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Università degli Studi di Torino

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Il suono degli zoccoli di un cavallo in movimento è tutta una questione di ritmo

Passo, trotto e galoppo: le andature equine seguono dei veri e propri modelli ritmici. Due studi condotti dalla Sapienza e dall’Università di Torino indagano sulla loro musicalità.

La sequenza degli zoccoli di un cavallo che colpiscono il terreno sembra intuitivamente ritmica, ma lo è davvero? Un team di ricercatori guidato da Marco Gamba dell’Università di Torino e da Andrea Ravignani della Sapienza Università di Roma, finanziato dal progetto ERC The Origins of Human Rhythm (TOHR), ha risposto a questa domanda in due studi pubblicati sul Journal of Anatomy e Annals of the New York Academy of Sciences mettendo in luce le somiglianze tra i ritmi della locomozione dei cavalli e quelli musicali. Questa connessione potrebbe spiegare perché le diverse andature equine – passo, trotto e galoppo – risultino così ritmiche e riconoscibili.

Il ritmo musicale in molte culture occidentali si basa su sequenze di intervalli temporali che seguono rapporti di numeri interi, ciascuno dei quali definisce una categoria ritmica. Una nota, per esempio, può durare quanto la precedente, oppure il doppio o il triplo. Negli ultimi anni, studi su diverse specie animali hanno già rivelato che simili rapporti si trovano nelle vocalizzazioni di altre specie, confermando il ruolo chiave di queste strutture temporali nella percezione del ritmo.

Per la prima volta, i ricercatori hanno dimostrato che anche l’andatura dei cavalli condivide queste stesse strutture temporali: gli intervalli tra zoccoli successivi che colpiscono il terreno sono caratterizzati da categorie ritmiche. In particolare, il passo e il trotto dei cavalli sono isocroni,  poiché il terreno è colpito a intervalli regolari, come il ticchettio di un orologio;  il galoppo, invece, presenta una sequenza di tre intervalli in cui il terzo dura il doppio degli altri due, vale a dire un pattern 1:1:2, richiamando il ritmo base del brano “We Will Rock You” dei Queen.

“Questo pattern di 1:1:2 incidentalmente si ritrova anche nell’Overture del Guglielmo Tell di Rossini. Forse questo spiega perché spesso questo brano venga usato come colonna sonora nei film in cui si vedono cavalli al galoppo”, dichiara Andrea Ravignani.

“Questi studi proseguono un filone di ricerca che vede unite le nostre Università al fine di indagare le caratteristiche ritmiche dei comportamenti di animali e umani, cercando di scovare similarità e differenze che sono ancora da interpretare per ciò che concerne il loro significato evolutivo”, aggiunge Marco Gamba.

Oltre alle categorie ritmiche, “un altro elemento fondamentale nella distinzione tra le andature dei cavalli è il tempo, ossia la velocità con cui si susseguono i battiti in un qualsiasi pattern ritmico, analogamente a quanto osserviamo tra diversi generi musicali” spiega Teresa Raimondi, postdoc di Sapienza Università di Roma.

In particolare, passo e trotto risultano facilmente distinguibili grazie alla maggiore durata degli intervalli, e quindi un pattern ritmico più lento nel trotto rispetto al passo.

“La scoperta di schemi ritmici comuni tra musica, comunicazione animale e locomozione rafforza l’idea che locomozione e controllo motorio possano aver giocato un ruolo cruciale nell’evoluzione del ritmo, sia nella comunicazione umana che in quella di altre specie”, conclude Lia Laffi, dottoranda dell’Università di Torino in collaborazione con la Fondazione Zoom.

I risultati delle due ricerche discriminano quantitativamente le andature dei cavalli in base al ritmo, rivelando sorprendenti comunanze con la musica umana e con alcuni segnali comunicativi animali. L’andatura e la ritmicità vocale condividono caratteristiche chiave, e la prima è probabilmente precedente alla seconda. La capacità di produrre e riconoscere ritmi legati alla locomozione potrebbe infatti aver costituito un preadattamento fondamentale per lo sviluppo di ritmi vocali più complessi in una fase evolutiva successiva. In particolare, la percezione della ritmicità locomotoria potrebbe essersi evoluta in diverse specie sotto la pressione del riconoscimento dei predatori e della selezione degli accoppiamenti; in seguito potrebbe essere stata adattata alla comunicazione vocale ritmica.

A questo sforzo di ricerca internazionale, hanno partecipato anche professori e ricercatori dell’Università di Medicina Veterinaria di Vienna, dell’Università di Copenaghen e dell’Istituto Italiano di Tecnologia.

 

Riferimenti bibliografici:

Laffi, L., Raimondi, T., Ferrante, C., Pagliara, E., Bertuglia, A., Briefer, E. F., Gamba, M., & Ravignani, A. (2024). “The rhythm of horse gaits”, Ann NY Acad Sci., 1–8. DOI: https://doi.org/10.1111/nyas.15271

Laffi, L., Bigand, F., Peham, C.,Novembre, G., Gamba, M. & Ravignani, A. (2024) “Rhythmic categories in horse gait kinematics”, Journal of Anatomy, 00,1–10. DOI: https://doi.org/10.1111/joa.14200

Il suono degli zoccoli di un cavallo in movimento è tutta una questione di ritmo, secondo due studi appena pubblicati. Un cavallo (Equus ferus caballus) frisone. Foto di Andizo [1], CC BY-SA 3.0
Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

CECILIA PAYNE E HENRIETTA LEAVITT. DUE ASTRONOME, UN CENTENARIO 

Una mostra fotografica e un ciclo di conferenze per celebrare due donne che hanno cambiato la nostra comprensione dell’Universo 

Inaugurazione con la divulgatrice statunitense Dava Sobel che presenterà anche il saggio su Marie Curie 

1925 - 2025 Payne e Leavitt - Due astronome, un centenario

Mercoledì 29 gennaio alle ore 18, al Rettorato (via Verdi 8, Torino), prende il via l’iniziativa promossa dall’Università di Torino con Accademia delle Scienze, Infini.to – Planetario di Torino, Museo dell’Astronomia e dello Spazio “Attilio Ferrari”, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e patrocinata dal Cirsde, con l’inaugurazione della mostra fotografica 1925 – 2025 Payne e Leavitt – Due astronome, un centenario prodotta da UniVerso per celebrare le straordinarie figure di Cecilia Payne e Henrietta Leavitt, due scienziate dello Harvard College Observatory che, con le loro ricerche, hanno segnato una svolta nella storia dell’astrofisica. 

Esattamente cento anni fa, nel 1925, due loro scoperte hanno infatti rivoluzionato la comprensione dell’Universo: grazie a Cecilia Helena Payne abbiamo capito di cosa sono fatte le stelle e grazie a Henrietta Swan Leavitt che la nostra galassia, la Via Lattea, è solo una tra miriadi di galassie. Queste due scoperte fondamentali non solo hanno aperto nuove frontiere per la conoscenza umana, ma hanno anche ispirato generazioni di scienziati e scienziate. 

La mostra fotografica 

La mostra, curata da Infini.to – Planetario di Torino, Museo dell’Astronomia e dello Spazio “Attilio Ferrari” con il coordinamento scientifico di Antonaldo Diaferio, ripercorre attraverso testi e immagini le vite di Cecilia Payne e Henrietta Leavitt, che iniziarono il loro cammino scientifico seguendo percorsi inizialmente lontani dall’astrofisica – Payne studiando botanica e Leavitt interessandosi alla musica – per poi essere attratte dalla sfida di comprendere l’Universo. La loro dedizione, creatività e tenacia permisero loro di superare le barriere di un mondo scientifico dominato dagli uomini, contribuendo in modo determinante alla nostra comprensione del cosmo. Questa iniziativa non è solo un tributo alle loro scoperte, ma anche un invito a riflettere sulle qualità imprescindibili di chi si dedica alla scienza: una curiosità instancabile e una tenacia indomabile. 

La mostra, allestita nel Cortile del Rettorato (via Verdi 8, Torino), sarà inaugurata alle ore 18 alla presenza di Dava Sobel, divulgatrice scientifica autrice del libro Le scienziate che misurarono il cielo, che terrà un discorso per rendere omaggio al contributo di Payne e Leavitt alla conoscenza umana. 

Il ciclo di conferenze per esplorare l’Universo 

Sempre il 29 gennaio, alle ore 21, presso l’Accademia delle Scienze di Torino, con la lectio dal titolo Cecilia Payne e Henrietta Leavitt: lo Harvard College Observatory nei primi decenni del XX secolo, Dava Sobel aprirà il ciclo di 16 conferenze pubbliche tenute da astrofisiche e astrofisici di fama internazionale. Gli incontri si svolgeranno nell’arco di tutto il 2025 in tre sedi prestigiose: l’Accademia delle Scienze di Torino, Infini.to – Planetario di Torino Museo dell’Astronomia e dello Spazio “Attilio Ferrari”, e l’Archivio di Stato di Torino. Il programma completo delle conferenze è disponibile sul sito del Planetario. 

Infine, a corollario dell’iniziativa, giovedì 30 gennaio, alle ore 21 al Circolo dei lettori (via Bogino 9, Torino) si terrà l’incontro con Dava Sobel dal titolo Gli elementi di Marie Curie a partire dal suo libro Nel laboratorio di Marie Curie (Rizzoli, 2025). Dialogando con Silvia Rosa Brusin, l’autrice accompagnerà il pubblico con originalità e competenza nella vita di Marie Curie, una delle figure più importanti e influenti del nostro tempo, con le sue straordinarie scoperte, e delle scienziate sue eredi. Per informazioni: https://torino.circololettori.it/gli-elementi-di-marie-curie/   

Informazioni utili 

Mostra fotografica 1925 – 2025 Payne e Leavitt – Due astronome, un centenario
Università di Torino, Cortile del Rettorato, via Verdi 8/via Po 17
Dal 29 gennaio al 29 marzo 2025
Orario di apertura da lunedì a sabato ore 10-18 Ingresso gratuito 

Inaugurazione 29 gennaio, ore 18, Palazzo del Rettorato 

Ciclo di conferenze 

Gli appuntamenti si terranno presso Accademia delle Scienze di Torino, Infini.to – Planetario, Museo dell’Astronomia e dello Spazio “Attilio Ferrari” e Archivio di Stato di Torino.
Per info sul programma completo https://planetarioditorino.it/calendario-cicli-payne-e-leavitt 

Inaugurazione 29 gennaio, ore 21, Accademia delle Scienze di Torino 

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

STUDIO DEI PROCESSI METABOLICI E INFIAMMATORI LEGATI A CANCRO E MALATTIE CRONICHE: NASCE A UNITO IL NUOVO CENTRO DI RICERCA ATLANTIS
 
Il centro interdipartimentale, diretto dalla Prof.ssa Paola Costelli è specializzato nello studio dell’infiammazione e del metabolismo nel cancro e nelle malattie cronico-degenerative
 

 

È stato inaugurato ieri, venerdì 20 dicembre, il nuovo centro di ricerca Atlantis, nato dalla collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche, il Dipartimento di Oncologia e il Dipartimento di Chimica dell’Università di Torino.
Il centro, diretto dalla Prof.ssa Paola Costelli, è specializzato nello studio delle vie metaboliche e della loro interazione con i processi flogistici nella patogenesi del cancro e delle malattie cronico-degenerative.
Atlantis si propone di promuovere la ricerca di base, preclinica e clinica nel campo del metabolismo e dell’infiammazione sfruttando un approccio innovativo ed interdisciplinare, anche nell’ottica di favorire le collaborazioni nazionali ed internazionali. Oltre agli obiettivi di ricerca, Atlantis favorirà la formazione superiore e la divulgazione scientifica, attraverso l’interazione con corsi di dottorato, scuole di specializzazione, centri di ricerca e associazioni di pazienti. Inoltre, promuoverà la collaborazione con l’industria biotecnologica per lo sviluppo di brevetti e tecnologie innovative, facilitando il trasferimento dei risultati della ricerca al settore industriale.
Dal punto di vista tecnologico, Atlantis offre la possibilità di eseguire analisi metabolomiche e proteomiche ‘targeted’ e ‘untargeted’ sia su fluidi biologici (bulk) che su matrici solide (spatial metabolomic/proteomic). Più semplicemente, le strumentazioni presenti in Atlantis rendono possibile analizzare il profilo metabolomico/proteomico di un campione biologico, identificare i metaboliti di interesse e analizzare la loro distribuzione a livello cellulare.
“L’inaugurazione di Atlantis è un momento importante non solo per il Polo di Medicina Orbassano-Candiolo, ma per tutta la Scuola di Medicina e per l’Università di Torino” – afferma Paola Costelli, direttrice del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche e del centro di Ricerca Atlantis“Il Centro Atlantis si pone come una realtà di ricerca all’avanguardia sul territorio regionale e nazionale, essendo equipaggiato per effettuare analisi metabolomica e lipidomica su diverse matrici biologiche. Anche se al momento siamo ancora relativamente lontani dal rendere l’analisi metabolomica una routine nella pratica clinica, le applicazioni di queste tecnologie in ambito biomedico sono vastissime. A solo titolo di esempio, possiamo citare l’identificazione di biomarcatori utili a fini diagnostici, prognostici e di follow-up della malattia, permettendo così di personalizzare l’approccio terapeutico”.
Inaugurazione del Centro di Ricerca Atlantis, da sinistra Cristian Fiori, Cristina Prandi, Andrea Graziani, Elisabetta Bugianesi, Paola Costelli
Inaugurazione del Centro di Ricerca Atlantis, da sinistra Cristian Fiori, Cristina Prandi, Andrea Graziani, Elisabetta Bugianesi, Paola Costelli

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Un collettivo di ricerca italiano per una riflessione costruttiva sul tema della carne coltivata a supporto di un processo decisionale ragionato

Una discussione interdisciplinare sul tema dell’agricoltura cellulare diventa una nota critica revisionata tra pari: pubblicati sulla rivista One Earth 10 spunti che, a partire dal caso specifico italiano, vengono proposti ai decisori politici e agli esperti del settore.

Quello della carne coltivata è oggi un argomento polarizzante nel discorso politico mondiale. L’Italia è stato il primo Paese ad approvare una legge che vieta produzione e vendita di prodotti ottenuti tramite agricoltura cellulare: da qui l’urgenza, percepita dalle ricercatrici e dai ricercatori che studiano il tema, di impostare una riflessione che possa contribuire a guidare i decisori politici, e tutte le parti interessate, a intraprendere percorsi di valutazione ragionati, fondati su evidenza scientifica e caratterizzati da un approccio interdisciplinare.

Politecnico di TorinoUniversità di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e Università di Torino, insieme all’Università di Roma Tor Vergata, all’Università di Trento, a The Good Food Institute Europe e all’Istituto di scienze delle produzioni alimentari, si pongono in prima fila nell’affrontare una sfida ben precisa: promuovere un sostegno bipartisan alla ricerca scientifica, che permetta a questa di verificare se siano plausibili la sostenibilità e la praticabilità dell’agricoltura cellulare, per poi lasciare alle parti politiche le decisioni in materia di policy. È fondamentale sensibilizzare la coscienza collettiva sull’importanza di garantire ricerca libera e rispettata a priori, tenuta ben distinta dalle scelte regolamentari, necessarie ma attinenti a un dominio diverso in una democrazia che ha tra i propri valori il progresso della conoscenza.

Le ricercatrici e i ricercatori coinvolti nel progetto – 19 in tutto – hanno quindi elaborato dieci spunti confluiti in una nota critica revisionata tra pari pubblicata oggi su One Earth, la rivista dell’editore scientifico Cell Press che si occupa specificatamente di sostenibilità. Dal titolo “Cultivated meat beyond bans: Ten remarks from the Italian case toward a reasoned decision-making process” l’articolo – ad accesso libero e gratuito – vede nel ruolo di autori corrispondenti Michele Antonio Fino, professore di diritto all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Alessandro Bertero, professore di biotecnologie all’Università di Torino, e Diana Massai, professoressa di bioingegneria al Politecnico di Torino. Hanno con loro partecipato alla stesura del testo esperti in biologia delle cellule staminali e dei muscoli, medicina rigenerativa e ingegneria dei tessuti, bioingegneria, ingegneria industriale, tecnologie e sicurezza alimentare, diritto comparato, filosofia etica, semiotica, psicologia e percezione del consumatore, nonché comunicazione scientifica.

L’attenzione delle ricercatrici e dei ricercatori si è concentrata in primo luogo sulla libertà della ricerca, necessaria all’innovazione. Come garanzia della libertà serve un uso corretto del linguaggio per riferirsi al tema: termini quali “coltivato” o “carne coltivata” – che riportano all’origine biologica delle cellule e al metodo di produzione – non sono equivalenti a “artificiale” o “carne sintetica”. Altrettanto fondamentale è la salvaguardia dell’integrità delle informazioni trasmesse, il discorso pubblico deve infatti diffidare di tutte quelle scorciatoie linguistico-concettuali usate per descrivere i prodotti dell’agricoltura cellulare e che rischiano di compromettere la capacità degli individui di formarsi una propria opinione sulla base dei dati.

L’agricoltura cellulare ha un potenziale importante, in un mondo che si trova oggi ad affrontare sfide alimentari e ambientali non più rimandabili, con la previsione di una crescita della popolazione che raggiungerà tra i 9 e gli 11 miliardi entro il 2050. Ed è pertanto irresponsabile minare la fiducia dei consumatori nella valutazione dei nuovi alimenti, mettendo in discussione le autorità competenti in materia, qual è l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA).

Nel testo si evidenzia quindi l’importanza di fornire consistente sostegno alla ricerca pubblica allo scopo di mitigare i rischi di iniquità associati ai brevetti privati e ai potenziali monopoli. Gli autori e le autrici si rivolgono ai decisori politici per richiedere una stabilità normativa che possa sostenere gli sforzi della ricerca e il potenziale trasferimento tecnologico in tema di nuovi alimenti. Non manca, infine, un riferimento alla libertà individuale nelle scelte alimentari: una volta appurata la sicurezza e approvata la produzione, la libertà di compiere scelte alimentari non deve essere infatti limitata da alcuna maggioranza ma lasciata al singolo.

“Negli ultimi anni, in diversi paesi è emersa una linea politica contraria alla carne coltivata non fondata sui risultati di una ricerca scientifica compiuta – commentano Alessandro BerteroMichele Antonio Fino e Diana Massai – La situazione creatasi in Italia, con la conseguente crisi di conoscenza acuita da decisioni politiche basate su informazioni come minimo incomplete, ha ispirato la nascita di un collettivo di ricerca fortemente interdisciplinare. La posizione che ne è scaturita è un appello argomentato a riportare il sapere scientifico e la ricerca al centro del dibattito su un tema cruciale com’è quello della agricoltura cellulare. In quanto settima economia mondiale, l’Italia ha la responsabilità di contribuire in modo attivo e consapevole al progresso della conoscenza, prima che venga svolta qualsiasi valutazione su tecnologie capaci di influire sul futuro alimentare globale”.

Torino, 20 dicembre 2024

il primo hamburger di carne coltivata (2013) a Londra, prodotto dall'Università di Maastricht. Fotogramma World Economic Forum estratto da video YouTube (7:53), CC BY 3.0
il primo hamburger di carne coltivata (2013) a Londra, prodotto dall’Università di Maastricht. Fotogramma World Economic Forum estratto da video YouTube (7:53), CC BY 3.0

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

FONDO ITALIANO PER LA SCIENZA: AL DIPARTIMENTO DI FISICA UN DOPPIO FINANZIAMENTO PER STUDIARE I COSTITUENTI ELEMENTARI DELLA MATERIA, AL PROGETTO FLAME DI SILVIA FERRARIO RAVASIO E ALLO STUDIO DELLA TEORIA DEI CAMPI CON MARCO MEINERI; I FINANZIAMENTI ARRIVERANNO NEI PROSSIMI 3 ANNI

Dal MUR oltre 2,5 milioni di euro a due progetti di ricerca UniTo per promuovere lo sviluppo della ricerca fondamentale

Importante risultato nella ricerca per il Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, a cui vanno due dei cinque Starting Grant messi a bando dal Fondo Italiano per la Scienza (MUR), per il Settore – PE2 – Fundamental Costituents of Matter. L’obiettivo principale del Fondo è quello di promuovere lo sviluppo della ricerca fondamentale secondo le modalità consolidate a livello europeo sul modello dell’European Research Council (ERC). Questo prestigioso riconoscimento giunge grazie al lavoro della dottoressa Silvia Ferrario Ravasio, e del dottor Marco Meineri, che hanno ottenuto un finanziamento rispettivamente di 1.325.026,79 milioni di euro e 1.325.504,44 milioni di euro per i prossimi 3 anni.

La dott.ssa Ferrario Ravasio, attualmente al CERN,  riceve il contributo grazie al progetto “FLAME – Fixed-order and Logarithmic Accuracy in Monte Carlo Events”. Il progetto è dedicato alla fisica delle particelle. Grazie agli acceleratori di particelle come il Large Hadron Collider (LHC), è possibile testare la nostra conoscenza a energie e precisioni molto elevate. Lo studio e la comprensione del bosone di Higgs, la particella che fornisce una spiegazione per l’origine della massa di tutte le altre particelle, rimane un pilastro della fisica del LHC, così come una precisa determinazione delle proprietà delle particelle elementari che compongono il Modello Standard, la teoria che racchiude l’attuale conoscenza delle interazioni fondamentali.

L’obiettivo del progetto è aumentare l’accuratezza delle predizioni teoriche per processi chiave misurati al LHC, così da avere uno strumento interpretativo accurato e affidabile per tradurre l’enorme mole di dati misurati in conoscenza delle interazioni fondamentali tra particelle. L’LHC consente di esplorare le forze fondamentali che governano la natura. I generatori di eventi Monte Carlo (MC) sono lo strumento principale per stabilire la connessione quantitativa tra gli esperimenti di collisione e il Modello Standard, il quadro teorico che racchiude la nostra comprensione delle interazioni tra particelle fondamentali. L’obiettivo di FLAME è produrre le previsioni teoriche più precise per i processi di collisione all’interno di MC flessibili, per una migliore descrizione teorica di qualsiasi osservabile.

“Nei prossimi due decenni – dichiara Silvia Ferrario Ravasio – le misure di LHC raggiungeranno un’energia e una precisione senza precedenti, per svelare la natura del bosone di Higgs e trovare potenziali indizi di nuovi scenari fisici. FLAME fornirà la svolta urgentemente necessaria per sviluppare nuovi GPMC formalmente e praticamente accurati, in linea con i requisiti sperimentali dei futuri programmi di fisica dell’LHC e dei suoi successori”.

Questo obiettivo sarà raggiunto utilizzando la risommazione logaritmica per combinare GPMC, che ben modellano fisica a basse scale, con calcoli ad ordine fisso, solitamente atti a descrivere processi molto energetici. Il progetto FLAME rappresenta dunque una potente opportunità per spingere i confini della nostra conoscenza della fisica delle particelle e sfruttare tutto il potenziale della dinamica multi-scala negli esperimenti di collisione.

Il dottor Marco Meineri accede al finanziamento invece con il progetto “New frontiers for the bootstrap program: from entanglement to renormalization group flows”, dedicato allo studio delle teorie di campo quantistiche fortemente interagenti. La teoria dei campi è il più sofisticato linguaggio a disposizione in fisica per descrivere le interazioni fondamentali. Sorprendentemente, sono descritti da teorie di campo anche fenomeni macroscopici in cui un enorme numero di costituenti elementari si comporta collettivamente, quali la magnetizzazione spontanea di un metallo, o la transizione dell’elio liquido verso lo stato superfluido. Il prezzo da pagare per un modello teorico così potente e flessibile è che spesso non è facile estrarre predizioni esplicite da esso. Se i costituenti elementari interagiscono tra loro con forze intense, i metodi di approssimazione a nostra disposizione diventano inefficaci.

“Tuttavia – dichiara Marco Meineri – anche se non sappiamo calcolare la risposta esatta, qualche volta sappiamo escludere alcune risposte sbagliate. Infatti, i processi descritti dalle teorie di campo devono soddisfare condizioni di auto-consistenza, e verificarle è più semplice che fare predizioni esatte. A volte, i vincoli sono così stringenti da isolare una sola possibilità. Questo approccio viene chiamato “bootstrap”. Finora, il bootstrap è stato applicato con grande successo alle cosiddette funzioni di correlazione, che descrivono la risposta di un sistema a piccole sollecitazioni”.

L’obiettivo del progetto di ricerca del dott. Meineri è quello di estendere questo paradigma a nuove osservabili, che dipendono dalle proprietà di intere regioni di spazio invece che di singoli punti. Il prototipo di queste osservabili è la quantità di entanglement tra due regioni diverse di spazio. L’entanglement è una proprietà fondamentale delle teorie quantistiche, e implica che il risultato di un esperimento in una certa regione sia influenzato da cosa avviene in una regione diversa, pur senza un’azione diretta. Maggiore l’entanglement, maggiore l’incertezza associata a una conoscenza imprecisa dello stato del sistema. Il calcolo della cosiddetta entropia dovuta all’entanglement è particolarmente arduo: Il bootstrap potrebbe consentire di determinarne limiti universali.

Il rettorato dell'Università degli Studi di Torino.
Fondo Italiano per la Scienza: finanziamenti al progetto FLAME di Silvia Ferrario Ravasio e allo studio della teoria dei campi con Marco Meineri. In foto, il rettorato dell’Università degli Studi di Torino. Foto Unitomaster, CC BY-SA 3.0

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

ALL’UNIVERSITÀ DI TORINO 1,8 MILIONI DI EURO PER RIVOLUZIONARE LE TERAPIE TUMORALI ANTI-ANGIOGENESI DEL PROGETTO COOLISH

COOLISH, progetto di ricerca interdisciplinare del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e del Candiolo Cancer Institute-IRCCS-FPO, ha ottenuto un importante finanziamento di 1,8 milioni di euro dal Fondo Italiano per le Scienze Applicate (FISA), il programma del Ministero dello Sviluppo Economico istituito con la legge di bilancio 2022, che ha l’obiettivo di innalzare il livello di attrazione, competitività e innovazione dell’Italia, elevando la capacità di fare ricerca.

Il progetto COOLISH ha lo scopo di ottimizzare la scoperta di molecole bioattive in ambito oncologico attraverso il superamento degli attuali limiti presenti nelle colture cellulari bidimensionali e dei modelli tridimensionali, poco efficaci nel riprodurre il microambiente tumorale. L’obiettivo è sviluppare una piattaforma basata su organoidi vascolarizzati derivati da pazienti con tumori di difficile trattamento, come l’adenocarcinoma duttale pancreatico, il carcinoma polmonare non a piccole cellule e il melanoma metastatico, noti per essere refrattari o scarsamente responsivi alle attuali terapie anti-angiogeniche. Questa progetto consentirà di testare un’ampia libreria di molecole, già approvate alla sperimentazione umana dalle agenzie regolatorie, per identificare composti in grado di bloccare la crescita degli organoidi tumorali attraverso il blocco dell’angiogenesi, ossia il processo di formazione di formazione di nuovi vasi sanguigni.

“I farmaci anti-angiogenetici – spiega il Prof. Federico Bussolino, Direttore del laboratorio di Oncologia vascolare al Candiolo Cancer Institute – sono fondamentali nella lotta contro il cancro perché bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni, impedendo al tumore di crescere e diffondersi. Agiscono in modo mirato e possono essere combinati con altre terapie per aumentarne l’efficacia. Tuttavia le molecole anti-angiogenetiche attualmente disponibili non sono efficaci in tutti i tumori, che per altro richiedono la vascolarizzazione per la loro progressioneLa presenza di un team multidisciplinare supportato da un finanziamento importante quale FISA 2022 permetterà a COOLISH di effettuare nei prossimi quattro anni una Ricerca ad alto profilo diretta a innovare questi trattamenti, offrendo di riflesso nuove speranze ai pazienti”.

COOLISH è una piattaforma multidisciplinare sviluppata dal Prof. Federico Bussolino del Candiolo Cancer Institute-IRCCS-FPO, dal Prof. Luca Primo del Dipartimento di Oncologia, dalla Prof.ssa Laura Anfossi del Dipartimento di Chimica e del Prof. Marco L. Lolli del Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco.

tumori infantili RNA
Foto di RyanMcGuire

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

PROGETTO CEFALEE: Tecnologia, creatività e innovazione didattica

Pazienti-attori e utilizzo della Camera Immersiva del Centro di simulazione per migliorare le cure ai pazienti

  • Come rendere più efficienti le cure per il paziente affetto da cefalea?
  • Come abbattere i tempi di attesa e i costi della sanità pubblica generati da percorsi non appropriati?

Giovedì 12 Dicembre 2024 – Un progetto di avanguardia di simulazione medica avanzata, nato dalla sinergia tra Corso di Laurea in Medicine and Surgery e l’AOU San Luigi Gonzaga, fornirà risposte innovative a queste domande, avvalendosi di “pazienti simulati”, attori appositamente formati a simulare gli aspetti clinici, comunicativi e psicologici di una malattia in modo realistico e la tecnologia sofisticata della Camera Immersiva del Centro di Simulazione del Polo Didattico Universitario dell’Ospedale San Luigi Gonzaga.

I dati 

La cefalea è un fenomeno che riguarda circa il 50% della popolazione mondiale, ne soffre il 25% degli italianiin particolare la popolazione femminile e il 70% delle persone la sperimenta almeno una volta nella vita, mentre circa il 5% soffre di una forma cronica. Terza causa di disabilità a livello mondiale, la cefalea è stata riconosciuta in Italia nel 2020 una “malattia sociale”.

Per quanto riguarda l’aspetto economicouno studio italiano ha calcolato costi diretti annuali pro capite di 1482 euro, cinque volte maggiori nella forma cronica rispetto a quella episodica.

Da una analisi condotta in collaborazione con il centro di Epidemiologia dell’ASL TO3 si è visto come in Piemonte la cefalea è uno dei primi motivi di accesso in pronto soccorso: il numero di richieste in emergenza per cefalea è di circa 5000 casi all’anno su tutto il territorio piemontese, ma solo per il 6% di questi risulta necessario un ricovero ospedaliero. Il restante 94% è costituito da casi che potrebbero evitare l’accesso in pronto soccorso, alleggerendo gli ospedali e trovando una risposta più efficace e opportuna in altre sedi del Ssn.

Il Progetto Cefalee, il “paziente simulato” e il game nella Camera immersiva

Per ridurre l’accesso in pronto soccorso dei pazienti con cefalea e gestire sul territorio la maggior parte dei casi, diminuendo i tempi di attesa per i pazienti e i costi per la sanità pubblica, è importante che medici e studenti in medicina e infermieristica imparino a conoscere meglio un sintomo che risulta essere il più diffuso in ambito medico.

Il Progetto Cefalee, frutto della collaborazione tra il Corso di Laurea MedInTodell’Università di Torino, il centro di simulazione MedSim San Luigi Center e l’AOU San Luigi Gonzaga, ha come obiettivo principale la formazione del personale sanitario, e degli studenti, sulle cefalee.

Attraverso la simulazione – spiega Marinella ClericoResponsabile Patologie Neurologiche Specialistiche AOU San Luigi e professore associato dell’Università degli Studi di Torino – si potranno affrontare casi semplici e complessi, utilizzando differenti strategie, fra cui il ‘paziente simulato’ e la Camera Immersiva del Centro di Simulazione del Polo Didattico Universitario, per imparare a gestire meglio un sintomo, la cefalea, comune a numerosi contesti patologici: il mal di testa può essere infatti una manifestazione clinica banale, che passa spontaneamente, ma può essere anche spia di una malattia infettiva o di una patologia oncologica”.

Il corso insegna come trattare il sintomo cefalea in tutti i servizi a cui il paziente si può rivolgere e di cui può aver bisogno: il pronto soccorso, l’ambulatorio del medico di medicina generale, l’ambulatorio specialistico, la sala operatoria.

In ciascuno di questi ambienti, i partecipanti dovranno valutare la gravità del sintomo presentato da un paziente simulato, un attore, appositamente formato, che simula gli aspetti clinici, comunicativi e psicologici della malattia in modo realistico per facilitare l’apprendimento delle corrette strategie di intervento, migliorando l’interazione dei partecipanti con l’ambiente scenario rappresentato in ogni situazione.

Si tratta di un ulteriore passo avanti nello sviluppo di percorsi di avanguardia – commenta David Lembo, Presidente del Corso di Laurea in Medicine and Surgery dell’Università degli Studi di Torino– dove tecnologia, innovazione didattica e ricerca scientifica si incontrano per migliorare ulteriormente la formazione di chi opera ogni giorno nei reparti del nostro ospedale e degli studenti dei nostri corsi di laurea, concorrendo a migliorare l’esito delle cure al paziente. Questo è lo spirito di un moderno Ospedale d’insegnamento, quale è il San Luigi”.”

Nella Camera immersiva, ultima tappa del percorso formativo, il corso diventa un game: sulle pareti vengono proiettate tre caselle interattive. A seconda di quella scelta, il corsista inizia a trattare un paziente più o meno grave, stimolato dalle opzioni possibili che compaiono sulle pareti della stanza. Fra queste, video o audio interviste ai “pazienti simulati” aiutano nell’anamnesi e immagini diagnostiche (tac, encefalogramma e liquor), anche queste proiettate, conducono i corsisti a prendere decisioni e arrivare a una diagnosi. Al termine del percorso si ottiene un punteggio. Se questo non è sufficiente si ripete il percorso, con l’ovvio vantaggio di poter tentare soluzioni senza mettere a rischio l’esito delle cure su un paziente vero.

Con questo progetto – sottolinea Davide Minniti, Direttore Generale AOU San Luigi Gonzaga – si consolida ulteriormente la collaborazione fra università e ospedale, grazie a un percorso formativo di altissima qualità a disposizione non solo degli studenti ma anche dell’aggiornamento professionale continuo dei clinici del San Luigi Gonzaga. Sì tratta di una concreta occasione di arricchimento professionale che fa crescere l’orgoglio e il senso di appartenenza a questa Azienda sanitaria”.

Il nostro Servizio sanitario nazionale – commenta Matteo Marnati, Assessore all’Innovazione e Ricerca della Regione Piemonte– è fra i più inclusivi e fra i miglior al mondo dal punto di vista delle competenze professionali che offre. La sua universalità è una complessità che abbiamo la responsabilità di gestire e di conservare. Su questo molto può fare l’innovazione tecnologica: sono sotto gli occhi di tutti le conquiste più recenti della medicina grazie all’intelligenza artificiale, ed è solo l’inizio. Il modello formativo innovativo che si presenta oggi qui al Polo didattico universitario internazionale del San Luigi Gonzaga si può considerare una delle eccellenze a livello europeo, e il nostro orizzonte deve necessariamente essere europeo. Stiamo costruendo dopo il covid un nuovo sistema in cui l’innovazione è centrale, e su questo il Piemonte insieme alla Lombardia è all’avanguardia in Italia”.

Avviare un corso per studenti e operatori sanitari che siano in grado di utilizzare pazienti ‘simulati’ all’interno della Camera Immersiva del Centro di Simulazione del Polo Didattico Universitario dell’AOU è particolarmente importante – ha dichiarato Federico Riboldi, Assessore alla Sanità della Regione Piemonte – perché dà il via a innovative azioni che, ne sono certo, sapranno migliorare la gestione, il trattamento e i percorsi clinici dei pazienti affetti da cefalea. Inoltre la Regione Piemonte ha ottenuto un finanziamento di oltre 800 mila euro dal Ministero della Salute per il progetto “Validazione di un nuovo percorso di salute per pazienti affetti da cefalea primaria cronica in Regione Piemonte” che vede la partecipazione di ben dodici Aziende Sanitarie Regionali, tra cui proprio il San Luigi di Orbassano. Un progetto che vedrà il momento finale con la presentazione del prossimo 19 dicembre a Torino”.

La Camera Immersiva è un ambiente di simulazione avanzata, in grado di trasformare lo spazio in un’altra realtà, reale o immaginaria, con cui si può interagire grazie a speciali proiettori laser che trasformano le sue pareti in schermi touch interattivi. La camera immersiva del Polo Didattico universitario dell’AOU San Luigi Gonzaga può ricreare scenari molto vari e diversi fra loro perché è dotata di tecnologie come Rumble Floor per generare vibrazioni nel pavimento, erogatori di oltre 400 odori diversi e di fumi, simulatori di eventi atmosferici come il vento, e un raffinato sistema sonoro che permette di riprodurre rumori ambientali. 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

A TORINO IL PRIMO STUDIO CHE DECODIFICA LE ESPRESSIONI FACCIALI DI LEMURI E GIBBONI CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Grazie a tecniche di deep learning sarà possibile condurre studi comparativi su larga scala focalizzati sulla comunicazione di alcune specie di primati non umani

un lemure indri. Foto © Filippo Carugati
un lemure indri. Foto © Filippo Carugati

Se l’applicazione dell’intelligenza artificiale è ormai di uso comune per l’individuazione e la lettura delle espressioni umane, finora la sua applicazione per specie di primati che non fossero l’uomo era inesplorata. Oggi l’Università di Torino è promotrice del primo studio orientato all’utilizzo dell’I.A. per decodificare le espressioni facciali dei primati non umani. La ricerca, pubblicata sulla rivista Ecological Informatics, mostra come l’utilizzo delle tecniche di deep learning possa essere efficace nel riconoscere i gesti facciali di lemuri e gibboni, facilitando l’indagine del repertorio facciale e consentendo una ricerca comparativa più efficace.

Gli studi sulle espressioni facciali nella comunicazione animale sono essenziali. Tuttavia, i metodi di ispezione manuale sono pratici solo per piccoli insiemi di dati. Le tecniche di deep learning possono aiutare a decodificare le configurazioni facciali associate alle vocalizzazioni su grandi insiemi di dati. Lo studio di UniTo, in particolare, indaga se si possano individuare le espressioni associate all’apertura della bocca e alle emissioni vocali.

“Quando abbiamo iniziato questo studio, tre anni fa, l’applicazione delle tecniche di deep learning al riconoscimento delle espressioni facciali di specie che non fossero l’uomo era un territorio completamente inesplorato. Oggi siamo di fronte a un progresso importante dal punto di vista tecnologico che potrà trovare ulteriore applicazione su specie finora ignorate e consentirà di condurre studi comparativi su larga scala”, spiega Filippo Carugati, dottorando di Scienze Biologiche e Biotecnologie Applicate e primo autore del lavoro.

Grazie alla presenza di una stazione di ricerca nella foresta di Maromizaha, in Madagascar, studenti e dottorandi dell’Università di Torino hanno potuto riprendere gli animali in natura, facendo sì che quanto indagato riguardasse non solo gibboni filmati in cattività ma anche lemuri indri e sifaka registrati in ambiente naturale. Durante lo studio sono stati utilizzati algoritmi di apprendimento automatico per classificare i gesti vocalizzati e non vocalizzati nelle diverse specie. Gli algoritmi hanno mostrato tassi di classificazione corretta superiori alla norma, con alcuni che hanno superato il 90%.

“Lo studio delle espressioni facciali di scimmie e lemuri è storicamente legato ad analisi fortemente soggettive, in cui le scelte dell’operatore talvolta rischiano di influenzare i risultati delle ricerche, senza contare i tempi notevoli che coinvolgono necessariamente il training e il lavoro degli operatori. Con questo studio abbiamo dimostrato come, allenando gli algoritmi su una percentuale di dati inferiori al 5%, si possano ottenere elevatissime percentuali di identificazione corretta delle espressioni associate alla produzione di vocalizzazione rispetto a quelle associate ad altre situazioni. Percentuali anche superiori al 95%”, aggiunge il Prof. Marco Gamba, zoologo, senior author del progetto e presidente del Corso di Laurea Magistrale ‘Evoluzione del Comportamento Animale e dell’Uomo’.

lemuri indri. Foto © Filippo Carugati
Con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, una ricerca ha cercato di riconoscere le espressioni facciali di lemuri e gibboni, facilitando l’indagine. Nell’immagine, lemuri indri. Foto © Filippo Carugati

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Citizen Salad: IL PROGETTO DI SCIENZA PARTECIPATIVA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO PER SVELARE IL MICROBIOMA DELL’INSALATA

Un team di ricerca di UniTo ha attivato una campagna di crowdfunding per mappare i batteri presenti su cespi di insalata coltivati dai cittadini e studiare come possano migliorare la salute umana

È partita ufficialmente Citizen Salad – Chi vive sulle foglie di insalata, una campagna di crowdfunding che si pone l’obiettivo di coinvolgere la cittadinanza in un esperimento di citizen science volto a mappare le comunità di batteri presenti sulle foglie di insalata coltivate in diversi ambienti, sia urbani che rurali, per capire il loro impatto sul benessere della flora batterica intestinale umana.

Il progetto è stato selezionato dall’Università di Torino con la terza edizione del bando Funds Together ed è possibile sostenerlo sulla piattaforma Ideaginger.it.

Per proseguire la ricerca ci occorrono due risorse”, ha dichiarato Marco Giovannetti, ricercatore in biologia e botanica di UniTo e responsabile del progetto di crowdfunding “Fondi per realizzare l’esperimento e persone disponibili a partecipare coltivando delle piantine di insalata. Il crowdfunding ci è sembrato lo strumento perfetto per trovarle entrambe!

Alla scoperta dei batteri che abitano sulle foglie d’insalata

Il progetto Citizen Salad è curato da un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino con l’obiettivo di esplorare il mondo invisibile dei microrganismi che vivono sulle foglie di insalata. Studiando come le condizioni di crescita e la forma delle foglie influenzano la comunità batterica, lo studio fornirà nuove informazioni su come i batteri interagiscono con le piante e, potenzialmente, con la nostra salute.

“Questa ricerca è nata per comprendere meglio come i batteri colonizzano le foglie d’insalata,” spiega Marco Giovannetti. “Negli ultimi tre anni abbiamo scoperto che la forma delle foglie e le condizioni ambientali influenzano la presenza di diversi batteri, ora vogliamo estendere lo studio coinvolgendo la comunità per coltivare le piantine in terreni e climi differenti. Si è scoperto che i batteri che sopravvivono sulle foglie di insalata sopravvivono anche nell’uomo; una possibile ricaduta di lungo periodo della ricerca è capire se questi batteri possano quindi essere utilizzati per il benessere della flora batterica umana, aprendo per esempio nuove possibilità per lo sviluppo di alimenti che possano sostenere la salute intestinale”.

Coinvolgere la comunità attraverso la scienza partecipativa

Un aspetto fondamentale di Citizen Salad è il coinvolgimento diretto della cittadinanza nella ricerca. Sostenendo la campagna di crowdfunding le persone possono finanziare la ricerca con una donazione, ma anche prendere parte all’esperimento coltivando la propria insalata.

Chiunque ci supporti con una donazione di 35 euro può scegliere come ricompensa di ricevere un kit completo per coltivare due varietà di insalata e raccogliere campioni di foglie. Il nostro team analizzerà poi i dati raccolti dai cittadini per mappare il microbioma delle foglie” ha dichiarato Valentina Fiorilli, professoressa di Botanica dell’Università di Torino, che ha poi aggiunto: “Il crowdfunding ci sta offrendo l’opportunità per coinvolgere attivamente le persone nella ricerca scientifica e divulgare in modo innovativo la ricerca sulle piante. Grazie al supporto dei donatori possiamo finanziare l’acquisto dei materiali necessari per l’esperimento, ma possiamo anche ampliare la nostra rete di sperimentatori. Ogni contributo è fondamentale per completare la ricerca, raccogliere più dati e rendere lo studio più rappresentativo.”

Come sostenere Citizen Salad

L’obiettivo della campagna è raccogliere 8.000 euro che serviranno a mappare i batteri presenti sulle foglie di 200 piantine di insalata cresciute in ambienti differenti. In pochi giorni Citizen Salad ha già raccolto il 30% dell’obiettivo, grazie al supporto di molti sostenitori che hanno donato e deciso di entrare a far parte dell’esperimento coltivando anche loro due piantine di insalata. Quando la campagna avrà raccolto il 100% del suo obiettivo l’Università di Torino raddoppierà i fondi raccolti, fino a un massimo di 10.000 euro.

Per sostenere il progetto Citizen Salad con una donazione basta cliccare sul link Citizen Salad – Chi vive sulle foglie di insalata, scegliere la ricompensa preferita e completare la procedura in pochi click.

Fate una donazione, indossate il camice e diventate ricercatori e ricercatrici insieme a noi!” ha aggiunto Marco Giovanetti “Abbiamo bisogno del vostro supporto per completare la nostra ricerca, sosteneteci e preparatevi a diventare anche voi coltivatori di insalata”.

Citizen Salad

Il crowdfunding dell’Università di Torino per sostenere la ricerca scientifica

L’Università di Torino ha selezionatCitizen Salad nell’ambito della terza edizione del bando Funds TOgether, sviluppato in collaborazione con Ginger Crowdfunding, che gestisce Ideaginger.it, la piattaforma di crowdfunding con il tasso di successo più alto in Italia.

L’obiettivo del bando, con cui sono già state supportate 13 campagne di crowdfunding, che hanno raccolto oltre 191.000 euro, è fornire ai ricercatori competenze specifiche per sviluppare campagne di crowdfunding utili sia a raccogliere preziose risorse dedicate alla ricerca, ma anche per comunicare alla società civile il prezioso lavoro svolto quotidianamente in ateneo.

“L’Università di Torino”, ha dichiarato Alessandro Zennaro, Vice-Rettore per la valorizzazione del patrimonio umano e culturale in Ateneo,“ha intrapreso un’azione organizzata di valorizzazione della conoscenza e di divulgazione scientifica, anche attraverso l’iniziativa di crowdfunding. È un’opportunità per avvicinare sempre di più la ricerca scientifica alla cittadinanza, illustrandone gli obiettivi di medio-lungo termine, aprendo le porte dei laboratori dove ricercatrici e ricercatori lavorano, stimolando la curiosità della comunità e soprattutto mettendo in evidenza che i risultati della ricerca hanno ricadute immediate sulla vita quotidiana di tutti e tutte noi. Citizen Salad è un progetto esemplare che mostra come ricerca, tecnologia, coinvolgimento della società civile e innovazione possano cambiare il futuro in meglio e per questo merita di essere sostenuto”.

“Questa campagna è un’occasione di collaborazione e formazione anche per lo staff dell’Università di Torino, che mette a disposizione delle ricercatrici e dei ricercatori dell’ateneo le proprie competenze specialistiche in ambito fundraising e finanza alternativa” ha aggiunto Elisa Rosso, Direttrice della Direzione Ricerca, Innovazione e Internazionalizzazione di UniTo. “Ad esempio, lavoriamo per creare contatti, rafforzare reti di collaborazione e ricercare partner istituzionali e aziendali interessati a supportare il progetto e a svilupparlo anche nel futuro. Promuovere il crowdfunding è un’occasione per raccontare il valore della ricerca scientifica e sensibilizzare la comunità sul lavoro svolto in ateneo, che in questo caso permetterà di proseguire una preziosa attività di ricerca nel campo delle scienze della vita e della biologia”.

Citizen Salad

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

I DELFINI SI “SORRIDONO” A VICENDA DURANTE IL GIOCO

La scoperta dei ricercatori delle Università di Pisa e Torino che hanno studiato le interazioni tra tursiopi (una specie diffusa nel Mediterraneo) durante le sessioni di gioco

I delfini sono estremamente “giocosi”, ma poco si sa su come comunicano durante il gioco. Una nuova ricerca pubblicata il 2 ottobre sulla rivista iScience (Cell Press), realizzata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Rennes, dimostra che i tursiopi, delfini diffusi anche nel Mar Mediterraneo, utilizzano un’espressione facciale “a bocca aperta”, analoga al sorriso, per interagire durante il gioco sociale. I delfini usano quasi sempre questa espressione facciale quando si trovano nel campo visivo dei loro compagni di gioco e, quando questi ultimi percepiscono un “sorriso”, rispondono a loro volta aprendo la bocca il 33% delle volte.

“Abbiamo scoperto la presenza di un’espressione facciale distinta, la bocca aperta, nei tursiopi e abbiamo dimostrato che questi sono anche in grado di rispondere rapidamente alle espressioni facciali degli altri”, spiega l’autrice senior ed etologa Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa. “I segnali a bocca aperta e la mimica rapida appaiono ripetutamente in tutto l’albero genealogico dei mammiferi, il che suggerisce che la comunicazione visiva abbia svolto un ruolo cruciale nel dare forma a interazioni sociali complesse, non solo nei delfini ma in molti altri mammiferi nel corso del tempo”.

Il gioco tra delfini può includere salti acrobatici, interazioni con oggetti, inseguimenti e contatti fisici, che però è importante non vengano interpretati come vere aggressioni. Molti mammiferi usano le espressioni facciali per mediare le interazioni di gioco, ma se questo comportamento fosse presente anche nei mammiferi marini non era mai stato indagato in precedenza.

“Il gesto della bocca aperta si è probabilmente evoluto dall’azione del mordere, interrompendo la sequenza del morso per lasciare solo la sua intenzione, senza contatto”, prosegue Palagi. “La bocca aperta rilassata, che si vede nei carnivori sociali, nelle facce da gioco delle scimmie e persino nelle risate umane, è un segno universale di giocosità, che aiuta gli animali a segnalare il divertimento e a evitare i conflitti”.

Per verificare se i delfini utilizzassero l’apertura della bocca come espressione facciale, i ricercatori hanno studiato diversi gruppi sociali di tursiopi in ambiente controllato, mentre interagivano in coppia e mentre giocavano liberamente con i loro addestratori umani. È stato dimostrato che questi animali usano l’espressione della bocca aperta quando giocano con altri delfini, ma non sembrano usarla quando giocano con gli umani o quando giocano da soli con degli oggetti.

I ricercatori hanno registrato un totale di 1288 eventi di bocca aperta durante le sessioni di gioco sociale e il 92% di questi eventi si è verificato durante le sessioni di gioco tra delfini. I delfini erano anche più propensi ad assumere l’espressione della bocca aperta quando il loro volto era nel campo visivo del compagno di gioco – l’89% delle espressioni a bocca aperta registrate sono state emesse in questo contesto – e quando questo “sorriso” è stato percepito, il compagno di gioco ha ricambiato il sorriso il 33% delle volte.

“Qualcuno potrebbe obiettare che i delfini imitano le espressioni a bocca aperta degli altri per puro caso, dato che sono spesso coinvolti nella stessa attività o nello stesso contesto, ma questo non spiega perché la probabilità di imitare la bocca aperta di un altro delfino entro un secondo sia 13 volte più alta quando il ricevente vede effettivamente l’espressione originale”, continua Palagi. “Le percentuali di risposta osservate nei delfini sono coerenti con quanto osservato in alcuni carnivori, come i suricati e gli orsi”.

I ricercatori non hanno registrato i segnali acustici dei delfini durante il gioco, ma affermano che gli studi futuri dovrebbero indagare sul possibile ruolo delle vocalizzazioni e dei segnali tattili durante le interazioni ludiche.

“I delfini possiedono uno dei repertori vocali più vasti e complessi del regno animale e la funzione di molte vocalizzazioni emesse da questi animali è ancora sconosciuta” dichiara lo zoologo Livio Favaro, docente di Biologia Marina presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino. “Le nostre future ricerche si concentreranno sull’utilizzo dei segnali acustici da parte dei tursiopi durante le sessioni di gioco e su come questi complementino i segnali visivi, in quello che ci aspettiamo essere un complesso sistema di comunicazione multimodale.”

Riferimenti bibliografici:
Maglieri et al., “Smiling underwater: exploring playful signals and rapid mimicry in bottlenose dolphins”, iScience, DOI: http://dx.doi.org/10.1016/j.isci.2024.110966
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino