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“The Wild Ones”, svelate le prime immagini della nuova serie di documentari d’avventura in arrivo l’11 luglio 2025 su Apple TV+

The Wild Ones, la serie di documentari

Apple TV+ ha svelato oggi le prime immagini della nuova serie di documentari d’avventura “The Wild Ones”, in arrivo l’11 luglio 2025. Annunciata inizialmente con il titolo provvisorio “Endangered Planet”, la serie in sei parti segue un trio d’élite di esperti di fauna selvatica che si imbarca in spedizioni ad alto rischio in tutto il mondo per rintracciare e proteggere le specie più a rischio del pianeta.

Con la partecipazione dell’ex Commando dei Royal Marines e capo spedizione Aldo Kane, dell’esperto di fauna selvatica e fototrappole Declan Burley e del narratore ecologico e cineasta naturalista Vianet Djenguet, “The Wild Ones” fonde avventura ad alto rischio con scienza e conservazione d’avanguardia. Il trio si reca in sei paesi – Malesia, Mongolia, Armenia, Indonesia, Canada e Gabon – per catturare immagini rare di specie elusive e in via di estinzione, tra cui la tigre malese, l’orso del Gobi, il leopardo del Caucaso, il rinoceronte di Giava, la balena franca nordatlantica e il gorilla di pianura occidentale.

Grazie all’utilizzo di oltre 350 telecamere remote personalizzate, droni termici, sensori subacquei indossabili e tecnologie di imaging basate sull’intelligenza artificiale, il team sta rivoluzionando il documentario naturalistico, catturando comportamenti animali intimi mai visti prima e sostenendo missioni attive di conservazione sul campo. Le scoperte del team hanno già contribuito all’identificazione di un nuovo esemplare di rinoceronte, alla protezione di una nuova cucciolata di tigre e al rafforzamento delle iniziative contro il bracconaggio.

In collaborazione con esperti locali, il trio utilizza tecnologie di ripresa innovative per svelare i segreti di queste creature rare, tra cui: le prime immagini in assoluto della tigre selvatica più minacciata al mondo, filmata nella Riserva Reale delle Tigri in Malesia; riprese notturne termiche dello sfuggente orso del Gobi, nel cuore del deserto mongolo; un incontro ravvicinato con un gorilla di pianura silverback nei boschi del Gabon; un salvataggio in tempo reale di una balena nell’Atlantico settentrionale. La serie mette in luce le minacce che queste specie affrontano e come ciascuna sia strettamente connessa all’ecosistema in cui vive, sensibilizzando e sostenendo le iniziative scientifiche e gli sforzi di conservazione a lungo termine per salvarle.

The Wild Ones, la serie di documentari

“The Wild Ones” è prodotto da Offspring Films, il team che ha realizzato “Il pianeta notturno a colori” e “Earthsounds: i suoni del pianeta” di Apple TV+, ed ha come produttori esecutivi Alex Williamson e Isla Robertson.

Apple TV+ offre serie drammatiche e commedie avvincenti e di qualità, lungometraggi, documentari innovativi e intrattenimento per bambini e famiglie, ed è disponibile per la visione su tutti i tuoi schermi preferiti. Dopo il suo lancio il 1° novembre 2019, Apple TV+ è diventato il primo servizio di streaming completamente originale a essere lanciato in tutto il mondo, ha presentato in anteprima più successi originali e ha ricevuto riconoscimenti più velocemente di qualsiasi altro servizio di streaming. Ad oggi, i film, i documentari e le serie originali Apple sono stati premiati con 563 vittorie e 2.596 nomination ai premi, tra cui la commedia pluripremiata agli Emmy “Ted Lasso” e lo storico Oscar® come Miglior film a “CODA“.

 

Testi, video e immagini dall’Ufficio Stampa PuntoeVirgola MediaFarm. Aggiornato il 5 giugno 2025.

Milano-Bicocca, avviato il progetto NATO per prevenire conflitti sociali in Asia centrale grazie allo studio dei rischi naturali

Un team di ricerca internazionale, coordinato da Alessandro Tibaldi, geologo di Milano-Bicocca, ha avuto mandato dalla NATO per un progetto triennale con l’obiettivo di evitare conflitti sociali grazie agli studi di rischi naturali, in particolare terremoti e frane.
Milano, 1 dicembre 2022 – Su mandato della NATO, l’Università di Milano-Bicocca guiderà per i prossimi tre anni un programma di ricerca nell’ambito “Science for Peace” intitolato “Prevention of Geo-threats to Azerbaijan’s Energy Independence”. Il progetto è coordinato da Alessandro Tibaldi, geologo del Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra di Milano-Bicocca, e un team di scienziati provenienti da Italia, Belgio, Repubblica Ceca, Svizzera, Ucraina, Georgia e Azerbaijan.
Nagorno Karabakh conflitti sociali rischi naturali Asia Centrale
La regione del Nagorno Karabakh. Immagine di Aivazovsky, in pubblico dominio

La ricerca ha il duplice scopo di migliorare la collaborazione scientifica tra alcuni stati dell’ex-Unione Sovietica e l’Occidente e di prevenire possibili situazioni di conflitto sociale in Asia centrale attraverso studi di prevenzione dei rischi naturali focalizzati su obiettivi strategici.

Durante la prima missione del progetto, terminata a ottobre, i ricercatori hanno iniziato a studiare i rischi geologici – soprattutto terremoti e frane – che minacciano la principale centrale idroelettrica dell’Azerbaijan e il più grande bacino artificiale della regione caucasica (Shamkir-Mingachevir).

Questo impianto si trova a soli 55 km dal confine di guerra con il Nagorno Karabakh, regione contesa tra Armenia e Azerbaijan. Eventuali problemi all’impianto idroelettrico dovuti a cause naturali si ripercuoterebbero sull’intero sistema produttivo e infrastrutturale dell’Azerbaijan e sul suo apparato militare.

I ricercatori hanno riscontrato evidenze nell’area di un’importante struttura geologica in grado di provocare in futuro terremoti.  Questa struttura prende il nome di faglia di Kura e si tratta di una superficie di rottura nelle rocce che è in grado di muoversi sotto l’effetto delle enormi pressioni dovute alla tettonica a placche, e cioè ai movimenti delle varie placche tettoniche in cui è suddivisa la crosta terrestre. È infatti scientificamente dimostrata una correlazione proporzionale tra la lunghezza in pianta delle faglie attive e la magnitudo dei terremoti che possono generare.

Questi primi risultati dimostrano che la lunghezza della faglia di Kura è dell’ordine di 115 km, per cui si tratta di una struttura di alta rilevanza in grado di produrre terremoti che possono generare danni. Da sottolineare che nei pressi dell’area di studio si è verificato nel 1668 un forte terremoto di Intensità pari al decimo grado della Scala Mercalli che ha causato più di 80.000 morti. Inoltre, la traccia della faglia di Kura percorre in parte l’interno proprio degli invasi artificiali dell’impianto idroelettrico. Infine, le analisi preliminari sulla franosità hanno messo in luce la presenza di decine di frane quiescenti, le quali andranno studiate per capire se si potrebbero riattivare in caso di un forte evento sismico.

Questo progetto rappresenta, in particolare, il primo studio moderno sull’analisi della pericolosità combinata di sismicità e frane condotto sul più grande impianto di produzione di energia idroelettrica dell’Azerbaijan.

Importante conseguenza concreta della ricerca, riscontrata già dalla prima missione, è stata la possibilità di stringere legami di cooperazione scientifica tra Ucraina, Georgia e Azerbaijan, e incrementare la collaborazione con i paesi della NATO coinvolti nel progetto, superando i numerosi ostacoli diplomatici e burocratici. Da un punto di vista scientifico, l’aver individuato una faglia principale potenzialmente sismogenetica pone le basi per la necessità di ulteriori approfondimenti al fine di valutare la pericolosità sismica dell’area, e il ruolo dei terremoti nel possibile innesco delle numerose frane presenti.
«Questi aspetti verranno meglio quantificati con analisi di laboratorio nei prossimi mesi. – prosegue Alessandro Tibaldi, docente di geologia strutturale e coordinatore del progetto – A queste seguirà una nuova missione in Azerbaijan che verrà svolta a maggio 2023, in cui gli scienziati del progetto incontreranno rappresentanti dei Ministeri e delle Istituzioni della nazione caucasica, completata da un periodo di ricerche sul campo per definire meglio i rischi geologici nelle aree circostanti l’impianto idroelettrico.»
Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca