missioni analoghe va oltre il semplice traguardo accademico: queste esperienze, presentate anche durante il festival Science4All dell’Università di Padova e supportate dal Rotary Club Padova, evidenziano il ruolo centrale dell’ateneo nel formare i ricercatori del futuro e dimostrano come la ricerca spaziale non sia confinata al cosmo, ma abbia un impatto concreto e diretto sulla nostra vita quotidiana. Attraverso l’esplorazione dei confini della scienza, i giovani ricercatori aprono nuove prospettive per un futuro più sicuro e sostenibile, gettando le basi per migliorare il benessere umano anche in condizioni ambientali estreme.

Link alla ricerca: https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39320485/

Titolo: Environmental study and stress-related biomarkers modifications in a crew during analog astronaut mission EMMPOL 6 – «European Journal of Applied Physiology» – 2024

Autori: T. A. Giacon, S. Mrakic-Sposta, G. Bosco, A. Vezzoli, C. Dellanoce, M. Campisi, M. Narici, M. Paganini, B. Foing, A. Kołodziejczyk, M. Martinelli & S. Pavanello

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Un nuovo approccio terapeutico per i pazienti affetti da iperplasia surrenalica congenita

L’approccio terapeutico è in grado di impedire l’eccessiva produzione di ormoni androgeni surrenalici alla base dell’insorgenza della malattia. I risultati dello studio internazionale, a cui hanno preso le università Sapienza di Roma e Federico II di Napoli, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.

L’iperplasia surrenalica congenita (CAH) è una malattia rara dovuta a una mutazione genetica che provoca la carenza dell’enzima 21-idrossilasi e compromette la sintesi del cortisolo, un ormone fondamentale per le normali funzioni fisiologiche. L’organismo tenta inutilmente di compensare tale carenza e come conseguenza innesca una eccessiva produzione di ormoni androgeni surrenalici, scatenando ulteriori complicanze. Attualmente i pazienti vengono trattati con dosi sopra-fisiologiche di glucocorticoidi che possono causare gravi effetti collaterali come aumento di peso, diabete, malattie cardiovascolari, infertilità e osteoporosi.

Una nuova possibilità si inserisce nel paradigma di trattamento di questa malattia con i risultati della fase 3 di sperimentazione del Crinecerfont, un composto in grado di offrire benefici significativi per pazienti adulti e bambini. I risultati dello studio, pubblicati sul New England Journal of Medicine e presentati durante l’ultima edizione di ENDO, il più importante convegno internazionale riguardante l’endocrinologia, hanno visto il contributo di più di cinquanta centri di ricerca dislocati in dieci paesi, fra cui le università Sapienza di Roma e Federico II di Napoli.

Il nuovo approccio terapeutico è in grado di tenere sotto controllo la produzione di androgeni surrenali senza dover ricorrere a dosi eccessive e dannose di glucocorticoidi.

In particolare è stato visto che tra i 176 pazienti adulti partecipanti allo studio, il gruppo a cui è stato somministrata una terapia a base di Crinecerfont ha mostrato una riduzione del 27,3% nella dose di glucocorticoidi rispetto al 10,3% del gruppo a cui è stato fornito il placebo; mentre il 63% dei partecipanti ha raggiunto dosi ormonali fisiologiche nonostante la malattia (a fronte del 18% del placebo). Gli eventi avversi più comuni sono stati affaticamento, mal di testa, febbre e vomito, ma si sono verificati in modo episodico e simile nei due gruppi.

“Il controllo della malattia è un equilibrio difficile tra le complicazioni dell’eccesso di androgeni, i problemi di crescita e sviluppo, i problemi riproduttivi maschili e femminili, e altri problemi legati all’esposizione cronica con troppi glucocorticoidi a cui sono esposti gli oltre 4000 malati attualmente presenti in Italia”

spiega Andrea Isidori del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza.

Andrea M. Isidori
Andrea M. Isidori

“Questo risultato è stato possibile anche grazie alla collaborazione tra centri di endocrinologia pediatrica e dell’adulto, nell’ambito dei percorsi indicati dall’Europa all’interno dei Reference Network (ENDO-ERN) per le malattie rare di cui le Aziende Ospedaliero-Universitarie fanno parte e all’impegno degli Atenei nella Terza Missione.”

“Crinecerfont potrebbe rivoluzionare la gestione dell’iperplasia surrenalica congenita, riducendo significativamente la dose necessaria di glucocorticoidi, e quindi limitando gli effetti collaterali a lungo termine”

aggiunge Rosario Pivonello del Dipartimento di Medicina e Chirurgia della Federico II.

Rosario Pivonello
Rosario Pivonello

Riferimenti bibliografici:

Phase 3 Trial of Crinecerfont in Adult Congenital Adrenal Hyperplasia – Richard J. Auchus, Oksana Hamidi, Rosario Pivonello, Irina Bancos, Gianni Russo, Selma F. Witchel, Andrea M. Isidori et al. – The New England Journal of Medicine – DOI: 10.1056/NEJMoa2404656

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

 

STUDIO INTERNAZIONALE GUIDATO DA UNITO SVELA CHE I TUMORI SURRENALICI DI SCOPERTA OCCASIONALE SONO ASSOCIATI A RISCHI IN BASE A ETÀ E SESSO

Pubblicata su Lancet Diabetes & Endocrinology, si tratta della più vasta indagine sulla patologia mai effettuata. Ha evidenziato come le donne under 65 incorrano in maggiori rischi per la salute e potrebbero beneficiare da una normalizzazione del cortisolo, ottenuta con terapia medica o chirurgica

L’Università di Würzburg e l’Università di Torino hanno guidato il più vasto studio internazionale, retrospettivo, sui tumori surrenalici di scoperta occasionale (incidentalomi). Il lavoro – avviato nel 2015 coinvolgendo centri afferenti all’ENSAT (European Network for the Study of Adrenal Tumors) di 15 diversi Paesi – ha incluso oltre 3600 pazienti ed è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Diabetes & Endocrinology.

I tumori surrenalici di scoperta occasionale sono associati a rischi in base a età e sesso. Foto di Konstantin Kolosov

Per l’Università di Torino, i Proff. Massimo Terzolo (Direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche) e Giuseppe Reimondo hanno coordinato lo studio che ha dimostrato un eccesso di mortalità nei pazienti con adenoma surrenalico capaci di produrre cortisolo, il principale ormone secreto dalle ghiandole surrenaliche, in modo autonomo e non regolato. Per la prima volta, è stato dimostrato che il rischio di morte varia per età e sesso. Le donne di età inferiore ai 65 anni con secrezione autonoma di cortisolo hanno il più alto rischio relativo di morte, con un incremento stimato di oltre 4 volte, mentre gli uomini con età maggiore di 65 anni non hanno un significativo incremento di rischio. È stato anche confermato che la frequenza delle malattie cardio-metaboliche aumenta progressivamente con il grado di autonomia di cortisolo.

I tumori surrenalici sono molto diffusi nella popolazione e sono spesso diagnosticati inaspettatamente nel corso di esami radiologici effettuati per altre ragioni, senza un sospetto specifico di patologia surrenalica. Tali tumori sono pertanto definiti incidentalomi surrenalici, termine che sottolinea la loro scoperta occasionale e inattesa. L’approccio diagnostico e terapeutico agli incidentalomi surrenalici rappresenta un problema clinico emergente, perché l’impiego sempre più frequente di esami d’immagine sofisticati nella pratica medica ha portato a un progressivo incremento della frequenza con la quale sono scoperti, che varia tra il 5 e il 10% nella popolazione adulta. In circa il 50% dei casi, questi tumori sono in grado di produrre cortisolo in modo autonomo, indipendente dai meccanismi di controllo centrali.

Le linee guida della European Society of Endocrinology (ESE) pubblicate nel 2016 in collaborazione con ENSAT, suggerivano di considerare i pazienti con secrezione autonoma di cortisolo come a maggior rischio cardiovascolare. Questa conclusione era basata su studi precedentemente pubblicati che avevano rilevato un’associazione tra secrezione autonoma di cortisolo e alcune comorbidità tipiche della sindrome di Cushing conclamata: ipertensione, diabete, obesità e dislipidemia. Il livello di evidenza scientifica era però debole per la scarsa numerosità degli studi effettuati, che avevano valutato complessivamente solo qualche centinaio di pazienti. In particolare, erano assai limitati i dati sul rischio di mortalità associata alla secrezione autonoma di cortisolo.

Per confermare o confutare se i pazienti con incidentaloma surrenalico e secrezione autonoma di cortisolo fossero a maggior rischio di mortalità, nel 2015 è stato avviato lo studio in questione che ha coinvolto l’ENSAT, un network che comprende i centri Europei di riferimento per i pazienti con tumori surrenalici, ponendo come obiettivo iniziale quello di raccogliere i dati di almeno 2000 pazienti.

Il nostro studio – spiegano i ricercatori – rileva l’associazione tra secrezione autonoma di cortisolo e la patologia cardio-metabolica con conseguente incremento di comorbidità e mortalità, suggerendo che sono le donne più giovani di 65 anni a sopportare le peggiori conseguenze della condizione. Questa evidenza dimostra come la secrezione autonoma di cortisolo possa essere considerata una malattia di genere e rappresenta un primo passo verso l’individualizzazione della terapia. Tuttavia, solo studi prospettici di intervento, potranno determinare se il trattamento medico o chirurgico sia in grado di ridurre significativamente la morbilità e la mortalità cardio-metabolica di tali pazienti. Il nostro studio ha il merito di stabilire il razionale e la base statistica per poter disegnare questi indispensabili studi di intervento e di fornire indicazioni utili a identificare i pazienti a maggiore rischio con una positiva ricaduta sulla qualità e i costi della strategia terapeutica”.

 

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino