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Camilla Sguotti

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Studio dell’Università di Padova propone l’approccio CUSPRA, un nuovo modello statistico per stimare la resilienza degli ecosistemi ai cambiamenti irreversibili

Quanto può sopportare un ecosistema prima di cambiare in maniera irreversibile? Cosa si può fare – se si può fare – per prevenire o mitigare gli effetti delle attività antropiche?

L’impatto elevato e sinergico delle pressioni umane può portare gli ecosistemi a subire dei “cambiamenti di regime”, ossia delle variazioni drastiche, inaspettate e spesso irreversibili: per contrastare i cambiamenti climatici globali è quindi necessario favorire e quantificare la resilienza degli ecosistemi in modo da preservare gli importanti benefici che ci forniscono, capire e anticipare i cambiamenti per gestire le nostre risorse al meglio.

Lo studio dal titolo “Resilience assessment in complex natural systems” pubblicato sulla rivista «Proceedings of the Royal Society B» che vede come prima autrice Camilla Sguotti, ricercatrice del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova in collaborazione con il Joint Research Center dell’Unione Europea, l’Università di Patrasso (Grecia) e l’International Livestock Research Insitute (Kenya), propone l’approccio CUSPRA, un nuovo metodo statistico per stimare la resilienza degli ecosistemi in modo da anticipare eventuali cambiamenti di regime. Il modello è stato sviluppato estendendo lo “stochastic cusp model”, un modello matematico-statistico sviluppato partendo dalla teoria delle catastrofi del matematico Thom negli anni ‘70. L’approccio CUSPRA è in grado di identificare la presenza di un cambiamento di regime a causa di due pressioni sinergiche e di determinare quanto dista il sistema rispetto al cambiamento. Attraverso questo modello sarà dunque possibile quantificare la resilienza di un ecosistema calcolandola come la distanza da un cambiamento irreversibile.

«I cambiamenti di regime sono sempre più frequenti e stanno avvenendo in molti sistemi naturali: desertificazione, transizione di ecosistemi marini complessi come le barriere coralline, scioglimento dei ghiacci sono solo alcuni esempi. Il Global Tipping Point Report*, a cui ho contribuito, pubblicato nell’ambito della COP 28, ha mostrato che 25 sistemi della biosfera sono già andati incontro a queste dinamiche – afferma Camilla Sguotti, prima autrice dello studio –. Alcuni metodi statistici per stimare la resilienza e quindi anticipare possibili cambiamenti di regime esistono, ma sono difficilmente applicabili alle serie temporali degli ecosistemi reali che spesso sono brevi e molto variabili. Per questo abbiamo sviluppato l’approccio CUSPRA, che stima la resilienza degli ecosistemi a pressioni esterne».

Camilla Sguotti approccio CUSPRA
Camilla Sguotti, prima autrice dello studio che propone l’approccio CUSPRA, per stimare la resilienza degli ecosistemi

Questo nuovo metodo è innovativo per tre aspetti:

  1.  stima la resilienza in relazione all’effetto sinergico di due o più pressioni esterne,
  2.  determina la presenza di irreversibilità nelle dinamiche dei sistemi,
  3.  fornisce un indicatore semplice per la gestione dei cambiamenti.

Nello studio viene dimostrata l’applicazione del metodo a diversi sistemi marini come la popolazione del merluzzo nel Mare di Barents o la comunità di pesci del Mare del Nord e del Mar Mediterraneo.

CUSPRA rappresenta un significativo passo avanti nella stima della resilienza dei sistemi naturali a livello statistico, fondamentale per supportare la gestione sostenibile delle risorse ambientali.

Link alla ricerca: https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rspb.2024.0089

Titolo: Resilience assessment in complex natural systems – «Proceedings of the Royal Society B» – 2024

Autori: Camilla Sguotti, Paraskevas Vasilakopoulos, Evangelos Tzanatos e Romain Frelat

*È un report compilato da più di 200 ricercatori di 90 organizzazioni in 26 nazioni, per identificare e stimare i rischi e le opportunità legati a tutti i tipping point (cambiamenti di regime) positivi e negativi che sono avvenuti sul nostro pianeta (nel clima, nella biosfera, negli oceani, sulla terra, ma anche cambiamenti di regime sociali). C’è una sezione su cambiamenti di regime del sistema terra, una sugli impatti, una sulla gestione e una sui cambiamenti positivi sociali, economici e tecnologici https://global-tipping-points.org.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

PESCATO DELL’ALTO ADRIATICO: STESSA QUANTITÀ, DIVERSA QUALITÀ

La “mutazione invisibile” dell’ecosistema marino scoperta dall’Università di Padova

 Negli ultimi decenni la ricerca ha chiarito come i sistemi naturali, anche quelli grandi e complessi come gli ecosistemi marini, subiscono dei “cambiamenti di regime” cioè variazioni nette e totalmente inaspettate. Possono essere determinati dalle attività umane, come la pesca o il cambiamento climatico globale di origine antropica, trasformando radicalmente gli ecosistemi in termini di abbondanza di organismi e di processi ecologici, con potenziali ricadute per la biodiversità e la produttività delle risorse ittiche.

Lo studio dal titolo “Stable landings mask irreversible community reorganizations in an overexploited Mediterranean ecosystem” pubblicato sul «Journal of Animal Ecology» da parte di ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Amburgo e CNR-ISMAR dimostra che, negli ultimi 40 anni, si sono succeduti intensi cambiamenti di regime nell’ecosistema dell’Alto Adriatico, uno dei mari più pescosi e sfruttati del pianeta, nella totale inconsapevolezza di tutti.

Camilla Sguotti Pescato dell'Alto Adriatico: stessa quantità, diversa qualità
Camilla Sguotti

«Questa scoperta è stata possibile analizzando con metodi matematici avanzati, basati sulla teoria delle catastrofi di Thom, le serie temporali delle catture di organismi, quali pesci e invertebrati, da parte della flotta peschereccia di Chioggia, la maggiore d’Italia – dice Camilla Sguotti, ricercatrice post-dottorato nel programma europeo ‘Marie Skłodowska-Curie Actions’ al Dipartimento di Biologia dell’Ateneo di Padova e prima autrice dello studio –. La composizione di quello che si pesca riflette la comunità di organismi che abitano il mare: a partire dagli anni Ottanta si è avuto un andamento caratterizzato da lunghi periodi di stabilità nella varietà e qualità del pescato intervallati da improvvisi cambiamenti discontinui a causa dell’effetto sinergico di pressione da pesca e riscaldamento dei mari dovuto ai cambiamenti climatici. La cosa interessante è “scoprire” solo ora questi cambiamenti, cioè dopo decenni, in quanto le catture totali della flotta sono rimaste approssimativamente costanti nel tempo, distogliendo quindi l’attenzione dall’avvicendarsi delle diverse specie nei decenni».

Alberto Barausse
Alberto Barausse

«Sembra che l’ecosistema del mare Alto Adriatico – conclude Alberto Barausse del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova coordinatore dello studio pubblicato – sia cambiato in modo irreversibile: anche se diminuissimo la pressione di pesca, le temperature non si riabbasseranno a breve a causa dell’inerzia del cambiamento climatico. Capire i fattori che portano a questi cambiamenti di regime negli ecosistemi marini è quindi fondamentale per saper gestire le nostre attività, come la pesca, senza erodere la resilienza degli ecosistemi: una volta che un cambiamento di regime è avvenuto nell’ecosistema, potenzialmente con conseguenze negative non solo per la biodiversità ma spesso anche per le attività economiche, purtroppo non sempre è possibile tornare indietro facilmente».

Link all’articolo: https://doi.org/10.1111/1365-2656.13831

Titolo: “Stable landings mask irreversible community reorganizations in an overexploited Mediterranean ecosystem” – «Journal of Animal Ecology» – 2022.

Autori: Camilla Sguotti, Aurelia Bischoff, Alessandra Conversi, Carlotta Mazzoldi, Christian Möllmann, Alberto Barausse

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova sulla ricerca sul pescato nell’Alto Adriatico.