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Università di Uppsala

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iSenseDNA: REGOLE E STRATEGIE CHE GOVERNANO UNA MOLECOLA

Allo studio una tecnologia per capire i legami tra la struttura e la sua funzione

 

Capire come funziona una specifica molecola durante processi biologici complessi è una delle sfide della ricerca biomedica, nonostante i notevoli avanzamenti della conoscenza nel campo delle biotecnologie in anni recenti. Un nuovo importante progetto UE, iSenseDNA, si concentra ora sullo sviluppo di una tecnologia per identificare che cosa significa un cambiamento della struttura di una molecola per la sua funzione.

Precedentemente, si aveva accesso solo a istantanee della struttura di molecole, ma è necessario legare tale struttura alla corrispondente funzione. È un po’ come utilizzare fotografie di un giocatore di rugby per imparare le regole e le strategie del gioco.

«Il nostro progetto si occupa di creare una opportunità non solo per imparare come si gioca, ma anche quali muscoli allenare per diventare giocatori migliori – specifica Lynn Kamerlin, che con la Dr. Antonietta Parracino coordina il progetto all’Università di Uppsala in Svezia».

«Il team dell’Università di Padova si occuperà di analizzare i dettagli delle fotografie per ricostruire, attraverso complesse simulazioni numeriche, – continua l’analogia il prof. Stefano Corni del Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università di Padova, che poche settimane fa ha ospitato il kick-off meeting del progetto – la posizione e il movimento del giocatore».

Stefano Corni iSenseDNA
Stefano Corni

I ricercatori del team di iSenseDNA vogliono sviluppare una tecnologia che leghi i cambiamenti nella struttura della biomolecola alla sua funzione durante processi dinamici complessi in tempo reale. A oggi, ci sono tecniche per studiare la funzione di una molecola durante un processo biologico e ci sono tecniche per studiare la struttura dettagliata di molecole. Ma nessuno riesce, su larga scala, a connettere struttura e funzione. Questo rende difficile, per esempio, predire quali cambiamenti strutturali siano necessari per migliorare lo sviluppo di farmaci.

I ricercatori combineranno metodi computazionali e biotecnologici con strumenti per l’analisi ottica avanzata di biomolecole “in azione”. Insieme, vogliono sviluppare un cosiddetto nanotrasduttore, un sensore basato sul DNA che è sensibile ai cambiamenti strutturali e può leggerli in tempo reale.

«Questo progetto – concludono le coordinatrici – crea una collaborazione tra tecnologie e campi diversi che ha il potenziale di estrarre informazioni su processi complessi difficilmente recuperabili altrimenti e che contribuiranno all’avanzamento della diagnostica medica e delle terapie».

I ricercatori di iSenseDNA provengono da università (Uppsala, Umeå e Padova), centri di ricerca (CNR, BIO, DESY, ESRF) e una società (OrganoTherapeutics, OT) da vari paesi europei (Svezia, Italia, Spagna, Germania, Lussemburgo, Francia). Il progetto ha un budget di circa 3 milioni di euro ed è finanziato dall’European Innovation Council nell’ambito della EIC pathfinder Open Call.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

UN ANTIVIRALE MADE IN UNITO CONTRO COVID-19 E PER RISPONDERE A FUTURE PANDEMIE: PREMIATO IL PROGETTO ITALO-SVEDESE GUIDATO DA UNITO

Vincitore del bando Nato-Science for Peace and Security, prevede ­– grazie al lavoro di un network internazionale – lo sviluppo di MEDS433: un candidato farmaco efficace contro SARS-Cov2 e un’ampia gamma di virus umani

Il progetto di ricerca italo-svedese VIPER, guidato dall’Università di Torino e che si propone di studiare nuovi antivirali efficaci contro SARS-CoV-2, ha vinto il prestigioso bando NATO – Science for Peace and Security (SPS) Programme. L’obiettivo di VIPER (Learning a lesson: fighting SARS-CoV-2 Infection and get ready for other future PandEmic scenaRios) è rispondere a malattie virali emergenti, attuali e future, attraverso lo sviluppo di antivirali ad ampio spettro.

Il network internazionale coinvolto in VIPER è composto dai partner svedesi del Karolinska Institutet di Stoccolma (Prof. Ali Mirazimi) e dell’Università di Uppsala (Prof.ssa Katarina Edwards) e dai partner italiani dell’Università di Torino (Proff. Marco L. Lolli e Giorgio Gribaudo), Università di Messina (Prof.ssa Anna Piperno) e Università di Padova (Prof.ssa Cristina Parolin). Università ed Enti di ricerca dei due Paesi saranno impegnati nello sviluppo preclinico della molecola MEDS433, un inibitore dell’enzima diidroorotato deidrogenasi (DHODH) di ultima generazione, dalle potenti attività antivirali ad ampio spettro, capace di inibire la replicazione oltre che di SARS-CoV-2 anche di un’ampia gamma di virus umani.

I gruppi di ricerca Italo-Svedesi, che possiedono competenze scientifiche sinergiche, agiranno come un unico esteso gruppo di ricerca europeo. Con il Kick-Off meeting, che si terrà giovedì 30 Giugno, VIPER inizierà ufficialmente il suo percorso attraverso la presentazione dettagliata dei suoi obiettivi progettuali. In tale occasione verrà messa a punto un’agenda di lavoro che vedrà le ricercatrici e i ricercatori coinvolti incontrarsi periodicamente durante i 27 mesi del progetto. Le attività di VIPER prevedono lo sviluppo su larga scala di MEDS433 (Torino) a supporto della sperimentazione in vitro e in vivo, la sua formulazione in innovativi agenti veicolanti (Messina e Uppsala), lo studio in vitro delle proprietà antivirali e del meccanismo molecolare dell’attività antivirale delle molecole formulate (Torino e Padova) e lo studio dell’efficacia delle formulazioni in vivo in un modello murino di SARS-CoV-2 (Stoccolma).

Il programma NATO SPS, attivo da oltre sei decenni, è uno dei più grandi e importanti programmi di partenariato dell’Alleanza che affronta le sfide della sicurezza del XXI secolo. Attivo in scenari quali cyber defence, sicurezza energetica e tecnologie avanzate, in questo caso SPS viene diretto alla difesa antiterroristica da agenti biologici, affrontando di riflesso una tematica di enorme attualità, data dalla pandemia di COVID-19.

Il programma SPS, oltre che sovvenzionare progetti pluriennali di alto impatto tecnologico, promuove la cooperazione scientifica pratica tra ricercatori, lo scambio di competenze e know-how tra le comunità scientifiche della NATO e dei Paesi partner.

Gli effetti devastanti della malattia COronaVIrus (COVID-19) – sottolinea il Prof. Marco L. Lolli, docente del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco dell’Università di Torino e coordinatore del progetto – hanno insegnato al mondo come, in assenza di farmaci antivirali ad ampio spettro, sia difficile controllare la diffusione iniziale di una pandemia emergente e di riflesso salvare vite umane nell’attesa dello sviluppo di vaccini e farmaci specifici per il virus emergente”.

MEDS433 è un antivirale interamente “made in UniTo”. Infatti è stato inventato e caratterizzato chimicamente dal gruppo di ricerca MedSynth del  Prof. Lolli al Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco e la sua attività antivirale ad ampio spettro, nei confronti di un’estesa varietà di virus umani, sia a DNA che a RNA, compresi i più importanti virus respiratori, è stata definita nel Laboratorio di Microbiologia e Virologia del Dipartimento di Scienza della Vita e Biologia dei Sistemi, diretto dal Prof. Giorgio Gribaudo, sempre all’Università di Torino.

“Data la sua potente attività antivirale a concentrazioni nanomolari e la bassa tossicità, MEDS433 – conclude il Prof. Lolli – può essere considerato un nuovo e promettente antivirale, non solo perché arricchisce il nostro armamentario farmacologico contro SARS-CoV-2, ma anche per affrontare futuri eventi pandemici. Siamo molto orgogliosi che questo consorzio si sia formalizzato perché avremo gli strumenti necessari per portare MEDS433 alla sperimentazione umana, cosi da fornire una soluzione strategica per affrontare le fasi iniziali della diffusione di un nuovo virus emergente”.

coronavirus antivirale COVID-19
Un antivirale contro COVID-19 e per rispondere a future pandemie. Illustrazione, elaborata dai Centers for Disease Control and Prevention, della tipica morfologia di un coronavirus umano

Testo e immagine dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino sul progetto di ricerca italo-svedese per l’antivirale contro COVID-19 e per rispondere a future pandemie.

L’abete rosso in Scandinavia: una colonizzazione che ha avuto inizio più di 10.000 anni fa 

La recente scoperta di antichi resti di DNA antico, presenti nei sedimenti lacustri al margine meridionale della calotta glaciale scandinava e attribuibili all’abete rosso, porta nuova luce sulle dinamiche di risposta delle foreste ai cambiamenti climatici del passato. Lo studio internazionale, coordinato dalla Sapienza, è stato pubblicato su Nature Communications.

Härjehågna

L’abete rosso è oggi la specie arborea più comune in Fennoscandia, la parte d’Europa che comprende la Finlandia e la penisola scandinava. Diversi studi, basati su ritrovamenti di polline fossile di abete in antichi sedimenti lacustri, hanno dimostrato che ci sono volute diverse migliaia di anni prima che questa specie giungesse in Svezia dopo l’ultima glaciazione e diventasse la specie dominante delle foreste scandinave. Secondo tali analisi l’abete sarebbe giunto in Svezia dal nord-est solo 2.000 anni fa.

abete rosso in Scandinavia

Oggi, un nuovo studio che utilizza il DNA ambientale antico conservato negli stessi sedimenti dimostra che l’abete rosso era invece presente in Svezia meridionale già dopo l’ultima glaciazione, circa 14.000 anni fa. Il lavoro, coordinato dal Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza e dall’Università di Uppsala in Svezia, in collaborazione con gruppi di ricerca di Università europee e giapponesi, è stato pubblicato sulla rivista Nature Communications.

abete rosso in Scandinavia

Contrariamente a quanto sempre creduto, infatti l’abete rosso sembra essere uno dei primi alberi che ha colonizzato la Svezia, sebbene riuscì a diffondersi in larga misura solo 2.000 anni fa. Cosa abbia trattenuto l’abete per le successive migliaia di anni però non è ancora del tutto chiaro.

Questi ultimi risultati hanno evidenziato una somiglianza genetica fra i gruppi di abeti solitari che oggi crescono e si riproducono vegetativamente (cloni) in alto sui pendii montuosi nella Svezia centrale e quelli che arrivarono successivamente dal nord-est, dimostrando il ruolo delle piccole popolazioni arboree locali superstiti nella ricolonizzazione delle foreste del nord Europa dopo l’ultima glaciazione.

L’abete rosso in Scandinavia: una colonizzazione che ha avuto inizio più di 10.000 anni fa

“Le analisi genetiche mostrano che l’abete svedese è sopravvissuto molto vicino alla calotta glaciale – spiega Laura Parducci della Sapienza, coordinatrice del lavoro – e abbia dunque sperimentato diversi tentativi per impossessarsi delle foreste scandinave, ma che solo l’ultima espansione abbia avuto successo”.

Gli studi sulla conservazione e il ripristino delle foreste sono strumenti importanti per contrastare le minacce causate dalla frammentazione degli habitat e dai cambiamenti climatici. Tuttavia, per favorire la diversificazione e la resilienza delle foreste è necessario prima comprendere le dinamiche della risposta delle foreste ai cambiamenti climatici del passato. Pertanto, l’utilizzo del DNA antico per la comprensione della velocità con cui l’abete ha ricolonizzato la Fennoscandia è di grande importanza per prevedere le risposte ecologiche al futuro riscaldamento climatico.

abete rosso in Scandinavia

Riferimenti:

Norway spruce postglacial recolonization of Fennoscandia – Kevin Nota, Jonatan Klaminder, Pascal Milesi, Richard Bindler, Alessandro Nobile, Tamara van Steijn, Stefan Bertilsson, Brita Svensson, Shun K. Hirota, Ayumi Matsuo, Urban Gunnarsson, Heikki Seppä, Minna M. Väliranta, Barbara Wohlfarth, Yoshihisa Suyama & Laura Parducci – Nature Communications DOI https://doi.org/10.1038/s41467-022-28976-4

abete rosso in Scandinavia

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma