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Università degli Studi di Padova

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INDIVIDUATE NUOVE POSSIBILITÀ TERAPEUTICHE  PER IL MEDULLOBLASTOMA RESISTENTE ALLA CHEMIOTERAPIA

I ricercatori del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova, autori dell’articolo pubblicato sulla rivista Acta Neuropathologica Communicationshanno dimostrato che i farmaci che agiscono sul metabolismo delle cellule tumorali, e che sono chiamati comunemente antimetaboliti, sono particolarmente attivi nel trattamento delle cellule tumorali resistenti alle terapie.

La resistenza alla chemioterapia è una delle sfide più impegnative che i medici devono affrontare durante le cure dei pazienti oncologici e che i ricercatori devono cercare di risolvere con i loro studi sperimentali. L’insorgenza di cellule tumorali resistenti alle terapie è infatti uno dei maggiori ostacoli alla completa eliminazione del tumore. Questo è particolarmente rilevante per il medulloblastoma, un tumore cerebrale pediatrico ancora difficile da curare e spesso refrattario alla chemioterapia. Peraltro, le attuali opzioni terapeutiche prevedono l’utilizzo di farmaci che sono parzialmente efficaci, oltre a causare numerosi effetti collaterali e tossicità per i piccoli pazienti. Ciò lascia spazio a potenziali recidive, insieme alle conseguenze a volte durature di farmaci non del tutto tollerabili.

Allo scopo di identificare i meccanismi molecolari che permettono ad alcune cellule tumorali di resistere alla chemioterapia, alcuni ricercatori del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova insieme a colleghi dell’Istituto di Ricerca Pediatrica – Città della Speranza hanno esposto ciclicamente cellule di medulloblastoma derivate dai pazienti alla stessa combinazione di farmaci comunemente utilizzata in clinica. Hanno così cercato di riprodurre in laboratorio ciò che accade quando un tumore mostra la propria resistenza alla chemioterapia.

I risultati sono stati pubblicati sulla rivista internazionale Acta Neuropathologica Communications in un articolo dal titolo “Molecular and functional profiling of chemotolerant cells unveils nucleoside metabolism-dependent vulnerabilities in medulloblastoma. Lo studio è stato coordinato dal Prof. Giampietro Viola e dal Dott. Luca Persano del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova ed è stato condotto con pari contributo dalle Dottoresse Elena Mariotto, Elena Rampazzo e Roberta Bortolozzi. La ricerca è stata sostenuta dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, Fondazione Just Italia, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo (CARIPARO) e dalla charity statunitense Rally Foundation for Childhood Cancer Research.

Grazie a questi esperimenti i ricercatori hanno mostrato che le cellule di medulloblastoma resistenti alla chemioterapia sono in grado di stravolgere completamente molteplici processi intracellulari. Le cellule tumorali contrastano così i danni provocati dai farmaci, si adattano ai trattamenti farmacologici e soddisfano le crescenti esigenze di nutrienti. Questa riconfigurazione metabolica può però trasformarsi nel tallone di Achille di queste cellule.

I ricercatori coinvolti nello studio sono stati in grado di identificare tali vulnerabilità grazie a uno screening di più di 2000 farmaci, con il quale hanno dimostrato che i farmaci che agiscono sul metabolismo delle cellule tumorali, chiamati comunemente antimetaboliti, sono particolarmente attivi nel trattamento delle cellule resistenti. Questo risultato è particolarmente rilevante, dal momento che molti dei farmaci identificati sono già approvati e attualmente impiegati nel trattamento di altre neoplasie, anche pediatriche, facilitando così il loro potenziale futuro impiego anche nel contesto del medulloblastoma.

«Gli studi sulla resistenza alla chemioterapia effettuati e descritti – dice Elena Mariotto, prima coautrice dell’articolo – sono un buon sistema per studiare la resistenza farmacologica e il suo impatto sulla prognosi del medulloblastoma pediatrico. Possono infatti almeno in parte sopperire alla mancanza di campioni di recidive, una lacuna che può ostacolare l’identificazione dei fattori molecolari responsabili della ricrescita del tumore in seguito alla terapia».

«Nonostante siano molto promettenti, questi risultati chiariscono solo su una piccola parte dei potenziali meccanismi con cui le cellule tumorali sfuggono alle attuali terapie antitumorali – spiegano il Prof. Giampietro Viola e il Dott. Luca Persano, coordinatori dello studio –. Anche per questo saranno un punto di partenza per ulteriori studi finalizzati alla caratterizzazione dei processi che sostengono la resistenza terapeutica nei tumori cerebrali pediatrici e l’identificazione di potenziali bersagli farmacologici».

gruppo del professor Giampietro Viola (secondo da destra)
gruppo del professor Giampietro Viola (secondo da destra), impegnato sulla ricerca riguardante il medulloblastoma resistente alla chemioterapia

Link alla ricerca: https://actaneurocomms.biomedcentral.com/articles/10.1186/s40478-023-01679-7

Titolo: “Molecular and functional profiling of chemotolerant cells unveils nucleoside metabolism-dependent vulnerabilities in medulloblastoma” in Acta Neuropathologica Communications – 2023

Autori: Elena Mariotto, Elena Rampazzo, Roberta Bortolozzi, Fatlum Rruga, Ilaria Zeni, Lorenzo Manfreda, Chiara Marchioro, Martina Canton, Alice Cani, Ruben Magni, Alessandra Luchini, Silvia Bresolin, Giampietro Viola & Luca Persano

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

LINGUAGGIO DELLA MAMMA E CERVELLO DEI NEONATI

Dallo studio dell’Università di Padova pubblicato su Science Advances si evince che il cervello del neonato sembra essere strutturato per ricordare e rispondere in modo diverso alla lingua che ha ascoltato già prima della nascita. Questa risposta “forte” indica una sorta di “privilegio” linguistico che modella le prime fasi dell’apprendimento del linguaggio.

Sappiamo per esperienza che è molto più facile imparare una lingua da bambini che da adulti e lo studio delle cosiddette “finestre di opportunità” dimostra che i primi mesi e anni di sviluppo sono fondamentali per l’acquisizione del linguaggio. Imparare una seconda lingua da adulti è molto più difficile, inoltre l’acquisizione del linguaggio inizia già durante il periodo di gravidanza durante il quale il feto può sentire il suono che si propaga – benché distorto – all’ interno del grembo materno. I bambini, quindi, hanno già avuto una certa esposizione alla lingua parlata dalla loro mamma anche prima di nascere.

Nello studio dal titolo Prenatal experience with language shapes the brain pubblicato su Science Advances i ricercatori hanno indagato quanto il cervello dei neonati sia influenzato da questa precedente esposizione al linguaggio.

«Ci siamo chiesti – affermano gli autori della ricerca – come cambia l’attività del cervello dei neonati dopo aver sentito delle frasi nella loro lingua o in altre lingue e abbiamo ipotizzato che questi cambiamenti siano la base neurale dell’apprendimento della lingua madre. Siamo quindi passati a misurare l’attività neurale dei neonati mentre ascoltavano frasi in francese, la loro lingua madre, così come in spagnolo e inglese, due lingue sconosciute. Tutto questo mediante l’elettroencefalografia, una tecnica standard di misurazione dell’attività neuronale. Il nostro studio mostra che l’attività neuronale è più complessa dopo l’esposizione alla lingua materna e conserva una memoria delle risposte neuronali date in passato. Infatti, queste risposte diventano più frequenti».

Per misurare questa forma di complessità nel dominio temporale abbiamo utilizzato una tecnica chiamata Detrended Fluctuation Analysis (DFA) che aiuta a capire quanto bene un sistema “ricorda” ciò che è successo prima e lo fa misurando quanto un processo sia simile a sé stesso a diverse scale di tempo. Possiamo chiamare auto-similare un processo in cui piccole variazioni si ripresentano allo stesso modo anche su scale temporali più lunghe (come quando una melodia si ripete in modo riconoscibile); all’opposto processi completamente aleatori (come i numeri generati dal lancio di un dado) non mostrano nessun tipo di regolarità, o memoria, e quindi hanno una complessità minore nella loro struttura temporale.

Il risultato principale della DFA è un numero α, chiamato “esponente di Hurst”: è questo α a contenere la chiave della “memoria” del segnale neuronale. Più grande è α per un segnale, più le esperienze passate influenzano ciò che accade dopo il che corrisponde a processi. Più grande è α per un segnale, più le esperienze passate influenzano ciò che accade dopo il che corrisponde a processi neuronali più complessi.

«Abbiamo scoperto che quando a un neonato viene fatto ascoltare il linguaggio a cui è stato esposto durante la gravidanza, la sua attività cerebrale mostra un picco di α, cosa che non accade quando invece la lingua è diversa. Questo fatto – dice Judit Gervain del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova – indica che nel cervello dei neonati, l’esposizione alla lingua materna innesca processi cerebrali di natura complessa, dinamiche neuronali che probabilmente sono associate all’elaborazione e apprendimento della lingua. Questi processi sono molto meno forti quando i neonati sentono un’altra lingua, e possiamo concludere che siano stati generati ed evoluti durante lo sviluppo prenatale. In altre parole, il cervello del neonato sembra essere strutturato per ricordare e rispondere in modo diverso alla lingua che ha ascoltato già prima della nascita e questa maggiore risposta indica una sorta di “privilegio” linguistico che modella le prime fasi dell’apprendimento del linguaggio. Si tratta di una rivelazione – conclude la professoressa Gervain – che mette in luce la straordinaria capacità di adattamento del cervello, soprattutto in relazione con la grande complessità del linguaggio umano».

Judit Gervain
Judit Gervain, del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’Università di Padova

Link alla ricerca: https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.adj3524

Titolo: “Prenatal experience with language shapes the brain” Science Advances 2023

Autori: Benedetta Mariani, Giorgio Nicoletti, Giacomo Barzon, Maria Clemencia Ortiz Barajas, Mohinish Shukla, Ramón Guevara, Samir Simon Suweis, Judit Gervain.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova sullo studio circa linguaggio della mamma e  cervello dei neonati.

VETRO ESPOSTO AI RAGGI X: Non si comporta più come un solido, ma come un liquido

Osservato per la prima volta il comportamento di questo materiale quando raggiunge il punto di cedimento tramite irraggiamento con raggi X: non si comporta più come un solido, ma come un liquido.

Rappresentazione dell'assorbimento di raggi X in un vetro
Rappresentazione dell’assorbimento di raggi X in un vetro

Un vetro è, essenzialmente, un liquido che può fluire e scorrere, ma con tempi estremamente lunghi. Quando la sua temperatura è sufficientemente bassa rispetto alla quella di fusione (nota come temperatura di transizione vetrosa), il tempo necessario perché il vetro fluisca è praticamente infinito e siamo di fronte a un solido propriamente detto. Un vetro a temperatura sufficientemente bassa è dunque un solido che, a livello microscopico, conserva la struttura disordinata tipica di un liquido o – come a volte si dice – è un “liquido congelato’”.

I vetri, quindi, si comportano come tutti gli altri solidi: se sottoposti a una piccola trazione esterna si deformano elasticamente come delle molle, sostengono questi sforzi esterni per poi ritornare alla loro forma iniziale una volta eliminata la sollecitazione. Se la trazione porta a una deformazione che supera un valore limite (che dipende dal materiale), i vetri cominciano a presentare una risposta “plastica”: se si smette di tirare il materiale, esso non ritorna più alla forma iniziale ma resta parzialmente deformato in modo permanente. La deformazione plastica corrisponde a una successione di eventi microscopici in ciascuno dei quali un gruppo di una decina di atomi, vicini tra loro, si sposta in maniera coordinata. Sono spostamenti non reversibili e le nuove posizioni atomiche restano tali anche quando la trazione esterna viene eliminata.

L’accumularsi nei vetri di questi eventi plastici può dar luogo a fenomeni spettacolari: se un vetro è tirato sufficientemente si arriva a un punto di cedimento in cui le zone plastiche diventano così numerose da cambiare le proprietà del sistema stesso. La maggior parte dei vetri a cui siamo abituati (vetri silicati) sono fragili e, al punto di cedimento, si frantumano catastroficamente. Altri vetri, come alcune plastiche, sono invece duttili e, al punto di cedimento, cominciano a fluire come farebbe un vero e proprio liquido. Questi processi sono stati studiati in dettaglio con misure macroscopiche andando ad osservare, per esempio, la risposta del sistema a sollecitazioni meccaniche. Molte domande rimangono però ancora aperte, in particolare riguardo al moto degli atomi fino al cedimento. Studiare il punto di cedimento in vetri ossidi è molto difficile sperimentalmente perché il vetro, in trazione, di solito si frantuma. Tuttavia irraggiandolo con i raggi X è possibile studiare con risoluzione atomica quello che non si può fare con le classiche tecniche di laboratorio.

Lo studio del team di ricercatori dell’Università di Padova, Università di Trento, Centro DESY di Amburgo e Università di Bruxelles guidato dal Professor Giulio Monaco del Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Ateneo patavino recentemente pubblicato su «Physical Review X» con il titolo “Reaching the Yield Point of a Glass During X-Ray Irradiation” apre nuove prospettive sulle proprietà elasto-plastiche in vetri fragili come, ad esempio, quelli delle finestre delle nostre case.

Grazie all’uso di luce di sincrotrone prodotta in grandi acceleratori di elettroni, come quello di DESY ad Amburgo, si sono generati fasci di raggi X con dosi di radiazione assorbita miliardi di volte maggiori di quelle utilizzate per uso medico. Quando questi fasci sono stati indirizzati su vetri gli atomi vengono spostati dalla loro posizione iniziale e cominciano a muoversi.

«Il fenomeno è stato studiato dal nostro gruppo – dice Giulio Monaco team leader della ricerca – e abbiamo visto che questi atomi non seguono le leggi della semplice diffusione, ma piuttosto processi più complessi come l’iper-trasporto. Abbiamo visto come tali meccanismi, originati dall’assorbimento di raggi X, possono essere utilizzati sia per portare il vetro fino al punto di cedimento che per studiare come cambiano le proprietà meccaniche alla scala atomica man mano che il vetro si avvicina a tale punto».

«Siamo riusciti a seguire come cambia la natura del vetro man mano che procede l’irraggiamento – continua Alessandro Martinelli –. Quando i raggi X vengono assorbiti dal vetro lasciano dei “difetti”, ovvero atomi spostati rispetto alla propria configurazione di equilibrio. Questo però è un effetto non localizzato, cioè “tutti” gli atomi attorno al difetto vengono perturbati, e ciò si ripercuote a tutto il materiale. Come per un sasso gettato in un punto dello stagno, la posizione in cui la radiazione viene assorbita, le onde generate si propagano sulla superficie con un effetto minore quanto più lontani si è dal punto di impatto».

«Possiamo immaginare i difetti generati dai raggi X come minuscole molle compresse che esercitano una piccola forza sugli atomi vicini. Aggiungendo sempre più molle, cioè aumentando l’assorbimento dei raggi X, siamo stati in grado di monitorare le proprietà meccaniche del vetro all’aumentare del numero di difetti generati – spiega Francesco Dallari –. Il processo è simile a quello che accade quando un materiale viene compresso o tirato, ma qui il tutto avviene alla scala del decimilionesimo di millimetro».

«Quando si comincia a irraggiare un vetro quest’ultimo risponde come una molla, ovvero elasticamente. Gli atomi si spostano come biglie, con movimenti a velocità (media) costante. Tuttavia aumentando l’irraggiamento, e quindi il numero di difetti, gli spostamenti diventano sempre più lunghi e intermittenti, con accelerazioni improvvise. Ad un certo punto, però, il vetro mostra delle proprietà completamente inaspettate: se il numero di difetti è abbastanza elevato il sistema non si comporta più come un solido, ma come un liquido – conclude Giulio Monaco –. Questo comportamento, che caratterizza il punto di cedimento, non era mai stato osservato attraverso l’irraggiamento con raggi X. Questo studio è il primo caso di raggiungimento del punto di cedimento tramite irraggiamento con raggi X, dove si osserva la transizione di un solido elastico a un solido plastico. Questo studio apre dunque nuove prospettive per lo studio delle proprietà meccaniche nei vetri, con un approccio locale e una risoluzione atomica, ma mostra allo stesso tempo come trasformare un vetro inizialmente fragile in un vetro duttile, con possibile interesse anche a livello di applicazioni».

Giulio Monaco
Giulio Monaco

Link alla ricerca: https://journals.aps.org/prx/abstract/10.1103/PhysRevX.13.041031

Titolo: “Reaching the Yield Point of a Glass During X-Ray Irradiation” – «Physical Review X» 2023

Autori: Alessandro Martinelli, Federico Caporaletti, Francesco Dallari, Michael Sprung, Fabian Westermeier, Giacomo Baldi e Giulio Monaco.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova.

CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA: finanziato con 4 milioni di euro il progetto di ricerca IMPACT, coordinato dall’Università di Padova

Finanziato con 4 milioni di euro e coordinato dall’Università di Padova, studierà il ruolo e l’impatto di alterazioni genetiche sulla progressione clinica della cardiomiopatia aritmogena aprendo la strada allo sviluppo di nuove terapie per la gestione clinica della malattia e a un miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Si chiama IMPACT – Cardiogenomics meets Artificial Intelligence: a step forward in arrhythmogenic cardiomyopathy diagnosis and treatment – il progetto di ricerca della durata di 36 mesi finanziato con 4 milioni di euro dall’European Innovation Council per la cardiogenomica. La missione dell’European Innovation Council, istituito dalla Commissione europea nel 2021, è quella di individuare e sviluppare tecnologie innovative per la ricerca.

LOGO IMPACT

 Il team internazionale – coordinato dalla professoressa Alessandra Rampazzo del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e composto da Universiteit Maastricht (dottoressa Martina Calore), Universitair Medisch Centrum Utrecht (dottoressa Anneline te Riele), Gruppo Lutech (dottoressa Barbara Alicino), Consorzio Italbiotec (dottoressa Melissa Balzarotti), Ksilink (dottor Peter Sommer) e Italfarmaco (dottor Christian Steinkuhler) – studierà lo sviluppo di nuove terapie per la cardiomiopatia aritmogena (ACM), una malattia genetica che colpisce il cuore e che rappresenta una delle principali cause di aritmie ventricolari e morte cardiaca improvvisa. Con un’incidenza di 1 su 5000, può essere considerata una malattia cardiovascolare di grande rilevanza.

Del gruppo padovano guidato da Alessandra Rampazzo fanno parte il professor Libero Vitiello e la dottoressa Martina Calore del dipartimento di Biologia che si focalizzeranno sull’analisi di modelli in vivo e in vitro di malattia allo scopo di identificare dei bersagli terapeutici, la professoressa Milena Bellin sempre del dipartimento di Biologia che valuterà l’effetto patogeno di varianti genetiche utilizzando microtessuti cardiaci umani generati da cellule staminali pluripotenti coltivate in laboratorio, la professoressa Paola Braghetta del dipartimento di Medicina Molecolare e il dottor Nicola Facchinello del CNR-Istituto di Neuroscienze  che metteranno a disposizione le competenze istologiche e biochimiche per studiare i meccanismi molecolari che controllano la funzionalità cardiaca nei modelli di malattia.

Alessandra Rampazzo cardiomiopatia aritmogena
Alessandra Rampazzo, coordinatrice del progetto di ricerca IMPACT per lo sviluppo di nuove terapie per la cardiomiopatia aritmogena – ACM

La cardiomiopatia aritmogena è una patologia degenerativa che interessa il cuore, frequentemente coinvolta nella morte improvvisa di atleti e adolescenti. Il segno istopatologico caratterizzante è la sostituzione fibroadiposa del miocardio, che pregiudica il funzionamento del muscolo cardiaco portando all’insorgenza di aritmie ventricolari. Ad oggi non è disponibile alcuna terapia per prevenire o almeno rallentare le progressive modificazioni del tessuto cardiaco.

Numerosi sono i geni le cui mutazioni sono certamente coinvolte in questa patologia, alcuni dei quali scoperti dal gruppo di ricerca della professoressa Alessandra Rampazzo. Tuttavia, molte delle alterazioni genetiche identificate nel DNA dei pazienti affetti sono di significato incerto e non ancora direttamente correlati alla patologia, e quindi di utilità limitata sia per i genetisti che per i medici.

«Grazie ai finanziamenti ottenuti da Horizon Europe, il nostro progetto di ricerca si propone di aprire nuove prospettive terapeutiche basandosi sui risultati ottenuti nei diversi modelli proposti. Si tratta di un progetto innovativo e multidisciplinare, il cui successo è fortemente sostenuto dalle diverse ma complementari competenze dei partner europei che fanno capo a istituzioni accademiche e aziende leader nel settore informatico, biotecnologico e farmaceutico – dice la professoressa Alessandra Rampazzo del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, coordinatrice scientifica del team internazionale –. Una tale collaborazione consentirà di raggiungere gli ambiziosi traguardi prefissati. L’obiettivo generale del progetto finanziato dalla comunità europea è quello di integrare e analizzare mediante l’intelligenza artificiale i dati clinici e molecolari provenienti dal registro dei pazienti con ACM con dati provenienti da analisi strutturali e funzionali di modelli cellulari, quali microtessuti cardiaci tridimensionali, e modelli in vivo. Questi risultati ci permetteranno di ottenere una migliore comprensione del ruolo e dell’impatto di alterazioni genetiche sulla progressione clinica della cardiomiopatia aritmogena. Inoltre – conclude Alessandra Rampazzo – il progetto prevede uno screening e una successiva valutazione del potenziale terapeutico di numerosi composti e molecole innovative, sia in modelli cellulari che animali».

La scoperta di nuovi bersagli terapeutici e la comprensione dei meccanismi patogenetici sottostanti non solo potrebbero portare a nuove terapie per l’ACM, ma potrebbero aprire la strada ad una migliore gestione clinica della malattia e a un miglioramento della qualità di vita dei pazienti.

Il meeting di tutti i partecipanti, che ufficializzerà l’avvio del progetto, si terrà a Padova il 26 e 27 ottobre 2023.

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MORTI IMPROVVISE E CARDIOMIOPATIA ARITMOGENA: GIOVEDÌ VERRÀ PRESENTATO IL PROGETTO IMPACT

Giovedì 26 ottobre 2023, dalle ore 14.00, nella Casa della Rampa Carrarese della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo in via Arco Valaresso 32 a Padova verranno presentati partner, competenze e dati preliminari del progetto IMPACT.

Il meeting si concluderà nel primo pomeriggio di venerdì 27 ottobre nella Sala Conferenze di Palazzo del Monte di Pietà in piazza Duomo 14 a Padova della Fondazione Cariparo con la discussione degli aspetti tecnico scientifici del progetto IMPACT.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova. Aggiornato il 24 ottobre 2023.

Celebrando le nuove stelle di Gaia: il nuovo catalogo del satellite Gaia rivela nuove e inaspettate scoperte nell’ammasso Omega Centauri e nel Sistema solare

A poco più di un anno dalla pubblicazione del suo ultimo catalogo contenente due miliardi di stelle, il satellite europeo Gaia torna a far parlare di sé con la pubblicazione di nuovi ed esaltanti risultati che vanno dalle misure di più di mezzo milione di stelle nascoste nell’ammasso Omega Centauri alla determinazione della posizione di oltre 150.000 asteroidi all’interno del Sistema solare con una precisione mai ottenuta prima. Risultati che vedono in prima linea il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova e l’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova. Per celebrare questo nuovo importante risultato venerdì 13 ottobre 2023alle ore 18:30, la Specola di Padova aprirà le sue porte per brindare insieme e raccontare questo nuovo capitolo della ricerca astronomica.

satellite Gaia osserva la Via Lattea
rappresentazione artistica del satellite Gaia che osserva la Via Lattea

Da quasi dieci anni il satellite europeo Gaia scruta costantemente il firmamento, mappandolo con una precisione senza precedenti. Infatti, le osservazioni e le informazioni raccolte dall’astrometro più avanzato mai lanciato nello spazio, ci hanno consentito di fare passi da gigante nella nostra comprensione dell’ambiente galattico. Eppure i nuovi dati ci promettono di svelare dettagli ancor più straordinari andando ben oltre gli obiettivi iniziali di Gaia.

Oggi, a poco più di un anno dalla pubblicazione del suo ultimo catalogo, che contiene le posizioni e le caratteristiche di quasi due miliardi di stelle, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea è pronto ad aprire una nuova finestra sulla nostra galassia, la Via Lattea. Gaia, infatti, è riuscita a determinare le posizioni di oltre mezzo milione di astri tutti contenuti in un solo ammasso stellare, ovvero un’area di cielo particolarmente densa di stelle fino a oggi impossibile da osservare con il satellite europeo. Queste zone, tra le più antiche dell’Universo, sono dei veri e propri fossili cosmici e possono fornire preziose informazioni sull’origine della nostra galassia. Oltre a ciò, Gaia è riuscita a determinare le posizioni e le orbite di più di 150.000 asteroidi nel Sistema solare con un’accuratezza mai vista prima e ha scovato oltre 380 potenziali lenti gravitazionali, nelle quali oggetti massicci, come stelle o galassie, agiscono proprio come delle lenti di ingrandimento capaci di mostrarci scorci di universo lontanissimo. Oltre ciò Gaia ha prodotto il più vasto catalogo delle velocità con cui le stelle si avvicinano o si allontanano da noi, essenziale per ricostruire il movimento in 3D dei dintorni solari. In particolare, sono state studiare alcune stelle che variano la loro luminosità su un lungo lasso di tempo, il cui studio contribuirà a chiarire alcuni aspetti, poco noti ma fondamentali, della vita e dell’evoluzione stellare. Una nuova ricca mole di informazioni che “contribuirà a svelare alcuni aspetti misteriosi della vita della nostra Galassia, delle sue stelle e dell’Universo” commenta Michele Trabucchi, ricercatore dell’Università di Padova e primo autore di uno dei lavori pubblicati.

Per celebrare al meglio questo straordinario traguardo della missione Gaia, l’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova e il Dipartimenti di Fisica e Astronomica dell’Università di Padova G. Galilei, che sono da sempre in prima linea nello studio del Cosmo, stanno organizzando per venerdì 13 ottobre 2023, un evento pubblico, dal titolo “Aperitivo con Gaia”, volto a svelare i dettagli nascosti dietro questi nuovissimi e preziosissimi dati. A partire dalle 18:30 la Specola aprirà le sue porte al pubblico offendo, a tutti i partecipanti, un aperitivo per celebrare insieme i successi della missione e, a seguire, un incontro con tre astronomi d’eccezione coinvolti direttamente nelle ultime scoperte: Antonella Vallenari, co-responsabile di tutto il consorzio Gaia, Michele Trabucchi, ricercatore presso l’università di Padova e leader di uno dei gruppi di ricerca, e Paola Sartoretti dell’Osservatorio di Parigi–Meudon, astronoma padovana facente parte di uno dei più rilevanti gruppi di lavoro nel consorzio Gaia. Infine, la serata si concluderà, per chi lo desidera, con una suggestiva visita alla Specola in una meravigliosa cornice serale.

Grazie alla missione Gaia stiamo mappando la nostra Galassia con un dettaglio straordinario, che ci consente di continuare a svelare i segreti più profondi del Cosmo. Con le sue ultime rivelazioni Gaia ci ha permesso di gettare uno sguardo più profondo nel nostro passato cosmico aprendo un futuro di scoperte ancora più sorprendenti. Con il suo impegno instancabile nella ricerca dell’ignoto, il satellite europeo ci ha ispirato a sognare in grande e a continuare a esplorare l’infinito. Alzando lo sguardo al cielo, sappiamo che non siamo soli nell’Universo, ma parte di una vasta e meravigliosa danza celeste.

Per partecipare all’evento, è necessario registrarsi, per dettagli e iscrizioni https://www.oapd.inaf.it/seminari-ed-eventi/aperitivo-con-gaia

Testo, video e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

MARMOLADA: UN GHIACCIAIO DIMEZZATO NEGLI ULTIMI 25 ANNI

Confermata la situazione drammatica rilevata dall’ultima campagna glaciologica partecipata organizzata dal Museo di Geografia dell’Università di Padova in collaborazione con il comitato glaciologico italiano e ARPAV

La superficie e il volume del Ghiacciaio della Marmolada continuano a ridursi a ritmo accelerato. Lo confermano le misurazioni annuali condotte da geografi e glaciologi dell’Università di Padova, che tratteggiano di anno in anno un quadro sempre più fosco sullo stato di salute del più importante ghiacciaio delle Dolomiti.

Grazie alla Campagna glaciologica partecipata organizzata dal Museo di Geografia dell’Università di Padova in collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano e ARPAV anche quest’anno una ventina di escursionisti esperti provenienti dal Veneto, l’Emilia-Romagna e la Lombardia hanno potuto seguire da vicino le misurazioni.

«Il ghiacciaio è in una situazione drammatica oltre all’assottigliamento generalizzato delle fronti abbiamo registrato ritiri importanti, che nel punto di maggior regressione sfiorano i 90 metri su base annua, con una media di arretramento negli otto segnali frontali di circa 20 metri in un anno – afferma Mauro Varotto, responsabile delle misurazioni frontali del Ghiacciaio –. Questo trend di fusione porterà presto la superficie totale del Ghiacciaio principale, calcolata in 112 ettari dal collega Francesco Ferrarese nel 2022, a scendere, nei prossimi anni, al di sotto del chilometro quadrato: una soglia statisticamente importante, la metà della superficie presente nel 2000 e meno di un quarto rispetto al 1900».

«Quest’estate – aggiunge Mauro Valt, tecnico ricercatore ARPAV – i ghiacciai lungo tutto l’arco alpino sono in forte fusione a causa del combinato disposto di deboli nevicate negli ultimi due periodi invernali e delle alte temperature estive. Nella seconda decade di agosto, in particolare, si è registrata in area dolomitica la temperatura media più alta dal 1990, coincidente con una dozzina di giorni in cui le temperature hanno superato il novantesimo percentile: la serie più lunga degli ultimi trentacinque anni».

«Dalle nostre elaborazioni dei dati forniti da ARPAV si evidenzia un innalzamento di 220 metri della quota sciabile per ogni grado di aumento della temperatura in quota – commenta Alberto Lanzavecchia, docente di Finanza Aziendale all’Università di Padova – e si disegna un quadro di insostenibilità dell’industria dello sci, già resa evidente dai bilanci di gestione degli impianti di risalita e dalle necessarie sovvenzioni pubbliche per gli investimenti in impianti a fune e bacini di accumulo dell’acqua. Ciò nonostante, in questi giorni si discute sull’opportunità di investire ulteriori risorse per praticare lo snow farming invece di iniziare ad investire su un’economia diversa e più sostenibile».

«Il valore aggiunto di questa iniziativa giunta ormai alla V edizione è quello di avvicinare la cittadinanza alle pratiche di ricerca attraverso un’esperienza culturale a tutto tondo, in cui grazie alla guida di docenti ed esperti è possibile osservare, comprendere e problematizzare situazioni e processi complessi, attraverso un approccio multidisciplinare capace di far entrare in relazione profonda con il territorio. Il coinvolgimento diretto – conclude Giovanni Donadelli, curatore del Museo di Geografia Unipd – rappresenta una strategia vincente, capace di appassionare ed emozionare i partecipanti ed efficace nel promuovere conoscenza e consapevolezza dei cambiamenti climatici in atto nel contesto alpino».

Testo, video e foto dagli Uffici Stampa dell’Università di Padova e ARPAV.

PROGETTO GLAMS: BASI LUNARI COSTRUITE CON LA MATERIA PRIMA DEL SATELLITE TERRESTRE

Finanziato da ASI – Agenzia Spaziale Italiana – il progetto di ricerca dell’Università di Padova coordinato da Luca Valentini del Dipartimento di Geoscienze in cui si utilizzerà la tecnologia di stampa 3D per realizzare leganti cementizi a partire da sedimenti, polvere e frammenti di materiale lunari che si trovano in loco.

GLAMS (Geopolimeri per Additive Manufacturing e Monitoraggio Lunare) è il nome del progetto biennale dell’Università di Padova finanziato con oltre 400.000 euro dall’Agenzia Spaziale Italiana ed è risultato vincitore del bando “Giornate della ricerca accademica spaziale”, classificandosi al primo posto nell’area tematica “Materiali Avanzati”.

Si pone la finalità di realizzare elementi strutturali per la costruzione di basi lunari, mediante un approccio di stampa 3D che utilizza leganti cementizi formulati a partire da suoli lunari (regoliti), secondo il principio dello sfruttamento di materie prime disponibili in loco. Tale principio consentirà di minimizzare i costi e l’impatto ambientale dovuti al trasporto di materie prime dal pianeta Terra alla Luna.

GLAMS – coordinato dal Centro di Ateneo di Studi e Attività Spaziali “Giuseppe Colombo” (CISAS) – in partnership con l’Istituto di Chimica della Materia Condensata e di Tecnologie per l’Energia del CNR (ICMATE) con sede a Genova e WASP, azienda italiana leader nel settore della stampa 3D – vede come responsabile scientifico il professor Luca Valentini del Dipartimento di Geoscienze, mentre il professor Carlo Bettanini e la dottoressa  Giorgia Franchin del Dipartimento di Ingegneria Industriale sono i leader di specifici work package.

Il team di ricerca intende ottimizzare il “cemento lunare” formulato a partire dalla regolite, tenendo conto delle specificità delle condizioni ambientali del satellite, tra cui le elevate escursioni termiche, le condizioni di ridotta gravità e pressione atmosferica e l’impatto di micro-meteoriti.

A tal fine, gli elementi strutturati verranno realizzati mediante un processo produttivo che consentirà di realizzare materiali con struttura macro-porosa, capace di conferire eccellenti proprietà di isolamento termico, con la finalità di mitigare il degrado dovuto ai cicli gelo-disgelo causato dalle estreme variazioni di temperatura. Inoltre, all’interno delle unità strutturali verranno integrati opportuni sensori per il monitoraggio di impatti micro-meteoritici.

Progetto GLAMS basi lunari Esempio di struttura porosa - analisi 3D mediante microtomografia a raggi X - di un campione di cemento
Esempio di struttura porosa – analisi 3D mediante microtomografia a raggi X – di un campione di cemento

Il progetto GLAMS

Nella prima fase del progetto, l’unità di ricerca dell’Università di Padova, sotto la guida di Luca Valentini e Giorgia Franchin, formulerà i “leganti geopolimerici” ottenuti dall’attivazione chimica della regolite lunare: questo tipo di legante non prevede l’utilizzo del classico cemento Portland, comunemente utilizzato per la costruzione in ambiente terrestre. Infatti, rispetto a quest’ultimo, sono caratterizzati da emissioni di CO2 significativamente ridotte, inoltre le proprietà allo stato fresco di questi leganti verranno opportunamente ottimizzate per consentire una corretta estrusione mediante stampa 3D.

Nelle fasi successive, l’Istituto di Chimica della Materia Condensata e di Tecnologie per l’Energia del CNR con sede a Genova provvederà a selezionare opportuni agenti schiumogeni che consentiranno di conferire una struttura macro-porosa al legante geopolimerico indurito.

Progetto GLAMS basi lunari Stampa 3D per estrusione di miscela geopolimerica
Stampa 3D per estrusione di miscela geopolimerica

Successivamente i partner di WASP si occuperanno di implementare le formulazioni ottimizzate durante le fasi precedenti del progetto, alla realizzazione di un prototipo di elemento strutturale, con struttura macro-porosa, a media scala, mediante stampa 3D.

Infine, il gruppo coordinato da Carlo Bettanini provvederà alla sensorizzazione degli elementi strutturali, integrando opportune reti di sensori, finalizzate al monitoraggio continuo degli impatti micro-meteoritici.

L’auspicio è che i risultati del progetto GLAMS possano contribuire a soddisfare le esigenze delle agenzie spaziali che prevedono, entro il prossimo decennio, di realizzare missioni spaziali finalizzate a costruire habitat lunari che possano ospitare insediamenti umani semi-permanenti.

Luca Valentini
Luca Valentini

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova sul Progetto GLAMS per la costruzione di basi lunari con materia prima dal satellite.

BATTERI INTESTINALI COME IL LACTIPLANTIBACILLUS PLANTARUM MIGLIORANO CRESCITA ANIMALE PRINCIPALMENTE IN QUANTO PARTNER ATTIVI (SIMBIONTI)

Pubblicato su «Scientific Reports» lo studio dell’Università di Padova in cui si dimostra per la prima volta che se i batteri intestinali (Lactiplantibacillus plantarumsono vivi e attivi entrano in simbiosi benefica con l’animale e sono fonte nutritiva

 

Il microbiota intestinale è l’insieme dei microrganismi (batteri, ma anche virus, funghi e protozoi) ospitati da ciascun essere umano o animale sin dalla nascita e per tutta la sua vita. È una popolazione composta da centinaia di specie diverse formate da cellule e geni.

Queste “comunità”, come è noto da tempo, esercitano un effetto benefico sulla nostra salute: temprano il sistema immunitario, proteggono dalle infezioni di agenti patogeni, favoriscono la digestione e prevengono malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni è stato scoperto che specifici batteri intestinali favoriscono anche la nostra crescita in condizioni di denutrizione. Semplificando, se una dieta è povera in nutrienti come ad esempio le proteine e se sono presenti batteri intestinali benefici, questi ultimi favoriscono comunque la crescita compensando la mancanza, come si avesse una dieta standard.

È stato anche dimostrato che ceppi di batteri appartenenti alla specie Lactiplantibacillus plantarum, comunemente isolati da diverse piante e presenti nel microbiota intestinale di molti animali, sono in grado di migliorare la crescita sia di insetti che di mammiferi (ad esempio i topi) se gli animali hanno un deficit nutrizionale.

Rimane da capire, però, il perché alcuni batteri intestinali – tra cui appunto il Lactiplantibacillus plantarum – migliorino la crescita di un animale. Sono batteri simbionti, cioè colonizzano l’intestino, ma al contempo apportano un vantaggio per l’organismo? Oppure sono semplicemente una fonte nutritiva? Su questo argomento la comunità scientifica si è sempre divisa.

Lo studio dal titolo “Gut microbes predominantly act as living beneficial partners rather than raw nutrients” pubblicato su «Scientific Reports» e guidato dalla professoressa Maria Elena Martino del Dipartimento di Biomedicina Comparata e Alimentazione dell’Università di Padova ha dimostrato, per la prima volta, che i batteri intestinali esplicano la loro azione benefica migliorando la crescita animale principalmente in quanto partner attivi (simbionti) e, solo secondariamente, perché costituiscono anche una riserva energetica.

La ricerca è stata condotta sull’attività batterica intestinale nel moscerino della frutta, la Drosophila melanogaster, attraverso l’uso di batteriostatici, cioè agenti in grado di inibire o limitare la replicazione batterica senza però uccidere il microorganismo. Questa metodologia ha permesso di analizzare tre condizioni fisiologiche nei batteri per vedere e quantificare gli effetti sull’animale: la condizione naturale, cioè l’attività di batteri vivi e attivi accoppiata alla crescita; l’attività di batteri vivi, ma che non si replicano; infine l’attività di batteri morti, cioè utilizzati come sola fonte nutritiva dall’animale.

«Lo studio – dice la professoressa Maria Elena Martino – ha evidenziato due importanti risultati: il primo è che l’effetto maggiore di promozione della crescita animale si ottiene esclusivamente in presenza di batteri vivi e attivi, in particolare il 60% dell’effetto benefico esercitato dai batteri intestinali deriva dalla loro interazione attiva con l’organismo. Il secondo è che l’effetto benefico, sempre e solo con batteri vivi e attivi, sulla crescita è il risultato di due componenti: da un lato le cellule batteriche rappresentano comunque una fonte nutritiva, dall’altro vi è sia la produzione di metaboliti (amino-acidi) che una stimolazione del sistema immunitario dell’animale. Specificando ulteriormente abbiamo notato che il 60% dell’effetto benefico, come detto, è dovuto all’attività batterica (vitalità), la risorsa nutritiva è circa il 15%, mentre il resto della percentuale deriva da altri fattori minori. In conclusione, la ricerca ha permesso, per la prima volta, di dimostrare e quantificare l’effetto benefico dei batteri intestinali: esso deriva dall’interazione tra il batterio con il proprio ospite animale. Secondariamente dalla capacità dell’animale di trarre nutrienti dalla biomassa batterica. Questo studio – conclude Martino – non solo rappresenta un significativo passo in avanti nella comprensione delle relazioni tra animali e microbiota, ma determina in maniera inequivocabile il ruolo dei batteri intestinali per la crescita animale e umana».

Maria Elena Martino batteri intestinali simbionti crescita animale
Maria Elena Martino

Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41598-023-38669-7

Titolo: “Gut microbes predominantly act as living beneficial partners rather than raw nutrients” – «Scientific Reports» 2023

Autori: Nuno Filipe da Silva Soares, Andrea Quagliariello, Seren Yigitturk & Maria Elena Martino

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

TRAPIANTI DI ORGANI: UNA RICERCA STUDIA LA VOLONTÀ PER LE DONAZIONI POST-MORTEM, IN ITALIA

Percezioni, conoscenze, paure e difficoltà per l’espressione di una volontà alla donazione degli organi post-mortem da parte della popolazione italiana. I dati di una ricerca, promossa dal Centro Nazionale Trapianti in collaborazione con l’Università di Padova, sono stati pubblicati sulla rivista «British Journal of Health Psychology».

Donazioni organi Italia
Immagine di MAMADOU TRAORE 

Le recenti notizie su tecniche che aprono nuove frontiere in campo cardiochirurgico (utilizzo di un cuore che ha cessato ogni attività elettrica da 20 minuti) stanno alimentando la speranza che il numero di trapianti in Italia possa aumentare. Tuttavia perché ciò avvenga è necessario che la persona, finché è in vita, esprima la propria volontà di donare l’organo.

In Italia la normativa che regola la donazione di organi e tessuti post-mortem risale al 1999 (legge 91 del 1 aprile) e sancisce il principio del silenzio-assenso informato. Secondo questo principio sono considerati donatori coloro i quali esprimono la volontà positiva in merito alla donazione e non donatori quelli che invece esprimono parere negativo. Nonostante questo, la normativa è ancora, dopo più di vent’anni, in una fase transitoria, per cui viene adottato il principio del consenso o dissenso esplicito in base al quale – nei casi in cui il potenziale donatore non abbia espresso alcun parere in merito – i familiari hanno la possibilità di opporsi al prelievo di organi.

Il consenso alla donazione si può formalizzare in diversi modi: al distretto ASL di appartenenza, iscrivendosi all’associazione italiana donatori organi (AIDO), on-line e all’Anagrafe comunale al momento del rinnovo della carta d’identità.

E come rispondono gli italiani?

I dati di una ricerca, promossa dal Centro Nazionale Trapianti in collaborazione con l’Università di Padova e pubblicati sulla rivista «British Journal of Health Psychology» con il titolo “Life beyond life: Perceptions of post-mortem organ donation and consent to donate – A focus group study in Italy” fanno luce su questo aspetto.

Si tratta del primo studio che prende in considerazione i diversi gruppi di popolazione direttamente coinvolti nella scelta e nel processo di donazione degli organi, nonché le persone socialmente influenti.  Finora, in Italia sono state condotte poche ricerche che indagano gli atteggiamenti e le percezioni riguardo alla donazione di organi. Inoltre, in termini di risultati, questa pubblicazione aggiunge alla letteratura corrente un sistema di questioni antinomiche che caratterizzano la difficoltà di questa scelta. I ricercatori hanno inteso i dilemmi come questioni generalmente percepite da un individuo come ugualmente rilevanti, ma spesso contrastanti o opposte. I risultati della pubblicazione possono avere importanti implicazioni per lo sviluppo di strategie atte a incoraggiare il consenso alla donazione. È importante specificare che non esiste un unico modo per risolvere il divario tra domanda e offerta di organi, tuttavia, identificando i facilitatori e le barriere alla donazione sulla base dell’analisi dei bisogni, delle convinzioni, delle paure e dei dubbi degli individui, è possibile attuare interventi mirati.

Secondo i dati del Sistema Informativo Trapianti (2022) la percentuale di chi ha espresso la propria volontà sulla donazione è solo del 55,3% e 8.022 pazienti sono ancora in attesa di trapianto.

«A dispetto di un atteggiamento generalmente positivo rispetto alla donazione di organi post-mortem il numero delle espressioni di volontà è ancora troppo basso – dice la Professoressa Sabrina Cipolletta del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova, autrice della ricerca promossa dal centro Nazionale Trapianti –. Ci siamo chiesti cosa succede tra il “dire” e il “fare”. Si tratta di un importante studio su tutto il territorio nazionale per comprendere le percezioni, conoscenze, paure e difficoltà per l’espressione di volontà alla donazione degli organi post-mortem da parte della popolazione italiana. È il primo approfondimento a livello nazionale e internazionale a coinvolgere un numero così imponente di partecipanti (353) che hanno preso parte a 38 gruppi di discussione (focus group) e che rappresentano fasce diverse della popolazione e diversi ruoli professionali: professionisti socio-sanitari che lavorano in reparti d’urgenza e di lungo degenza o sul territorio, dipendenti dell’ufficio anagrafe e opinion leaders. La ricerca – afferma Sabrina Cipolletta – ha permesso di individuare le maggiori resistenze alla donazione quali le false credenze, il desiderio di mantenere l’integrità del corpo anche dopo la morte, alcune credenze religiose e la sfiducia nella scienza e nel sistema sanitario. Al contrario tra i facilitatori dell’espressione di volontà sono stati trovati l’esperienza diretta o la conoscenza di persone che hanno ricevuto un trapianto o che hanno donato i propri organi, la fiducia nella scienza e nel sistema sanitario e la scelta di donare per un bene comune, quindi per il benessere della comunità».

Sabrina Cipolletta
Sabrina Cipolletta

Gli interventi futuri dovrebbero sostenere la scelta individuale fornendo informazioni affidabili sul processo di donazione, spiegando come esprimere la volontà di donare e utilizzando strumenti accattivanti per quanto riguarda le informazioni. Per rendere affidabili le informazioni è importante anche superare la diffidenza nei confronti delle istituzioni sanitarie e individuare quali strutture sono considerate affidabili e per quali motivi. La condivisione delle conoscenze scientifiche da parte della comunità medica può ridurre i falsi miti e aumentare la fiducia nel sistema sanitario. Le strategie di intervento per promuovere la registrazione dei donatori di organi dovrebbero tenere conto delle barriere alla donazione identificate nello studio, tra cui i falsi miti, la paura della morte e della disintegrazione del corpo e, allo stesso tempo, utilizzare come risorse i facilitatori della donazione che si è detto essere l’esperienza e la familiarità con l’argomento, la fiducia nelle istituzioni coinvolte e la responsabilità sociale.

«L’importante studio effettuato in collaborazione con l’Università di Padova ci ha confermato che in termini generali esiste nel nostro Paese una favorevole attitudine alla donazione degli organi dopo la morte da parte dei cittadini, ma questo non sempre si accompagna ad una formale registrazione di una volontà positiva – conclude Massimo Cardillo, Direttore Centro Nazionale Trapianti –. Sono necessarie per questo misure in due direzioni: da un lato rendere più semplice la manifestazione di volontà in vita, attraverso l’utilizzo di strumenti che oggi la tecnologia mette a disposizione, ma anche accompagnare questa scelta con una più diffusa informazione sull’utilità dei trapianti e sul valore della scelta donativa».

Massimo_Cardillo
Massimo_Cardillo

Link alla ricercahttps://bpspsychub.onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/bjhp.12681

Titolo: “Life beyond life: Perceptions of post-mortem organ donation and consent to donate – A focus group study in Italy” – British Journal of Health Psychology 2023

Autori: Sabrina Cipolletta, Silvia Caterina Maria Tomaino, Alessandra Brena, Paola Di Ciaccio, Margherita Gentile, Francesco Procaccio e Massimo Cardillo

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

L’IMPOLLINAZIONE: ANIMALE, “NATURALE” È MEGLIO

Pubblicata su «Nature Communications» una ricerca dell’Università di Padova che dimostra che i frutti impollinati da animali hanno una qualità superiore del 23%.

Gli organismi impollinatori sono fondamentali per la riproduzione di molte specie di piante, incluse molte colture utilizzate nell’alimentazione umana, come frutta e verdura.

In ambienti temperati, gli impollinatori sono soprattutto insetti come api, farfalle, molti ditteri e alcuni coleotteri, mentre nelle regioni tropicali e subtropicali gli impollinatori includono anche uccelli, pipistrelli e alcuni mammiferi.

Negli ultimi decenni si sta assistendo a un declino globale della diversità e dell’abbondanza di molte specie di impollinatori e per questo motivo gli sforzi in ambito scientifico si sono concentrati sulla quantificazione dell’importanza di questi organismi in agricoltura, con la pubblicazione di numerosi studi sperimentali sul loro effetto su resa, stabilità della produzione e qualità delle colture.

Impollinazione animale naturale
L’impollinazione: animale, “naturale” è meglio: in foto, api. Foto di Elena Gazzea

La ricerca dal titolo Global meta-analysis shows reduced quality of food crops under inadequate animal pollination, appena pubblicato sulla rivista «Nature Communications» da Elena Gazzea e Lorenzo Marini del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente (DAFNAE) dell’Università di Padova si è posta l’obiettivo di quantificare, per la prima volta su scala globale, l’effetto degli impollinatori sulla qualità delle colture attraverso una meta-analisi, una tecnica statistica che permette la sintesi quantitativa della letteratura esistente su un tema.

I dati sono stati raccolti tramite una ricerca bibliografica sui principali database di pubblicazioni scientifiche: sono stati utilizzati i dati di 190 studi indipendenti condotti in 48 paesi del mondo e su 48 colture diverse. L’effetto dell’impollinazione animale è stato quantificato confrontando le differenze di qualità – forma, dimensione, aspetto, sapore e proprietà nutritive – dei frutti prodotti con e senza gli impollinatori.

Fragola. Difetti estetici di forma e dimensione derivanti da un’inadeguata impollinazione animale. Foto di Paolo Paolucci

I risultati indicano che l’impollinazione animale ha un ruolo fondamentale nel determinare la qualità delle produzioni agricole. I frutti impollinati da animali hanno in media una qualità migliore del 23%: ciò significa che quasi un quarto della qualità di un frutto dipende dalla presenza di animali impollinatori.

Questi ultimi influenzano positivamente soprattutto le caratteristiche organolettiche – come forma e dimensione – della frutta e della verdura e quelle legate alla loro durabilità dopo la raccolta, contribuendo invece in misura minore alle loro proprietà nutritive e al sapore. I benefici dell’impollinazione animale sulla qualità sono indipendenti dalle regioni geografiche e dalla specie di impollinatore. Le analisi dei dati hanno inoltre evidenziato segnali di impollinazione non ottimale, potenzialmente derivante dal declino degli impollinatori nei paesaggi agricoli, che potrebbe compromettere la qualità delle produzioni. Generalmente, però, l’utilizzo di impollinatori gestiti come l’ape mellifera, sia in campo che in colture protette, permette di mantenere la produzione di frutta e verdura della massima qualità.

Immagini esemplificative che mostrano come viene studiato l’effetto degli impollinatori sulla qualità delle colture negli esperimenti sintetizzati dalla ricerca. Da sinistra a destra: esclusione di impollinatori, impollinazione animale libera, impollinazione manuale. Foto di Elena Gazzea

«I risultati del nostro studio hanno delle implicazioni molto importanti per il settore agroalimentare – spiega Lorenzo Marini, autore dello studio –. La qualità dei prodotti alimentari non processati come frutta e verdura si basa su standard che sono legati soprattutto al loro aspetto estetico e alla loro durata di conservazione. La produzione di frutta e verdura che devia dalla normalità come conseguenza di un’impollinazione non ottimale ha delle ripercussioni su tutta la catena di produzione agricola, dal reddito degli agricoltori alla decisione del consumatore di acquistare o meno il prodotto».

Lorenzo Marini
Lorenzo Marini

La produzione di frutti imperfetti e poco durevoli, quindi, aumenta lo spreco di alimenti ricchi di sostanze nutritive e pesa sulla conversione di terre agricole che compensino la mancata produzione di qualità soddisfacente per il mercato agroalimentare.

«Il declino globale degli impollinatori minaccia non soltanto la resa e la sua stabilità spaziale e temporale, ma rischia anche di compromettere la qualità della produzione agricola. La relazione tra impollinazione animale e spreco alimentare è stata finora quasi ignorata dalle politiche agroalimentari, sebbene abbia delle importanti implicazioni economiche, sociali e ambientali, specialmente in un’epoca in cui c’è un consumo globale subottimale di alimenti ricchi di sostanze nutritive» spiega Elena Gazzea, prima autrice dello studio.

Elena Gazzea
Elena Gazzea

Lo studio ha infine rilevato delle lacune nella conoscenza scientifica attuale, evidenziando alcune opportunità di ricerca futura per comprendere meglio le relazioni tra impollinatori e produzione agroalimentare sostenibile.

Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41467-023-40231-y

Titolo: Global meta-analysis shows reduced quality of food crops under inadequate animal pollination – «Nature Communications» – 2023

Autori: Elena Gazzea, Péter Batáry & Lorenzo Marini

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova