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Università Statale di Milano: innovativo studio “in vivo” sulle metastasi, su come migrano le cellule tumorali

Un team di scienziati coordinati dall’Università Statale di Milano ha osservato “in vivo”, grazie a tecniche di imaging avanzate, la migrazione delle cellule tumorali nei tessuti viventi, rivelando il meccanismo con cui si spostano all’interno del corpo. Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) sarà cruciale per identificare nuove strategie di intervento sulle metastasi.

Milano, 15 gennaio 2025 – Il 90% delle morti da tumore sono dovute alle metastasi, cioè ai tumori secondari che si formano a distanza dal tumore iniziale e sono causati dalla migrazione delle cellule malate. Ecco perché comprendere i meccanismi di questa migrazione è fondamentale per cercare di identificare nuove strategie di intervento sulle metastasi. Ad oggi sappiamo che queste cellule possono muoversi individualmente o in gruppo, ma la maggior parte degli studi fatti finora sono stati svolti in vitro.

Ora, un gruppo di ricercatori del Centro per Complessità e Biosistemi dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Centro Medico dell’Università Radboud di Nimega (Radboud University Medical Centre), nei Paesi Bassi, ha pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) uno studio che mostra “in vivo” come avviene l’invasione collettiva di cellule tumorali nel derma.

Da questa osservazione, effettuata grazie alla microscopia intravitale a multifotone, una tecnica che consente l’osservazione dei tessuti ad alta risoluzione e su diversi piani focali consentendo una ricostruzione tridimensionale delle immagini, è risultato che le cellule si muovono usando una modalità di migrazione multicellulare poco coesiva, caratterizzata da un moto turbolento che si auto-organizza in percorsi alternati persistenti in cui le cellule si spostano avanti e indietro dal tumore originale, utilizzando interstizi già presenti nei tessuti.

Abbiamo analizzato le deformazioni indotte dalle cellule nella matrice extracellulare e abbiamo osservato come le cellule si facessero largo tra i tessuti comprimendoli” spiega Stefano Zapperi, professore al Dipartimento di Fisica “Aldo Pontremoli” dell’Università degli Studi di Milano e coautore dello studio, “mostrando come la presenza di un tessuto che racchiude e comprime il tumore gioca un ruolo chiave nell’organizzazione e nel moto delle cellule tumorali”.

Un aspetto molto interessante”, aggiunge Caterina La Porta docente di Patologia Generale del dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Ateneo e coordinatrice dello studio, “è che la migrazione collettiva delle cellule tumorale sfrutta le vie utilizzate dai linfociti T del nostro sistema immunitarioComplessivamente” conclude La Porta, “i nostri risultati contribuiscono a chiarire i modelli di migrazione delle cellule tumorali in vivo e forniscono indicazioni quantitative per lo sviluppo di modelli realistici in vitro e in silico (simulazione matematica al computer)”.

Riferimenti bibliografici:

O. Chepizhko, J. Armengol-Collado, S. Alexander, E. Wagena, B. Weigelin, L. Giomi, P. Friedl, S. Zapperi, C.A.M. La Porta, Confined cell migration along extracellular matrix space in vivo, Proc. Natl. Acad. Sci. U.S.A.  (2025) 122 (1) e2414009121, DOI: https://doi.org/10.1073/pnas.2414009121

Un innovativo studio “in vivo” sulle metastasi, su come migrano le cellule tumorali, pubblicato oggi sulla rivista PNAS. Foto di Konstantin Kolosov

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano.

Medicina di precisione: i nuovi nano-trasportatori ingegnerizzati dalla Sapienza per colpire in modo mirato ed eliminare le cellule tumorali

Un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma ha sviluppato una nuova nanoparticella ibrida in grado di veicolare in maniera efficace e selettiva gli agenti chemioterapici. I risultati dello studio, che potranno essere applicati per la cura di diversi tipi di tumore, sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Nanobiotechnology.

nano-trasportatori cellule tumorali
Medicina di precisione: i nuovi nano-trasportatori ingegnerizzati dalla Sapienza per colpire in modo mirato ed eliminare le cellule tumorali

I nuovi strumenti terapeutici nella lotta contro il cancro, che sfruttano le possibilità derivanti dalle nanotecnologie, sono basati sul rilascio mirato all’interno delle cellule tumorali di piccoli frammenti di RNA, i cosiddetti microRNA. Nonostante però queste molecole possiedano un elevato potenziale per il trattamento del cancro, per garantirne l’efficacia è necessario indirizzarli selettivamente alle cellule neoplastiche.

In uno studio tutto italiano, i ricercatori dei dipartimenti di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli, di Scienze anatomiche istologiche medico legali e dell’apparato locomotore e di Chimica e tecnologia del farmaco della Sapienza hanno creato in laboratorio un nuovo sistema per il rilascio mirato di farmaci chemioterapici che utilizza specifiche molecole, i dendrimeri aminici, che agiscono come una sorta di spugna per i piccoli RNA.

Questi polimeri sono ampiamente studiati in proprio per la capacità “magnetica” che gli permette di legare gli acidi nucleici. Tuttavia, la loro intrinseca tossicità e l’assenza di selettività per specifici tipi cellulari ne ha sempre limitato l’utilizzo.

Nello studio pubblicato sulla rivista Journal of Nanobiotechnlogy, i ricercatori hanno incapsulato i dendrimeri in una nanoparticella di ferritina batterica, ingegnerizzata per riconoscere il recettore umano della transferrina, che risulta essere particolarmente abbondante sulla superficie di molte cellule tumorali come le cellule di leucemia promielocitica acuta, utilizzate per ottenere i risultati di questo lavoro.

“Considerate tali caratteristiche – spiega il Alberto Boffi del Dipartimento di Scienze biochimiche e coordinatore dello studio – la nanoparticella ibrida ha consentito di trasferire con successo, e quindi in maniera mirata ed efficace, un microRNA all’interno delle cellule malate”.

Il vantaggio del nuovo nano-trasportatore risiede nella sua capacità unica di autoassemblarsi e di poter bersagliare selettivamente diversi tipi di cellule tumorali, rilasciando a livello citoplasmatico il microRNA.

“Queste nanoparticelle – conclude Boffi – sono altamente versatili e potranno essere utilizzate in futuro per veicolare piccoli RNA e altre molecole terapeutiche, anche in maniera combinata”.

Riferimenti:

Self-Assembling Ferritin-Dendrimer Nanoparticles for Targeted Delivery of Nucleic Acids to Myeloid Leukemia Cells – Federica Palombarini, Silvia Masciarelli, Alessio Incocciati, Francesca Liccardo, Elisa Di Fabio, Antonia Iazzetti, Giancarlo Fabrizi, Francesco Fazi, Alberto Macone, Alessandra Bonamore, Alberto Boffi – Journal of Nanobiotechnology DOI:10.21203/rs.3.rs-426535/v1

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

RICERCATORI UNITO SCOPRONO NUOVE POSSIBILI TERAPIE PER BLOCCARE LA CRESCITA DELLE CELLULE TUMORALI DI RICHTER

Due ricerche appena pubblicate su Blood, la più prestigiosa rivista internazionale di ematologia, e condotte da ricercatori del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino, dimostrano come sia possibile colpire farmacologicamente le cellule di Richter e bloccarne la crescita tumorale, con conseguente morte cellulare e riduzione, e in alcuni casi anche remissione, della malattia.

La sindrome di Richter è una complicanza che può insorgere nella leucemia linfatica cronica (nell’immagine). Foto di Mary Ann Thompson, CC BY-SA 3.0

La sindrome di Richter è un linfoma altamente aggressivo e rapidamente fatale per il quale al momento non vi sono terapie efficaci. Questa neoplasia, come le altre malattie, si può curare o per lo meno controllare se si conoscono i meccanismi biologici che la governano e se si tiene in considerazione il fatto che non tutti i pazienti presentano le stesse caratteristiche molecolari. Il 10-15% dei pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, la più diffusa leucemia nei paesi occidentali, può andare incontro ad una evoluzione della malattia trasformando a Sindrome di Richter, con una aspettativa di vita di pochi mesi. Avere a disposizione delle terapie mirate in grado di colpire i meccanismi chiave di queste cellule tumorali è quindi una necessità clinica.

Due studi realizzati dall’Unità di Genomica Funzionale del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino appena pubblicati su Blood, la più prestigiosa rivista internazionale di ematologia, dimostrano come sia possibile colpire farmacologicamente le cellule di Richter, sfruttando sia anticorpi monoclonali che inibitori molecolari altamente selettivi. I risultati indicano che questi trattamenti sono in grado di bloccare la crescita tumorale, con conseguente morte cellulare e riduzione, e in alcuni casi anche remissione, della malattia.

I risultati di queste due ricerche indicano che il trattamento mirato delle cellule di Richter con un anticorpo anti-ROR1 coniugato con una tossina in grado di uccidere le cellule bersaglio o con farmaci selettivi già impiegati per il trattamento di altre neoplasie, Duvelisib e Venetoclax, determina un blocco della proliferazione a cui segue la regressione del tumore fino ad arrivare, in alcuni casi, alla remissione completa. Inoltre, disporre di un profilo molecolare delle cellule tumorali permette di stratificare meglio i pazienti, individuando coloro che sicuramente beneficeranno di un determinato trattamento farmacologico, rispetto a quelli che invece non sarebbero responsivi in quanto mancanti dei bersagli di questi farmaci. Questi risultati sono stati il punto di partenza per il reclutamento di pazienti affetti da sindrome di Richter in studi clinici che hanno l’obiettivo di validare nell’uomo l’efficacia di queste nuove terapie.

“Per sviluppare delle terapie anti-tumorali efficaci è necessario conoscere la malattia. Questo è possibile attraverso l’impiego di modelli sperimentali che ricapitolano le dinamiche molecolari e patologiche della neoplasia. Studiare come queste cellule si comportano è fondamentale per poter identificare i loro punti deboli e disegnare di conseguenza degli approcci farmacologici che vadano a colpire specificamente questi punti” spiega la Prof.ssa Tiziana Vaisitti, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Torino“Il primo passo che abbiamo fatto è stato quello di sviluppare dei modelli murini detti PDX, acronimo inglese che indica gli xenotrapianti derivati da cellule di pazienti. In altre parole, si tratta di topi nei quali vengono impiantate cellule di tumori umani, mimando in questo modo la malattia umana. Questo approccio ci ha permesso di derivare il profilo molecolare delle cellule di Richter e di identificare dei possibili bersagli o perché espressi unicamente sulle cellule tumorali o perché molecole chiave nella regolazione di processi biologici attivi in queste cellule”.

Articoli completi

Vaisitti T et al., ROR1 targeting with the antibody-drug conjugate VLS-101 is effective in Richter syndrome patient–derived xenograft mouse models: https://ashpublications.org/blood/article/137/24/3365/474956/ROR1-targeting-with-the-antibody-drug-conjugate

Iannello A. et al., Synergistic efficacy of the dual PI3K-δ/γ inhibitor duvelisib with the Bcl-2 inhibitor venetoclax in Richter syndrome PDX models: https://ashpublications.org/blood/article/137/24/3378/475652/Synergistic-efficacy-of-the-dual-PI3K-inhibitor

Testo dall’Università degli Studi di Torino sullo studio per nuove possibili terapie per bloccare le cellule tumorali di Richter.

 

Tumore del polmone: verso una medicina personalizzata

Un lavoro coordinato dalla Sapienza e pubblicato sulla rivista EBioMedicine del gruppo The Lancet, identifica in un autoanticorpo un possibile indicatore di resistenza ai trattamenti immunoterapici nei pazienti con carcinoma polmonare

tumore del polmone
Foto candidate EBIOM-D-20-02015R1 dalla Sapienza Università di Roma

L’ultima frontiera della lotta al cancro è rappresentata da terapie che armano il sistema immunitario del paziente in modo che sia in grado di riconoscere e annientare le cellule tumorali. Cosa accade se il sistema immunitario ha un difetto? In questo caso è molto probabile che si inneschi un meccanismo di resistenza all’immunoterapia usata contro il tumore compromettendo gravemente l’efficacia della cura.

La presenza di autoanticorpi può essere una spia di allarme di un sistema immunitario disfunzionale e l’identificazione di biomarcatori di questo sistema può essere una guida per la scelta della corretta terapia per il paziente.

Marianna Nuti del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza, insieme con Paolo Marchetti e Guido Valesini, rispettivamente dell’Unità di Oncologia B e del Centro di Reumatologia del Policlinico Umberto I, hanno recentemente pubblicato un lavoro sulla rivista EBioMedicine, del gruppo The Lancet, in cui indagano, in pazienti con tumore polmonare in trattamento con immunoterapici, il ruolo di un autoanticorpo nel predire la progressione precoce di malattia. I ricercatori hanno visto che la presenza dell’autoanticorpo, chiamato IgM-FR (fattore reumatoide di classe IgM), è associata, nei pazienti con carcinoma polmonare, alla riduzione di una popolazione specifica di cellule immunitarie, i linfociti T antitumorali CD137 +. Questa popolazione linfocitaria è peraltro uno dei bersagli terapeutici della terapia con immunoterapici, per cui la sua riduzione potrebbe tradursi in una perdita di efficacia del trattamento e in una tendenza a sviluppare progressioni precoci di malattia entro 3 mesi dall’inizio dello stesso.

“I trattamenti con gli Immune Checkpoint Inhibitors, come l’immunoterapico anti-PD-1 hanno fortemente migliorato le opzioni terapeutiche e l’outcome per i pazienti oncologici affetti da Non-

Small Cells Lung Cancer (NSCLC) – spiega Marianna Nuti, coordinatrice dello studio. “Tuttavia, molti di questi mostrano resistenza alla terapia, la quale risulta meno efficace: il nostro lavoro ci permette di correlare una parte della resistenza con la presenza dell’autoanticorpo IgM-FR che sembrerebbe legarsi a due classi di linfociti T, naïve e central memory, riducendone la capacità di dirigersi verso i linfonodi deputati a drenare il tumore e di attivarsi contro le cellule cancerose”.

I risultati ottenuti con questo studio permettono quindi di compiere un altro passo nella direzione della medicina personalizzata in cui è il paziente con il suo sistema immunitario a guidare la scelta del miglior approccio terapeutico, più che il tumore e lo stadio di malattia.

Riferimenti:

IgM-Rheumatoid factor confers primary resistance to anti-PD-1 Immunotherapies in NSCLC patients by reducing CD137+ T-cells – Alessio Ugolini, Ilaria Grazia Zizzari, Fulvia Ceccarelli, Andrea Botticelli, Tania Colasanti, Lidia Strigari, Aurelia Rughetti, Hassan Rahimi, Fabrizio Conti, Guido Valesini, Paolo Marchetti, Marianna Nuti. – EBioMedicine – The Lancet, 2020. DOI https://doi.org/10.1016/j.ebiom.2020.103098

Testo e foto dalla Sapienza Università di Roma sui nuovi passi per una medicina personalizzata contro il tumore del polmone.

Cancro al colon-retto: la scoperta che facilita l’inibizione del gene “incurabile”

 

Pubblicato sulla rivista “Cancer Discovery” lo studio che suggerisce come aggredire clinicamente i tumori con la mutazione G12C del gene KRAS utilizzando farmaci contro il Recettore del Fattore di Crescita Epidermico 

cancro colon-retto gene
Immagine di Elionas2

È stato pubblicato, sulla rivista scientifica Cancer Discovery, lo studio dal titolo “EGFR blockade reverts resistance to KRASG12C inhibition in colorectal cancer”, condotto da un team internazionale di esperti guidato da Alberto Bardelli, direttore del Laboratorio di Oncologia Molecolare all’IRCCS Candiolo e docente del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e coordinato da Sandra Misale, dottorata dell’Università di Torino, e attualmente ricercatrice associata al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York. Il team ha esaminato su modelli cellulari gli effetti di AMG510, un farmaco sperimentale contro il cancro che agisce da inibitore del gene KRAS G12C.

KRAS è uno dei geni mutati più comuni nei tumori umani, come il cancro ai polmoni, al colon-retto e al pancreas. Questo gene è stato considerato incurabile per decenni, fino al recente sviluppo di una nuova classe di inibitori covalenti, tra cui il promettente AMG510, capaci di inibire una delle versioni mutanti del KRAS, la G12C. Tale mutazione è presente in una frazione di pazienti affetti da cancro ai polmoni e al colon-retto. L’utilizzo dell’inibitore AMG510 del gene KRAS G12C, seppur in una fase ancora sperimentale, ha mostrato risultati promettenti sui pazienti colpiti da cancro ai polmoni. Tuttavia, per i pazienti affetti da cancro al colon-retto i risultati sono stati meno positivi.

Lo studio, che ha come primi autori il dottorando dell’Università di Torino Vito Amodio e la ricercatrice Pamela Arcella, ha provato a spiegare i meccanismi di resistenza agli inibitori del gene KRAS G12C nel cancro al colon-retto. Usando modelli in vitro preclinici, hanno dimostrato che, nonostante la presenza della stessa mutazione del gene KRAS, le linee cellulari del cancro ai polmoni e del cancro al colon-retto rispondevano in modo differente all’inibizione del gene KRAS G12C. Le cellule del cancro ai polmoni subivano un’inibizione forte e duratura, mentre la crescita delle cellule del cancro al colon-retto veniva ostacolata solo marginalmente e per un breve periodo di tempo.

“In questo lavoro, abbiamo cercato di comprendere i meccanismi alla base delle differenze di lignaggio nelle cellule del cancro ai polmoni e del cancro al colon-retto”, dichiara Sandra Misale. “I dati ci dicono che, nonostante ospitino la stessa mutazione, ci sono differenze intrinseche nel manifestarsi tra i due tipi di cancro, che si traduce in sensibilità diverse dell’inibizione del gene KRAS G12C. Queste scoperte hanno una rilevanza immediata per i pazienti affetti da cancro al colon-retto con un tumore causato dalla mutazione del gene KRAS G12C”.

 Alla base di questa differenza ci sono vari livelli di attivatori del gene KRAS nei due diversi tipi di tumore. I recettori presenti sulla superficie delle cellule, in particolare i recettori del fattore di crescita epidermico, sono proteine coinvolte nella fisiologica attivazione del gene KRAS nelle cellule. Questo studio ha dimostrato che, nel cancro al colon-retto, tale meccanismo di attivazione è responsabile della limitata risposta all’inibizione di KRAS G12C.

Attaccando i recettori del fattore di crescita epidermico con medicinali mirati, i ricercatori hanno dimostrato che i modelli di cancro al colon-retto trattati con inibitori del gene KRAS G12C possono bloccare la proliferazione e indurre la morte delle cellule tumorali. Questi medicinali mirati – anticorpi monoclonali – sono già approvati per il trattamento di altri sottotipi di cancro al colon-retto. Il gruppo di ricerca ha testato questa combinazione farmacologica in modelli preclinici derivati da pazienti affetti da cancro al colon-retto, fra cui organoidi tumorali, riscontrando una riduzione della crescita del cancro in alcun i casi completa regressione del tumore.​

Nel futuro, grazie a questo studio sperimentale, che necessita di conferme sull’uomo, si potrebbero aprire nuove prospettive per l’approccio ai malati con tumore del colon-retto.

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino