News
Ad
Ad
Ad
Tag

Alma Mater Studiorum

Browsing

LA PRIMA ANALISI 3D SULLA FORMAZIONE ED EVOLUZIONE DEGLI AMMASSI GLOBULARI

Uno studio pubblicato oggi sulla rivista Astronomy & Astrophysics apre nuove prospettive sulla nostra comprensione della formazione ed evoluzione dinamica delle popolazioni stellari multiple negli ammassi globulari, agglomerati di stelle di forma sferica, molto compatti, formati tipicamente da 1-2 milioni di stelle. Un gruppo di ricercatori, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Università degli Studi di Bologna e dell’Università dell’Indiana negli USA, ha infatti condotto la prima analisi cinematica 3D (tridimensionale) delle popolazioni stellari multiple per un campione rappresentativo di 16 ammassi globulari nella nostra Galassia, fornendo una descrizione osservativa pionieristica del modo in cui le stelle si muovono al loro interno e della loro evoluzione dall’epoca di formazione fino allo stato presente.

Galleria di immagini dei 16 ammassi globulari analizzati in ordine di differenza delle proprietà cinematiche osservate tra le popolazioni stellari multiple. Crediti: ESA/Hubble - ESO - SDSS
Galleria di immagini dei 16 ammassi globulari analizzati in ordine di differenza delle proprietà cinematiche osservate tra le popolazioni stellari multiple. Crediti: ESA/Hubble – ESO – SDSS

Emanuele Dalessandro, ricercatore presso l’INAF di Bologna, primo autore dell’articolo e coordinatore del gruppo di lavoro spiega:

“La comprensione dei processi fisici alla base della formazione ed evoluzione iniziale degli ammassi globulari è una delle più affascinanti e discusse domande astrofisiche degli ultimi 20-25 anni. I risultati del nostro studio forniscono la prima evidenza concreta che gli ammassi globulari si siano generati attraverso molteplici eventi di formazione stellare e pongono vincoli fondamentali sul percorso dinamico seguito dagli ammassi nel corso della loro evoluzione. Questi risultati sono stati possibili grazie a un approccio multi-diagnostico e alla combinazione di osservazioni e simulazioni dinamiche allo stato dell’arte”.

Lo studio evidenzia che le differenze cinematiche tra le popolazioni multiple sono estremamente utili per comprendere i meccanismi di formazione ed evoluzione di queste antiche strutture.

Con età che possono arrivare a 12-13 miliardi di anni (quindi fino all’alba del Cosmo), gli ammassi globulari sono tra i primi sistemi a essersi formati nell’Universo e rappresentano una popolazione tipica di tutte le galassie.  Sono sistemi compatti – con masse di alcune centinaia di migliaia di masse solari e dimensioni di pochi parsec –  e osservabili anche in galassie lontane.

“La loro rilevanza astrofisica è enorme – afferma Dalessandro – perché non solo ci aiutano a verificare i modelli cosmologici della formazione dell’Universo grazie alla loro età, ma ci offrono anche laboratori naturali per studiare la formazione, l’evoluzione e l’arricchimento chimico delle galassie”.

Nonostante gli ammassi stellari siano stati studiati per oltre un secolo, risultati osservativi recenti dimostrano che la loro conoscenza è ancora incompleta.

“Risultati ottenuti negli ultimi due decenni, hanno inaspettatamente dimostrato che gli ammassi globulari sono composti da più di una popolazione di stelle: una primordiale, con proprietà chimiche simili a quelle di altre stelle nella Galassia, e una con abbondanze chimiche anomale di elementi leggeri quali elio, ossigeno, sodio, azoto”,

dice Mario Cadelano, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Bologna e associato INAF, tra gli autori dello studio.

“Nonostante il gran numero di osservazioni e modelli teorici finalizzati a caratterizzare le proprietà di queste popolazioni, i meccanismi che regolano la loro formazione non sono tutt’ora compresi”.

Il satellite Gaia dell’ESA che mappa le stelle della Via Lattea. Crediti: ESA/ATG medialab; background: ESO/S. Brunier
Il satellite Gaia dell’ESA che mappa le stelle della Via Lattea. Crediti: ESA/ATG medialab; background: ESO/S. Brunier

Lo studio si basa sulla misura delle velocità nelle tre dimensioni, ovvero sulla combinazione di moti propri e velocità radiali, ottenuti dal telescopio dell’ESA Gaia e da dati ottenuti tra gli altri con il telescopio VLT dell’ESO principalmente nell’ambito della survey MIKiS (Multi Instrument Kinematic Survey), una survey spettroscopica specificamente indirizzata all’esplorazione della cinematica interna degli ammassi globulari. L’utilizzo di questi telescopi, dallo spazio e da terra, ha garantito una visione 3D senza precedenti della distribuzione di velocità delle stelle negli ammassi globulari selezionati.

Il Very Large Telescope (VLT) dell'ESO durante alcune osservazioni. Crediti: ESO/S. Brunier
Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO durante alcune osservazioni. Crediti: ESO/S. Brunier

Dalle analisi emerge che le stelle con differenti abbondanze di elementi leggeri sono caratterizzate da proprietà cinematiche differenti, come la velocità di rotazione e la distribuzione delle orbite.

“In questo lavoro abbiamo analizzato nel dettaglio come si muovono all’interno di ogni ammasso migliaia di stelle”, aggiunge Alessandro Della Croce, studente di dottorato presso l’INAF di Bologna. “È risultato subito chiaro che stelle appartenenti a diverse popolazioni sono caratterizzate da proprietà cinematiche differenti: le stelle con composizione chimica anomala tendenzialmente ruotano all’interno dell’ammasso più velocemente delle altre e si diffondono progressivamente dalle regioni centrali verso quelle più esterne”.

L’intensità di queste differenze cinematiche dipende all’età dinamica degli ammassi globulari.

“Questi risultati sono compatibili con l’evoluzione dinamica a ‘lungo termine’ di sistemi stellari in cui le stelle con abbondanze chimiche anomale si formano più centralmente concentrate e più rapidamente rotanti di quelle standard. Ciò di conseguenza suggerisce che gli ammassi globulari si siano generati attraverso eventi multipli di formazione stellare e fornisce un tassello importante nella definizione dei processi fisici e dei tempi-scala alla base della formazione ed evoluzione di ammassi stellari massicci”, sottolinea Dalessandro.

Questa nuova visione tridimensionale del moto delle stelle all’interno degli ammassi globulari fornisce un quadro inedito e affascinante sulla formazione ed evoluzione dinamica di questi sistemi, contribuendo a chiarire alcuni dei misteri più complessi riguardanti l’origine di queste antichissime strutture.


 

Riferimenti Bibliografici:

L’articolo “A 3D view of multiple populations kinematics in Galactic globular clusters”, di  E. Dalessandro, M. Cadelano, A. Della Croce, F. I. Aros, E. B. White, E. Vesperini, C. Fanelli, F. R. Ferraro, B. Lanzoni, S. Leanza, L. Origlia, è stato pubblicato sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

Testo e immagini dagli Uffici Stampa INAF – Istituto Nazionale di Astrofisica e Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna

NGC 1851E, NELLA COSTELLAZIONE DELLA COLOMBA, È IL BUCO NERO PIÙ LEGGERO O LA STELLA DI NEUTRONI PIÙ PESANTE?

Un articolo pubblicato oggi su Science ci svela la presenza di un oggetto dalla natura misteriosa all’interno dell’ammasso globulare NGC 1851, visibile nella costellazione della Colomba a oltre 39 mila anni luce dalla Terra. Di cosa si tratta? Un team internazionale di astronomi, guidato da ricercatori dell’Istituto Max Planck per la Radioastronomia di Bonn e a cui partecipano anche ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Bologna, ha sfruttato la sensibilità delle antenne del radiotelescopio sudafricano MeerKAT per scoprire un oggetto massiccio dalle caratteristiche uniche: è più pesante delle stelle di neutroni più pesanti conosciute e allo stesso tempo è più leggero dei buchi neri più leggeri trovati finora. Altro particolare non di poca rilevanza: l’indagato speciale è in orbita attorno a una pulsar al millisecondo in rapida rotazione. Questa potrebbe essere la prima scoperta del tanto ambito sistema binario radio pulsar – buco nero: una coppia stellare che consentirebbe nuovi test della teoria della relatività generale di Einstein.

Rappresentazione artistica del sistema NGC 1851 partendo dal presupposto che la stella compagna massiccia sia un buco nero. La stella sullo sfondo, la più luminosa, è la sua compagna orbitale, la radio pulsar NGC 1851E. Le due stelle sono separate da 8 milioni di km e ruotano l’una attorno all’altra ogni 7 giorni. Credit: Daniëlle Futselaar (artsource.nl)
Rappresentazione artistica del sistema NGC 1851 partendo dal presupposto che la stella compagna massiccia sia un buco nero. La stella sullo sfondo, la più luminosa, è la sua compagna orbitale, la radio pulsar NGC 1851E. Le due stelle sono separate da 8 milioni di km e ruotano l’una attorno all’altra ogni 7 giorni. Credit: Daniëlle Futselaar (artsource.nl)

Luminose e intermittenti come dei potenti fari cosmici puntati verso la Terra, le pulsar sono stelle di neutroni, ossia i resti compatti (una ventina di chilometri di diametro) ed estremamente densi, derivati da potenti esplosioni di supernova. La teoria mostra che deve esistere una massa massima per una stella di neutroni. Il valore di tale massa massima non è noto con precisione, ma esistono indicazioni sperimentali che almeno fino ad una massa totale pari a circa 2,2 volte la massa del Sole, la stella continua comunque ad essere una stella di neutroni.  D’altro canto, molteplici evidenze osservative indicano che i buchi neri (oggetti così densi e compatti per cui nemmeno la luce può allontanarsi da essi) si formano dal collasso che ha luogo alla fine della evoluzione di stelle molto più massicce di quelle che producono le stelle di neutroni. In questo caso la massa minima osservata finora per il nascente buco nero è circa 5 volte la massa del Sole. Bisogna allora domandarsi quale tipo di oggetto compatto si formi nell’intervallo di masse fra 2,2 e 5 volte la massa del Sole, in quello che i ricercatori chiamano “gap di massa per i buchi neri”: una stella di neutroni estremamente massiccia, un buco nero estremamente leggero o altro? Ad oggi non esiste una risposta chiara.

Nell’ambito delle due collaborazioni internazionali “Transients and Pulsars with MeerKAT” (TRAPUM) e “MeerTime”, gli esperti sono stati in grado prima di rilevare e poi di studiare ripetutamente i deboli impulsi provenienti da una delle stelle dell’ammasso, identificandola come una pulsar radio, un tipo di stella di neutroni che gira molto rapidamente ed emette onde radio nell’Universo come un faro cosmico. Questa pulsar, denominata NGC 1851E (ossia la quinta pulsar nell’ammasso globulare NGC 1851), ruota su se stessa più di 170 volte al secondo, e ogni rotazione produce un impulso ritmico, come il ticchettio di un orologio.

Spiega Ewan Barr, dell’Istituto Max Planck per la Radioastronomia di Bonn e primo autore (assieme alla dottoranda dello stesso istituto Arunima Dutta) dello studio:

“Il ticchettio di questi impulsi è incredibilmente regolare. Osservando come cambiano i tempi dei ticchettii, tramite una tecnica chiamata pulsar timing, siamo stati in grado di effettuare misurazioni estremamente precise del moto orbitale di questo oggetto”.

L’estrema regolarità degli impulsi osservati ha permesso anche una misurazione molto precisa della posizione del sistema, dimostrando – tramite osservazioni col telescopio spaziale Hubble – che l’oggetto in orbita attorno alla pulsar non era una normale stella, bensì un residuo estremamente denso di una stella collassata. Inoltre, il fatto che l’orbita stia progressivamente cambiando l’orientamento rispetto a noi (un effetto chiamato tecnicamente “precessione del periastro” e previsto dalla relatività generale) ha mostrato che la compagna ha una massa che era contemporaneamente più grande di quella di qualsiasi stella di neutroni conosciuta e tuttavia più piccola di quella di qualsiasi buco nero conosciuto, posizionandola esattamente nel gap di massa dei buchi neri.

Le antenne del radiotelescopio MeerKAT, in Sudafrica. Crediti: SARAO
Le antenne del radiotelescopio MeerKAT, in Sudafrica. Crediti: SARAO

Alessandro Ridolfi, primo autore della scoperta di NGC 1851E (conosciuta anche col nome alternativo PSR J0514-4002E), nel 2022, co-autore della pubblicazione su Science, nonché postdoc presso l’INAF di Cagliari, sottolinea:

“Sin dalle prime osservazioni successive alla scoperta, questo sistema binario mostrava caratteristiche peculiari, in particolare per quanto riguarda l’elevata massa della stella compagna. Ulteriori osservazioni hanno evidenziato che si trattava addirittura di un sistema unico, con una stella compagna avente una massa in quella che per ora è la “terra di nessuno” per gli oggetti compatti, ovverosia quell’intervallo di masse per le quali la teoria non è oggi in grado di stabilire se si abbia a che fare con un buco nero leggero o una stella di neutroni pesante”.

Ridolfi è uno dei vincitori del bando “Astrofit-INAF” e lavora alla ricerca di nuove pulsar esotiche ospitate in ammassi globulari.

Potenziale storia della formazione della radiopulsar NGC 1851E e della sua stella compagna. Crediti: Thomas Tauris (Aalborg University / MPIfR)
Potenziale storia della formazione della radiopulsar NGC 1851E e della sua stella compagna. Crediti: Thomas Tauris (Aalborg University / MPIfR)

Cristina Pallanca, ricercatrice al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, prosegue:

“Se si rivelerà essere un buco nero, avremo individuato il primo sistema binario composto da una pulsar e un buco nero, una sorta di Santo Graal dell’astronomia. Grazie ad esso avremo un’opportunità senza precedenti per testare con altissima precisione la teoria della relatività generale di Albert Einstein e, di conseguenza, per comprendere meglio le proprietà fisiche dei buchi neri”.

E aggiunge Marta Burgay, un’altra ricercatrice di INAF-Cagliari coinvolta nel progetto:

“Se invece si trattasse di una stella di neutroni, la sua massa elevata imporrà nuovi vincoli alla natura delle forze nucleari, vincoli che non si possono ottenere con nessun esperimento di laboratorio”.

Il sistema si trova nell’ammasso globulare NGC 1851, un denso insieme di vecchie stelle molto più fitte rispetto alle stelle del resto della Galassia. Mario Cadelano, ricercatore al Dipartimento di Fisica e Astronomia “Augusto Righi” dell’Università di Bologna, lo descrive:

“Un sistema binario così non poteva che crearsi in un ambiente altrettanto straordinario: l’ammasso globulare NGC 1851 è un insieme di centinaia di migliaia di stelle mantenute unite dalla loro stessa forza di gravità, formatosi circa 13 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva appena 800 mila anni e la nostra Galassia stava attraversando le prime fasi di formazione. All’interno degli ammassi globulari, le stelle interagiscono continuamente durante il corso della loro vita: si scambiano energia, collidono, si uniscono in nuovi sistemi binari e così via. Il nucleo di NGC 1851 è dinamicamente molto attivo, anche più rispetto a quello di altri ammassi globulari, e questo ha favorito la formazione del sistema binario unico nel suo genere che abbiamo scoperto”.

Le regioni centrali di NGC 1851 sono così affollate che le stelle possono interagire tra loro, sconvolgendo le loro orbite e nei casi più estremi scontrandosi. Si ritiene che sia stata una di queste collisioni tra due stelle di neutroni a creare l’oggetto massiccio che ora orbita attorno alla radio pulsar. Tuttavia, prima che venisse creata l’attuale binaria, la radio pulsar deve aver acquisito materiale da un’altra stella in una cosiddetta binaria a raggi X di piccola massa. Un tale processo di “riciclaggio” è necessario per riportare la pulsar alla velocità di rotazione attuale.

La scoperta di questo oggetto misterioso mette in luce le potenzialità degli strumenti utilizzati in questa survey e delle antenne che arriveranno nel futuro. Andrea Possenti, ricercatore anch’egli presso la sede sarda dell’INAF, commenta:

“Questa scoperta è l’apice degli studi finora condotti, grazie al sensibilissimo telescopio MeerKAT, sulle pulsar negli ammassi globulari, un campo di ricerca dove INAF, tramite il gruppo di Cagliari, ricopre dall’inizio un ruolo primario. Ruolo importante sia sul fronte della ricerca di nuove pulsar, 87 quelle scoperte fino ad oggi con il solo radiotelescopio sudafricano, sia ai fini dello studio di quelle note. Il bello è che c’è ancora tanto da scoprire in questi densi sistemi stellari, sia con le osservazioni a MeerKAT, sia, ancor più, con l’avvento del rivoluzionario radiotelescopio SKA. Senza contare – conclude Possenti – che collisioni fra stelle di neutroni come quella ipotizzata per spiegare l’origine di questo sistema potrebbero costituire ulteriori eventi, rari ma di grande interesse, per telescopi per onde gravitazionali, come Virgo, Ligo e il futuro Einstein Telescope”.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “A pulsar in a binary with a compact object in the mass gap between neutron stars and black holes”, di  E. Barr, Arunima Dutta, Paulo C. C. Freire, Mario Cadelano, Tasha Gautam, Michael Kramer, Cristina Pallanca, Scott M. Ransom, Alessandro Ridolfi, Benjamin W. Stappers, Thomas M. Tauris, Vivek Venkatraman Krishnan, Norbert Wex, Matthew Bailes, Jan Behrend, Sarah Buchner, Marta Burgay, Weiwei Chen, David J. Champion, C.-H. Rosie Chen, Alessandro Corongiu, Marisa Geyer, Y. P. Men, Prajwal V. Padmanabh, Andrea Possenti, è stato pubblicato sulla rivista Science.

 

 

Testo e immagini dagli Uffici Stampa INAF e Alma Mater Studiorum – Università di Bologna