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ZePrion: in orbita per sviluppare nuovi farmaci 

Lanciato verso la Stazione Spaziale Internazionale l’esperimento ZePrion, che avrà il compito di confermare il meccanismo molecolare alla base di un innovativo protocollo farmaceutico per contrastare le malattie da prioni. Sviluppato da un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui le scienziate e gli scienziati italiani delle università di Milano-Bicocca e Trento, della Fondazione Telethon, dell’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBBA), l’esperimento potrebbe avere ricadute importanti anche per altre malattie.

Lancio di NG-19 con l'esperimento ZePrion. Foto NASA
Lancio di NG-19 con l’esperimento ZePrion. Foto NASA

Un esperimento lanciato con successo oggi, mercoledì 2 agosto 2023, verso la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), potrebbe portare ad una validazione del meccanismo di funzionamento di un protocollo del tutto innovativo per lo sviluppo di nuovi farmaci contro gravi malattie neurodegenerative e non solo. Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge diversi istituti accademici e l’azienda israeliana SpacePharma, l’esperimento ZePrion vede un fondamentale contributo dell’Italia attraverso l’Università Milano-Bicocca, l’Università di Trento, la Fondazione Telethon, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), e l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR-IBBA). Decollato con la missione spaziale robotica di rifornimento NG-19 dalla base di Wallops Island, in Virginia (USA), ZePrion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico). L’arrivo di NG-19 e ZePrion sulla ISS è previsto per venerdì 4 agosto, quando in Italia saranno all’incirca le 8:00.

Il successo dell’esperimento ZePrion fornirebbe un possibile modo per confermare il meccanismo molecolare alla base di una nuova tecnologia di ricerca farmacologica denominata Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting (PPI-FIT), sviluppata da due ricercatori delle Università Milano-Bicocca e di Trento e dell’INFN. L’approccio PPI-FIT si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale.

“La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili”,

spiega Pietro Faccioli, professore dell’Università Milano-Bicocca, ricercatore dell’INFN, coordinatore dell’esperimento e co-inventore della tecnologia PPI-FIT.

Un tassello finora mancante per la validazione della tecnologia è la possibilità di ottenere un’immagine ad alta risoluzione del legame tra le piccole molecole terapeutiche e le forme intermedie delle proteine bersaglio (quelle che si manifestano durante il ripiegamento), in grado di confermare in maniera definitiva l’interruzione del processo di ripiegamento stesso. In genere, questo tipo di immagine viene ottenuta analizzando con una tecnica chiamata cristallografia a raggi X cristalli formati dal complesso ligando-proteina. Nel caso degli intermedi proteici, però, gli esperimenti necessari non sono realizzabili all’interno dei laboratori sulla Terra, in quanto la gravità genera effetti che interferiscono con la formazione dei cristalli dei corpuscoli composti da ligando e proteina, quando questa non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva. Questo ha spinto le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione ZePrion a sfruttare la condizione di microgravità che la Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione.

“Esiste infatti chiara evidenza che la microgravità presente in orbita fornisca condizioni ideali per la creazione di cristalli di proteine”, illustra Emiliano Biasini, biochimico dell’Università di Trento e altro co-inventore di PPI-FIT, “ma nessun esperimento ha provato fino ad ora a generare cristalli di complessi proteina-ligando in cui la proteina non si trovi in uno stato definitivo”.

Esattamente quanto si propone di fare l’esperimento ZePrion, lavorando in modo specifico sulla proteina prionica, balzata tristemente agli onori della cronaca negli anni Novanta durante la crisi del ‘morbo della mucca pazza’. Questa malattia è infatti causata da una forma alterata della proteina prionica chiamata prione, coinvolta in gravi malattie neurodegenerative dette appunto ‘da prioni’ tra le quali la malattia di Creutzfeld-Jakob o l’insonnia fatale familiare.

“Anche grazie al sostegno di Fondazione Telethon, che da sempre supporta le mie ricerche per individuare nuove terapie contro queste malattie, abbiamo l’opportunità di validare del meccanismo di funzionamento della tecnologia PPI-FIT, che potrebbe rappresentare veramente un punto di svolta in questo settore”, aggiunge Biasini.

“In orbita sarà possibile generare cristalli formati da complessi tra una piccola molecola e una forma intermedia della proteina prionica, che in condizioni di gravità ‘normale’ non sarebbero stabili. Questi cristalli potranno poi essere analizzati utilizzando la radiazione X prodotta con acceleratori di particelle, per fornire una fotografia tridimensionale del complesso con un dettaglio di risoluzione atomico. Campioni non cristallini ottenuti alla SSI verranno inoltre analizzati per Cryo-microscopia Elettronica di trasmissione (Cryo/EM)”, sottolinea Pietro Roversi, ricercatore CNR-IBBA.

ZePrion si compone di un vero e proprio laboratorio biochimico in miniatura (lab-in-a-box) realizzato da SpacePharma, che opererà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e verrà controllato da remoto. Oltre alla componente italiana, la collaborazione ZePrion si avvale della partecipazione delle scienziate e degli scienziati dell’Università di Santiago di Compostela.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.

L’elettronica ricavata dagli scarti della frutta nei laboratori della Libera Università di Bolzano: nuove strategie per il riciclo dei dispositivi

Anche l’elettronica diventa “circolare”, grazie a un progetto che nasce all’intersezione delle competenze di varie Facoltà della Libera Università di Bolzano. Nei laboratori dell’università al NOI Techpark è stata testata una nuova tecnologia sostenibile ed ecologica che utilizza la carta prodotta con gli scarti della frutta (mele, kiwi e uva) come substrato per dispositivi stampati flessibili. Alcune possibili applicazioni: come biosensori per il monitoraggio di funzioni corporee oppure nell’agricoltura di precisione.

elettronica scarti della frutta riciclo Electronics from fruit waste

Il continuo incremento dell’uso di dispositivi elettronici nelle società avanzate, assieme agli ovvi vantaggi, suscita preoccupazioni giustificate anche dal punto di vista ecologico e sociale, sa per quanto riguarda il reperimento dei materiali rari necessari a produrli, che per il loro corretto smaltimento e riciclo. Si pone quindi la necessità di ripensarne la produzione per renderla sostenibile e di riutilizzare i componenti tecnologici in un’ottica circolare.

L’équipe di ricerca del Sensing Technologies Lab, il laboratorio di nanotecnologie e sensoristica di unibz al NOI Techpark di Bolzano, diretta dai proff. Paolo Lugli e Luisa Petti, ha sviluppato assieme a partner interni e internazionali una nuova tecnologia che utilizza la carta realizzata a partire dagli scarti della frutta per produrre circuiti elettronici stampati. Lo spunto iniziale è venuto da un progetto interno di unibz tra i gruppi del prof. Lugli e del prof. Nitzan Cohen, preside della Facoltà di Design e Arti. Ad essi si sono aggiunti altri ricercatori e ricercatrici della Facoltà di Ingegneria (Prof. Niko Münzenrieder) e di quella di Scienze ambientali, agrarie e alimentari (Prof. Stefano Cesco, prof.ssa Tanja Mimmo e il ricercatore Andrea Polo) oltre che delle Università di Trento, Padova e del Sussex. Finanziamenti sono arrivati anche da un progetto bilaterale della Provincia Autonoma di Bolzano nell’ambito della cooperazione tra Sudtirolo e Svizzera, coordinato dal ricercatore Giuseppe Cantarella.

L’équipe transdisciplinare ha spiegato i test effettuati e i risultati ottenuti in laboratorio nell’articolo scientifico Laser-Induced, Green and Biocompatible Paper-Based Devices for Circular Electronics, pubblicato su una delle migliori riviste internazionali nel campo dei materiali innovativi “Advanced Functional Materials (la cui copertina riporta un’immagine ispirata al progetto). Il testo descrive una tecnologia sostenibile e biocompatibile, a rifiuti zero.

elettronica scarti della frutta riciclo Electronics from fruit waste

L’innovazione? Nella produzione e nello smaltimento

Il processo produttivo prevede l’utilizzo della stampa laser per carbonizzare la superficie del substrato di cellulosa ricavata dai processi di lavorazione di mele, kiwi e uva. I substrati di carta sono realizzati con sottoprodotti della lavorazione di mele, uva e kiwi e rimpiazzano l’uso di polpa di legno vergine tipicamente usata per realizzare substrati di carta, riducendo così l’utilizzo di risorse naturali e privilegiando il riutilizzo di prodotti alimentari di scarto. Ottimizzando i parametri del laser, i ricercatori sono stati in grado di realizzare dispositivi elettronici come condensatori, biosensori ed elettrodi per il monitoraggio degli alimenti (es. per il controllo della maturazione della frutta) e per la misurazione della frequenza cardiaca e dell’attività respiratoria. La cellulosa a base di frutta e completamente priva di plastica si è rivelata sicura anche per l’uso sulla pelle umana. L’impiego di sostanze naturali permette infatti ai componenti elettronici di essere biocompatibili con i fibroblasti dermici umani, potenzialmente nei wearables e nei sistemi a contatto con la pelle.

L’elettronica ricavata dagli scarti della frutta: nuove strategie per il riciclo dei dispositivi

L’uso di un substrato naturale consente di attuare due strategie per il riciclo dell’elettronica. Nella prima, i dispositivi possono dissolversi a temperatura ambiente in un arco 40 giorni senza rilasciare residui nocivi: i componenti elettronici a base di carta si dissolvono in succo di limone (acido citrico), una soluzione naturale molto diffusa e a basso costo. Nella seconda, vengono reintrodotti in natura come supporto per la crescita delle piante o per l’ammendamento del suolo. Grazie a queste sue caratteristiche, questa tecnologia elettronica a basso costo può trovare applicazione per applicazioni nel mercato alimentare, nella diagnostica medica e nell’agricoltura intelligente e nell’Internet delle cose, con un impatto nullo o addirittura positivo sull’ecosistema.

“Una tecnologia sostenibile e attenta ai consumi energetici per la fabbricazione di dispositivi elettronici richiede caratteristiche speciali come la lavorabilità su grandi superfici, un consumo energetico limitato e il basso costo di fabbricazione. La tecnica che abbiamo sperimentato è completamente sostenibile, verde e circolare perché utilizza substrati di carta ottenuti dalla lavorazione degli scarti della frutta e una tecnologia di stampa, basata sulla carbonizzazione creata per mezzo di un semplice laser. Potrebbe rappresentare un importante passo avanti per la commercializzazione dell’elettronica”,

spiega il prof. Paolo Lugli, rettore della Libera Università di Bolzano e responsabile del Sensing Technologies Lab.

Paolo Lugli
Paolo Lugli

Il ricercatore Giuseppe Cantarella, ex unibz trasferitosi recentemente alla Università di Modena e Reggio Emilia, primo autore dell’articolo, aggiunge:

“La sostenibilità è un argomento che tocca la nostra società e la nostra vita sotto diversi punti di vista. Anche nel mondo della ricerca, è necessario affrontare questa sfida globale, con nuove tecnologie che possano ridurre il loro impatto ambientale per salvaguardare il nostro pianeta e le risorse naturali a disposizione. I risultati del nostro studio dimostrano una nuova linea di ricerca, nella quale dispositivi elettronici possono essere sviluppati con una drastica riduzione dei rifiuti generati e con l’uso di nuove tecniche di fabbricazione a bassa emissione di carbonio. Auspico che il nostro sia il primo di una lunga serie di studi sullo sviluppo sostenibile di sistemi intelligenti e nuove tecnologie in ambito elettronico”.

 

Testo, video e foto dall’Ufficio Staff stampa e organizzazione eventi Libera Università di Bolzano – Freie Universität Bozen, sull’elettronica ricavata dagli scarti della frutta e nuove strategie per il riciclo dei dispositivi.

JUICE (Jupiter Icy Moon Explorer): verso il pianeta Giove per svelare i misteri delle sue lune ghiacciate, Ganimede, Europa e Callisto

La sonda lanciata il 14 aprile, arriverà a destinazione dopo otto anni di crociera.

A bordo importanti strumenti finanziati e sviluppati sotto la guida dell’Agenzia Spaziale Italiana con la partecipazione di un team scientifico a cui ha preso parte anche la Sapienza.

Le più grandi lune di Giove. Crediti: ESA – Agenzia Spaziale Europea

Giove e le sue lune ghiacciate – Ganimede, Europa e Callisto – saranno il fulcro dell’indagine della sonda JUICE (Jupiter Icy Moon Explorer), lanciata con successo oggi, 14 aprile alle 14.15 ora italiana, dalla Guyana francese.

JUICE raggiungerà Giove nel 2031, svolgendo la sua missione di studio per tre anni nell’ambiente giovano, molto somigliante a un sistema solare in miniatura. Lì dovrà portare a termine una complessa serie di compiti: dall’osservazione dell’atmosfera e della magnetosfera di Giove, a quella dell’interazione delle lune galileiane con il pianeta.

La sonda visiterà Callisto (il corpo celeste maggiormente ricoperto di crateri nel sistema solare), che potrebbe nascondere un oceano interno, e sonderà gli strati più superficiali della calotta ghiacciata di Europa, identificando siti appropriati per una possibile esplorazione in situ. JUICE terminerà la sua missione a settembre 2035 orbitando per quattro mesi attorno a Ganimede, l’unica luna dotata di un proprio campo magnetico. Sarà la prima volta che una sonda spaziale orbiterà attorno a un satellite diverso dalla nostra Luna. Proprio nella sua fase finale la missione svelerà i risultati più attesi, osservando i dettagli della superficie ghiacciata di Ganimede e fornendo uno spaccato della sua struttura interna.

Lo studio comparato dei tre satelliti gioviani in un’unica missione permetterà di comprendere le cause della loro diversità, dominata dall’influenza di Giove, e di fornire nuovi dati sulla formazione dei sistemi planetari.

Uno dei principali temi scientifici di JUICE riguarda l’eventuale abitabilità degli ambienti dei pianeti giganti e in particolare la possibilità che i satelliti ghiacciati di Giove possano rappresentare un ambiente potenzialmente in grado di supportare attività biotica per tempi lunghi.

La scelta della missione JUICE è il coronamento di un processo iniziato nel 2004, anno in cui l’Agenzia spaziale europea (Esa) ha avviato un’ampia consultazione della comunità scientifica per identificare i traguardi dell’esplorazione planetaria europea nel decennio successivo.

JUICE: ricostruzione artistica
JUICE: ricostruzione artistica. Crediti: ESA – Agenzia Spaziale Europea

La missione dell’Esa, selezionata dallo Space Programme Committee, vede un’importante partecipazione dell’Italia attraverso l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e diversi enti e università tra i quali Sapienza Università di Roma, che hanno partecipato alla realizzazione di 3 strumenti: lo strumento di radioscienza e geofisica 3GM, il radar RIME, la camera JANUS.

3GM (Gravity and Geophysics of Jupiter and the Galilean Moons), guidato da Luciano Iess, del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, comprende un transponder in banda Ka e un oscillatore ultrastabile (USO), realizzato dall’Agenzia Spaziale Israeliana (ISA). Questo insieme di strumenti sarà utilizzato per misurare il campo di gravità e la struttura profonda delle lune ghiacciate, per determinare l’estensione dell’oceano interno di Ganimede e per studiare l’atmosfera di Giove. La strumentazione di 3GM comprende anche un accelerometro ad alta precisione (HAA), necessario per calibrare i disturbi dinamici interni del satellite, in particolare dovuti al movimento del propellente nei serbatoi.

RIME (Radar for Icy Moon Exploration), radar sottosuperficiale ottimizzato per penetrare la superficie ghiacciata dei satelliti galileiani fin alla profondità di 9 km con una risoluzione verticale fino a 30 m.Il radar RIME è frutto di una collaborazione tra l’Università di Trento e il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA.

JANUS (Jovis, Amorum ac Natorum Undique Scrutator) è una camera ottica per studiare la morfologia e i processi globali regionali e locali sulle lune e per eseguire la mappatura delle nubi di Giove.

Importante, inoltre, il coinvolgimento italiano per quanto riguarda la testa ottica dello strumento MAJIS (Moons and Jupiter Imaging Spectrometer), uno spettrometro iper-spettrale a immagine per osservare le caratteristiche e le specie minori della troposfera di Giove nonché per la caratterizzazione dei ghiacci e dei minerali sulle lune ghiacciate.

JUICE: ricostruzione artistica
JUICE: ricostruzione artistica. Crediti: ESA – Agenzia Spaziale Europea

Ai team scientifici dei quattro strumenti finanziati dall’Asi partecipano molte università e istituti di ricerca italiani e stranieri. I Principal Investigator di 3GM, RIME e JANUS appartengono rispettivamente a Sapienza Università di Roma, all’Università di Trento e all’Inaf – Istituto Nazionale di Astrofisica, a cui appartiene anche il Co-Principal Investigator di MAJIS.

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

NUOVE SCOPERTE SUI MECCANISMI MOLECOLARI ALLA BASE DELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE

Due ricerche del laboratorio di Maria Pennuto (UNIPD-VIMM) e Manuela Basso (UNITRENTO) pubblicati su «Nature Communications»

Gli studi del team di ricerca guidato dalla Prof.ssa Maria Pennuto (Università di Padova e VIMM) e dalla Prof.ssa Manuela Basso (Università di Trento) sulla malattia di Kennedy hanno portato a nuove scoperte ed evidenze sui meccanismi molecolari alla base della malattia.

Nuovi risultati per il team di ricerca guidato dalla Prof.ssa Maria Pennuto – Principal Investigator del VIMM e Professore Associato dell’Università degli Studi di Padova – che da diversi anni sta investigando il coinvolgimento del muscolo scheletrico nella malattia neurodegenerativa nota come malattia di Kennedy.

Se è stato dimostrato e provato da molti studi internazionali che questa malattia – causata da una mutazione del recettore degli ormoni (androgeni) – parte da processi patologici che iniziano nel muscolo scheletrico e che causano la perdita dei neuroni che regolano il movimento volontario, sono emerse nuove evidenze da una prima ricerca dal titolo “Defective excitation-contraction coupling and mitochondrial respiration precede mitochondrial Ca2+ accumulation in spinobulbar muscular atrophy skeletal muscle”, pubblicata sulla rivista «Nature Communications».

Realizzata e condotta dal team della Prof.ssa Pennuto con Caterina Marchioretti, Giulia Zanetti e Marco Pirazzini, la ricerca dimostra che nella malattia di Kennedy ci sono alterazioni precoci della capacità dei muscoli di contrarsi e di produrre energia, che si traduce in una progressiva alterazione della capacità dei muscoli di produrre la forza necessaria ad effettuare un movimento senza stancarsi precocemente.

L’altro risultato, pubblicato sempre su «Nature Communications», emerge dallo studio con titolo “LSD1/PRMT6-targeting gene therapy to attenuate androgen receptor toxic gain-of-function ameliorates spinobulbar muscular atrophy phenotypes in flies and mice” – frutto del lavoro del team della Prof. Pennuto con Ramachandram Prakasam e Roberta Andreotti e di Manuela Basso con Angela Bonadiman dell’Università di Trento) – in cui si spiega che questi fenomeni sono dovuti alla presenza nel muscolo di fattori che interagiscono con la proteina mutata.

A partire da questa evidenza, il gruppo di ricerca ha generato delle piccole molecole capaci di ridurre l’espressione di quei fattori che interagiscono con la proteina mutata, dimostrando che così facendo si migliora lo stato di salute dei muscoli e dei neuroni da loro contattati.

«Le malattie neurodegenerative sono una vasta categoria di condizioni patologiche che va da disordini cognitivi a motori, e dove i sintomi clinici sono dovuti al malfunzionamento di specifiche popolazioni del sistema nervoso centrale. Ciò che è attualmente oggetto di indagine è il meccanismo, o meglio i meccanismi molecolari alla base di queste malattie – sottolinea Maria Pennuto. Un concetto che è emerso negli ultimi anni è che molto spesso le malattie neurodegenerative sono multi-sistemiche e non coinvolgono solo i neuroni, ma diversi tipi di cellule e organi oltre al sistema nervoso. Queste due ricerche ci portano un passo avanti verso la comprensione di questi meccanismi, andando a identificare nuovi target terapeutici che verranno sviluppati dai gruppi coinvolti nei prossimi anni».

«In questi anni ci siamo chieste come poter preservare la funzione fisiologica del recettore degli androgeni, eliminando quella tossica legata alla mutazione. In questo studio siamo riuscite a realizzare questo nostro obiettivo e siamo pronte a investire i prossimi anni per traslare questo nostro approccio dalla ricerca di base alla clinica» afferma Manuela Basso.

Il progetto di ricerca della prof.ssa Maria Pennuto sulla malattia di Kennedy è iniziato nel 2013, quando ha ricevuto un finanziamento di oltre 500.000 euro da parte della Provincia Autonoma di Trento, nell’ambito del programma per le carriere dell’Istituto Telethon-Dulbecco (DTI), che le ha permesso di creare un gruppo di ricerca indipendente per lo studio di questa patologia.

LINK AI PAPER SU NATURE COMMUNICATIONS:

https://www.nature.com/articles/s41467-023-36185-w

https://www.nature.com/articles/s41467-023-36186-9

malattie neurodegenerative malattia di Kennedy
Nuove scoperte sui meccanismi molecolari alla base delle malattie neurodegenerative

MARIA PENNUTO

Maria Pennuto si è laureata con lode in Scienze Biologiche nel 1996 all’Università “La Sapienza” di Roma. Nel 2000 ha ottenuto il diploma di dottore di ricerca in “Biologia cellulare (Cellulare e Molecolare)” (XIII ciclo) all’Università degli Studi di Milano. Dal 2001 al 2004, ha svolto un post-dottorato nel laboratorio del Dr Lawrence Wrabetz (San Raffaele, Milano), dove ha investigato i meccanismi molecolari alla base della malattia della mielina periferica Charcot-Marie-Tooth tipo 1B. Nel 2005 si è recata al National Institute of Neurological Disorders and Stroke (National Institutes of Health, NIH, Bethesda, MD) negli USA, dove ha svolto attività di ricerca come visiting post-dottorato nel laboratorio del Dr Kenneth Fischbeck, investigando i meccanismi molecolari alla base delle malattie del motoneurone. Nel 2008 ha ottenuto la posizione di Staff Scientist al Dipartimento di Neurologia della University of Pennsylvania (UPenn, Philadelphia, PA USA), dove ha continuato la propria attività di ricerca sulle malattie neurodegenerative.

Nel 2009 la Professoressa Pennuto è rientrata in Italia con una posizione di ricercatore indipendente al Dipartimento di “Neuroscience and Brain Technologies” dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Qui ha diretto l’unità di ricerca sulle basi molecolari delle malattie neuromuscolari degenerative quali SBMA e SLA. Nel 2013 ha vinto il premio alla carriera Dulbecco Telethon (DTI) e ha ottenuto una posizione di Ricercatore di tipo B al Centro di Biologia Integrata dell’Università di Trento. Nel 2017 Maria ha ottenuto una posizione di Professore Associato all’Università degli Studi di Padova. A partire dal 2018 è capo unità nell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), Padova.

Maria Pennuto
Maria Pennuto

MANUELA BASSO

Manuela Basso si è laureata con lode e dignità di Stampa in Biotecnologie Mediche presso l’Università degli Studi di Torino nel 2002 con una tesi realizzata presso il Bioindustry Park del Canavese. Nel 2008 ha ottenuto il diploma di dottore di ricerca in Life Science presso l’università inglese The Open University e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri lavorando sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica. Dal 2008 al 2012 ha svolto un post-dottorato nel laboratorio del Dr Rajiv Ratan, presso il Burke Neurological Institute e il Weill Medical College, Cornell University, New York. Dal 2012 al 2013 è stata promossa alla posizione di Instructor alla Cornell University dove ha studiato i meccanismi molecolari coinvolti nella morte neuronale.

Nel novembre 2013 è rientrata in Italia con chiamata diretta dall’Università di Trento e ha iniziato a dirigere il suo gruppo di ricerca. Ad oggi Manuela Basso è professore Associato presso il Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (Dipartimento CIBIO).

Manuela Basso. Foto © UniTrento, di Federico Nardelli

Testo e foto dagli Uffici Stampa dell’Università degli Studi di Padova, di Trento e VIMM sulla scoperta dei meccanismi molecolari alla base delle malattie neurodegenerative.

L’EFFETTO FLIPPER DEGLI ATOMI ESPOSTI AI RAGGI X: ALCUNI VETRI DIVENTANO FLUIDI

Lo studio pubblicato su «PNAS» dal team di ricerca guidato dall’Università di Padova mostra, per la prima volta, come gli atomi di alcuni vetri, esposti a raggi X, si spostano in risposta a tante piccole “molle cariche” che si accendono in maniera casuale nel materiale. L’effetto medio è che gli atomi si muovono con una serie di accelerazioni improvvise, un po’ come biglie in un flipper. La ricerca mostra una possibile nuova strategia per modificare, e dunque alla fine controllare, le proprietà fisiche dei vetri.

Un vetro può essere realizzato raffreddando rapidamente un liquido – si pensi ad un comune oggetto di vetro ottenuto per raffreddamento del fuso. In conseguenza di questa procedura, nello stato vetroso gli atomi si trovano in una forma disordinata, come in un liquido. A differenza di quest’ultimo, però, la loro configurazione resta pressoché fissa, vale a dire che gli atomi sono vincolati alla loro posizione di equilibrio e possono spostarsi all’interno del materiale solo in tempi estremamente lunghi (comunque troppo estesi anche per un osservatore molto paziente). Recentemente si è rilevato che, esponendo i vetri a un fascio di raggi X di intensità sufficiente, è possibile indurre spostamenti degli atomi all’interno dei vetri: sottoposti ai raggi X i vetri fluiscono, come i liquidi.

L’origine di questo fenomeno è ancora dibattuta e la ricerca dal titolo “Stochastic atomic acceleration during the X-ray-induced fluidization of a silica glass” pubblicata su «PNAS», nata da una collaborazione del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova con Istituto di Fisica dell’Università di Amsterdam, centro di ricerca DESY di Amburgo e Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, getta nuova luce su come gli atomi, esposti a raggi X, possano spostarsi all’interno della struttura disordinata del vetro su distanze altrimenti irraggiungibili in tempi così brevi.

«Con una serie di misure eseguite con una tecnica nota come spettroscopia di correlazione di fotoni X (XPCS) e realizzate nel sincrotrone PETRA III del centro di ricerca DESY ad Amburgo – afferma Francesco Dallari, ricercatore post-doc del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università di Padova –  è stato possibile tracciare questi spostamenti a partire dalla scala interatomica che è dell’ordine dell’angstrom, pari ad un decimilionesimo di millimetro, fino a distanze di svariate centinaia di angstrom, per intenderci della dimensione di un coronavirus».

Francesco Dallari
Francesco Dallari

La dinamica osservata segue le leggi di quello che viene definito “iper-trasporto”, ossia un tipo di moto dove la distanza percorsa dagli atomi aumenta col passare del tempo più rapidamente non solo di quanto non avvenga in una semplice diffusione (si pensi ad una goccia di caffè che si estende in una tazza di latte) ma addirittura di quanto non avvenga quando una particella si muove a velocità costante in una certa direzione.

«In pratica – spiega il Professor Giulio Monaco del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università di Padova – i raggi X che raggiungono il vetro generano dei difetti all’interno del materiale. Questi inducono dei campi di forza che si comportano come delle molle compresse che a loro volta spostano gli atomi vicini fino a distanze dell’ordine di centinaia o migliaia di angstrom».

Giulio Monaco atomi flipper
Giulio Monaco

Quando, dopo un sufficiente irraggiamento, questi difetti diventano densi (abbastanza numerosi), gli atomi si spostano in risposta a tante piccole molle cariche che si “accendono” in maniera casuale nel materiale. L’effetto medio è che gli atomi si muovono con una serie di accelerazioni improvvise, un po’ come palline in un flipper: una traiettoria caratterizzata da tanti spostamenti brevi intervallati da spostamenti sorprendentemente lunghi seguendo una distribuzione di probabilità nota come distribuzione di Lévy.

Questo tipo di distribuzione di spostamenti è osservata in una classe di situazioni molto diverse fra loro: dalla materia interstellare accelerata da campi magnetici distribuiti in maniera casuale, fino alle migrazioni di animali o al trasporto di persone.

Le particelle, quindi, si muovono eseguendo piccoli passi e spostandosi di poco, ma hanno sempre una certa probabilità di eseguire improvvisamente un salto estremamente lungo che le trasporta in una nuova regione dello spazio dove eseguono di nuovo piccoli passi per poi spostarsi nuovamente in un’altra regione completamente diversa. Per analogia si può pensare ad un turista: visita una città muovendosi a piedi, poi prende un aereo, cambia nazione e metropoli e ricomincia a spostarsi a piedi. Questo tipo di dinamica è stata osservata, come si è detto, in molti sistemi su scale estremamente disparate, ma viene osservata, come riportato dallo studio, per la prima volta in un sistema compatto come un vetro per effetto di forze interatomiche.

Questa ricerca mostra dunque una possibile nuova strategia per modificare, e dunque alla fine controllare, le proprietà fisiche dei vetri.

Link alla ricerca: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2213182120

Titolo: “Stochastic atomic acceleration during the X-ray-induced fluidization of a silica glass” – «PNAS» 2023

Autori: Francesco Dallari, Alessandro Martinelli, Federico Caporaletti, Michael Sprung, Giacomo Baldi, Giulio Monaco

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

Il benessere psicologico dei lavoratori durante il COVID-19: vulnerabilità e fattori protettivi

Uno studio frutto della collaborazione fra la Sapienza Università di Roma, le università di Trento, Bologna, Mannheim e dell’Università Pontificia Salesiana, ha valutato i costi psicologici del lockdown nei lavoratori in relazione ad alcuni fattori determinanti. I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Current Psychology, forniscono una base importante per l’ideazione e la realizzazione di interventi a supporto dei lavoratori nelle fasi successive della pandemia.

benessere psicologico dei lavoratori COVID-19
Il benessere psicologico dei lavoratori durante il COVID-19: vulnerabilità e fattori protettivi. Foto di MaximeUtopix

La pandemia da COVID-19 ha avuto un impatto importante su numerosi aspetti della vita delle persone, incluso il lavoro con risvolti determinanti anche sul benessere dei lavoratori. Tra i diversi fattori di disagio vi sono sicuramente lo spettro di una recessione economica, la paura di perdere il posto di lavoro, il cambiamento di abitudini consolidate insieme alla necessaria acquisizione di nuove per far fronte alla situazione emergenziale.

Tuttavia, le alterazioni del funzionamento psicologico riscontrate nei lavoratori non sono né inevitabili né sistematiche, essendo state riscontrate grandi differenze da individuo a individuo, anche tra persone che svolgono le stesse mansioni o appartengono al medesimo ambito professionale. Tutto ciò ha sollevato importanti interrogativi riguardo ai principali fattori di vulnerabilità e di protezione in azione durante questo periodo e, in ultima analisi, sui costi psicologici delle misure di contenimento.

Una nuova ricerca frutto della collaborazione fra la Sapienza di Roma, le università di Trento, Bologna, Mannheim e l’Università Pontificia Salesiana, ha preso in esame il ruolo di una ampia serie di fattori di vulnerabilità personali, di stress e di risorse sociali legati al lavoro, per valutare il benessere dei lavoratori durante l’epidemia da COVID-19. Lo studio si basa sulla teoria della conservazione delle risorse che presuppone la limitatezza delle risorse psicologiche – caratteristiche personali, ambientali e lavorative – alle quali le persone possono attingere per superare le avversità e gli eventi stressanti.

L’indagine, pubblicata sulla rivista Current Psychology. è stata condotta su un ampio campione di circa 600 lavoratori, intervistati nella prima fase di lockdown, dal 22 marzo al 6 aprile 2020, a cui è stato chiesto di rispondere a dei questionari per rilevare le loro caratteristiche psicologiche e il livello di adattamento personale e lavorativo.

I risultati hanno portato alla luce sia vulnerabilità critiche, sia fattori protettivi chiave. Tra le prime, la percezione di insicurezza lavorativa e di precarietà appaiono associate a un peggiore adattamento emotivo, soprattutto per chi possedeva un contratto a tempo determinato. Tra gli elementi protettivi, emergono invece la positività, la stabilità emotiva e la coscienziosità. Tra le singole vulnerabilità e risorse sono state inoltre evidenziate interessanti interazioni: la positività, ad esempio, è risultato un fattore di protezione chiave, in grado di diminuire la percezione dello stress causato dalle vulnerabilità. Così come i sentimenti di frustrazione, rabbia o paura determinati dall’avvento del lockdown sono risultati attenuati in chi possedeva aspettative più positive sul futuro.

“Un elemento di particolare interesse, fra tutti quelli presi in esame, è la possibilità di lavorare da casa – spiega Guido Alessandri della Sapienza, primo nome dello studio. “Chi possedeva un contratto di lavoro a tempo indeterminato, o possedeva comunque una percezione solida della propria posizione lavorativa, ha accolto positivamente questa nuova possibilità. Al contrario per chi avvertiva un forte senso di precarietà e insicurezza lavorativa, è risultata invece molto stressante”.

Infine, gli effetti negativi dello stress economico dovuto alla pandemia sono risultati ridotti grazie ad alcune caratteristiche personali come la dedizione, o dalla natura del rapporto di lavoro come il tipo di contratto in essere o la centralità riconosciuta al lavoro svolto.

I risultati ottenuti consentono di definire con chiarezza la rete di risorse e di vulnerabilità più rilevanti per le diverse tipologie di lavoratori, anche nell’ottica di ideare e realizzare interventi a supporto dei lavoratori nelle fasi successive a questo complicato periodo. Letti nel loro insieme, i fattori determinanti permettono infatti di desumere il profilo dei lavoratori più vulnerabili allo stress indotto dal lockdown, che rischiano di pagare alla lunga un costo maggiore degli altri, perché privi delle risorse necessarie per farvi fronte.

Riferimenti:

Determinants of workers’ well-being during the COVID-19 outbreak: An exploratory study – Guido Alessandri, Lorenzo Filosa, Sabine Sonnentag, Giuseppe Crea, Laura Borgnogni, Lorenzo Avanzi, Luigi Cinque, Elisabetta Crocetti – Current Psychology. 2021 DOI: https://doi.org/10.1007/s12144-021-02408-w

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

La psicologia delle regole

Foto di Bradiporap

Durante il periodo di lockdown, messo in atto dal Governo italiano per limitare gli effetti disastrosi dell’epidemia Covid-19, ogni persona ha dovuto fare i conti con le drastiche e inevitabili restrizioni adottate dal Governo, restrizioni che fino ad allora non si erano mai poste in essere, ma che, in un periodo così delicato e di continua tensione, è stato necessario adottare.

Vista la portata di queste nuove regole da seguire, il team di ricerca di Guido Alessandri della Sapienza Università di Roma ha indagato quali sono i meccanismi psicologici e sociali che sottostanno al rispetto delle regole durante la pandemia. In particolare, da questo studio è emerso come il disimpegno morale (una strategia cognitiva messa in atto dagli individui per rimuovere un affetto negativo generato dal contrasto tra le loro azioni e i loro principi) e la fiducia sociale generalizzata  (concettualizzata come il concedere anche a coloro che non si conosce il beneficio del dubbio), la quale è composta, a sua volta, da tre variabili: fiducia nel governo, fiducia nei conoscenti e negli sconosciuti – siano i maggiori predittori dei comportamenti messi in atto durante la pandemia. Come si è potuto notare, non tutti hanno rispettato le regole imposte durante il lockdown.

Secondo questo studio, il disimpegno morale ha giocato un ruolo chiave in questo, insieme ad altre variabili (come i tratti di personalità). In particolare è emerso che nei maschi e nei single ci sia stato un livello più alto di disimpegno morale, rispetto alle femmine e agli sposati, e che tendesse ad aumentare con il passare dei giorni. Nonostante questo risultato, si è potuto verificare come la fiducia nel governo, componente della fiducia sociale generalizzata, sia stato un buon predittore dei comportamenti volti al rispetto delle regole, ossia di come la fiducia nell’autorità che stabilisce tali regole porti gli individui a rispettarle, anche se questa variabile tendeva a calare con il passare dei giorni. L’altra componente della fiducia sociale generalizzata, fiducia negli altri noti, è risultata essere un’arma a doppio taglio: la fiducia riposta nei conoscenti, in merito al rispetto delle regole, da una parte ha portato anch’essi a rispettarle, dall’altra ha portato a favorire un minore distanziamento sociale. Lo studio ha dimostrato, tra l’altro, come i più sospettosi nei confronti degli altri, quindi anche le persone aventi tratti oscuri di personalità (ossia un insieme di tre tratti comportamentali: narcisismo, machiavellismo e psicopatia), abbiano rispettato la norma del distanziamento sociale. Più in generale, è risultato che un alto livello di fiducia nel governo sia preferibile ad un alto livello di fiducia negli altri, noti e non.

Infine, si può affermare che l’obiettivo principale di questa ricerca, ossia fornire una valida spiegazione dei comportamenti volti al rispetto (e non) delle regole imposte dal Governo durante il periodo di lockdown, è stato raggiunto, riuscendo a esplorare quelle variabili psicologiche e sociali che tanto condizionano il nostro comportamento in un periodo così delicato.

 Abbiamo intervistato il professor Guido Alessandri, della Sapienza Università di Roma, che ha risposto alle domande di ScientifiCult.

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Foto di djedj

 

Nella Vostra ricerca, tra i risultati non ipotizzati, è emerso un livello più alto di disimpegno morale per i maschi rispetto alle femmine e per i single rispetto ai partecipanti sposati. Ritenete che questo risultato sia collegato a determinati fattori?

Il dato relativo ad un livello di disimpegno morale più alto negli uomini che nelle donne è coerente con ricerche precedenti. Di solito viene collegato alla diversa incidenza dei tratti di personalità nei due sessi (es. donne più empatiche, meno aggressive etc..)

Potrebbe influire la frustrazione dei partecipanti single, dovuta all’isolamento e al distanziamento sociale?

È una delle ipotesi cui abbiamo pensato, ma è difficile sostenerla appieno. Infatti i single come gli sposati hanno accesso ad altri canali di comunicazione… Tuttavia, se si riferisce ai partecipanti maschi single con più alto disimpegno morale, la risposta è che non lo sappiamo, perché non abbiamo esplorato questa ipotesi nei nostri dati. Potrebbe essere un buono spunto per lavori successivi.

In merito le differenze di genere, potrebbe aver contribuito una maggiore predisposizione dei maschi, rispetto alle femmine, verso lo sviluppo di una personalità narcisistica?

È una ipotesi probabile, ma è ovviamente difficile dimostrarlo con i nostri dati.

Come è stato dimostrato dai risultati della Vostra ricerca, il disimpegno morale tendeva ad aumentare con il passare dei giorni, mentre la fiducia nel governo tendeva a calare. Cosa pensate abbia prodotto un aumento del disimpegno morale nei giorni ed un costante calo della fiducia nel governo? Potrebbe aver influito, in merito all’aumento del disimpegno sociale, un certo adattamento degli individui alla situazione pandemica? In merito, invece, al calo della fiducia nel governo, potrebbe aver influito una certa “saturazione” nel tempo dei comportamenti volti al rispetto delle regole?

Sì, concordiamo su tutti i punti. Abituazione al contesto e stringenza delle regole imposte potrebbero aver influito a questo livello.

Grazie alla Vostra ricerca, è stato dimostrato che una minor fiducia nei confronti di sconosciuti, caratteristica dei cosiddetti tratti “oscuri” di personalità, è stato un dato significativo per favorire il distanziamento sociale. Questo risultato può aiutare a sensibilizzare anche le personalità antisociali nel perseguimento di un “bene comune”?

È uno spunto molto interessante, che per essere confermato del tutto dovrebbe essere indagato in altri studi, ma credo che i nostri dati vadan in questo senso.

 

Bibliografia di riferimento:

Guido Alessandri , Lorenzo Filosa , Marie S. Tisak , Elisabetta Crocetti , Giuseppe Crea e Lorenzo Avanzi, Moral Disengagement and Generalized Social Trust as Mediators and Moderators of Rule-Respecting Behaviors During the COVID-19 Outbreak, Frontiers in Psychology 11, 2020.  https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2020.02102/full

 

 

La psicologia delle regole: il caso COVID-19

Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Psicologia della Sapienza Università di Roma, ha indagato i processi psicologici e i condizionamenti sociali che hanno portato le persone a rispettare le regole di quarantena e di distanziamento sociale imposte dal Governo in risposta all’emergenza da Coronavirus. La ricerca, condotta su un campione di 1.520 soggetti provenienti da tutta Italia, è stata pubblicata sulla rivista Frontiers in Psychology

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Foto di Engin Akyurt

Fin dai primi giorni in cui in Italia sono state introdotte le misure di lockdown, è stato chiaro come, nonostante la preoccupazione generata dall’espandersi della pandemia e gli imperativi morali diffusi dai diversi esperti, le persone abbiano avuto difficoltà a rispettare la quarantena, a mantenere il distanziamento sociale e in generale ad adottare le precauzioni imposte dal Governo.
Eppure, il fatto che in molti abbiano trasgredito le regole, le abbiano adottate parzialmente o aggirate in nome di motivazioni di volta in volta convenienti e contingenti, non è del tutto sorprendente. Decine di studi psicologici hanno infatti da tempo dimostrato quanto sia difficile per le persone conformarsi alle regole, soprattutto quando queste vengono imposte dall’esterno e si basano su principi morali non sempre facili da comprendere.

Oggi, in un nuovo lavoro pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology, il team di ricerca coordinato da Guido Alessandri della Sapienza Università di Roma, ha indagato le caratteristiche psicologiche e i determinanti psicosociali alla base del rispetto delle regole durante l’esplosione della pandemia di COVID-19. Lo studio, svolto in collaborazione con le università di Trento e Bologna e l’Università Pontificia Salesiana, ha permesso di identificare il disimpegno morale e la fiducia generalizzata negli altri come fattori cruciali, mediatori e moderatori di un comportamento più o meno ligio.
Durante la prima fase di lockdown, tra il 22 marzo e il 6 aprile 2020, i ricercatori hanno sottoposto le persone a dei questionari in cui gli veniva chiesto di indicare la frequenza con cui erano usciti da casa dall’inizio delle restrizioni e a che livello, a loro avviso, si erano attenuti alle regole imposte dal Governo. In questo modo è stato possibile tracciare il profilo psicologico di coloro che, più di altri, hanno riportato di aver trasgredito, ignorato o comunque avuto difficoltà nel conformarsi alle regole.

“Un ruolo fondamentale – spiega Guido Alessandri – è giocato dalle disposizioni di base delle persone. Abbiamo visto che i tratti di personalità possono determinare le scelte comportamentali andando a influenzare la tendenza degli individui stessi a disimpegnarsi moralmente, ovvero a ignorare per propria convenienza la dimensione etica del comportamento e a trasgredire le regole imposte senza mostrare alcun disagio, vergogna o rimorso, arrivando addirittura a trovare una piena giustificazione per le proprie azioni”.

Stando ai risultati dello studio, le persone che riportavano più alti livelli di disimpegno morale, riferivano all’interno dei questionari di aver violato più frequentemente le regole di isolamento domiciliare o di distanziamento sociale.
Oltre al disimpegno morale, le disposizioni di base degli individui apparivano correlate al loro livello di fiducia sociale generalizzata: la percezione che anche gli altri intorno a noi si stanno impegnando per rispettare le regole imposte, è risultata un ulteriore elemento cruciale nel favorire il rispetto delle regole tanto da arrivare, in talune circostanze, ad attenuare l’influenza del disimpegno morale sul non rispetto delle regole.

“A fronte delle disposizioni di base della personalità di ognuno, il disimpegno morale e la fiducia negli altri e soprattutto nel Governo, costituiscono dei potenti incentivi (o disincentivi) al rispetto delle regole” – conclude Alessandri. “Rappresentano delle leve psicologiche fondamentali per promuovere il rispetto delle regole nelle fasi avanzate della gestione della pandemia, che sempre più fanno affidamento sulle capacità di autoregolamentazione degli individui e sempre meno sulla stretta regolamentazione dei loro comportamenti”.

Riferimenti:
Alessandri, G., Filosa, L., Tisak, M. S., Crocetti, E., Crea, G., & Avanzi, L. (2020). Moral Disengagement and Generalized Social Trust as Mediators and Moderators of Rule-Respecting Behaviors During the COVID-19 Outbreak. Frontiers in Psychology, 11:2102. doi: 10.3389/fpsyg.2020.02102

 

Testo sulla psicologia delle regole col COVID-19 dall’Ufficio Stampa Sapienza Università di Roma.