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L’1% DEGLI INVESTIMENTI NELL’EOLICO OFFSHORE POTREBBE RIPRISTINARE MILIONI DI ETTARI DI VITA MARINA – Team internazionale di ricercatori, tra cui Laura Airoldi dell’Università di Padova, ha pubblicato su «BioScience» uno studio che evidenzia i potenziali benefici dell’energia eolica per piante, animali e società

I parchi eolici offshore non solo forniscono energia pulita, ma possono anche svolgere un ruolo fondamentale nel ripristino degli ecosistemi vulnerabili, sia sopra che sotto la superficie del mare. Questo include habitat dei fondali marini, barriere coralline, praterie di fanerogame marine e zone umide costiere: ecosistemi essenziali per la biodiversità, le popolazioni ittiche e la resilienza climatica.

Contribuire con solo l’1% degli investimenti globali nei progetti eolici offshore entro il 2050 sarebbe sufficiente per il ripristino su larga scala della natura marina: a rivelarlo è lo studio internazionale dal titolo Financing marine restoration through offshore wind investments, pubblicato sulla rivista scientifica «BioScience» a cui ha preso parte Laura Airoldi, docente di Ecologia dell’Università di Padova nella Stazione idrobiologica “Umberto d’Ancona” di Chioggia (di cui è responsabile) e afferente al Centro Nazionale di Biodiversità finanziato dal PNRR.

La ricerca, coordinata dall’Istituto Reale Neerlandese per la Ricerca Marina (Royal Netherlands Institute for Sea Research, il centro oceanografico nazionale dei Paesi Bassi) nell’ambito del programma The Rich North Sea, un’iniziativa delle ONG olandesi Natuur & Milieu (Natura & Ambiente) e North Sea Foundation, arriva in un momento critico: gli obiettivi ambientali globali stanno diventando irraggiungibili – come quello dell’ONU di ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030 – a causa della mancanza di finanziamenti e di politiche mirate.

I ricercatori hanno evidenziato che sarebbe sufficiente destinare solo l’1% degli investimenti globali nell’eolico offshore da qui al 2050 per finanziare il ripristino di milioni di chilometri quadrati di ecosistemi marini, come barriere coralline, mangrovie, praterie sottomarine e scogliere di ostriche.

«Il ripristino degli ecosistemi marini non avvantaggia solo piante e animali, ma anche le persone. Mari e coste in buona salute assorbono carbonio, proteggono le rive e sostengono le popolazioni ittiche. Secondo lo studio, ogni dollaro investito nel ripristino degli ecosistemi può generare tra 2 e 12 dollari in benefici per la società», spiega Laura Airoldi, coautrice del lavoro e docente dell’Ateneo patavino. «Questo è particolarmente rilevante in vista della crescita esponenziale prevista del settore eolico offshore: dai 56 gigawatt del 2021 si passerà, secondo le stime, a 2.000 gigawatt entro il 2050».

«L’eolico offshore ha un’opportunità unica: non solo sostenere la transizione energetica, ma anche diventare la prima industria marina a contribuire in modo netto e positivo al ripristino su larga scala degli ecosistemi», aggiunge Christiaan van Sluis (The Rich North Sea), autore principale dello studio. «Integrando fin da ora requisiti strategici per la biodiversità nei processi di autorizzazione e assegnazione delle gare, possiamo invertire la perdita di biodiversità con solo una frazione dell’investimento complessivo».

Laura Airoldi
L’1% degli investimenti nell’eolico offshore potrebbe ripristinare milioni di ettari di vita marina; i benefici dell’energia eolica per piante, animali e società. In foto, Laura Airoldi

Con questo lavoro gli autori esortano i governi a rendere il ripristino marino un requisito standard nella normativa sull’eolico offshore: ciò includerebbe l’obbligo di destinare una percentuale fissa degli investimenti dei progetti alla biodiversità marina attraverso condizioni di licenza o criteri non basati sul prezzo nelle gare d’appalto. Con l’espansione accelerata del settore, il ripristino della natura dovrebbe essere integrato in modo strutturale nelle politiche.

Riferimenti bibliografici:

Christiaan J van Sluis, Eline van Onselen, Laura Airoldi, Carlos M Duarte, Helena F M W van Rijswick, Tjisse van der Heide, Renate A Olie, Marjolein Kelder, Tjeerd J Bouma, Financing marine restoration through offshore wind investments – «BioScience» – 2025, link: https://academic.oup.com/bioscience/advance-article/doi/10.1093/biosci/biaf092/8185302

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

TEORIA DELLA COSTRUZIONE DELLA NICCHIA: COME L’AMBIENTE COSTRUITO DALL’UOMO POTREBBE CAMBIARE LA NOSTRA SALUTE E TRASFORMARE IL PIANETA IN UNA “TRAPPOLA EVOLUTIVA”

Uno studio coordinato dall’Università di Padova analizza le interazioni tra i cambiamenti ambientali causati dalle attività umane e le nuove pressioni ecologiche nel breve e lungo termine attraverso la teoria della Costruzione della Nicchia

La salute del pianeta e quella umana sono profondamente interconnesse: la crisi planetaria in atto sta già condizionando il nostro benessere, proiettandoci verso un futuro incerto e segnato da condizioni ambientali sempre più insostenibili, scarsità di risorse e diseguaglianze sociali crescenti.

Per meglio comprendere e affrontare queste complesse sfide di natura sociale, ambientale e sanitaria tra loro interconnesse, lo studio dal titolo Evolutionary Epidemiology: A Look Ahead at Human Non-Communicable Diseases through a Niche Construction Approach, pubblicato sulla rivista «BioScience» e coordinato dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, propone di adottare una prospettiva evoluzionistica per far luce sulle cause profonde della nostra dipendenza dalla natura e sui possibili effetti a lungo termine dell’attuale crisi ambientale sul benessere umano.

I ricercatori hanno utilizzato la teoria della Costruzione della Nicchia (Niche Construction Theory, NCT) per indagare come l’essere umano, alterando il mondo naturale, trasformi anche le condizioni ecologiche e sociali (che formano la “nicchia socio-ecologica”) in cui vive. Questi cambiamenti ambientali possono generare nuove pressioni selettive che, per quanto vantaggiose in alcuni casi, potrebbero rivelarsi dannose (maladattative) in condizioni ambientali o sociali diverse, o nel lungo periodo.

«Oggi viviamo in una “nicchia industrializzata”, cioè in un ambiente costruito dagli umani che, pur avendo portato indubbi benefici, sta generando nuove fragilità rivelandosi, per alcuni aspetti, maladattativo», spiega Sofia Belardinelli del Dipartimento di Biologia dell’Ateneo patavino e prima autrice dello studio. «Integrare una prospettiva evolutiva negli studi epidemiologici e nelle analisi sulla salute globale può aiutarci a comprendere il nostro ruolo nella crisi ambientale e nella quarta transizione epidemiologica».

Sofia Belardinelli
Teoria della Costruzione della Nicchia: come l’ambiente costruito dall’uomo potrebbe cambiare la nostra salute e trasformare il pianeta in una trappola evolutiva. In foto, Sofia Belardinelli

Per spiegare questa apparente contraddizione tra vantaggi immediati e il rischio di esiti maladattativi, gli autori dello studio propongono di analizzare le interazioni tra i cambiamenti ambientali causati dalle attività umane, le nuove pressioni ecologiche e selettive che questi generano, – e i potenziali esiti sulla salute –, e gli effetti di queste interazioni in diverse dimensioni spazio-temporali: a livello molecolare, dell’individuo, della popolazione, a breve e lungo termine.

Dopo l’epoca delle pestilenze e delle carestie, e dopo l’epoca della regressione delle malattie infettive, sostituite – secondo la ricostruzione storica dell’epidemiologo Abdel Omran – dalle malattie degenerative e antropogeniche, potremmo oggi trovarci all’inizio di una nuova fase: una quarta transizione segnata da una maggiore instabilità sanitaria, con nuove pandemie e patologie legate alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico.

«Uno sguardo evolutivo può anche aiutare a comprendere come la persistenza delle minacce ambientali sia potenzialmente in grado di alterare l’eredità ecologica – cioè le condizioni ambientali – che trasmettiamo alle future generazioni, cambiando le condizioni in cui vivranno e a cui dovranno adattarsi», conclude Telmo Pievani, coautore dello studio e docente al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova. «Condizioni non ottimali potrebbero compromettere la nostra capacità di sopravvivere e riprodurci, aumentando il rischio di cadere in una vera e propria trappola evolutiva».

Telmo Pievani
Telmo Pievani

Riferimenti bibliografici:

Sofia Belardinelli, Luigi Garaffa, Telmo Pievani, Paolo Vineis, Evolutionary Epidemiology: A Look Ahead at Human Non-Communicable Diseases through a Niche Construction Approach – «BioScience» – 2025, Link: https://doi.org/10.1093/biosci/biaf095

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova