News
Ad
Ad
Ad
Tag

Communications Earth & Environment

Browsing
Un nuovo oceano nascerà: due studi internazionali riscrivono l’evoluzione geologica dell’Africa orientale
L’Università di Pisa protagonista di una doppia scoperta: nel triangolo dell’Afar (Etiopia), la rottura del continente e la risalita del mantello mostrano come il magma risalga ad impulsi ritmici cadenzati dalla separazione delle placche terrestri
Nella regione dell’Afar, in Africa orientale, tre grandi placche tettoniche si stanno separando e, in prospettiva geologica, nascerà un nuovo oceano. Due ricerche appena pubblicate su riviste del gruppo Nature riscrivono sotto una nuova luce questo fenomeno. In entrambe le ricerche l’Università di Pisa ha svolto un ruolo chiave, con i ricercatori del Dipartimento di Scienze della Terra coinvolti nell’analisi dei dati, nella campagna di campionamento e nella conservazione del materiale geologico di riferimento.
“Questi due studi ci permettono di osservare con chiarezza un processo geologico di portata enorme: la formazione di un nuovo oceano, anche se naturalmente si parla di tempi geologici molto lunghi, dell’ordine di decine di milioni di anni – spiega la professoressa Carolina Pagli del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa – I nostri dati mostrano che la risalita di materiale caldo dal mantello è profondamente connessa ai movimenti delle placche che causano l’apertura della crosta terrestre. Questo movimento non solo fa ‘strappare’ la crosta, ma condiziona anche la risalita dei magmi. È un cambio di prospettiva importante, che migliora la nostra comprensione dei grandi processi geologici e dei processi sismici e vulcanici nelle aree soggette al fenomeno.”
Il primo studio, coordinato da un team dell’Università di Pisa e pubblicato su Communications Earth & Environment, ha ricostruito l’evoluzione del rift— ovvero la frattura nella crosta terrestre — dell’Afar negli ultimi 2–2,5 milioni di anni. Attraverso la datazione di sedici colate laviche, i ricercatori hanno dimostrato che la zona attiva del rift si è andata restringendo e spostando in modo asimmetrico, avvicinandosi sempre più a una configurazione simile a quella dei fondali oceanici.
Il secondo studio, guidato dall’Università di Southampton con la partecipazione dell’Università di Pisa, e pubblicato su Nature Geoscience, fa un’analisi di oltre 130 campioni lavici. Attraverso sofisticati modelli statistici, è emerso che il mantello sotto l’Afar si muove e si distribuisce in modo diverso nei tre rami del rift (Mar Rosso, Golfo di Aden, Rift Etiopico) in funzione della velocità di estensione e dello spessore della crosta sovrastante. In altre parole, è la tettonica a plasmare il comportamento del mantello, e non il contrario.
Il primo studio, pubblicato su Communications Earth & Environment, è stato condotto da un team italo-britannico con la partecipazione di Anna Gioncada e Carolina Pagli del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa e di Gianmaria Tortelli dell’Università di Pisa e di Firenze. Carolina Pagli ha inoltre partecipato alla ricerca pubblicata su Nature Geoscience e guidata da Emma J. Watts dell’Università di Southampton.
il gruppo di ricerca UniPi che ha partecipato ai due studi internazionali
il gruppo di ricerca UniPi che ha partecipato ai due studi internazionali
Testo e foto dall’Ufficio comunicazione di Ateneo dell’Università di Pisa

NEL CUORE DELL’ETNA: COME LE ONDE SISMICHE CI RACCONTANO I SEGRETI DEL VULCANO

Team di ricercatori coordinato dall’Università di Padova fornisce un modello strutturale della crosta al di sotto dell’Etna e spiega perché il magma fuoriesce dalle bocche laterali

Sotto la superficie del Monte Etna, il vulcano più grande d’Europa e uno dei più attivi al mondo, si nasconde un mondo che a prima vista può sembrare immobile, ma nelle profondità della sua crosta cela un magma in continuo movimento che spinge e si accumula, trovando talvolta vie di fuga impensabili verso la superficie e scatenando incredibili eruzioni.

Uno degli strumenti più potenti per capire cosa accade sotto i nostri piedi è la sismologia, cioè lo studio delle onde che si propagano nel sottosuolo quando la Terra trema.

Nello studio dal titolo Pressurized magma storage in radial dike network beneath Etna volcano evidenced with P-wave anisotropic imaging, pubblicato sulla rivista «Communications Earth & Environment», il team di ricercatori coordinato da Gianmarco Del Piccolo e Manuele Faccenda del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova ha utilizzato un metodo di tomografia sismica innovativo per mappare la struttura del sistema magmatico sotto il monte Etna.

La mappa mostra il sistema magmatico ricostruito sotto il Monte Etna tra i 6 e i 16 km di profondità. Le zone dove le onde sismiche viaggiano più lentamente sono indicate in rosso/giallo, mentre il sistema di fratture indotte dal magma e ricostruite dalla tomografia è rappresentato con un insieme di piani (superfici di frattura)
La mappa mostra il sistema magmatico ricostruito sotto il Monte Etna tra i 6 e i 16 km di profondità. Le zone dove le onde sismiche viaggiano più lentamente sono indicate in rosso/giallo, mentre il sistema di fratture indotte dal magma e ricostruite dalla tomografia è rappresentato con un insieme di piani (superfici di frattura)

Basandosi su un approccio probabilistico, i ricercatori hanno analizzato oltre 37.000 segnali sismici raccolti tra il 2006 e il 2016 sotto l’Etna eseguendo una sorta di “TAC” al vulcano, usando però le onde dei terremoti al posto dei raggi X.

Le onde sismiche viaggiano attraverso la crosta terrestre e si modificano in base al tipo di materiale che attraversano. In presenza di fratture aperte o magma, per esempio, queste onde possono propagarsi più velocemente in una direzione rispetto a un’altra; questo fenomeno si chiama anisotropia elastica ed è strettamente legato allo stato di stress della crosta, ossia lo stato di sollecitazione a cui sono soggette le rocce crostali: quando lo sforzo eccede la resistenza massima delle rocce, queste si fratturano.

Il metodo utilizzato dai ricercatori ha permesso di mappare l’orientamento delle fratture e di stimare lo stato di stress in profondità con un dettaglio senza precedenti. Non solo: la tecnica utilizzata, grazie a una sofisticata analisi statistica, ha permesso anche di valutare il grado di incertezza dei risultati, rendendo le interpretazioni più affidabili.

I risultati mostrano l’esistenza di una rete di dicchi verticali — fratture riempite di magma — che si estende tra i 6 e i 16 chilometri di profondità: queste strutture formano una rete radiale che agisce come un sistema di “vie preferenziali” per la risalita del magma, portando all’attività eruttiva dai crateri sommitali e dalle bocche laterali dell’Etna. Le osservazioni suggeriscono inoltre che in questa zona ci sia probabilmente un sistema magmatico profondo caratterizzato da alte pressioni dei fluidi.

«Lo stato di stress influenza una grande varietà di fenomeni geofisici come i terremoti e le eruzioni vulcaniche, ma rimane al tempo stesso una grande incognita in molti ambienti crostali. Lo studio pubblicato apre la strada alla possibilità di invertire dati sismici per produrre ricostruzioni tomografiche delle proprietà del campo di stress»,

commenta Gianmarco Del Piccolo, corresponding author della ricerca e dottorando al Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova.

Gianmarco Del Piccolo
Gianmarco Del Piccolo

«Riteniamo che il metodo sviluppato possa avere un forte impatto sulla predicibilità delle vie preferenziali di migrazione del magma e dei fluidi in crosta, oltre che su una generale comprensione dell’effetto dello stress in ambienti crostali come zone sismogenetiche, campi geotermici, campi petroliferi e molti altri»,

conclude Manuele Faccenda, coordinatore della ricerca e docente al Dipartimento di Geoscienze dell’Ateneo patavino.

Riferimenti bibliografici:

Gianmarco Del Piccolo, Brandon P. VanderBeek, Manuele Faccenda, Rosalia Lo Bue, Ornella Cocina, Marco Firetto Carlino, Elisabetta Giampiccolo, Luciano Scarfì, Francesco Rappisi, Taras Gerya, Andrea Morelli, Pressurized magma storage in radial dike network beneath Etna volcano evidenced with P-wave anisotropic imaging – «Communications Earth & Environment» – 2025, link: https://www.nature.com/articles/s43247-025-02328-8

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova