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Ricevitore MISTRAL, un vento d’innovazione nelle osservazioni di SRT

MISTRAL è un ricevitore di nuova generazione per osservazioni nelle lunghezze d’onda millimetriche realizzato nell’ambito del recente progetto di potenziamento del Sardinia Radio Telescope per lo studio dell’universo radio ad alta frequenza. Le caratteristiche principali di questo strumento consistono nel grandissimo numero di rivelatori che vengono raffreddati a temperature prossime allo zero assoluto e di un’ottica fredda dedicata che permettono di ottenere immagini di grande nitidezza. MISTRAL ha effettuato la sua “prima luce” osservando ben tre diversi oggetti celesti: la nebulosa di Orione, i lobi radio del buco nero supermassiccio nella galassia M87 e il resto di supernova Cassiopea A. Queste immagini rappresentano le prime osservazioni scientifiche a 90 GHz ottenute utilizzando SRT.

MISTRAL è il ricevitore di nuova generazione installato sul Sardinia Radio Telescope (SRT) e costruito da Sapienza Università di Roma per l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) nell’ambito del potenziamento del radiotelescopio per lo studio dell’universo alle alte frequenze finanziato da un progetto PON (Programma Operativo Nazionale), concluso nel 2023 e che oggi vede risultati sempre più concreti. MISTRAL, in questo caso, sta per “MIllimetric Sardinia radio Telescope Receiver based on Array of Lumped elements kids” , ovvero “ricevitore di onde millimetriche per il Sardinia Radio Telescope basato su una rete di rivelatori a induttanza cinetica”.

MISTRAL è un ricevitore innovativo sotto molteplici aspetti. I ricevitori radioastronomici sono tipicamente “mono pixel”, cioè sensibili alla radiazione proveniente da una sola direzione e questo richiede lunghe scansioni con il telescopio per poter realizzare immagini panoramiche della zona di cielo di interesse. Una soluzione per superare questa limitazione è costruire ricevitori “multi pixel”, sensibili cioè alla radiazione proveniente da più direzioni simultaneamente. MISTRAL porta questo concetto all’estremo. Al suo interno è infatti custodito un cuore ultra-freddo composto da una matrice di 415 rivelatori a induttanza cinetica (KIDs) sviluppati in collaborazione con il CNR-IFN di Roma e raffreddati ad appena una frazione di grado dalla temperatura di zero assoluto, pari a -273,15 gradi Celsius.

“È proprio questo elevato numero di rivelatori accoppiato con un sistema ottico sviluppato appositamente a rendere MISTRAL uno strumento estremamente efficace e rapido per l’imaging a largo campo di sorgenti deboli ed estese”, commenta Paolo de Bernardis, Coordinatore Scientifico del ricevitore per Sapienza Università di Roma.

MISTRAL è stato installato nel maggio 2023 nel fuoco gregoriano, localizzato al centro della grande parabola di 64 metri di diametro di SRT. Subito dopo è iniziata la messa in servizio del ricevitore, il cosiddetto commissioning, un’intensa serie di test tecnici e osservativi con l’obiettivo di integrare il ricevitore nel sistema del telescopio. Un team di ricercatori di INAF e Sapienza sta lavorando fianco a fianco con l’obiettivo di portare MISTRAL alle sue massime prestazioni e poterlo quindi offrire alla comunità scientifica per osservazioni regolari.

“Il commissioning – spiega Matteo Murgia, Responsabile Scientifico del ricevitore per INAF – è normalmente un passaggio di routine nella installazione di nuova strumentazione. Tuttavia, si trasforma in una vera sfida nel caso di un ricevitore nel millimetrico come MISTRAL, che richiede che le prestazioni del telescopio siano spinte al limite sotto ogni aspetto”.

“Inizialmente – dichiara Elia Battistelli, Project Manager del ricevitore per Sapienza Università di Roma – si sono affrontati e superati diversi ostacoli legati alla criogenia davvero eccezionale del ricevitore, ottenendo infine la temperatura necessaria per mettere in misura i KIDs, ossia appena 0,2 gradi sopra lo zero assoluto”.

Il miglioramento delle prestazioni della superficie attiva di SRT ha permesso a partire da settembre 2024 di raggiungere la sensibilità adeguata per calibrare lo strumento. È stato quindi possibile procedere all’ ottimizzazione dell’allineamento tra le ottiche di MISTRAL e quelle di SRT.

Il team di commissioning ha inoltre lavorato senza sosta per sviluppare le procedure e il software necessari per il puntamento e la messa a fuoco. Contemporaneamente, INAF e Sapienza hanno realizzato le procedure di calibrazione e composizione delle immagini. A questo punto MISTRAL era finalmente pronto per le osservazioni di “prima luce” di sorgenti radio estese. In successione sono stati osservati tre oggetti celesti iconici: la Nebulosa di Orione, la radiogalassia M87, e il resto di supernova Cassiopea A. Queste osservazioni hanno evidenziato la grande versatilità di MISTRAL e confermato le sue capacità di realizzare immagini di grande dettaglio di oggetti celesti in contesti astrofisici anche molto diversi tra loro.

“Il traguardo raggiunto con le immagini di prima luce di SRT a 90 GHz – commenta Isabella Pagano, Direttrice Scientifica dell’INAF – segna un passo importante nell’ampliamento degli orizzonti scientifici del radiotelescopio che dimostra così di essere in grado di operare con successo alle alte frequenze radio per le quali era stato progettato”.

Con la “prima luce” ottenuta osservando questi affascinanti oggetti cosmici, si conclude questa prima fase di test tecnici e inizia una fase, non meno importante, di validazione scientifica, volta a verificare le prestazioni di MISTRAL con sorgenti sempre più deboli, per garantire che sia pronto per le numerose sfide scientifiche per cui è stato progettato. MISTRAL affronterà un’ampia gamma di questioni scientifiche, dalla cosmologia e fisica degli ammassi di galassie, allo studio dei nuclei galattici attivi, della struttura delle nubi molecolari e della loro relazione con la formazione stellare nelle galassie vicine e nella Via Lattea, fino allo studio dei corpi celesti del nostro Sistema Solare. Le attività del team di commissioning continuano quindi con l’obiettivo di verificare le prestazioni di MISTRAL in ciascuno di questi casi scientifici e di rendere il ricevitore disponibile alla comunità scientifica il prima possibile.

 

Le prime immagini acquisite da MISTRAL

A dicembre 2024 MISTRAL è stato puntato verso la famosa Nebulosa di Orione (nota anche come M42) al centro della omonima costellazione. Situata a una distanza di circa 1350 anni luce dalla Terra, M42 è una delle regioni di formazione stellare attive più vicine ed è caratterizzata da idrogeno ionizzato eccitato da un gruppo di stelle massicce, noto come il Trapezio. M42 fa parte di un vasto complesso di nubi molecolari che si estende per 30 gradi nel cielo, mentre MISTRAL ne ha osservato la parte centrale ad una risoluzione angolare di 12 secondi d’arco. Nell’immagine è ben visibile la Barra di Orione a sud, che segna un confine netto tra la regione di idrogeno ionizzato e la nube molecolare sottostante. Si notano inoltre i picchi di emissione in prossimità delle stelle del Trapezio e della Nebulosa Kleinmann–Low, una densa nube molecolare di formazione stellare che ospita un ammasso stellare interessato in passato da un evento esplosivo. L’ emissione di M42 visibile a 90 GHz è una miscela pressoché uguale di radiazione prodotta dall’idrogeno ionizzato e quella delle polveri fredde contenute nel complesso di nubi molecolari sottostante.

Nel riquadro a sinistra si mostra l’immagine della nebulosa M42 realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL. A destra una sovrapposizione dell’immagine MISTRAL con una immagine a più largo campo ottenuta dall’ Hubble Space Telescope (Credits: MISTRAL commissioning team; NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA))
Nel riquadro a sinistra si mostra l’immagine della nebulosa M42 realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL. A destra una sovrapposizione dell’immagine MISTRAL con una immagine a più largo campo ottenuta dall’ Hubble Space Telescope (Crediti per l’immagine: MISTRAL commissioning team; NASA, ESA, and The Hubble Heritage Team (STScI/AURA))

A febbraio 2025 MISTRAL ha osservato, sempre alla frequenza di 90 GHz, la radiogalassia M87, il cui nucleo attivo contiene un ormai famoso buco nero supermassiccio presente nella costellazione della Vergine, il primo di cui è stata ottenuta una immagine diretta grazie alla storica osservazione dell’Event Horizon Telescope nel 2019. La sorgente radio che circonda M87 ha una struttura complessa, costituita da lobi interni delle dimensioni di circa trentamila anni luce (poco più della distanza che ci separa dal centro della Via Lattea) circondati da una bolla di plasma esterna su più larga scala. Queste strutture sono il risultato dell’attività del buco nero centrale nel corso dei precedenti milioni di anni. Nell’immagine di MISTRAL sono visibili I lobi radio interni, le strutture più recenti tuttora alimentate da una coppia di getti radio relativistici che si propagano dal buco nero centrale. Osservare queste strutture a frequenze così alte fornisce informazioni nuove e preziose sui meccanismi fisici che alimentano le particelle radio emittenti all’interno della sorgente.

Immagine della sorgente radio attorno a M87 rivelata da MISTRAL a 90 GHz rappresentata in toni di rosso e curve di livello, sovrapposta ad una immagine ottica, in toni di blu, della galassia (Crediti per la foto: MISTRAL commissioning team; Sloan Digital Sky Survey)
Immagine della sorgente radio attorno a M87 rivelata da MISTRAL a 90 GHz rappresentata in toni di rosso e curve di livello, sovrapposta ad una immagine ottica, in toni di blu, della galassia (Crediti per la foto: MISTRAL commissioning team; Sloan Digital Sky Survey)

Infine, nell’ultima sessione di aprile 2025, MISTRAL ha osservato, attraverso due scansioni incrociate di circa mezz’ora ciascuna, il resto di supernova Cassiopea A (Cas-A) una delle più intense radio sorgenti del cielo avente una dimensione angolare di circa 5 minuti d’arco (circa un sesto del diametro apparente della luna piena). Il guscio di gas in espansione è visibile nella sua interezza e, grazie alla risoluzione angolare di SRT a queste lunghezze d’onda, si possono apprezzare i dettagli e le variazioni di luminosità della struttura filamentare.

Immagine del resto di supernova Cassiopea A realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL (Crediti per l'immagine: MISTRAL commissioning team)
Immagine del resto di supernova Cassiopea A realizzata a 90 GHz con il ricevitore MISTRAL (Crediti per l’immagine: MISTRAL commissioning team)

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma e dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

SPIRALI DI PLASMA NELLO SPAZIO: LO STRUMENTO METIS A BORDO DELLA MISSIONE SOLAR ORBITER SVELA LA NATURA CONTORTA DEL VENTO SOLARE, OSSERVANDO UNA STRUTTURA RADIALE NELLA CORONA SOLARE CHE EVOLVE PER DIVERSE ORE 

Osservata per la prima volta dallo strumento Metis a bordo della missione Solar Orbiter, con una risoluzione spaziale e temporale mai raggiunta prima, una struttura radiale nella corona solare che evolve per diverse ore fino a distanze di tre raggi solari.

Immagine in luce visibile ottenuta dal coronografo Metis il 12 ottobre 2022, durante il passaggio al perielio della sonda Solar Orbiter. Al centro del campo di vista, il Sole ripreso dallo strumento EUI nella lunghezza d'onda di 174 Angstrom. Il riquadro giallo ritrae la struttura elicoidale oggetto dello studio.Crediti: Metis e EUI (Solar Orbiter/ESA). L'immagine è stata realizzata da Vincenzo Andretta (INAF di Napoli)
Immagine in luce visibile ottenuta dal coronografo Metis il 12 ottobre 2022, durante il passaggio al perielio della sonda Solar Orbiter. Al centro del campo di vista, il Sole ripreso dallo strumento EUI nella lunghezza d’onda di 174 Angstrom. Il riquadro giallo ritrae la struttura elicoidale oggetto dello studio.
Crediti: Metis e EUI (Solar Orbiter/ESA). L’immagine è stata realizzata da Vincenzo Andretta (INAF di Napoli)

Roma, 26 marzo 2025 – Il 12 ottobre 2022, durante un passaggio ravvicinato al Sole, le riprese ottenute dal coronografo italiano Metis a bordo della missione Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) hanno catturato un fenomeno spettacolare e inedito per livello di dettaglio: l’evoluzione, nella corona solare, di una lunga struttura radiale che si anima di un moto elicoidale persistente per diverse ore. Per la prima volta, con una risoluzione spaziale e temporale mai raggiunte prima, è stato possibile osservare direttamente l’espulsione di strutture a spirale dalla corona solare, compatibili con le torsioni magnetiche che i modelli teorici associano all’origine del vento solare.

Grazie alla combinazione di immagini in luce visibile e tecniche di elaborazione avanzate, Metis – progettato da Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Università di Firenze, Università di Padova, CNR-IFN, e realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) con la collaborazione dell’industria italiana – ha mostrato come il Sole possa trasferire energia e materia verso lo spazio in forma di onde e plasma intrecciati tra loro, rivelando un meccanismo fondamentale nella dinamica dell’eliosfera.

Alla guida dello studio, pubblicato oggi sul sito web della rivista The Astrophysical Journal, c’è Paolo Romano, primo ricercatore dell’INAF di Catania. Romano, che ha coordinato il lavoro di un ampio team internazionale, afferma:

“È la prima volta che osserviamo direttamente un fenomeno così esteso e duraturo, compatibile con la riconnessione magnetica in una struttura chiamata pseudostreamer. Questa osservazione offre una finestra inedita sulla fisica che sta alla base della formazione del vento solare. Questo risultato non solo conferma teorie elaborate da anni, ma fornisce finalmente un riscontro visivo diretto”.

Ma cos’è uno pseudostreamer? Si tratta di una configurazione del campo magnetico solare in cui due regioni chiuse di polarità opposta sono immerse in un ambiente di campo magnetico aperto. Nella corona, gli pseudostreamer sono le “canne del vento” del Sole: regioni da cui, in seguito a un’eruzione, possono aprirsi nuovi canali per il flusso del plasma verso lo spazio interplanetario.

Nel caso dell’evento ripreso da Metis, tutto ha avuto inizio con l’eruzione di una protuberanza polare – un gigantesco arco di plasma “appeso” ai campi magnetici nella regione nord del Sole – che ha innescato una piccola espulsione di massa coronale (CME). Ma il vero spettacolo è arrivato dopo, nella lunga fase di rilassamento che ha seguito l’eruzione. È lì che Metis ha osservato il susseguirsi di strutture filamentose, luminose e scure, che si attorcigliano lungo la linea radiale della corona, a distanze comprese tra 1,5 e 3 raggi solari.

Il team ha interpretato questi segnali come la firma visibile di un processo previsto da tempo: la riconnessione magnetica, che trasferisce il plasma e la torsione magnetica dalle regioni chiuse del campo solare verso quelle aperte, innescando onde di tipo torsionale – le onde di Alfvén – e lanciandole nello spazio.

Un tassello fondamentale è arrivato dal confronto con sofisticate simulazioni numeriche condotte da Peter Wyper, della Durham University, in collaborazione con Spiro Antiochos del NASA Goddard Space Flight Center. Le immagini sintetiche prodotte da queste simulazioni mostrano un’evoluzione sorprendentemente simile a quella ripresa da Metis: strutture elicoidali che si propagano lungo il campo aperto, con caratteristiche geometriche e dinamiche in forte accordo con i dati osservati.

“Le prestazioni uniche di Metis in termini di risoluzione spaziale e temporale aprono una nuova finestra sulla comprensione dell’origine del vento solare”, commenta Marco Romoli, dell’Università di Firenze e responsabile scientifico dello strumento Metis. “Per la prima volta vediamo l’intera evoluzione di un processo di rilascio di energia magnetica, dalle sue radici nel Sole fino all’apertura nello spazio interplanetario”.

“Le onde di Alfvén torsionali e in generale i meccanismi fisici che innescano fluttuazioni magnetiche di questo tipo – dichiara Marco Stangalini responsabile del programma Solar Orbiter per l’Agenzia Spaziale Italiana – sono da tempo ritenuti tra i principali meccanismi alla base dell’accelerazione del vento solare. Metis, grazie alla elevata cadenza temporale delle sue immagini, ci offre la possibilità di osservare direttamente questi processi fisici, consentendo anche un miglioramento della modellistica fisica ad essi associata”.

Le osservazioni di Metis non solo confermano i modelli teorici più avanzati, ma suggeriscono che lo stesso meccanismo – la riconnessione magnetica a piccola scala – possa avvenire continuamente sulla superficie del Sole, generando quei “microgetti” che alimentano il vento solare Alfvénico rivelato anche dalla sonda Parker Solar Probe.

In altre parole, quella spirale luminosa che Metis ha visto danzare nella corona potrebbe essere solo la versione gigante di un processo che avviene ovunque, continuamente, e che rende possibile l’esistenza stessa del vento solare.

Per maggiori informazioni:

Il video pubblicato dall’ESA con immagini composite del Sole che evidenziano la presenza di spirali di plasma in propagazione nella corona solare (Crediti: V. Andretta e P. Romano (INAF), ESA & NASA/Solar Orbiter/Metis/EUI).

L’articolo Metis Observations of Alfvenic Outflows Driven by Interchange Reconnection in a Pseudostreamer di P. Romano, P. Wyper, V. Andretta, S. Antiochos, G. Russano, D. Spadaro, L. Abbo, L. Contarino, A. Elmhamdi, F. Ferrente, R. Lionello, B.J. Lynch, P. MacNeice, M. Romoli, R. Ventura, N. Viall, A. Bemporad, A. Burtovoi, V. Da Deppo, Y. De Leo, S. Fineschi, F. Frassati, S. Giordano, S.L. Guglielmino, C. Grimani, P. Heinzel, G. Jerse, F. Landini, G. Naletto, M. Pancrazzi, C. Sasso, M. Stangalini, R. Susino, D. Telloni, L. Teriaca, M. Uslenghi è stato pubblicato online sulla rivista The Astrophysical Journal.

 

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF e dall’Agenzia Spaziale Italiana – ASI

Fisica quantistica: ora è possibile certificare le proprietà dei dispositivi ottici integrati programmabili

Un team di ricerca internazionale ha identificato nuove tecniche per quantificare le risorse computazionali fornite dalla meccanica quantistica nei dispositivi ottici.  Gli esperimenti, condotti presso il gruppo Quantum Lab del Dipartimento della Sapienza di Roma, hanno coinvolto anche l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr. I risultati, pubblicati sulla rivista Science Advances, serviranno a implementare le future applicazioni nei campi della metrologia, crittografia e della computazione.

Foto del chip integrato, insieme all'elettronica di controllo. Speciali stati quantistici della luce, ovvero stati a singolo fotone, vengono inviati nel chip e manipolati attraverso le guide d'onda, in modo da certificare le proprietà quantistiche considerando porzioni sempre più grandi del chip
Foto del chip integrato, insieme all’elettronica di controllo. Speciali stati quantistici della luce, ovvero stati a singolo fotone, vengono inviati nel chip e manipolati attraverso le guide d’onda, in modo da certificare le proprietà quantistiche considerando porzioni sempre più grandi del chip

Man mano che i nuovi dispositivi quantistici crescono in dimensioni e complessità, risulta fondamentale sviluppare metodi affidabili per certificare e individuare le risorse quantistiche che forniscono un effettivo vantaggio computazionale, al fine di delineare il modo migliore di utilizzarle.

In un nuovo studio, pubblicato sulla rivista Science Advances è stato mostrato proprio come certificare le varie proprietà quantistiche di dispositivi fotonici integrati di crescente complessità.

Il risultato è frutto di una collaborazione scientifica di lunga data nel campo della certificazione quantistica tra la Sapienza di Roma, l’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano (Cnr-Ifn), il Politecnico di Milano e il Laboratorio Internazionale di Nanotecnologia iberica (INL).

I circuiti ottici integrati programmabili sono tra le principali piattaforme candidate per l’elaborazione dell’informazione quantistica basata sui qubits. Essi infatti consentono da un lato di effettuare esperimenti finalizzati a verificare le proprietà fondamentali della meccanica quantistica, dall’altro di implementare i dispositivi per future applicazioni nel campo della metrologia, crittografia e della computazione.

Team Quantum Lab della Sapienza Università di Roma
Team Quantum Lab della Sapienza Università di Roma

Gli esperimenti, guidati da Fabio Sciarrino della Sapienza e condotti presso il gruppo Quantum Lab dell’Ateneo, hanno certificato la presenza di caratteristiche quantistiche autentiche come la contestualità e la coerenza in un circuito ottico integrato programmabile.

La metodologia seguita è stata quella sviluppata dal team teorico guidato da Ernesto Galvão dell’INL in Portogallo.

“L’utilizzo di un chip fotonico completamente integrato e programmabile migliora la precisione e la coerenza del processo di caratterizzazione, offrendo il potenziale per l’implementazione di questi dispositivi in applicazioni pratiche”, commenta il Dott. Roberto Osellame, direttore di ricerca presso CNR-IFN.

“Il nostro lavoro – aggiunge Taira Giordani, ricercatrice presso la Sapienza e membro del team Quantum Lab – è la prima applicazione sperimentale di tale tecnica per quantificare le risorse computazionali fornite dalla meccanica quantistica nei dispositivi ottici”.

Le tecniche sviluppate hanno permesso però di verificare anche il vantaggio quantistico in applicazioni pratiche come il quantum imaging. I sistemi di imaging, grazie a determinate correlazioni quantistiche, permettono di ottenere una risoluzione che supera i limiti dell’ottica classica, trovando applicazione in diversi campi della metrologia e dei sensori.

“I nostri risultati – conclude Fabio Sciarrino, capogruppo del Quantum Lab della Sapienza – motivano la ricerca per nuove tecniche per lo studio delle risorse non classiche. Ci aspettiamo che questo lavoro stimolerà la ricerca sulla futura certificazione di dispositivi ottici che sfruttano stati quantistici della luce sempre più complessi”.

Questa linea di ricerca è supportata dal National Quantum Science and Technology Institute (NQSTI), il finanziamento italiano per la ricerca fondamentale sulle tecnologie quantistiche, dall’ERC Advanced Grant QU-BOSS, dal progetto Horizon Europe FoQaCiA e dalla FCT – Fundação para a Ciência e a Tecnologia del Portogallo.

Rappresentazione del chip fotonico integrato programmabile utilizzato utilizzato nel lavoro. Le guide d'onda vengono create mediante la scrittura laser a femtosecondo sul vetro. Le operazioni del circuito sono controllate applicando correnti su vari resistori disposti sulla superficie del chip
ora è possibile certificare le proprietà dei dispositivi ottici integrati programmabili. Rappresentazione del chip fotonico integrato programmabile utilizzato utilizzato nel lavoro. Le guide d’onda vengono create mediante la scrittura laser a femtosecondo sul vetro. Le operazioni del circuito sono controllate applicando correnti su vari resistori disposti sulla superficie del chip

Riferimenti bibliografici:

Experimental certification of contextuality, coherence, and dimension in a programmable universal photonic processor – Giordani T, Wagner R, Esposito C, Camillini A, Hoch F, Carvacho G, Pentangelo C, Ceccarelli F, Piacentini S, Crespi A, Spagnolo N, Osellame R, Galvão EF, Sciarrino F. – Sci Adv. 2023. doi: 10.1126/sciadv.adj4249

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Microcalcificazioni del seno: non tutte sono correlate all’insorgenza del tumore

Una ricerca dell’Università degli Studi di Milano e Istituti Clinici Scientifici Maugeri, realizzata in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche e il Paul Scherrer Institute in Svizzera, ha studiato la correlazione tra le microcalcificazioni al seno e la presenza di tumori, scoprendo che l’assenza di whitlockite, un minerale solitamente presente nelle microcalcificazioni, potrebbe essere un indicatore della presenza di tumore. La pubblicazione su Cancer Communication.

donna microcalcificazioni tumore seno
Foto di Benjamin Balazs

Milano, 20 settembre 2023 – Le microcalcificazioni, piccoli depositi di calcio che si formano nel tessuto mammario e che possono essere rilevati alla mammografia, sono spesso, ma non sempre, un segnale di allarme per la presenza di un tumore al seno. E la relazione fra microcalcificazioni e tumore non è stata mai chiarita.

Lo studio pubblicato, sulla rivista Cancer Communication, è frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri, coordinati dal Fabio Corsi, docente di Chirurgia Generale della Statale di Milano e capo della Breast Unit dell’IRCCS Maugeri Pavia, in collaborazione con colleghi dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn) e dell’Istituto di cristallografia (Cnr-Ic) del Consiglio nazionale delle ricerche e del Paul Scherrer Institute in Svizzera.

I ricercatori hanno infatti scoperto infatti che la relazione tra le microcalcificazioni e il tumore è legata alla presenza di un particolare minerale chiamato whitlockite, che è ricco di magnesio e che si trova nelle microcalcificazioni solo in assenza del tumore. I ricercatori hanno usato tecniche avanzate di spettroscopia (Raman, WAXS, XRF), per analizzare le microcalcificazioni prelevate da pazienti affette da tumore al seno. Hanno confrontato i campioni con quelli di donne sane e hanno osservato che nei tessuti tumorali la whitlockite era quasi assente, mentre nei tessuti sani era abbondante.

Questo suggerisce che il tumore al seno ha la capacità di alterare il metabolismo del calcio e del magnesio nel tessuto mammario, influenzando la formazione delle microcalcificazioni, eliminando la whitlockite e rendendole più dure, cosa che le rende in grado di stimolare ancora di più la crescita del tumore.

“Questo risultato apre nuove prospettive per lo sviluppo di metodiche più efficaci per lo screening del tumore al seno, basate sulla misurazione della concentrazione di whitlockite nelle microcalcificazioni”, spiega Fabio Corsi“Inoltre, potrebbe aiutare a capire meglio i meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna delle cellule mammarie. Da ultimo, infatti, questa scoperta potrebbe ridurre o meglio orientare l’indicazione alla biopsia mammarie ad oggi indispensabile per capire la natura del tessuto mammario in presenza di microcalcificazioni”.

 

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

MISTRAL: il contributo Sapienza al Sardinia Radio Telescope

Nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) denominato “Potenziamento del Sardinia Radio Telescope per lo studio dell’Universo alle alte frequenze radio” un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza ha realizzato un importante strumento che consiste in un ricevitore con 415 rilevatori che operano simultaneamente. Il sistema contribuirà all’osservazione dettagliata di fenomeni celesti prima non esplorabili.

Potenziamento tecnologico del Sardinia Radio Telescope – SRT

È stata completata l’installazione dello strumento MISTRAL, realizzato da un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica di Sapienza, per il Sardinia Radio Telescope, l’imponente radiotelescopio di 64 metri di diametro dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), situato a San Basilio, in Sardegna.

strumento MISTRAL Sardinia Radio Telescope SRT
L’installazione conclude una attività di quattro anni di lavoro intensissimo del team G31 del Dipartimento di Fisica, guidato da Paolo de Bernardis, responsabile scientifico di MISTRAL in Sapienza.

strumento MISTRAL Sardinia Radio Telescope SRT

“Il cuore di MISTRAL è una matrice di 415 rivelatori a induttanza cinetica, realizzata da una collaborazione tra Sapienza e CNR-IFN di Roma”, commentano Alessandro Paiella, Federico Cacciotti e Giorgio Pettinari, che si sono occupati della progettazione, realizzazione e caratterizzazione dei rivelatori.

“I rivelatori sono illuminati da un sistema ottico costituito da due lenti in silicio e una serie di filtri risonanti – aggiunge Marco De Petris, responsabile dell’ottica di MISTRAL. Questo trasferisce sul mosaico l’immagine del cielo prodotta dal telescopio, ingrandendo e correggendo il suo campo di vista ed eliminando tutte le lunghezze d’onda al di fuori della banda di interesse”.

“I rivelatori sono raffreddati fino a soli 0.2 gradi sopra lo zero assoluto, ovvero a -273 gradi Celsius, da un complesso sistema criogenico, che permette di mantenerli in operazione per tutta la durata  delle osservazioni, eliminando i forti disturbi dovuti all’agitazione termica”, sottolinea Alessandro Coppolecchia, responsabile della criogenia di MISTRAL.

“Oltre alla soddisfazione per aver completato lo sviluppo dell’hardware, c’è grande aspettativa per i risultati scientifici che deriverannodall’uso di MISTRAL. Infatti, grazie alla bassissima temperatura operativa e alla presenza di centinaia di rivelatori che operano simultaneamente, lo strumento risulta essere estremamente efficiente per l’osservazione dettagliata di sorgenti come gli ammassi di galassie”, aggiungono Giuseppe D’Alessandro e Alessandro Novelli che si sono occupati dell’assemblaggio e dell’housekeeping di MISTRAL.

“Quando i fotoni del fondo cosmico a microonde attraversano gli ammassi di galassie, hanno una certa probabilità di interagire con gli elettroni del gas caldo che permea l’intero volume dell’ammasso, e aumentano leggermente la loro energia, accorciando così la loro lunghezza d’onda. Ne segue un deficit di fotoni del fondo cosmico di microonde a lunghezze d’onda superiori a 1.4 mm, e un eccesso di fotoni a lunghezze d’onda inferiori”, sottolinea Giovanni Isopi, che si occupa dell’elettronica di
lettura e dei dati di MISTRAL.

“MISTRAL, alla lunghezza d’onda di 3 mm, misurerà il deficit di fotoni del fondo cosmico a microonde con grande efficienza e dettaglio, osservando in controluce un grande numero di ammassi di galassie e di filamenti di gas tra ammassi – sottolinea Elia Battistelli, Project Manager di MISTRAL. Questo permette di quantificare la struttura e la dinamica del cosmic web, l’intricato intreccio di filamenti di materia che contiene la maggior parte della materia normale e della materia oscura dell’universo”.

“Questa materia è invisibile nelle osservazioni ottiche. Infatti queste possono rivelare solo i fotoni emessi dalle stelle nelle galassie, che costituiscono solo la punta dell’iceberg della struttura a grande scala dell’universo”, aggiungono Francesco Piacentini e Fabio Columbro, che si occupano della lettura e della calibrazione di MISTRAL.

“Per questo – conclude Silvia Masi, instrument scientist di MISTRAL – strumenti come MISTRAL e come OLIMPO, costruito dal team del  Dipartimento di Fisica per osservare l’eccesso di fotoni a lunghezze d’onda brevi lavorando da un pallone stratosferico, e pochi altri al mondo, risultano essenziali per capire come si sono formate le strutture nel nostro universo”.

MISTRAL è stato sviluppato nell’ambito del progetto PON (Programma Operativo Nazionale) Ricerca e Innovazione 2014 – 2020 finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e ha raggiunto l’obiettivo di potenziare tecnologicamente il Sardinia Radio Telescope (SRT).

Il progetto di potenziamento di SRT è partito il 25 giugno del 2019 e si è concluso il 25 giugno 2023 e ha visto la partecipazione di ricercatori della Sapienza Università di Roma, del CNR-EIIT, dello UK Research and Innovation (UKRI) nel Regno Unito, dell’Università di Manchester sempre nel Regno Unito e del Korea Astronomy and Space Science Institute (KASI) in Corea del Sud.

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

DALLO STUDIO DEI G-QUADRUPLEX INDICAZIONI UTILI PER PROGETTARE NUOVI FARMACI ONCOTERAPICI

I ricercatori delle Università Milano-Bicocca, Insubria e Padova in collaborazione con il Cnr-Ifn hanno analizzato come si evolvono le strutture secondarie del DNA presenti in alcuni promotori di protooncogeni. Gli studi pubblicati su Nucleic Acids Research.

G-quadruplex farmaci
Dallo studio dei G-quadruplex indicazioni utili per progettare nuovi farmaci oncoterapici. Foto PublicDomainPictures 

Osservare da vicino il comportamento dei G-quadruplex, strutture secondarie del Dna, per contribuire alla messa a punto di farmaci oncoterapici di nuova generazione. I risultati degli studi condotti in collaborazione dai ricercatori delle Università dell’Insubria, di Milano-Bicocca e di Padova, con il coinvolgimento dell’Istituto di Fotonica e nanotecnologie del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifn), sono confluiti in due lavori pubblicati sulla rivista Nucleic Acids Research (DOI: 10.1093/nar/gkab079 – 10.1093/nar/gkab674).

Quando pensiamo al Dna, la struttura che subito ci affiora alla mente è la doppia elica. Da anni, tuttavia, è noto come il Dna possa assumere localmente strutture non canoniche. Un aspetto particolarmente rilevante è che questi sistemi rappresentano degli interessanti punti di intervento terapeutico per trattare molte patologie tra cui tumori, malattie neurodegenerative, infezioni, e così via. Per la loro particolare importanza funzionale, le strutture secondarie non canoniche denominate G-quartets (G4s) occupano un posto di rilievo in questo contesto. Finora la ricerca di nuovi farmaci indirizzati verso questi bersagli non ha prodotto i risultati sperati e questo deriva in larga parte dal fatto che la struttura del Dna varia sensibilmente nel tempo e nello spazio.

I ricercatori hanno analizzato le proprietà conformazionali e nanomeccaniche dei G4s presenti nel promotore di un particolare protooncogene responsabile di diverse forme tumorali, abbinando tecniche di ensemble a misure di singola molecola per capire come queste strutture evolvono nel tempo, come la loro evoluzione è influenzata dalla matrice di Dna a doppia elica che le circonda e come interagiscono quando si formano una vicina all’altra. Inoltre, è stato osservato come la presenza di sequenze in grado di formare G4s in un tratto di Dna favorisca la denaturazione nanomeccanica della doppia elica in questo tratto, quindi l’inizio dell’espressione genica. Poiché le proteine deputate alla trascrizione del Dna, evento che dà inizio alla sintesi proteica, funzionano esercitando forze e torsioni sui promotori al fine di indurne la denaturazione locale, le informazioni raccolte costituiscono una “fotografia” ad alta risoluzione del bersaglio di elezione. Infine, è stato possibile seguire come si ripiegano queste sequenze e con quale velocità. Queste informazioni aiuteranno a progettare farmaci di nuova generazione che siano in grado di controllare la produzione di oncoproteine in pazienti neoplastici.

«Si tratta di una collaborazione fra soggetti lontani geograficamente, ma coinvolti in una sorta di laboratorio delocalizzato, che sono in grado di realizzare strumentazioni innovative non commerciali e di applicarle alla caratterizzazione di campioni biologici progettati ad hoc. Tutto questo è possibile, grazie anche al supporto delle nostre Istituzioni Universitarie che permettono e facilitano questo networking» dichiara il dottor Luca Nardo del Dipartimento di Scienza e alta tecnologia dell’Università dell’Insubria.

«La ricerca è stata condotta in modo interdisciplinare, con il coinvolgimento paritetico di Biofisici e Chimici Farmaceutici. Infatti, soltanto attraverso una stretta collaborazione tra ricercatori appartenenti a comunità scientifiche che tradizionalmente interagiscono solo marginalmente, disposti a compartecipare competenze complementari, è possibile dare risposte a domande che apparentemente sembrano insolubili. In particolare è stato necessario realizzare misure di singola molecola su filamenti di Dna studiati letteralmente uno per uno, al fine di caratterizzare aspetti che vengono generalmente nascosti da misure di insieme» afferma il professor Francesco Mantegazza, del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca».

«Il contributo fondamentale dei nostri risultati è quello di aver sottolineato in modo forte alla comunità scientifica come sia necessario capire l’evoluzione nel tempo e nello spazio dei bersagli che vogliamo colpire per intervenire in modo efficace e mirato. Il nostro network, coinvolgendo scienziati con visioni apparentemente diverse, ci ha consentito di rispondere a questa necessità mettendo a punto approcci innovativi e versatili che potranno quindi ora essere utilizzati a più ampio respiro» è quanto riassume la professoressa Claudia Sissi del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Padova.

«In qualità di responsabile del Laboratorio di Fotofisica e Biomolecole a Como, compartecipato da Cnr e Insubria, sono estremamente soddisfatta degli importanti risultati ottenuti negli ultimi anni e di questo in particolare. Ringrazio tutti i giovani ricercatori che nel tempo si sono alternati in laboratorio, senza la cui dedizione e competenza la ricerca sarebbe stata impossibile», conclude la professoressa Maria Bondani del Cnr-Ifn.

 

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Padova.