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A.O.U. Città della Salute e della Scienza

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CAMBIAMENTO CLIMATICO: QUALI I RISCHI PER LA SALUTE INFANTILE

 Pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Environment International una nuova ricerca che evidenzia i possibili effetti cronici dell’esposizione a eventi estremi legati al cambiamento climatico sulla salute respiratoria nella prima infanzia.

I cambiamenti climatici causati dalle attività antropiche influenzano la frequenza e l’intensità di eventi estremi. Fenomeni come ondate di calore, siccità, inondazioni e incendi hanno potenziali conseguenze sulla salute delle persone e sono collegati a un rischio più elevato di mortalità, lesioni acute e ricoveri ospedalieri nei giorni e anche nelle settimane successive al loro verificarsi.

I risultati dello studio “Exposure to climate change-related extreme events in the first year of life and occurrence of infant wheezing”, pubblicato sulla rivista Enviroment International e condotto da un team di ricerca dell’Università di Torino e dell’Unità di Epidemiologia AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, suggeriscono che il cambiamento climatico abbia un impatto sulla salute sin dalle primissime fasi della crescita, mettendo in evidenza la necessità di misure di mitigazione e adattamento al clima per proteggere non solo le future generazioni, ma anche per tutelare la salute delle attuali fasce di popolazione più fragili, come i bambini e le bambine nei primi anni di vita.

Condotta nell’ambito del progetto NINFEA, la più grande coorte italiana arruolata tramite Internet  che raccoglie dal 2005 dati su più di 7000 coppie di mamme e bambini sull’intero territorio italiano, la ricerca ha riscontrato un aumento del rischio di fischi e sibili al torace associato all’esposizione a siccità estrema e ondate di calore durante il primo anno di vita. A differenza di studi precedenti, focalizzati sugli effetti acuti degli eventi estremi, questo lavoro mette in rilievo gli effetti cronici che si manifestano già nelle prime fasi dello sviluppo e sono associati all’esposizione ripetuta durante il primo anno di vita.

Il campione della ricerca è composto da circa 6000 bambini per i quali si dispone di informazioni sull’insorgenza di fischi e sibili al torace tra 6 e 18 mesi. La comparsa di questi episodi durante l’infanzia è considerata un indicatore di alterata salute respiratoria in età successive. Combinando gli indirizzi di residenza geocodificati dei partecipanti allo studio con i dati climatici, sono state ricavate informazioni sulla loro esposizione, durante il primo anno di vita, a diversi tipi di eventi estremi. L’esposizione agli eventi estremi è stata messa in relazione alla salute respiratoria tenendo conto di multipli fattori (socioeconomici, ambientali, ecc.).

“I risultati di questo studio – spiega Silvia Maritano, prima autrice dell’articolo e ricercatrice del dell’Università di Torino presso l’Unità di Epidemiologia AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – sottolineano l’importanza di considerare le conseguenze del cambiamento climatico come potenziali determinanti di patologie croniche in ottica longitudinale. Questo lavoro apre la strada a nuove ricerche sui rischi a lungo termine del cambiamento climatico, mettendo in luce l’urgente necessità di politiche congiunte di mitigazione e prevenzione volte a ridurre l’esposizione ai fenomeni meteorologici estremi fin dalle prime fasi di vita delle persone”.

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Su Environment International una nuova ricerca sui possibili effetti cronici dell’esposizione a eventi estremi legati al cambiamento climatico sulla salute respiratoria infantile. Foto di Lisa Runnels

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

COVID-19, RISULTATI STUDIO SIEROLOGICO SU 10 MILA DIPENDENTI CITTÀ DELLA SALUTE E UNITO: DAI VACCINI RISPOSTA DI LUNGA DURATA

L’indagine si è svolta in due fasi, la seconda ha evidenziato come la positività al test sierologico sia presente nella quasi totalità dei soggetti vaccinati (99,8%) e come la persistenza di una risposta cellulare complessiva sia superiore al 70% a 8 mesi di distanza dalla vaccinazione.

sierologico 10 mila vaccini
COVID-19, risultati studio sierologico su 10 mila dipendenti Città della Salute e UniTo. Foto di Lela Maffie

Oggi, martedì 15 febbraio, sono stati presentati i risultati dello studio sierologico “Ricerca di IgG specifiche per SARS-CoV-2 nel Personale dell’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino e dell’Università degli Studi di Torino e valutazione della risposta immunitaria post-vaccinazione anti-COVID 19”.

Sono intervenuti, introducendo lo studio, il Dott. Giovanni La Valle e il Dott. Lorenzo Angelone, rispettivamente Direttore generale e Direttore sanitario dell’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino, il Dott. Antonio Scarmozzino, Direttore Dipartimento Qualità e Sicurezza delle cure, la Prof.ssa Paola Cassoni, Direttrice Dipartimento Medicina di Laboratorio, la Prof.ssa Rossana Cavallo, Direttrice S.C. Microbiologia Virologia U, P.I. (Principal Investigator) dello studio. E, successivamente, presentando specifici risultati dello studio: la Dott.ssa Gitana Scozzari, S.C. Direzione Sanitaria P.O. Molinette, Disegno dello Studio di coorte: obiettivi, fasi e metodi; il Dott. Giovannino Ciccone, S.S.D. Epidemiologia Clinica e Valutativa, Risultati della fase pre-vaccinale: sieroprevalenza; la Dott.ssa Enrica Migliore, S.S.D. Epidemiologia Clinica e Valutativa, Risultati della fase post-vaccinale: risposta sierologica; la Prof.ssa Cristina Costa, S.C. Microbiologia Virologia U Risultati della fase post-vaccinale: analisi di immunità cellulare; il Prof. Antonio Amoroso, S.C. Immunogenetica e Biologia dei Trapianti U, Risultati della fase post-vaccinale: analisi delle frequenze HLA; il Dott. Maurizio Coggiola, S.C. Medicina del Lavoro U, Rischio Occupazionale Ospedaliero Dati di Sorveglianza Sanitaria.

Lo studio è stato progettato dall’A.O.U. Città della Salute e della Scienza di Torino (CSS), a partire dal mese di aprile 2020, ed è stato successivamente esteso ai dipendenti dell’Università degli Studi di TorinoVi hanno preso parte 10 mila persone che, su base volontaria, hanno aderito allo studio. I risultati della prima fase sono stati pubblicati sulla rivista Viruses.

La prima fase, condotta tra maggio e agosto 2020, ha avuto l’obiettivo di stimare la proporzione di soggetti entrati in contatto con il virus SARS-CoV-2 durante la prima ondata pandemica. Tra i dipendenti CSS la prevalenza di positivi al test è risultata pari al 7,6%; tra quelli di UniTo pari al 3,3%, un valore simile a quello stimato nella popolazione generale del Piemonte nell’indagine condotta dall’Istat a maggio 2020.

Questi risultati hanno documentato che i dipendenti del comparto sanità hanno avuto, almeno durante i primi mesi della pandemia, un rischio aumentato di contrarre l’infezione rispetto al resto della popolazione e hanno confermato l’importanza della precoce adozione di idonee misure preventive (incluso l’uso standardizzato di adeguati dispositivi di protezione individuale) per il contenimento della diffusione dell’infezione, spesso asintomatica, tra gli operatori sanitari.

La seconda fase dello studio, condotta a maggio 2021, aveva come obiettivo principale la valutazione della risposta immunitaria alla vaccinazione anti-Covid, misurata su tutta la coorte attraverso la positività al test sierologico, e, su un sottocampione di 419 soggetti, anche attraverso indagini di immunità cellulare. L’indagine ha evidenziato che la positività al test sierologico (ovvero la presenza di livelli di anticorpi circolanti superiori a 33.8 BAU/mL) era presente nella quasi totalità dei soggetti vaccinati (99,8%).

In corrispondenza con la seconda fase dello studio, sono stati effettuati due specifici approfondimenti di indagine, condotti su un campione di 419 dipendenti CSS selezionati casualmente tra i partecipanti alla seconda fase dello studio.  Il primo approfondimento è stato mirato a valutare la risposta immunitaria cellulare SARS-CoV-2 specifica, rilevata nel periodo tra luglio e ottobre 2021. È noto che la risposta immunitaria a un agente infettivo virale, oltre che attraverso la produzione di specifici anticorpi circolanti, avvenga attraverso l’attivazione di particolari cellule (Linfociti T), e alcuni dati preliminari sembrano suggerire che la risposta immunitaria cellulare contro il SARS-CoV-2 sia di lunga durata. I primi risultati osservati nello Studio suggeriscono la persistenza di una risposta cellulare complessiva superiore al 70% a 8 mesi di distanza dalla vaccinazione.

Il secondo approfondimento è stato, invece, finalizzato a valutare se la diversa risposta individuale al vaccino potesse essere messa anche in relazione alla variabilità genetica individuale. Ogni individuo presenta, infatti, una variabilità in circa l’1% delle lettere del Dna, che lo fanno unico e differente dagli altri. Questa variabilità genetica spiega anche come la nostra risposta immunitaria abbia un’efficacia diversa. Di tutte le caratteristiche genetiche scritte nel genoma (e sono circa 23.000) i ricercatori si sono concentrati su un gruppo di geni – HLA, Human Leucocyte Antigens – che consentono di costruire alcune molecole espresse sulle nostre cellule, comprese quelle del nostro sistema immunitario. Queste ultime hanno il compito di proteggerci dagli intrusi, attivando la risposta degli anticorpi contro i bersagli estranei (ad esempio virus, batteri e vaccini). Quale sia il bersaglio, lo definiscono proprio le molecole HLA, e quindi la variabilità di queste molecole ci aiutano a capire la diversità che osserviamo nella popolazione in relazione alla quota di anticorpi prodotti contro il virus a seguito della vaccinazione. L’approfondimento ha mostrato come alcune varianti siano più di frequenti in coloro che hanno dimostrato una più bassa produzione di anticorpi rispetto a coloro in grado di sviluppare una risposta anticorpale più consistente.

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino