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CIPROMED, IL PROGETTO DI UTILIZZO CIRCOLARE E INCLUSIVO DELLE PROTEINE ALTERNATIVE NELL’AREA MEDITERRANEA

La siccità e i deficit ecologici stanno peggiorando l’autosufficienza delle filiere proteiche tradizionali. L’iniziativa mira a ridurre il rischio per i Paesi del Mediterraneo di dipendere dalle fonti proteiche importate.

Il team del progetto CIPROMED
Il team del progetto CIPROMED

Il 5 e 6 giugno si è svolto il kickoff meeting del progetto “CIPROMED- Circular and Inclusive utilisation of alternative PROteins in the MEDiterranean value chains”, finanziato dal programma di ricerca congiunto PRIMA. Il progetto, di durata triennale (giugno 2023 – giugno 2026), vede la partecipazione di ricercatori italiani dell’Università degli Studi di Torino del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) e del Dipartimento di Scienze Veterinarie (DSV).

Il progetto, coordinato dall’Università di Thessaly (Grecia), vede la partecipazione di 17 partner appartenenti a 10 paesi diversi. Il budget totale del progetto è pari a € 4.738.918,81€, di cui 350.354,69€ destinati a UniTo. Il referente scientifico per l’Ateneo torinese è la professoressa Laura Gasco.

Gli attuali sistemi di produzione agricola europei sono fortemente dipendenti dalle importazioni di proteine per coprire il fabbisogno nutrizionale dell’acquacoltura e dell’allevamento, ma anche per il consumo umano. Questa problematica interessa in particolar modo la regione mediterranea, dove la siccità e i deficit ecologici stanno peggiorando l’autosufficienza delle filiere proteiche tradizionali. L’UE ha urgentemente bisogno di fonti proteiche alternative efficienti, praticabili e prodotte localmente.

La maggior parte dei sistemi agricoli produce un’enorme quantità di sottoprodotti e scarti agroalimentari. Si stima che ogni anno vada perso il 27% della nostra produzione agricola, che corrisponde a 1,6 miliardi di tonnellate su base globale, per un valore di 750 miliardi di dollari all’anno. Allo stesso modo, un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano va perso o sprecato. Queste perdite rappresentano un grande risorse non sfruttate e sottovalutate.

L’obiettivo principale del progetto CIPROMED è quello di aumentare la stabilità e la resilienza dei sistemi di produzione agroalimentare del Mediterraneo attraverso lo sfruttamento diretto delle colture tradizionali prodotte localmente, nonché valorizzando le proteine dei prodotti secondari agroindustriali generati a livello locale (ad esempio, i cereali esausti dei produttori di birra o i panelli di semi oleosi), l’upcycling e la bioconversione dei loro residui di estrazione in proteine prodotte da insetti, legumi e microrganismi da utilizzare ulteriormente nei settori agroalimentare e dei mangimi.

CIPROMED utilizzerà un approccio multi-soggettivo, in cui insetti e microalghe saranno prodotti sfruttando i residui agroindustriali e i flussi secondari di estrazione come substrati, applicando tecniche di allevamento e coltivazione innovative per ottenere rese proteiche più elevate. Per chiudere il cerchio, gli scarti di allevamento (denominati “frass”) degli insetti saranno utilizzate come fertilizzante per la produzione di legumi (lupini e fave). Ingredienti proteici di alta qualità da residui agroindustriali, insetti, legumi e microalghe saranno estratti per applicazioni alimentari e mangimistiche attraverso processi di estrazione sostenibili dal punto di vista economico e ambientale.

Per raggiungere la circolarità, i residui generati dai processi di estrazione saranno integrati nelle diete formulate per l’allevamento degli insetti e la coltivazione eterotrofa delle microalghe, riducendo al minimo le quantità residue. La fermentazione microbica sarà utilizzata per migliorare la gamma, la stabilità e la funzionalità salutistica delle nuove proteine. Tutti gli ingredienti proteici saranno completamente caratterizzati, in termini di valore nutrizionale, proprietà funzionali, biologiche e di sicurezza. Sulla base dei risultati ottenuti, verranno formulati e convalidati nuovi prototipi di alimenti e mangimi contenenti i nuovi ingredienti proteici, utilizzando tecnologie di lavorazione avanzate e ottimizzate.

CIPROMED mira a ridurre il rischio per i Paesi del Mediterraneo di dipendere dalle fonti proteiche importate e aiuterà i Paesi partecipanti a fare maggiore affidamento sulle fonti di nutrimento prodotte localmente. La sfida sarà adattare la produzione di nuove proteine alle condizioni uniche del Mediterraneo, creando un nuovo sistema di produzione di proteine socio-economicamente fattibile e sostenibile dal punto di vista ambientale.

CIPROMED cercherà di raccogliere le percezioni/preferenze dei consumatori sui nuovi tipi di alimenti e mangimi nella regione mediterranea, tenendo conto anche delle peculiarità religiose e delle differenze demografiche di ciascun Paese partecipante. A differenza dell’agricoltura convenzionale, la produzione delle più comuni specie di insetti e di microalghe eterotrofe allevate a livello commerciale su mangimi di sottoprodotti è caratterizzata da emissioni di gas a effetto serra notevolmente ridotte (30-50% in meno), avendo quindi un minore impatto ambientale e un contributo al riscaldamento globale.

CIPROMED si concentrerà sul miglioramento della salute umana attraverso la progettazione e la valutazione di diete alternative a base di proteine che mireranno ai sistemi metabolici e immunitari e promuoveranno la salute umana. I Paesi mediterranei dovranno passare a sistemi agricoli con un uso più efficiente delle risorse naturali.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

CLIMA DI FINE SECOLO E AGRICOLTURA “EROICA” 

Studio dell’Università di Padova dimostra che tra tre generazioni il cambiamento climatico provocherà un’espansione di zone a clima arido con condizioni di scarsità idrica.

Penalizzati saranno i paesaggi agricoli in forte pendenza, luoghi di agricoltura eroica e di grande valore storico culturale.

Clima di fine secolo e agricoltura “eroica”: coltivazione di arancio su terrazzamenti in aree ad alta pendenza a Valencia (Spagna)

Pubblicata su «Nature Food» la ricerca dal titolo “Future climate-zone shifts are threatening steep-slope agriculture”, coordinata dal Professor Paolo Tarolli del Dipartimento di Territorio e Sistemi Agro-Forestali dell’Università di Padova, in cui si mostra quale sarà l’impatto del cambiamento climatico sulle aree agricole a forte pendenza alla fine del secolo. Lo studio è basato sulla proiezione delle zone climatiche attuali (1980-2016) a fine secolo (2071-2100) secondo lo scenario di concentrazione di gas serra RCP8.5, ovvero senza l’adozione di iniziative a favore della protezione del clima e, pertanto, con crescita delle emissioni ai ritmi attuali. Sono stati utilizzati dati satellitari e territoriali open-access, analizzati tramite la piattaforma online Google Earth Engine, in modo che la metodologia possa essere replicata non solo da scienziati, ma anche da operatori del settore agricolo ed enti per la gestione del territorio.

clima agricoltura eroica
Paolo Tarolli

«In questo lavoro abbiamo prodotto una mappa globale ad alta risoluzione dei paesaggi agricoli collinari e di montagna, analizzando la loro distribuzione nelle zone climatiche attuali (tropicale, arido, temperato, freddo, polare) e nelle proiezioni climatiche future – spiega il Professor Paolo Tarolli –. La nostra analisi dimostra che le aree agricole in forte pendenza sono significativamente più minacciate dal cambiamento climatico rispetto alla media della superficie agricola globale, in particolare vi sarà un’espansione di zone a clima arido, quindi di condizioni di scarsità idrica».

clima agricoltura eroica
Mappa globale ad alta risoluzione dei paesaggi agricoli di collina e montagna, con indicati i relativi siti patrimonio dell’umanità UNESCO e patrimonio agricolo globale GIAHS (FAO)

I sistemi agricoli in aree a forte pendenza, sebbene rappresentino una frazione ridotta della superficie agricola globale, sono di grande rilevanza per diversi aspetti. La loro importanza agronomica, così come il valore storico e culturale che li contraddistingue, sono ampiamente riconosciuti dalle Nazioni Unite e protetti con iniziative come i siti patrimonio dell’umanità UNESCO e patrimonio agricolo globale GIAHS (FAO). Le coltivazioni in pendenza sono soprattutto concentrate in Messico, Italia, Etiopia e Cina: si tratta di colture di altissima “specializzazione”. Tra gli esempi si possono citare le aree terrazzate Honghe Hani nella provincia cinese dello Yunnan, gestite dalle minoranze Hani da oltre 1300 anni, le quali producono 48 varietà di riso, dando vita ad un habitat ideale anche per l’allevamento di bovini, anatre e pesci, in un’ottica di economia circolare, oppure, in Italia, la viticoltura eroica sulle colline del Prosecco e del Soave.

Sul totale, l’agricoltura in forte pendenza si trova principalmente in zone climatiche temperate (46%) e fredde (28%): insieme, esse ospitano quasi tre quarti di questi paesaggi. Le coltivazioni in aree in pendenza delle regioni tropicali sono pari al 17%, nelle aride al 9% e in quelle polari arrivano all’1%, coprendo insieme il restante quarto del totale. Il cambiamento climatico rappresenterà una seria minaccia per tutta l’agricoltura e i sistemi rurali, con un impatto su raccolti e prezzi alimentari. In particolare, esso provocherà una variazione nell’estensione delle aree climatiche globali, con ripercussioni significative sui versanti agricoli in forte pendenza.

«Tra ottant’anni, secondo le proiezioni del nostro studio, la percentuale dei terreni agricoli di collina e montagna delle zone tropicali saliranno al 27% e quelle aride al 16%: sostanzialmente raddoppieranno rispetto alla situazione attuale. All’opposto, nelle regioni fredde si osserverà una riduzione di terreni agricoli di collina e montagna dall’attuale 28% al 13%, mentre in quelle temperate si passerà dal 46% al 44% – sottolinea Paolo Tarolli –. In sole tre generazioni quindi aree agricole più estese saranno interessate da un clima più caldo che comporterà un calo della disponibilità di acqua per l’irrigazione e la produzione alimentare. La nostra ricerca dimostra che le aree agricole in forte pendenza, spesso caratterizzate da un’alta specializzazione nella gestione dell’acqua derivante da antichi saperi tradizionali, saranno quelle maggiormente minacciate dal cambiamento climatico, soprattutto dalla siccità. Data l’urgente necessità di garantire una produzione alimentare sostenibile e per tutti riteniamo che i governi e le istituzioni debbano investire di più nell’identificazione e mitigazione degli effetti del cambiamento climatico in agricoltura. In particolare il nostro studio – conclude Tarolli – evidenzia la necessità di azioni atte a migliorare, specie per i paesaggi agricoli collinari e montani, la resilienza al cambiamento climatico previsto nei prossimi decenni, al fine di preservare il loro ruolo nella produzione alimentare, reddito, valore storico e culturale, e servizi ecosistemici».

Link alla ricerca: 10.1038/s43016-021-00454-y oppure https://rdcu.be/cGZ1M

Titolo: “Future climate-zone shifts are threatening steep-slope agriculture” – «Nature Food» 2022

Autori: Wendi Wang, Anton Pijl & Paolo Tarolli*

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova. sullo studio relativo a clima di fine secolo e agricoltura “eroica”.