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La scienza dei cosmetici di Beatrice Mautino, edito da Gribaudo – commento e recensione

Clicca qui per il commento a cura di Carmen Troiano
Clicca qui per l’intervista a Beatrice Mautino, a cura di Carmen Troiano

la copertina del libro La scienza dei cosmetici di Beatrice Mautino, edito da Gribaudo (2023) nella collana Straordinariamente. Immagine composta da Carmen Troiano


commento al libro, a cura di Carmen Troiano

Il testo “La scienza dei cosmetici” di Beatrice Mautino guida il cittadino-consumatore nella scelta consapevole e accurata dei prodotti cosmetici più idonei. Ma non solo: è un manuale pronto all’uso che vi chiarirà anche come sono fatte e come funzionano alcune parti del nostro corpo.

Luglio. Mare. Sole. Tanto Sole. “E tu l’hai messa la protezione solare?”.

Il testo “La scienza dei cosmetici”, edito da Gribaudo, risponde alle domande che ci poniamo quotidianamente sui cosmetici: a cosa serve quel prodotto? Qual è la differenza tra l’uno e l’altro? Perché dovrei usarlo? Il merito del volume è quello di rivelare fatti, curiosità e principi scientifici della cosmesi. Le informazioni presenti nel libro potrebbero aiutarci a discernere tra i vari prodotti che il marketing propone ogni giorno; a fare scelte più mirate e adatte alle esigenze personali; a rassicurare chi teme che tutto ciò che non sia “naturale” faccia male.

Deodorante o anti-traspirante. Spray. Roll-on. Stick. Crema. “Ma non sono tutti uguali?!”

Gli argomenti sono divisi in tredici sezioni, ciascuna delle quali inerente una categoria di prodotti cosmetici. Dopo una breve introduzione per contestualizzare il prodotto, vi sono brevi paragrafi esplicativi, box di approfondimento sulla composizione chimica e per imparare a leggere l’etichetta. In più, il volume è arricchito da numerosissimi box che vi forniranno la risposta pronta all’ennesima notizia falsa o leggenda riguardante la cosmesi. Molto interessante, e sempre al fine di una corretta lettura delle etichette, come l’autrice mostri i giochi di parole delle industrie del settore, al fine di creare un bisogno nel consumatore e parallelamente essere a posto con la normativa. Infine, è un libro che rassicura il lettore spiegando quali sono le quantità ammesse dei principali componenti di prodotti di uso comune; le motivazioni dei limiti imposti dalla legge; indica gli organi, forse sconosciuti ai più, che quotidianamente si occupano di garantire al cittadino la sicurezza del prodotto.

Anche tu la pelle a buccia d’arancia! La cellulite è una malattia?

Beatrice Mautino non è solo stata capace di trasmettere buoni consigli e prassi da seguire dalla skincare allo shampoo, ma ha mostrato anche come procede la scienza, ha trasmesso i contenuti con una ragguardevole attenzione per il lessico idoneo. Il tutto condito con una sottile ironia che rende piacevole la lettura, accompagnata da grafiche pop: dirette, chiare e semplici (non facili!). Non mancano aneddoti personali, racconti di storia della scienza, analogie e metafore. La lettura di questo libro vi consentirà di essere anche più critici nella scelta dei prodotti.

Anche con questo libro, Beatrice Mautino mostra di essere una fine divulgatrice scientifica, probabilmente capace di estirpare dalla radice le convinzioni errate sulla skincare e il make-up di amiche e amici ostinati.

Immagine di pmv chamara


Intervista a Beatrice Mautino, a cura di Carmen Troiano

La prima domanda riguarda la skincare. Nelle giovani generazioni c’è un’attenzione rigorosa per i trattamenti per la pelle. Nel libro sottolinea più volte come la pelle abbia caratteristiche ed esigenze specifiche a seconda dell’età, del sesso, dello stato di salute, ecc.
C’è un’età a partire dalla quale si può iniziare davvero a parlare di skincare? Vi sono raccomandazioni che darebbe ai genitori di teenager?

L’attenzione delle giovani generazioni verso la skincare è un tema complesso, anche perché non esiste una definizione rigorosa di skincare. Per alcuni consiste nel lavare il viso e applicare magari una crema idratante, per altri la parola skincare è associata a protocolli molto complicati da seguire costituiti da diversi prodotti da usare in combinazioni specifiche. Quindi è difficile stabilire un limite di età. Diciamo che sicuramente una persona molto giovane non ha bisogno di un prodotto antirughe, ma per il resto è difficile mettere paletti. L’elemento che può essere più preoccupante di un eventuale aumento della diffusione nelle fasce più giovani non è tanto legato agli effetti di questi prodotti sulla pelle o sulla salute, visto che le regole dell’Unione Europea impongono la sicurezza per tutte le fasce d’età. Il vero tema è di tipo psicologico e di accettazione di sé. Il marketing delle aziende cosmetiche gioca da sempre sull’insicurezza e sulla creazione di aspettative irrealistiche. Ci siamo dentro tutte e tutti, ma finché siamo adulti possiamo gestircela. Quando questi messaggi arrivano a persone molto giovani, possono creare danni che vanno al di là del brufolo. Quindi, quello che credo si possa fare è parlarne, fare informazione, mostrare le storture, ma accogliere la passione di tante e tanti giovani per i cosmetici rispondendo a domande e mostrando, come cerco di fare io, la scienza che ne è alla base.

L’etichetta rappresenta il mezzo attraverso il quale le informazioni sul prodotto giungono al consumatore: devono essere precise ed esaurienti per consentire una scelta consapevole. Ci sono aspetti riguardanti le caratteristiche, la funzione o i limiti del prodotto non menzionati che ritiene siano da rafforzare, a livello normativo, per tutelare ulteriormente gli utilizzatori finali?

Le norme europee che regolano la sicurezza dei cosmetici sono già molto avanzate e severe e credo che non si possa fare di più. Il fronte su cui sono più carenti è quello relativo alla comunicazione del prodotto, dove le regole sono molto meno rigide. Non credo, però, che questa cosa si possa risolvere con una legge. C’è bisogno di una presa di coscienza collettiva da parte delle aziende, perlomeno delle più grandi, per far sì che vi sia più chiarezza e trasparenza.

A me piacerebbe, per esempio, che le etichette fossero più descrittive; quindi, che ci fosse un racconto delle funzioni degli ingredienti, oppure che le aziende raccontassero meglio il proprio impegno in termini di riduzione dell’impatto ambientale. Vorrei poi vedere un po’ meno “scientifichese” nelle pubblicità, perché non ne possiamo più di ingredienti che “penetrano in profondità” e di prodotti basati sulla “tecnologia quantistica”. E mi piacerebbe che venisse applicato il regolamento che vieta l’uso della dicitura “senza” che ha la sola funzione di denigrare ingredienti autorizzati, quindi sicuri.

Crema solare, non solo al mare! Quanta, quando e come sono le domande più inflazionate quando si parla di protezione solare. Secondo il rapporto “I numeri del cancro 2024”, tra i maschi è stato superiore alle aspettative il numero di morti per melanoma (1.256 in più, quasi il 10%) e anche tra le donne (629 morti in più, quasi il 7%).
A suo parere, come è possibile iniziare a comprendere e contestualizzare questi numeri?

Cerco di non dare opinioni su fenomeni che necessitano di dati per essere spiegati. La risposta vera è che al momento non sappiamo perché sono aumentate le morti da melanoma. Quello che posso dire nel merito dei cosmetici è che c’è molta confusione proprio su quelle domande “inflazionate”. Per quanto se ne parli molto, ogni volta che faccio un incontro pubblico e racconto di quanta crema solare si debba mettere per essere protetti trovo persone stupite e incredule. Ecco, se avessi io il potere di scrivere le etichette dei prodotti cosmetici scriverei bello in grosso su tutte le creme solari le quantità necessarie da mettere e le frequenze. Magari mettendo anche dei segni sulla confezione per rendere la vita facile a chi la deve usare. Abbiamo i minuti di cottura sulla pasta, i segni ogni tot grammi sui panetti di burro. Forse siamo pronti anche per avere delle indicazioni chiare sulle creme solari.

Dentifrici e collutori sono presidi per la pulizia e salute orale dai molteplici compiti: i primi contribuiscono ad eliminare i batteri presenti sulla superficie dei denti e aiutano a proteggere lo smalto dentale; i secondi, a meno che non contengano un farmaco, e in tal caso sono prescritti dal dentista, rendono gradevole il sapore che si ha in bocca dopo le manovre di igiene orale. Non è inusuale di imbattersi anche qui nell’ennesimo prodotto fai-da-te.
Quali sono i principali rischi di una produzione fai-da-te di prodotti per l’igiene orale? Quale ruolo ha la comunicazione nella cosmesi “industriale” e in quella “naturale”?

Uno dei pericoli maggiori del fai da te è legato alla sicurezza dei prodotti e vale per i dentifrici come per le creme. Quando produciamo un cosmetico stiamo facendo avvenire delle reazioni chimiche che possono sviluppare sostanze tossiche o dannose. Nel caso dei dentifrici casalinghi, uno degli errori classici è quello di usare il bicarbonato, con l’idea che “sbianchi”. Il bicarbonato è un ingrediente abrasivo che può essere usato per la produzione di dentifrici industriali, ma in quel caso ha una concentrazione e una granulosità che non danneggiano lo smalto. Nelle versioni casalinghe, invece, il danno è pressoché assicurato. Discorsi analoghi si possono fare per quasi tutti gli altri cosmetici fatti in casa. Sono discorsi difficili da fare, perché c’è l’idea che una cosa fatta da sé sia più sicura di una cosa industriale. Invece è esattamente l’opposto. Su questo aspetto, la comunicazione gioca un ruolo fondamentale, perché il marketing dei prodotti percepiti come naturali ha battuto per decenni sui rischi della “chimica” e sul mito del prodotto “semplice”.

Ritorniamo a parlare di comunicazione: come fare a non perdere la bussola sui social network? Quali sono i principali consigli per scampare dalle fake news inerenti la cosmesi?

Uno degli obiettivi principali del mio lavoro consiste nell’aiutare chi mi segue a sviluppare uno spirito critico che permetta di analizzare e non subire passivamente la pubblicità e le informazioni che circolano. Questo significa mettere in discussione le affermazioni, cercare prove a supporto e non accettare tutto ciò che viene detto come verità assoluta.  Bisogna poi imparare a prestare attenzione ai messaggi allarmistici e al marketing del “senza”, che spesso creano paure infondate e promuovono prodotti screditando ingredienti sicuri

Esaminare le affermazioni sulla qualità di un prodotto, i cosiddetti “claim”, essendo consapevoli che molte di queste affermazioni possono essere esagerate o ingannevoli.

Imparare a riconoscere le strutture e le strategie utilizzate nella pubblicità per indurre all’acquisto ed essere consapevoli che le più diffuse consistono nel creare problemi o bisogni inesistenti per poi offrire il prodotto come soluzione.

Prendere atto che la pubblicità assume forme sempre meno evidenti. Se  fino a qualche tempo fa era facile riconoscerle perché confinate agli spot televisivi o ai cartelloni in giro per le città, adesso si presentano nella forma di un consiglio di una persona come noi o, purtroppo, anche in una persona che indossa un camice e sembra autorevole.

E poi, non aver paura di chiedere. Alle aziende stesse, per chiedere conto di qualche affermazione, ma anche a chi, come me, si occupa di informazione.

la copertina del libro La scienza dei cosmetici di Beatrice Mautino, edito da Gribaudo (2023) nella collana Straordinariamente
la copertina del libro La scienza dei cosmetici di Beatrice Mautino, edito da Gribaudo (2023) nella collana Straordinariamente

 

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

Non è mai morto nessuno – Intervista ad Alessandro Mustazzolu e recensione del suo nuovo libro

Tay mi invia una foto, scrivendomi

Non puoi immaginare cosa mi è successo! Ho comprato il salmone al supermercato e, prima di cucinarlo l’ho ispezionato, come mi hai sempre detto di fare. Qualcosa si muoveva! Incredibile…proprio a me doveva capitare di vedere quel vermetto?!

Tay è una persona consapevole del fatto che le infezioni alimentari sono solo una delle possibili vie di contatto con microrganismi, ma se non fosse stata informata sul genere Anisakis, come avrebbe gestito la situazione? Probabilmente, le avrei suggerito il libroNon è mai morto nessuno” di Alessandro Mustazzolu.

Il testo “Non è mai morto nessuno”, edito da Gribaudo, aiuta a diventare più consapevoli della presenza di un gran numero di microrganismi nel mondo in cui con-viviamo. Il merito del volume è quello di guidarci nella conoscenza dell’invisibile intorno a noi, il quale diventa percepibile, spesso, solo quando si parla di malattie infettive. Le informazioni presenti potrebbero aiutarci anche nelle conversazioni “scomode”, ossia quelle in cui l’interlocutore è in errore, è vittima di un bias cognitivo e non si hanno più strumenti per aprirgli gli occhi.

la copertina del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente. Foto di Carmen Troiano
la copertina del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente. Foto di Carmen Troiano

I bias cognitivi sono costrutti mentali derivanti da percezioni errate che nutrono pregiudizi e ideologie. I bias cognitivi, utilizzati spesso per prendere decisioni rapide, possono avere forte impatto sulla quotidianità. Ebbene, i bias inerenti i microrganismi sono definiti dall’autore microbias.

Dopo la meravigliosa prefazione di Barbascura X, divertente e provocatoria, gli argomenti sono divisi in tre sezioni: microbias in cucina, microbias fuori dalla cucina, microbias e microbioma. Ogni argomento inizia con una storia di vita quotidiana: una conversazione, il pensare tra se e se, notizie ascoltate in TV, ecc. I paragrafi non sono quasi mai lunghi e affrontano ciascuno una parte in cui è stata segmentata la tematica: passo passo sarete condotti alla fine e avrete una visione d’insieme. Al termine di ogni “capitolo” c’è la bibliografia per risalire alla fonte primaria. Infine, nella parte finale, il lettore è indotto a riflettere sul presente e su un futuro prossimo, soprattutto per quanto riguarda il fenomeno della resistenza antimicrobica agli antibiotici.

Sebbene alcuni passaggi sembrino ostici e difficili per i non addetti ai lavori, basta essere pazienti: sarà tutto chiarito nel paragrafo o nella pagina seguente, in un box di approfondimento (più numerosi nella prima sezione rispetto alle altre due) o da un’immagine schematica. Il libro, infatti, non è solo adatto alle persone che mostrano la volontà di correggere microbias, ma anche a tutte quelle persone interessate ai microrganismi.

Il rigore scientifico lo si vede dall’attenzione per il lessico e la terminologia. Non per essere pedanti, ma al fine di evitare di incorrere in ulteriori incomprensioni ed errori, bisogna usare i termini idonei e appropriati. Il tutto è supportato da aneddoti personali, racconti di storia della scienza, analogie e metafore. Il lettore non deve aspettarsi un manuale di buone pratiche, un archivio di cose da fare o non fare: ripeto, il libro rende consapevoli le persone su numerose pratiche della vita quotidiana in cui o si fa finta di non sapere o si tenta la sorte… perché tanto “non è mai morto nessuno”. Dopo questo libro potreste non cambiare nulla di ciò che facevate in cucina, per esempio, ma almeno sarà una vostra scelta consapevole: non sarebbe ammesso dire “non lo sapevo”.

Il libro, quindi, può essere letto anche per avere la risposta pronta a coloro i quali credono che qualsiasi influencer, TikToker, Instagrammer possa essere chiamato divulgatore scientifico. Il lavoro divulgativo di Alessandro Mustazzolu potrebbe rendere più consapevoli anche gli amici e i parenti più ostinati. La “conversione” non è assicurata.

la copertina del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente. Foto di Carmen Troiano
la copertina del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente. Foto di Carmen Troiano

Inizierei dalla divulgazione scientifica, attività che svolge sia su Instagram che su YouTube. Piero Angela ha fatto scuola con la sua proverbiale onestà intellettuale e il rigore. Molte persone che si occupano oggi di divulgazione lo hanno preso ad esempio. Come si è approcciato alla divulgazione scientifica?

Piero Angela è stato sicuramente il “papà” di molti divulgatori, i suoi programmi hanno fatto storia e hanno ispirato molti di noi fin da bambini, tuttavia il mio approccio al mondo della divulgazione parte dai vaccini. Nel periodo in cui fu introdotto l’obbligo vaccinale.
Una volta percepita la confusione da parte delle persone sul tema, ho avvertito l’urgenza di spiegare a più gente possibile l’argomento, sfatando alcuni luoghi comuni e spiegando i meccanismi biologici alla base di questo strumento che ogni anno salva milioni di vite.

Come avvicinare le persone non esperte alla scienza?

Credo che la chiave sia nella curiosità. Le persone hanno sete di conoscenza, sta a noi “dissetarle” nella maniera più opportuna. Il problema è che non tutte le sorgenti d’acqua sono pure, esattamente come diceva Piero Angela.

Facciamo un salto alla pandemia causata dal SARS-CoV-2. Essa ha fatto conoscere al grande pubblico la parola zoonosi, cioè il fenomeno biologico secondo il quale un patogeno è trasmesso da un’altra specie animale all’uomo. C’è però anche la possibilità di un fenomeno inverso, cioè che gli umani infettino gli altri animali. Quanto si sa sull’argomento? Può spiegarci brevemente quali sono i meccanismi biologici che favoriscono il passaggio di un virus da una specie ospite all’altra?

Sicuramente la pandemia ha reso “pop” molti termini che prima circolavano solamente tra gli addetti ai lavori. Il fenomeno del spillback si riferisce alla trasmissione di un virus dagli umani agli animali, come avvenuto con SARS-CoV-2 in cani, gatti e visoni. Questo processo avviene quando il virus, originariamente zoonotico, “torna indietro” verso una specie animale.

Meccanismi chiave includono la compatibilità dei recettori, mutazioni che favoriscono l’adattamento virale e il contatto ravvicinato tra umani e animali. Il fenomeno è facilitato anche da ambienti densi, come allevamenti, dove il virus può circolare, creando un rischio di riserve animali che perpetuano la diffusione virale. L’argomento è affascinante e sicuramente in futuro verrà approfondito, spero che gli studi in tal senso si intensifichino presto.

Immagine di Viktor Forgacs

Parliamo di un’altra pandemia che continua da circa quarant’anni: quella causata dal virus dell’immunodeficienza umana (Human immunodeficiency virus, HIV). Tra i metodi per ridurre il rischio di trasmissione sessuale dell’HIV è disponibile la PreP, sigla che significa Profilassi pre-Esposizione. Si tratta di uno strumento farmacologico preventivo efficace per chi ha attività sessuale non protetta. Nel 2023 è stata approvata in Europa la long acting PrEP, somministrazione iniettabile a lunga durata di azione da effettuarsi ogni due mesi. Quali sono i benefici, le difficoltà e le prospettive di tale trattamento?

La prevenzione delle nuove infezioni rappresenta un aspetto cruciale e gli strumenti a disposizione per attuarla sono molteplici e a vari livelli, dall’uso del profilattico (maschile o femminile) alla profilassi pre-esposizione (PrEP). Questa strategia implica l’utilizzo, prima dei rapport sessuali, di farmaci antiretrovirali nelle persone HIV-negative per ridurre il rischio di contrarre l’infezione.

“Prevenzione”, come in molte altre malattie una parola chiave, un termine facile da capire, difficile da applicare, soprattutto se ci si convince che un determinato evento, come il contatto con l’HIV, sia precluso solamente a poche categorie di persone, quando invece, i virus non guardano in faccia a nessuno. La long acting PrEP offre un’alternativa alle pillole giornaliere, richiedendo solo sei iniezioni all’anno, il che potrebbe migliorare significativamente l’aderenza, soprattutto per le persone che hanno difficoltà ad assumere farmaci quotidiani.

Immagine di Bermix Studio

Cambiamo argomento e soffermiamoci sulle fake news riguardanti gli alimenti. Numerose fake news riguardano il presunto cibo contaminato e viaggiano veloci, non solo sui social network. Quali sono, a suo avviso, i meccanismi e le strategie che oggigiorno portano alla diffusione delle fake news? Quali consigli darebbe ai lettori per informarsi sulla sicurezza di ciò che mangiano?

Come spiego nel mio libro, le fake news sugli alimenti riguardano soprattutto modi di fare radicati nel tempo che hanno cementificato le proprie origini nelle tradizioni famigliari. Andarle a toccare significa “rovinare” i ricordi famigliari e mettere in discussione concetti ormai dati per veri. Consiglio di leggere, iniziando dalle etichette.

Che le uova vadano messe in frigo dopo l’acquisto non è una opinione personale di qualcuno ma è una raccomandazione scritta dai produttori per determinati motivi legati al microbiota presente nel guscio. Che i würstel vadano cotti prima del loro consumo non lo dice il divulgatore sui social a cui credere ma c’è scritto sulle confezioni per motivi validi che il produttore conosce benissimo, come il rischio di contrarre batteri pericolosi per la salute umana come la Listeria.

Immagine di Vlad Tchompalov

Inoltre, ritiene sia necessaria la polarizzazione, anche riguardo ai temi scientifici, quando i cittadini vogliono compartecipare alle scelte delle società moderne?

La polarizzazione in ambito scientifico può essere problematica, specialmente quando i cittadini vogliono prendere parte alle decisioni che riguardano la società moderna. Come microbiologo, la mia visione è che il dibattito scientifico dovrebbe basarsi sui dati e non su divisioni ideologiche.

La scienza funziona attraverso il consenso basato sull’evidenza: esperimenti, prove ripetibili e analisi critica. Polarizzare una discussione scientifica, rendendola binaria, distorce questa realtà complessa e può portare a decisioni non informate, rischiando di ostacolare progressi importanti, come la lotta contro le malattie infettive. Un approccio equilibrato e basato sulla conoscenza è essenziale per garantire una compartecipazione responsabile e consapevole.

la copertina del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente. Foto di Carmen Troiano
la copertina del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente. Foto di Carmen Troiano

Parliamo adesso di un altro tema del suo libro: la farmaco resistenza. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) ha definito la resistenza che molti microrganismi stanno sviluppando ai farmaci antimicrobici “Una delle più gravi minacce sanitarie del nostro tempo”. Come affrontare tale minaccia globale?

Concordo sul fatto che la minaccia sia grave e soprattutto appartenga ai nostri tempi e non a quelli futuri. La minaccia purtroppo non si può affrontare con la speranza di vincerla dal basso, ovvero non si può pensare che un consumo più mirato di queste molecole risolva il problema.

È solamente questione di tempo prima che le molecole attive contro i batteri finiscano, prima cioè che alcuni batteri diventino resistenti praticamente a tutto. La salvezza, come sempre, arriverà dalla scienza, ma un consumo attento e oculato, che ricordo non è responsabilità solamente dei cittadini ma anche dei medici e dei farmacisti, rallenterà il momento in cui verremo proiettati in quella che ormai viene chiamata “era pre-antibiotici”.  

la cover del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente
la cover del saggio Non è mai morto nessuno, di Alessandro Mustazzolu, pubblicato da Edizioni Gribaudo (2024) nella collana Straordinariamente

 

Alessandro Mustazzolu è microbiologo e micobatteriologo. Si è occupato, per molto tempo, di sorveglianza e ricerca nei confronti dei micobatteri, in particolare di quello responsabile della tubercolosi. La sua carriera scientifica inizia nell’Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini e si sviluppa rapidamente, prima attraverso collaborazioni con laboratori privati e poi con un’esperienza lavorativa, che a oggi perdura, presso l’Istituto Superiore di Sanità. Oltre al lavoro di microbiologo, si è impegnato come insegnante presso scuole, università, congressi, e come autore di diverse pubblicazioni su riviste internazionali. Da qualche anno si occupa di creare contenuti a carattere microbiologico anche su Instagram e YouTube.

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato – Intervista agli autori e recensione del nuovo libro di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023).

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Il libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, edito da Gribaudo, è una guida per il lettore-consumatore, divisa in quattro capitoli. Gli argomenti sono trattati con un approccio didattico che aiuta a imparare e reimparare quello che crediamo di sapere sulle plastiche: paragrafi, concetti in evidenza, parole chiave in grassetto, codici QR per approfondimenti (che riportano a video e a pratiche aziendali virtuose).

Il saggio fa riflettere sulle scelte quotidiane di ciascuno di noi e sulle ricadute sociali di quelle stesse scelte. Cosa troviamo nel libro? Metafore, esempi, excursus storici e aneddoti di storia della scienza, analogie utili a comprendere il concetto scientifico spiegato poi con il lessico idoneo. In più, le note consentono al lettore di soffermarsi subito sulla fonte o sull’approfondimento proposto.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato è un viaggio nel mondo delle plastiche, senza proclami o annunci “urlati”. Vi sono poche formule chimiche spiegate in maniera chiara e immagini funzionali alle spiegazioni testuali. La grafica è piacevole, sebbene il testo sia leggermente piccolo. L’uso di diverse tipologie di grafici non appesantisce la narrazione, anzi rende il messaggio più comprensibile, lo riassume a vista d’occhio e consente al lettore di fare le sue considerazioni. Quello che sai sulla plastica è sbagliato ha tutte le caratteristiche per essere un valido strumento per la comunità.


Il libro inizia scardinando le piccole convinzioni e conoscenze del lettore. Per esempio, la prima frase che lo destabilizza è la seguente: “non tutto ciò che è plastica va nella plastica”. E tanto per complicarci la vita, dipende anche dal comune…
Nella stesura del libro vi siete imbattuti in fonti su metodologie di raccolta o di riciclo delle plastiche non idonee in Italia? E di realtà particolarmente virtuose?

Quando parliamo di gestione dei rifiuti e, in particolare, di recupero dei rifiuti plastici non è tanto semplice distinguere tra “virtuoso” e “non idoneo”. A seconda dei punti di vista la gestione dello smaltimento delle plastiche in Italia può essere considerato virtuoso o carente. Dipende da quali parametri prendiamo in considerazione e qual è l’obiettivo che ci prefiggiamo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, si ricicla pochissimo e gran parte della plastica finisce in discarica, tuttavia questa gestione, sicuramente non ideale, permette di avere una filiera più semplice ed efficiente diminuendo la dispersione di rifiuti plastici nell’ambiente. Chiariamoci, la gestione statunitense è ben lontana dall’essere ideale o sostenibile, tuttavia, è esemplificativo del fatto che il panorama della gestione dei rifiuti è così complesso che è difficile dare una definizione assoluta di “idoneo”.

Per tornare all’Italia, noi siamo piuttosto forti nel recupero e riciclaggio delle plastiche. Questo sicuramente ci rende, almeno in parte, virtuosi. Tuttavia, recentemente, ci siamo opposti strenuamente alla nuova direttiva europea che mira ad eliminare gli imballaggi inutili e incentivava il riutilizzo.

Lo scenario migliore sarebbe quello che ci porta a non generare proprio il rifiuto, così da non doverlo gestire rischiando la dispersione nell’ambiente. Probabilmente questo potrebbe definirsi davvero virtuoso. L’Europa sta andando in questa direzione, l’Italia un po’ meno.

 

la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)

Immaginiamo di essere al supermercato: c’è davvero bisogno di tutto questo packaging?

A volte sì, a volte no. Gli imballaggi hanno lo scopo di proteggere il prodotto nel trasporto dal produttore al consumatore, quindi, per definizione, sono degli oggetti che diventano immediatamente un rifiuto.

D’altro canto, anche i prodotti che acquistiamo hanno un impatto sull’ambiente, quindi senza imballaggio molti di essi non arriverebbero nemmeno nelle nostre case perché danneggiati dal trasporto o, nel caso di alimenti, andati a male.
Anche lo spreco ha un impatto, spesso, ben superiore a quello dell’imballaggio correttamente gestito.

È comunque innegabile che in molti casi ci sia una sovrabbondanza di imballaggio e sicuramente noi consumatori siamo chiamati a selezionare i prodotti che si propongono di essere più sostenibili, ma per noi  cittadini non è sempre così facile capire quali lo siano realmente.

La soluzione migliore è proprio quella proposta dall’Europa nella nuova direttiva imballaggi che prevede di vietare per legge gli imballaggi inutili, limitandosi solo a quelli necessari per la corretta conservazione del prodotto.

supermercato supermarket
Foto di Joshua Rawson-Harris

Attendere che la ricerca scientifica faccia il suo corso e non mostrarsi frettolosi nel trarre le conclusioni. Soffermiamoci sul vostro modo prudente di trattare le microplastiche, un ambito di ricerca in espansione.

Le microplastiche sono sicuramente una questione delicata. Molti media ne parlano come qualcosa dall’impatto catastrofico, tuttavia ad oggi sappiamo molto poco del loro impatto sull’uomo e sugli ecosistemi.

Certo, il principio di precauzione ci suggerisce di tenere gli occhi aperti e fare il possibile per diminuirne la diffusione, perché se è vero che non abbiamo la certezza che ci facciano male, è decisamente poco probabile che ci facciano bene.

L’unica cosa che possiamo fare è continuare a studiare la questione e cercare di diminuire il più possibile la formazione delle microplastiche. Chiaramente il modo migliore per farlo è evitare di disperdere oggetti di plastica nell’ambiente.

 

Per quanto riguarda l’Italia, mettete in evidenza tanto i comportamenti virtuosi quanto le bad practice che non ci fanno esultare. Quali suggerimenti dareste al lettore-consumatore per non cadere nella trappola di sensazionalismi e proclami?

Il grosso problema con cui ci scontriamo nelle nostre presentazioni in giro per l’Italia è la difficoltà di comprensione, da parte del consumatore, su dove gettare un determinato oggetto.

Il fatto che ci siano moltissimi tipi di plastiche diverse, che possiamo mettere nel cestino solo gli imballaggi, e che si stiano diffondendo i materiali compostabili, che vanno conferiti (quasi sempre) nell’umido, rende piuttosto complesso per il consumatore capire cosa deve fare.

Ammettiamo che anche noi, ancora oggi, abbiamo qualche difficoltà. Inoltre, a volte le informazioni sulla confezione sono insufficienti e richiedono di andare sul sito dell’azienda per avere un’indicazione completa.

Il consiglio migliore che ci sentiamo di dare è quello di non fermarsi allo slogan, ma leggere con attenzione l’etichetta del prodotto prima di acquistarlo. L’ideale sarebbe avere leggi più stringenti che obblighino le aziende a inserire tutte le indicazioni di smaltimento sulla confezione del prodotto, ma in mancanza di questo, non rimane che prenderci noi l’onere di andare oltre gli slogan.

Ovviamente non sarà possibile farlo sempre e per tutti i prodotti che acquistiamo, ma farci attenzione ogni tanto è già un buon inizio.

 

Biodegradabile, compostabile, bio-based, plant-based, parole che nel libro vengono spiegate molto bene. Il marketing tiene sempre più conto della crescente coscienza ambientale delle persone? Lo fa nel modo corretto?

Se c’è una cosa positiva nel greenwashing, che alcune aziende mettono in atto, è proprio il fatto che si sentano forzate a improntare il proprio marketing sulla sostenibilità. Rispetto al passato, infatti, sembra sia diventato inaccettabile non essere sostenibili e amici dell’ambiente. Chiaramente, questa pressione da parte della società, trova facile risposta negli slogan, ma una più difficile risposta concreta.

D’altro canto, il marketing serve a vendere un prodotto, non a comunicare oggettivamente la sostenibilità. Molti di noi sono cresciuti con le pubblicità e le televendite e dovremmo sapere che non tutto quello che è scritto in grande su una confezione corrisponde alla realtà. Se partiamo da questo presupposto, che spesso dimentichiamo, dovrebbe essere più facile diventare dei consumatori critici e consapevoli.

 

Immagino non sia stato facile per voi districarsi nella chimica delle plastiche. Ma non è semplice anche per il legislatore. A vostro parere, le leggi sulla produzione, sul riutilizzo e sul riciclo delle plastiche sono coerenti e adeguate ai nostri tempi?

Non è una domanda facile. Noi abbiamo affrontato l’argomento dal punto di vista tecnico-scientifico, la questione politica si muove parallelamente ma su altri binari. Il mercato delle plastiche è enorme e ogni cambiamento implica un vasto impatto su migliaia di aziende di produzione, raccolta, smaltimento e riciclaggio. È comprensibile che un politico sia più prudente di uno scienziato e che le leggi non siano sempre perfettamente aderenti a quando dice la scienza. Detto questo, è abbastanza chiaro che la situazione attuale sia frutto di una certa leggerezza nella scrittura delle leggi e nella loro applicazione.

Certo, se noi tre avessimo in tasca la soluzione al problema delle plastiche probabilmente ora saremmo a Stoccolma a ritirare il Nobel.

Il nostro auspicio è che in futuro ci sia molta più attenzione da parte del legislatore nel richiedere un’informazione trasparente e nel fornire un’educazione alla popolazione.

Si riuscisse a standardizzare delle regole a livello nazionale (invece di avere regole diverse da comune a comune) sarebbe già un buon inizio.

la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)

Tecnologia, Legge, Politica ed Economia sono elementi decisivi per una maggiore sostenibilità di un mondo “plastico”. Secondo voi “parlano” davvero tra loro in vista degli ambiziosi obiettivi di valorizzazione dei rifiuti dell’Agenda 2030?

Sicuramente tutti questi ambiti parlano tra loro, ma non sempre si capiscono. Soprattutto, non in tutto il mondo questi campi della conoscenza hanno pari peso. Per molti paesi la crescita economica e industriale è più importante della sostenibilità ambientale. In altri la politica non vuole “pestare i piedi” ad una filiera produttiva consolidata e di successo. Come già citato più volte in questa intervista, l’Unione Europea si sta muovendo bene imponendo ai vari stati di modificare il proprio comportamento per migliorare la gestione dei rifiuti plastici. È probabile che anche questa nuova direttiva non risolverà completamente il problema, ma la strada è tracciata. Non rimane che vedere con quanta rapidità i politici italiani si adegueranno alle richieste e sulla base di questo trarre le nostre conclusioni. Se da un lato come cittadini non possiamo, singolarmente, risolvere i problemi causati dalla diffusione della plastica nel nostro tessuto produttivo, possiamo per lo meno valutare se i nostri rappresentati si stiano muovendo nella direzione giusta.

 

Ove non indicato diversamente, si ringraziano gli autori per le immagini.

 

Gli autori del saggio Quello che sai sulla plastica è sbagliato


Stefano Bertacchi
Stefano Bertacchi

Stefano Bertacchi è dottore di ricerca in biotecnologie industriali e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca. Si occupa dello sviluppo di molecole di interesse industriale, mediante l’uso di microrganismi geneticamente modificati o meno. È anche un divulgatore scientifico, via social media ed eventi scientifici. Ha all’attivo tre libri: “Piccoli geni – alla scoperta dei microrganismi“, “Geneticamente modificati – Viaggio nel mondo delle biotecnologie”, “50 grandi idee biotecnologie

 

 

 

 


 

Ruggero Rollini
Ruggero Rollini

Ruggero Rollini è uno dei volti noti di Superquark+ su RaiPlay e  di Noos su Rai1. Laureato in chimica e divulgazione delle scienze naturali, si occupa di comunicazione della scienza sui social media e per eventi culturali. Tratta principalmente la chimica dell’ambiente e del quotidiano. Ha scritto “C’è chimica in casa” (Mondadori, 2022).

 

 

 

 

 

 


 

Simone Angioni
Simone Angioni

Simone Angioni è chimico con un dottorato sulla sintesi di polimeri innovativi per la transizione. Ha lavorato per anni nel mondo della ricerca specializzandosi sulle fonti di energia sostenibili. È divulgatore scientifico sia online sia collaborando come docente per diversi master in comunicazione della scienza. È autore di due libri “Chimica in 5 minuti” e “Con la giusta energia – Verso un futuro sostenibile“, entrambi editi da Gribaudo.