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QUANDO IL CERVELLO È TROPPO “CONNESSO” – Alterazione della comunicazione neurale nell’epilessia temporale

Pubblicato su «Cortex» lo studio – nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’IRCCS Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova – nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale

comunicazione neurale epilessia temporale
Alterazione della comunicazione neurale nell’epilessia temporale. Immagine di Gerd Altmann

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale.

Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale.

Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri.

Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’IRCCS MEDEA-La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del “5xMILLE”, è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Gian Marco Duma
Gian Marco Duma

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito»  – dice il Dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’IRCCS E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

Giovanni Mento
Giovanni Mento

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio– la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal Dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del IRCCS Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il Dott. Alberto Danielimedico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio –  andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

Link alla ricerca:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S001094522200260X?via%3Dihub

Titolo: “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” – «Cortex» – 2022

Autori: Gian Marco Duma, Alberto Danieli, Marcelo Mattar, Airis Vettorel, Martina Baggio, Paolo Bonanni & Giovanni Mento.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

Ipermemoria: un ricordo per ogni giorno. Nel cervello di “chi non dimentica” svelato il meccanismo che ordina la memoria

Un nuovo studio italiano, pubblicato sulla rivista Cortex, rivela l’esistenza di un’area cerebrale che permette alle persone dotate di ipermemoria autobiografica di “datare” i ricordi

Foto di Alexas_Fotos 

Un nuovo studio interamente italiano e pubblicato sulla rivista Cortex ha rilevato cosa rende il cervello degli individui “ipermemori” capace di ricordare anche i più piccoli dettagli di ogni giorno della loro vita. Grazie all’analisi di questi individui sono state identificate le aree del cervello specificamente deputate a dare una dimensione temporale ai ricordi, organizzando quelle informazioni che nelle persone comuni restano memorie indistinte e sfocate.

La ricerca, condotta presso i laboratori della Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, è stata coordinata dall’equipe composta dai ricercatori Patrizia Campolongo, Valerio Santangelo, Tiziana Pedale e Simone Macrì, e ha coinvolto la Sapienza Università di Roma, l’Istituto Superiore di Sanità e l’Università di Perugia.

Per realizzare lo studio è stato chiesto a 8 soggetti ipermemori, già protagonisti nel 2018 di un altro lavoro della stessa equipe di ricerca, di ricordare un evento molto lontano nel tempo, di circa 20 anni prima. L’attività neuronale di questi 8 soggetti è stata quindi rilevata in tempo reale attraverso la risonanza magnetica funzionale, una tecnica non invasiva che permette ai ricercatori di osservare il cervello in azione e identificarne le aree più attive durante il ricordo dell’evento passato. Al gruppo di ipermemori è stato affiancato un gruppo di controllo composto da 21 persone senza particolari abilità o deficit della memoria.

I ricercatori hanno poi utilizzato una tecnica molto innovativa, chiamata Multivoxel Pattern Analysis (MVPA) per verificare che la migliore rappresentazione neurale dei ricordi nelle persone ipermemori fosse associata al ruolo funzionale di specifiche aree del cervello.

“I risultati dell’indagine – spiegano gli autori – hanno mostrato che nel discriminare tra ricordi autobiografici vecchi e nuovi, per le persone con ipermemoria si rileva un’elevata specializzazione della porzione ventro-mediale della corteccia prefrontale del cervello, un’area che si ritiene sia deputata all’organizzazione delle funzioni cognitive superiori. Questa stessa regione del cervello sembra essere meno precisa nelle persone con una memoria normale, fino a farci “confondere” la dimensione temporale del ricordo, vecchio o nuovo”.

“La memoria autobiografica permette di rievocare esperienze relative a tutto l’arco della vita consentendoci di conferire una dimensione temporale e narrativa alla nostra esistenza – continuano gli autori – e qui per la prima volta al mondo sono stati studiati i meccanismi neurobiologici associati alla dimensione temporale dei ricordi tramite una metodologia innovativa e, soprattutto, in un gruppo di persone ‘speciali’”.

Il dato che emerge da questo nuovo avanzamento scientifico è cruciale, non solo per l’analisi delle doti speciali di queste persone, ma soprattutto per aprire nuove frontiere di ricerca per la neuroriabilitazione della memoria e per la ricerca sulle funzioni mnesiche, in pazienti con una lesione del sistema nervoso centrale.

“Comprendere i sistemi neurobiologici alla base dell’iper-funzionamento della memoria – concludono i ricercatori – fornisce importanti indicazioni su quali aree è necessario intervenire per stimolare il ripristino di un funzionamento adeguato della memoria in persone con deficit o lesioni neurologiche”.

Riferimenti:

Enhanced cortical specialization to distinguish older and newer memories in highly superior autobiographical memory – Valerio Santangelo, Tiziana Pedale, Simone Macrì, Patrizia Campolongo. – Cortex 2020 https://doi.org/10.1016/j.cortex.2020.04.029

 

Il testo viene congiuntamente da: Ufficio Stampa Sapienza Università di Roma, Ufficio Stampa Fondazione Santa Lucia IRCCS, Ufficio stampa Istituto Superiore di Sanità, Ufficio Comunicazione Istituzionale, Social media e Grafica Università degli Studi di Perugia