CA’ FOSCARI, PROGETTO RARA FACTORY FRA LE 4 START UP PREMIATE AL MOTOR VALLEY ACCELERATOR EXPO AL VIA A VENEZIA LA RICERCA PER LA GENERAZIONE SINTETICA DELLE TERRE RARE
Il progetto ottiene un finanziamento di 400 mila euro, le attività saranno sviluppate nei laboratori di Marghera Venezia al VEGA Parco Scientifico Tecnologico
I ricercatori dello spin off studiano materiali innovativi e sostenibili combinando fisica della materia, teoria delle reti e intelligenza artificiale per sostituire le ‘terre rare’ con composti puliti
19 dicembre 2024
VENEZIA – RARA Factory, lo spin off dell’Università Ca’ FoscariVenezia che sviluppa materiali innovativi e sostenibili combinando fisica della materia, teoria delle reti e intelligenza artificiale, è tra le quattro startup selezionate e finanziate da Motor Valley Accelerator, la principale piattaforma di Open Innovation in Italia dedicata all’innovazione nei settori Mobility ed Automotive.
L’annuncio è avvenuto nel corso del Motor Valley Accelerator Expo svoltosi a Fiorano Modenese, nel cuore della Motor Valley dell’Emilia-Romagna; un appuntamento nel quale si sono radunati startup e dipartimenti di R&D ed innovazione delle principali aziende del mondo nel settore Mobility ed Automotive.
Il progetto RARA Factory è coordinato dai docenti del Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi Stefano Bonetti e Guido Caldarelli, dal prof. Michele Bugliesi del Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica e da Stefano Micelli, docente della Venice School of Management.
Il team di ricerca studia lo sviluppo di un algoritmo per la generazione sintetica delle terre rare che fanno parte di un più ampio gruppo di “materiali rari” o “materiali critici”, per esempio nichel o cobalto, che sono alla base di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione, come batterie ricaricabili, motori elettrici, schermi TV e LCD.
L’obiettivo di Rara Factory è infatti quello di offrire una soluzione completamente nuova al problema. L’idea non è di trovare terre rare o materiali rari, riciclandoli o cercando nuovi giacimenti, ma di sostituirli completamente con composti puliti e abbondanti di prestazioni uguali o superiori.
Stefano Bonetti, docente di Ingegneria Fisica a Ca’ Foscari: “La scorsa settimana abbiamo partecipato come RARA Factory all’Expo 2024 del Motor Valley Accelerator a Modena, un evento di punta per l’innovazione tecnologica nel settore automobilistico, dove i materiali sono cruciali. L’Expo ha offerto un’opportunità esclusiva per connettersi con innovatori che stanno ridefinendo il panorama della mobilità. Come RARA Factory siamo state una delle quattro startup innovative premiate nel 2024 con un investimento di accelerazione di 400mila euro, che servirà ad avviare le prime attività nei nostri laboratori a Marghera. Abbiamo firmato accordi di collaborazione con diverse importanti aziende del settore, estremamente interessate nell’usare la nostra tecnologia per sostituire materiali critici nei loro prodotti. È entusiasmante vedere come la ricerca di base che stiamo portando avanti potrà avere un impatto su scala così ampia”.
Motor Valley Accelerator nasce da un’iniziativa congiunta del network nazionale di CDP Venture Capital Sgr, UniCredit, e Fondazione Modena, gestito da Plug and Play, anche in veste di investitore, e CRIT. In quattro anni di attività ha contribuito a rafforzare l’ecosistema dell’industria automotive finanziando complessivamente 28 startup. Grazie alla collaborazione con le aziende partner (STMicroelectronics, Ferrari, Agrati, Dallara, Sabelt, OMR, Gruppo Hera e UnipolSai Assicurazioni) che sono state anche protagoniste nelle fasi di selezione, sono stati avviati oltre 30 Proof of Concept di cui una parte si sono evoluti in progetti avanzati verso l’implementazione.
Testo e foto dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia
Ophiuroid Optimum: grazie alle stelle serpentine antartiche è stata identificata un nuovo periodo climatico della Terra
Pubblicato su Scientific Reports lo studio del dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa su una carota di sedimento marino dell’Antartide
Un gruppo di ricercatori e ricercatrici del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa ha identificato un nuovo periodo climatico del nostro pianeta denominato “Ophiuroid Optimum” che va dal 50 al 450 d.C.
Lo studio pubblicato sulla rivista Scientific Reports è stato condotto in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e il Museo Nazionale di Storia Naturale del Lussemburgo. Ricercatori e ricercatrici hanno analizzato una carota di sedimento marino raccolta ad una profondità di 462 m sotto il livello del mare nell’Edisto Inlet, un fiordo nel Mare di Ross occidentale in Antartide.
Lo studio della carota ha consentito di ricostruire la storia climatica della Terra negli ultimi 3600 anni evidenziando anche periodi già noti come il caldo medievale, fra il 950 e il 1250 d.C., e la piccola età glaciale, dal 1300 sino al 1850 d.C.. Durante l’intervallo di tempo denominato “Ophiuroid Optimum”, nell’area antartica dell’Edisto Inlet, si sono susseguite estati australi caratterizzate dall’assenza di ghiaccio marino ed importanti fioriture algali. Il persistere di queste condizioni ambientale ha permesso lo sviluppo di un’ampia comunità “bentonica”, ossia di organismi acquatici, animali e vegetali che vivono vicino ai fondali, ricca in stelle serpentine.
“Questa carota di sedimento ci ha consentito di effettuare degli studi paleoecologici e paleoclimatici ad altissima risoluzione – spiega Giacomo Galli dottorando fra gli Atenei di Pisa e Ca’ Foscari Venezia – questo perché è in gran parte fatta di fango costituito principalmente da diatomee, cioè piccole alghe unicellulari con guscio siliceo, a cui si aggiungono foraminiferi che sono organismi unicellulari con guscio che può fossilizzare, e resti di ofiure, cioè animali noti con il nome di stelle serpentine, echinodermi simili alle stelle marine. In particolare, gli abbondanti resti fossili delle stelle serpentine hanno permesso di identificare e caratterizzare il nuovo periodo climatico”.
“La nostra comprensione del clima presente, nonché la possibilità di modellare quello futuro, è possibile solo grazie ai dati che derivano dalle informazioni sul clima del passato – conclude la professoressa Morigi dell’Università di Pisa – ogni tassello che ci aiuta a comprendere meglio la storia climatica del nostro Pianeta ha enormi implicazione nell’aiutarci a capire come questa si evolverà nel prossimo futuro”.
Hanno partecipato alla ricerca per il dipartimento della di Scienze della terra dell’Università di Pisa Giacomo Galli, la professoressa Caterina Morigi, responsabile di vari progetti per la ricerca in Antartide (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, PNRA) ed in Artide (Programma di Ricerca in Artico, PRA) e Karen Gariboldi, ricercatrice esperta di diatomee. Fra gli altri autori Ben Thuy, ricercatore presso il Museo Nazionale di Storia Naturale del Lussemburgo, uno dei maggiori esperti di ofiuroidi fossili al mondo.
Riferimenti bibliografici:
Galli, G., Morigi, C., Thuy, B. et al. Late Holocene echinoderm assemblages can serve as paleoenvironmental tracers in an Antarctic fjord, Sci Rep14, 15300 (2024), DOI: https://doi.org/10.1038/s41598-024-66151-5
L’immagine ha lo scopo di mostrare una specie di stelle serpentine, Ophionotus victoriae, i cui fossili sono stati centrali in questa ricerca che ha individuato il nuovo periodo climatico Ophiuroid Optimum. Nella foto, la bivalve Adamussium colbecki, il riccio Sterechinus neumayeri, la spugna Homaxinella balfourensis, la stella serpentina Ophionotus victoriae, ragni di mare Colossendeis. FotoNSF/USAP, di Steve Clabuesch, in pubblico dominio
Testo dal Polo Comunicazione CIDIC – Centro per l’innovazione e la diffusione della cultura dell’Università di Pisa.
Costruire con il DNA: una formula matematica per farlo senza errori
Una ricerca internazionale, a cui ha collaborato un team della Sapienza, ha sviluppato un metodo per individuare la soluzione ottimale e più efficiente per costruire strutture complesse con mattoncini di DNA attraverso un meccanismo di auto-assemblaggio. La scoperta apre a nuove prospettive per la progettazione di nanomateriali e per applicazioni in campi come la fotonica e la nanoelettronica. I risultati sono pubblicati su Science.
Tutti i bambini, avendo tra le mani i mattoncini lego o i pezzi di un puzzle, hanno provato almeno una volta a realizzare una costruzione o a ricomporre l’immagine nascosta nelle tessere.
Riuscire ad assemblare le molecole di DNA, come fossero i mattoncini lego o i pezzi di un puzzle, per realizzare strutture complesse come i cristalli, è l’ultima frontiera della fisica.
Il DNA si presta a essere utilizzato a tale scopo, grazie alla complementarietà delle quattro basi azotate, che lo rende molto versatile e adatto a unirsi in composti. Attraverso un meccanismo detto di ‘auto- assemblaggio’ le molecole stesse, anche in enorme numero, formano una struttura organizzata come conseguenza di interazioni specifiche e locali tra i costituenti, senza azioni esterne.
Tuttavia, riuscire a ottenere e a controllare l’auto-assemblaggio delle particelle non è semplice. Data una determinata struttura, la sfida è riuscire a sintetizzarla in maniera corretta ed efficiente, riducendo il più possibile il numero delle diverse componenti necessarie. Una collaborazione internazionale ha cercato di indagare a fondo il problema in uno studio in uscita su Science. Tra gli esperti coinvolti anche Lorenzo Rovigatti, Francesco Sciortino e John Russo del Dipartimento di Fisica della Sapienza, insieme ai colleghi della Ca’ Foscari, di Columbia e della Arizona State University.
Riprendendo l’esempio precedente, i mattoncini lego e i pezzi di un puzzle sono in realtà due processi alternativi e diversi di costruzione. I primi sono tutti simili tra loro e sono progettati in modo da potersi legare con qualsiasi altro mattoncino per creare infinite forme. I secondi invece sono tutti diversi e si legano solo al loro corrispondente, in una posizione ben precisa, per formare un disegno predefinito.
La scelta degli scienziati sta dunque nel mezzo: non mattoncini tutti uguali per avere infinite strutture, né pezzi tutti diversi per ottenere il risultato voluto, ma il numero minimo di elementi diversi per creare esattamente e solamente la conformazione cercata.
La chiave per arrivare alla soluzione è stata la traduzione di questo problema teorico, e quindi della struttura desiderata, in un insieme di clausole logiche semplici. Queste possono essere poi risolte numericamente, ricavando così una soluzione ottimale ed efficiente per qualsiasi forma.
Per dimostrare la validità del metodo, gli autori hanno deciso di realizzare sperimentalmente l’auto-assemblaggio di un cristallo scelto per le sue proprietà fotoniche su scala nanometrica, , il pirocloro, “un cristallo che non esiste in natura ed era considerato impossibile da realizzare sperimentalmente” – dice John Russo, del Dipartimento di Fisica – Per crearlo sono state utilizzate particelle interamente composte di DNA (in gergo ‘DNA origami’). In questo modo è stato possibile dimostrare che come previsto si forma precisamente la struttura richiesta, in una sorta di puzzle da soli quattro tipi di pezzi che infallibilmente si assembla da solo.
“Il lavoro si basa sull’idea di utilizzare uno strumento matematico chiamato “Soddisfacibilità booleana”, anche noto come SAT, per risolvere il problema di auto-assemblare strutture ordinate a partire da un numero limitato di mattoncini. Il vantaggio di usare il SAT è che, oltre a ottenere una soluzione che assembli la struttura ordinata voluta, permette anche di affinare la soluzione affinché eventuali strutture che competono con quella target vengano sfavorite – dichiara Lorenzo Rovigatti del Dipartimento di Fisica – In questo lavoro applichiamo questa tecnica sofisticata per progettare al computer e poi ottenere in laboratorio un materiale cristallino mai stato assemblato prima, dimostrando chiaramente le potenzialità del nostro metodo, che abbiamo ribattezzato ‘SAT-assembly’.”
Questo approccio innovativo alla formazione spontanea delle strutture offre una nuova prospettiva per la progettazione di nanomateriali, consentendo di costruire strutture composte da miliardi di componenti disposti con assoluta precisione e aprendo la strada ad applicazioni in campi come la fotonica e la nanoelettronica.
Riferimenti bibliografici:
Inverse design of a pyrochlore lattice of DNA origami through model-driven experiments
Hao Liu, Michael Matthies, John Russo, Lorenzo Rovigatti, Raghu Pradeep Narayanan, Thong Diep, Daniel McKeen, Oleg Gang, Nicholas Stephanopoulos, Francesco Sciortino, Hao Yan, Flavio Romano, Petr Šulc
Science – doi: 10.1126/science.adl5549
Un metodo per individuare la soluzione ottimale e più efficiente per costruire strutture complesse con mattoncini di DNA attraverso un meccanismo di auto-assemblaggio. FotoPublicDomainPictures
Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Inventato in Italia il software per ottimizzare la qualità delle immagini di risonanza magnetica cardiaca: si chiama THAITI
Brevetto di scienziate e scienziati di Milano-Bicocca, Ca’ Foscari e Auxologico premiato alla più importante conferenza medica di settore. Supporta gli operatori nel calcolo di un parametro fondamentale per la corretta visualizzazione delle cicatrici cardiache
VENEZIA, MILANO, 14 febbraio 2024 – Come l’abilità nel “cogliere l’attimo” conta nella fotografia d’autore, così fino ad oggi è stata l’esperienza dell’operatore di radiologia a fare la differenza nella visualizzazione di aree cicatriziali nel cuore durante l’esecuzione di esami di risonanza magnetica cardiaca. Un’invenzione di scienziate e scienziati italiani promette di innovare questa fondamentale pratica diagnostica, rendendola accurata al primo “scatto” grazie all’intelligenza artificiale. Si chiama “THAITI” ed è un software messo a punto e brevettato da un team interdisciplinare composto da Daniela Besozzi e Daniele M. Papetti dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, Marco S. Nobile dell’Università Ca’ Foscari Venezia, e Camilla Torlasco dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano.
A sancirne il valore è stata la conferenza globale sulla risonanza magnetica cardiovascolare (CMR 2024), che all’invenzione italiana ha assegnato il primo premio della Shark Tank Competition, giudicando THAITI “innovativo, di impatto clinico, con valore traslazionale e pronto per la commercializzazione”. Brevettato a livello italiano e internazionale, il modello ora punta a trovare investimenti grazie anche alla collaborazione degli uffici di trasferimento tecnologico dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Università Ca’ Foscari e dell’Istituto Auxologico Italiano.
Il software è in grado di calcolare il valore ottimale del cosiddetto “tempo di inversione”, un parametro necessario per l’acquisizione di immagini mirate a identificare l’eventuale presenza di tessuto cicatriziale nel cuore a seguito di somministrazione di un mezzo di contrasto. Essendo strettamente correlato alla quantità di mezzo di contrasto presente nel cuore, il tempo di inversione è diverso per ogni paziente e il suo valore ottimale varia ripetutamente nel corso di uno stesso esame. Normalmente, l’operatore seleziona e modifica il tempo di inversione con un processo guidato dall’esperienza, e basato sull’aspetto dell’immagine precedente e sulle caratteristiche del paziente. THAITI, a partire da informazioni fisiologiche e antropometriche del paziente ed informazioni tecniche sull’esame, sfrutta un modello di intelligenza artificiale per determinare il tempo di inversione ottimale, personalizzato e dinamico, con cui ottenere una serie di immagini di alta qualità del tessuto cardiaco durante l’intera esecuzione dell’esame di risonanza magnetica.
“La nostra invenzione – spiega Camilla Torlasco, cardiologa Coordinatrice del Servizio di Risonanza Magnetica Cardiaca di Auxologico – ottimizza la qualità delle immagini acquisite, e rappresenta quindi un prezioso strumento di supporto alla diagnosi. Inoltre, THAITI fluidifica il flusso di lavoro, riducendo la fatigue degli operatori e migliorando l’esperienza del paziente”.
“THAITI è uno strumento per applicare un approccio di medicina di precisione – specifica Daniele M. Papetti, assegnista di ricerca presso l’Università di Milano-Bicocca – perché il tempo di inversione viene calcolato sfruttando caratteristiche specifiche di ciascun paziente. Inoltre, THAITI assicura la possibilità di acquisire coerentemente immagini di qualità standardizzata, che facilitano la riproducibilità degli esami e dei loro risultati”.
Il prototipo è in una fase avanzata di sviluppo. “Le funzionalità fondamentali di THAITI sono state messe a punto – racconta Marco S. Nobile, professore di Informatica all’Università Ca’ Foscari – rimane da perfezionare l’interfaccia utente e assicurare la scalabilità del sistema, che deve poter rispondere in tempo reale a una grande quantità di richieste provenienti potenzialmente da tutto il mondo”.
Il software non richiede investimenti in strumentazione per essere utilizzato, è sufficiente la licenza d’uso. “Questo aspetto – aggiunge Daniela Besozzi, professoressa di Informatica all’Università di Milano-Bicocca – oltre a facilitare l’adozione di THAITI, lo rende una soluzione di particolare impatto sia per i paesi a reddito basso o medio-basso, dove la diffusione della risonanza magnetica cardiaca è limitata anche dalla difficoltà di fornire una formazione adeguata agli operatori di radiologia, sia per i centri di risonanza magnetica cardiaca a basso volume o aperti di recente”.
La risonanza magnetica cardiaca è un esame fondamentale per la valutazione della cardiopatia ischemica e delle cardiomiopatie, situazioni in cui la presenza e le caratteristiche di eventuale tessuto cicatriziale sono indispensabili a fini diagnostici, prognostici, e per guidare la gestione clinica dei pazienti. Inoltre, con la risonanza magnetica cardiaca è possibile studiare accuratamente cardiopatie congenite, malattie del pericardio e dell’aorta e, in misura minore, l’apparato valvolare cardiaco. THAITI è stato addestrato su una molteplicità di patologie cardiovascolari, garantendone la massima generalizzabilità.
Inventato in Italia il software per ottimizzare la qualità delle immagini di risonanza magnetica cardiaca: si chiama THAITI. Nella foto, risonanza magnetica cardiaca, IRCCS Istituto Auxologico Italiano. Foto di Ugo De Berti, https://www.udb.it
Testo e foto dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia, dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca e dall’Ufficio Stampa Auxologico IRCCS
Cambiamento climatico, l’Artico sta perdendo la “memoria”
Lo scioglimento causato dal riscaldamento globale sta deteriorando rapidamente il segnale climatico contenuto nei ghiacciai delle isole Svalbard. Questo è quanto scoperto da un gruppo di ricerca internazionale coordinato dall’Istituto di scienze polari del CNR e dall’Università Ca’ Foscari Venezia. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista The Cryosphere.
1) Vista del sito di campionamento dall’interno della trincea scavata per prelevare i campioni presso il ghiacciaio dell’Holtedahlfonna – isole Svalbard. Crediti: Federico Scoto, CNR-ISP
2) Attività di campionamento sul sito di studio dell’HolthedalfonnaCrediti: Marco Barretta, R!SE
3) Recupero di una carota di ghiaccio dal sito studiatoCrediti: Federico Scoto, CNR-ISP
VENEZIA – In tutto il Mondo i ghiacciai si stanno ritirando a una velocità senza precedenti, e questo sta comportando la perdita delle informazioni riguardanti la storia del clima e dell’ambiente in essi contenute. A perdere la memoria sono anche i ghiacciai dell’arcipelago delle Svalbard, nel Circolo polare artico: lo dimostra per la prima volta uno studio internazionale pubblicato sulla rivista The Cryosphere, guidato da ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-ISP) e dell’Università Ca’ Foscari Venezia.
“Dobbiamo pensare agli strati di ghiaccio come a pagine di un manoscritto antico che gli scienziati sono in grado di interpretare. Anche se le evidenze del riscaldamento atmosferico sono ancora conservate nel ghiaccio, il segnale climatico stagionale è andato perduto”, spiega Andrea Spolaor, ricercatore del CNR-ISP. “I ghiacciai a queste quote – con l’attuale tasso di riscaldamento e l’aumento della fusione in estate – rischiano di perdere le informazioni climatiche registrate al loro interno, compromettendo la ricostruzione del cambiamento climatico affrontato dalla Terra nel corso del tempo”.
Dal 2012 al 2019, il team di ricerca ha studiato l’evoluzione del ghiacciaio dell’Holtedahlfonna, uno dei più elevati dell’arcipelago delle Svalbard, scoprendo che il segnale climatico, visibile nel 2012, era completamente scomparso nel 2019.
“L’arcipelago delle Svalbard è particolarmente sensibile ai cambiamenti del clima, a causa dell’altitudine relativamente bassa delle sue principali calotte glaciali”, spiega Carlo Barbante, direttore del CNR-ISP e professore all’Università Ca’ Foscari. “Inoltre, la posizione geografica enfatizza il fenomeno dell‘amplificazione artica, ossia l’aumento delle temperature più rapido rispetto alla media globale, causato da processi come la riduzione del ghiaccio marino e dell’albedo, che è la capacità di rifrazione dei raggi solari. Quest’ultima, tipica delle superfici chiare, contribuisce a mantenere le temperature più basse”.
Proprio per mettere in salvo questi archivi, nel 2023 i ricercatori impegnati nei progetti Ice Memory e Sentinel hanno portato a termine una complessa campagna di perforazione del ghiacciaio dell’Holthedalfonna, riuscendo ad estrarre tre carote di ghiaccio profonde. La speranza della comunità scientifica è che questi campioni contengano ancora informazioni climatiche rappresentative della regione.
“I risultati di questa ricerca, evidenziando la minaccia che gli effetti del cambiamento climatico rappresentano, sottolineano la necessità di preservare gli archivi glaciali e le relative informazioni climatiche, ora a rischio a causa del riscaldamento globale”, conclude Jacopo Gabrieli,
13 febbraio 2024
La scheda
Chi: Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia (CNR-ISP), Università Ca’ Foscari Venezia
Che cosa: Studio sulla perdita del segnale climatico deighiacciai dell’arcipelago delle Svalbard, pubblicato su The Cryosphere https://doi.org/10.5194/tc-18-307-2024
Spolaor A., Scoto F., Larose C., Barbaro E., Burgay F., Bjorkman M. P., Cappelletti D., Dallo F., De Blasi F., Divine D., Dreossi G., Gabrieli J., Isaksson E., Kohler J., Martma T., Schmidt L. S., Schuler T. V., Stenni B., Turetta C., Luks B., Casado M., and Gallet J.-C. (2023) Climate change is rapidly deteriorating the climatic signal in Svalbard glaciers, «The Cryosphere» 18, 307–320
Testo e immagini dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia
MATERIALI QUANTISTICI: SCOPERTO UN NUOVO STATO DELLA MATERIA CONTRADDISTINTO DAL FENOMENO QUANTISTICO CHIAMATO CORRENTE CHIRALE Su Nature studio guidato da Ca’ Foscari che potrà avere applicazioni basate su nuovi dispositivi nei campi della sensoristica, biomedicale e delle rinnovabili. Scoperta possibile grazie al Sincrotrone italiano Elettra.
VENEZIA – Un gruppo internazionale di ricerca ha scoperto un nuovo stato della materia contraddistinto dall’esistenza di un fenomeno quantistico chiamato corrente chirale. Tali correnti sono generate su scala atomica da un movimento cooperativo di elettroni, che è all’origine della nuova fase della materia appena scoperta, a differenza dei materiali magnetici convenzionali le cui proprietà hanno origine dalla caratteristica quantistica di un elettrone nota come spin e dal loro ordinamento nel cristallo.
La chiralità è una proprietà di estrema importanza nelle scienze, per esempio è anche fondamentale per capire il DNA. Nel fenomeno quantistico scoperto la chiralità delle correnti è stata rilevata studiando un processo di interazione tra luce e materia nel quale un fotone opportunamente polarizzato è in grado di emettere un elettrone dalla superficie del materiale con uno stato di spin ben definito.
La nuova scoperta, pubblicata oggi sulla prestigiosa rivista Nature, arricchisce in modo significativo la conoscenza sui materiali quantistici, in particolar modo sulla ricerca di fasi quantistiche chirali e sui fenomeni che avvengono alla superficie dei materiali.
“La rivelazione dell’esistenza di questi stati quantistici – spiega Federico Mazzola, ricercatore in Fisica dei materiali all’Università Ca’ Foscari Venezia e leader dello studio – può aprire la strada per lo sviluppo di un nuovo tipo di elettronica che impieghi correnti chirali come portatori di informazioni al posto della carica dell’elettrone. Inoltre, tali fenomeni potrebbero avere un importante risvolto per applicazioni future basate su nuovi dispositivi optoelettronici chirali, e un grande impatto nel campo delle tecnologie quantistiche per nuovi sensori, così come nel campo biomedico ed in quello delle energie rinnovabili”.
Nato da una predizione teorica, questo studio ha verificato in modo diretto e per la prima volta l’esistenza di questo stato quantistico, fino ad ora enigmatico ed elusivo, grazie all’utilizzo del Sincrotrone italiano Elettra. Finora la conoscenza circa l’esistenza di questo fenomeno era infatti limitata a predizioni teoriche per alcuni materiali. La sua osservazione sulle superfici dei solidi lo rende estremamente interessante per lo sviluppo di nuovi dispositivi elettronici ultra sottili.
Il gruppo di ricerca, che comprende partner nazionali e internazionali tra cui l’Università Ca‘ Foscari di Venezia, l’Istituto Spin e l’Istituto Officina dei Materiali del CNR e l’Università di Salerno, ha investigato il fenomeno su un materiale già noto alla comunità scientifica per le sue proprietà elettroniche e per applicazioni di spintronica superconduttiva, ma la nuova scoperta ha un respiro più ampio, essendo molto più generale ed applicabile ad una vasta gamma di materiali quantistici.
Questi materiali stanno rivoluzionando la fisica quantistica e l’attuale sviluppo di nuove tecnologie, con proprietà che vanno ben oltre quelle descritte dalla fisica classica.
Hanno partecipato allo studio ricercatrici e ricercatori dal Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi di Ca’ Foscari, Istituto Officina dei Materiali, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto di Fisica Teoretica dell’Università Jagellonica (Polonia), Istituto di Fisica dell’Accademia Polacca delle Scienze, Dipartimento di Fisica “E. R. Caianiello” dell’Università di Salerno, Istituto SPIN del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Sincrotrone SOLEIL, Interdisciplinary Nanoscience Center dell’Università di Aarhus, Dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano, Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Fisica e Astronomia Department of Physics and Astronomy dell’Università Nazionale di Seul, Seul, Korea.
DA CA’ FOSCARI UN ALGORITMO PER SOSTITUIRE LE TERRE RARE CON MATERIALI SOSTENIBILI
Stefano Bonetti, fisico a Ca’ Foscari, ha presentato l’attività della Fondazione Rara in audizione alla Commissione Esteri della Camera:
“Non c’è un modo pulito di estrarre terre rare, ma con la ricerca possiamo trovare nuovi materiali, generando un forte impatto economico”.
VENEZIA – Lantanio, cerio, praseodimio, neodimio. Sono solo le prime delle diciassette ‘terre rare’ presenti nella tavola periodica degli elementi. Si chiamano terre, ma sono sostanzialmente dei metalli, tutti con colore simile, indispensabili per l’economia del presente e del futuro, per la transizione ecologica, e per gli interessi di molti Paesi.
Le terre rare fanno parte di un più ampio gruppo di “materiali rari” o “materiali critici”, per esempio nichel o cobalto, che sono alla base di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione, come batterie ricaricabili, motori elettrici, schermi TV e LCD. Sono anche elementi fondamentali per lo sviluppo delle tecnologie più avanzate in campo aerospaziale, medico, della difesa e delle energie rinnovabili. Il controllo e il primato sull’export di questi materiali, la cui domanda è destinata a crescere in modo rapido ed esponenziale in tutto il mondo, è attualmente in mano alla Cina.
Norme e strategie per superare il ‘monopolio’ cinese e regolamentare il procedimento complesso e poco sostenibile di estrazione e lavorazione delle terre rare e dei materiali critici, sono in discussione anche a livello di Unione Europea e di singoli Stati, tra i quali l’Italia, dove sono coinvolti il ministero delle Imprese e del Made in Italy e quello dall’Ambiente.
Stefano Bonetti, Ordinario di Fisica della Materia a Ca’ Foscari, è rappresentante di Fondazione Rara ETS, no profit nata per promuovere ed effettuare ricerca su tecnologie e materiali sostenibili, offrendo soluzioni ‘pulite’ e percorribili in qualunque strategia geopolitica legata ai materiali rari. Insieme a lui, i docenti di Ca’ Foscari Guido Caldarelli, Ordinario di Fisica Teorica, Michele Bugliesi, Ordinario di Informatica e precedente Rettore, insieme ad Alberto Baban, Presidente di VeNetWork ed ex Presidente Nazionale di Piccola e Media Impresa di Confindustria, e Anna Soatto, di Cortellazzo&Soatto.
Nei giorni scorsi Bonetti è stato invitato per un’audizione alla Commissione Esteridella Camera dei deputati, dove ha spiegato le criticità e possibili sviluppi nel campo delle terre e dei materiali rari, e ha presentato l’attività della Fondazione.
“Al momento stiamo sviluppando e brevettando un algoritmo che permetta di sostituire completamente le terre rare con materiali sostenibili e abbondanti, cercando e combinando materiali con proprietà simili – spiega Bonetti. – La realtà è che non c’è un modo pulito di estrarre terre rare, che significa che i processi per evitare di inquinare richiedono costosi processi di bonifica, che di ritorno aumenterebbero i prezzi dei materiali e porterebbero probabilmente fuori mercato le terre rare estratte in Europa. Consideriamo poi il costo sociale: qualsiasi dispositivo elettronico di uso quotidiano ha una batteria che contiene cobalto, e l’estrazione di cobalto avviene quasi totalmente in Congo, senza regole ambientali e sfruttando in maniera tragica lavoro minorile. Il paradosso è evidente: per effettuare una transizione ecologica che mira a salvare il pianeta, ci procuriamo materiali distruggendo alcune aree del pianeta stesso, e le persone che ci vivono. Anche le attuali alternative in discussione, ovvero recuperare e riciclare le terre rare da vecchi dispositivi elettronici, o di trovare nuovi giacimenti, hanno ancora altissimi costi energetici, ambientali e sociali”.
Stefano Bonetti
L’approccio proposto dal gruppo di ricerca offre una soluzione completamente nuova al problema. L’idea non è di trovare terre rare o materiali rari, riciclandoli o cercando nuovi giacimenti, ma di sostituirli completamente con materiali abbondanti e sostenibili.
“Ci sono elementi come il sodio, il potassio, il ferro, il titanio, e diversi altri, che sono molto più abbondanti, e distribuiti su tutto il pianeta – continua Bonetti. – Con questi elementi comuni, si possono creare dei materiali compositi, delle leghe, che possono avere le proprietà delle terre rare. In questo modo, potremmo continuare a sviluppare tecnologia necessaria alla transizione ecologica, con materiali a basso impatto ambientale. Inoltre, anche gli altri problemi di diritti umani, di concentrazione di potere in mano a pochi attori si risolverebbero, perché questi materiali si trovano distribuiti su tutto il pianeta”.
L’idea è semplice, ed è quella di provare tante combinazioni di materiali, testarli e trovare quelli simili. La difficoltà sta nell’altissimo numero di combinazioni possibili, paragonabile a quanti sono gli atomi nell’universo.
“Quello che abbiamo fatto all’interno della Fondazione Rara, grazie ad una combinazione di competenze unica in fisica della materia, in fisica teorica e in informatica, è lo sviluppo di un algoritmo in grado di ottimizzare la ricerca di questi materiali in maniera molto più efficiente di quanto fatto fino ad ora, creando un’elaborazione dei materiali. Dopo l’algoritmo, l’obiettivo successivo è quello di creare un database di materiali mirati a sostituire le terre rare.”
Le ricadute di un’impresa di questo tipo sull’intero sistema nazionale sono destinate ad avere un forte impatto dal punto di vista economico, perché l’Italia diventerebbe leader di materiali sostenibili per le nuove tecnologie (il solo settore microelettronica ha un valore stimato di 700 miliardi nel 2027); strategico e geopolitico, perché diventerebbe punto di riferimento per le industrie che operano nell’ambito della transizione ecologica; e infine politico, con un ruolo leader in Europa nelle politiche per i materiali sostenibili.
Tra le raccomandazioni di breve-medio periodo che Fondazione Rara ha presentato nel corso dell’audizione, spiccano: un impegno della politica a livello internazionale per inserire la ricerca di materiali sostenibili tra le priorità dei prossimi anni, lo stanziamento di fondi europei mirati alla sostituzione dei materiali critici con materiali sostenibili e l’utilizzo di e fondi PNRR per la ricerca sui materiali sostenibili.
Testo e foto dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia sull’algoritmo per sostituire le terre rare con materiali sostenibili.
la mostra fotografica
dal 19 maggio al 31 luglio 2023
presso l’Università Ca’ Foscari Venezia
The Cooling Solution è un progetto fotografico e scientifico che mostra come persone con diversi background culturali e socioeconomici si adattino a condizioni di alta temperatura e umidità, in paesi temperati e tropicali. La mostra fotografica è esposta a Venezia in due sedi dell’Università Ca’ Foscari Venezia (Ca’ Foscari Zattere – Cultural Flow Zone e il Cortile Grande dell’ateneo) dal 19 maggio al 31 luglio 2023.
The Cooling Solution è un progetto di arte e scienza che ha scelto la fotografia d’autore di Gaia Squarci per raccontare come persone provenienti da diversi contesti socioculturali, in varie parti del mondo, si adattino a temperature crescenti ed alti tassi di umidità. A partire dal titolo, il termine “soluzione” vuole mettere in discussione il paradigma dell’adattamento al cambiamento climatico incentrato sull’uso indiscriminato dei condizionatori. Il progetto esamina come l’uso dell’aria condizionata si sia affermato come l’unica strategia onnipresente e intensamente pubblicizzata per far fronte al caldo estremo in diverse parti del mondo, non importa quanto caldo o umido ci sia. Secondo il rapporto “The Future of Cooling” pubblicato nel 2018 dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, nei prossimi 30 anni verranno venduti 10 impianti di aria condizionata al secondo, raggiungendo così nel 2050 il numero strabiliante di 5,6 miliardi di impianti installati a livello mondiale.
L’intento di The Cooling Solution è quello di rendere accessibili all’ampio pubblico, attraverso il potere comunicativo della fotografia, una serie di risultati scientifici che sono stati prodotti in 5 anni dal progetto di ricerca ENERGYA. Il progetto, finanziato dal Consiglio Europeo per la Ricerca (ERC) è stato coordinato da Enrica De Cian, professoressa di Economia ambientale a Ca’ Foscari e ricercatrice presso la Fondazione CMCC. La mostra integra i risultati del progetto scientifico con un reportage fotogiornalistico tra Brasile, India, Indonesia e Italia, offrendo così un percorso visivo attraverso esperienze quotidiane di persone alle prese con il disagio termico, esempi di raffreddamento inefficiente e inefficace, iper-raffreddamento, architettura vernacolare e tecnologie all’avanguardia.
Gallery. Fotografie di Gaia Squarci
Ndongo Gueye, 18, e Cheikh Badar Gueye, 19, nati in Senegal e cresciuti nel Nord Italia, qui a Milano. Italia, 2022 – Umidità 38% 35°C
Flamengo è un quartiere di classe media e alta a Rio de Janeiro, caratterizzato da temperature relativamente più basse grazie alla vicinanza del Parco Nazionale di Tijuca. Brasile, 2022 – Umidità 67%, 25°C
Una famiglia in prima classe u un treno che va da Tegal a Yogyakarta, Giava. Indonesia, 2022 – Umidità 80%, 25°C
Periferia di Gurgaon, Delhi, nota per avere un indice di qualità dell’aria tra i peggiori. India, 2019 – Umidità 75%, 21°C
“The Cooling Solution vuole far riflettere i visitatori sul concetto di comfort termico, mostrando come questo dipenda non solo dalla temperatura, ma anche dal modo in cui persone in diversi regioni e società si siano storicamente adattate a condizioni di caldo ed umidità estremi. Quello che stiamo osservando oggi è un uso eccessivo o non adeguato di metodi energivori per mantenere le condizioni di comfort termico, anche laddove esistono alternative che potrebbero dare un risultato altrettanto soddisfacente. La mostra mette in luce le contraddizioni ambientali e sociali legate all’uso eccessivo dell’aria condizionata, nonché la tensione con gli obiettivi che spesso ne motivano l’utilizzo, come la necessità di proteggere le persone più fragili della società, dai bambini agli anziani, alle persone con disabilità” – spiega Enrica De Cian, professoressa del Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia e ricercatrice della Fondazione CMCC.
Gaia Squarci, autrice delle fotografie esposte a Ca’ Foscari, aggiunge: “Senza dubbio ci troveremo a vivere in un pianeta più caldo, e senza dubbio, in alcuni contesti, l’aria condizionata può e potrà salvare vite. Ma esistono tantissimi altri modi di raffrescarsi, soprattutto quando le condizioni di temperatura e umidità non sono estreme. La mostra intende anche dare visibilità ad architetture, tecnologie, e comportamenti che ci potranno aiutare ad adattarci senza surriscaldare il pianeta”.
SCHEDA INFORMATIVA
The Cooling Solution
Mostra fotografica 19 maggio – 31 luglio 2023
Fotografia di Gaia Squarci, ricerca di ENERGYA, coordinata dalla prof.ssa Enrica De Cian, Università Ca’ Foscari Venezia e Fondazione CMCC, curatela di Kublaiklan e coordinamento arte-scienza di Elementsix.
Interni: Ca’ Foscari Zattere – Cultural Flow Zone, Dorsoduro 1392, Venezia
Esterni: Cortile Grande dell’Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 3246, Venezia
Entrata libera, 2 e 3 giugno chiuso per festività nazionale
INAUGURAZIONE
Venerdì 19 maggio 2023, ore 17.00, Cortile Grande Università Ca’ Foscari, Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 3246, Venezia
Introduzione di Cristina Baldacci di THE NEW INSTITUTE Centre for Environmental Humanities, seguita da un tour guidato alle Zattere Cultural Flow Zone con la fotografa Gaia Squarci, la coordinatrice scientifica Enrica De Cian, il collettivo curatoriale Kublaiklan, e il coordinatore del progetto di arte-scienza Elementsix.
Venerdì 19 maggio 2023, ore 09.00, Aula Baratto, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 3246, Venezia
La mattina del 19 maggio si svolgerà nella storica Aula Baratto dell’Università Ca’ Foscari, un workshop scientifico con rinomati esperti internazionali, dove verrà discusso il previsto boom dell’aria condizionata nei prossimi 20 anni, insieme ad alcune delle possibili alternative.
L’agenda del workshop si trova in cartella stampa, per registrarsi al workshop, compilare il form
SITO WEB E CATALOGO
Il progetto sarà consultabile online dal 19 maggio 2023 su un sito web dedicato dal quale sarà anche possibile acquistare una copia cartacea del catalogo thecoolingsolution.com
A CURA DI
La mostra fotografica, curata da Kublaiklan, non sarebbe stata possibile senza la ricerca economica di Enrica De Cian ed il suo team, la ricerca etnografica di Antonella Mazzone, la ricerca politica di Marinella Davide, e la fotografia di Gaia Squarci, il tutto coordinato da Elementsix.
Questa mostra è supportata dal progetto di ricerca ENERGYA guidato da Enrica De Cian e finanziato dal Consiglio europeo della ricerca (ERC) nell’ambito del programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell’Unione Europea (n. 756194), dalla Fondazione CMCC e dal progetto Marie Curie ACTION (No 841291) guidato da Marinella Davide. È stata organizzata congiuntamente dal Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia, dal centro THE NEW INSTITUTE Centre for Environmental Humanities, e dalla Oxford Martin School dell’Università di Oxford. “The Cooling Solution” rientra nell’ambito della programmazione delle iniziative di Public Engagement 2023 dell’Università Ca’ Foscari Venezia.
Testo e immagini dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Area Comunicazione e Promozione Istituzionale e Culturale Università Ca’ Foscari Venezia
Frontespizio delle Considerazioni Astronomiche di Alimberto Mauri (1606), attribuite a Galileo Galilei
VENEZIA – Un vero Galileo sotto falso nome, un Galileo prima di Galileo, prima del canocchiale, prima dello scienziato che la maggior parte di noi conosce; un’opera dalla paternità incerta scritta sotto pseudonimo e una storia complessa di attribuzioni degna di un giallo, dipanata grazie all’abilità quasi investigativa di Matteo Cosci, ricercatore al Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari Venezia.
Lo studioso ha rinvenuto le prove documentali conservate allaBiblioteca Nazionale Centrale di Firenze che confermano la dibattuta attribuzione del trattato Considerazioni Astronomiche di Alimberto Mauri (1606)a Galileo Galilei. La pubblicazione, che all’epoca venne accolta come pseudonima senza che l’identità dell’autore venisse mai accertata, può dunque essere confermata come autentica opera del matematico pisano.
I DOCUMENTI FALSI
Per capire come si è arrivati a questa conclusione, bisogna fare un passo indietro a quando, poco tempo fa, il New York Times ha dato notizia del fatto che alcuni documenti galileiani posseduti dalla University of Michigan e dalla Morgan Library di New York sono in realtà contraffatti in quanto opera novecentesca del famoso falsario seriale Tobia Nicotra. Il professor Nick Wilding della Georgia State University, autore della scoperta, ha dimostrato infatti come le filigrane della carta sulla quale quei testi furono scritti rendono impossibile una datazione pre-settecentesca. Ad inizio Novecento, quando questi documenti vennero autenticati, lo furono sulla base di ulteriori documenti galileiani, anch’essi risultati poi contraffatti.
Tra questo secondo gruppo di documenti falsi si trova anche una lettera di accompagnamento ad un presunto “Libro della Considerazione Astronomica” firmata da Galileo. A partire dagli anni Settanta, per rendere ragione della missiva, alcuni studiosi intesero questo documento come una prova a favore dell’attribuzione a Galileo di un’opera controversa, le Considerazioni Astronomiche di Alimberto Mauri. Era quello infatti il titolo di un trattato che era stato accolto come un’opera pseudonima e del quale si era sospettata una paternità galileiana fin dalla sua pubblicazione nel 1606. Ad esempio, Fortunio Liceti, collega di Galileo a Padova, alludeva ad Alimberto Mauri come a qualcuno che si fosse finto astronomo per l’occasione mentre era palese che fosse un matematico esperto. Ma dell’autore, allora come oggi, non si è mai riusciti a stabilire con certezza l’identità. La lettera di accompagnamento, oggi conservata all’archivio del Fondo “Cardinale Pietro Maffi” di Pisa, per alcuni studiosi sembrava suffragare l’autorialità galileiana. Ora però che l’unico documento a favore dell’identificazione di Galileo come autore è risultato essere un falso, il riemergere di differenti documenti galileiani originali torna a confermare la sospettata attribuzione.
IL RITROVAMENTO
La scoperta di Matteo Cosci avviene in modo indipendente dalle recenti cronache di cui si è parlato, ma è correlata ad esse. Il ricercatore ha individuato rilevanti riferimenti in merito tra le carte della raccolta manoscritta catalogata come “Gal. 42” alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, contenente i Frammenti e primi abbozzi relativi al trattato galileiano “Delle cose che stanno su l’acqua”. Tra queste carte di Galileo vi sono raccolte anche note di lavoro che appartengono a periodi e temi diversi, come alcuni riferimenti all’interpretazione della cosiddetta “stella nova” del 1604 in disaccordo con l’interpretazione datane all’epoca dal filosofo fiorentino Lodovico delle Colombe.
Matteo Cosci
Queste carte vennero evidentemente raggruppate insieme ad altre che avevano lo stesso avversario polemico, ma non il medesimo oggetto di disputa. Cosci le ha potute individuare mentre procedeva a raccogliere tutte le note manoscritte di Galileo relative alla disputa sulla stella nova. Precedenti schedature di questi documenti già informavano che si trattasse certamente di note autografe e indirizzate contro il Delle Colombe. Al tempo stesso però queste note non furono mai considerate sufficientemente rilevanti da venire incluse nell’edizione nazionale delle opere di Galileo, tanto da risultare fino ad oggi inedite.
In questi appunti Galileo elenca alla carta 31 recto una lista di “luoghi”, ossia di testi, “dove”, in particolare, [Lodovico Delle Colombe] “parla con vilipendio di me” [Galileo Galilei]. Ma, ha notato sempre il ricercatore cafoscarino, Lodovico Delle Colombe tramite le sue Risposte, alle quali i “luoghi” annotati puntualmente rimandano, non stava attaccando Galileo, mai nominato, bensì Alimberto Mauri. Il fatto dunque che Galileo si consideri attaccato là dove si attacca Alimberto Mauri conferma che Alimberto Mauri fosse lo pseudonimo di Galileo Galilei. In altre parole, è Galileo stesso a confermarci in questa sua nota privata di essere l’autore dietro lo pseudonimo.
Nel complesso, dunque, i documenti autografi rinvenuti da Matteo Cosci risultano ad oggi l’unica evidenza documentaria autentica in favore dell’attribuzione delle Considerazioni Astronomiche a Galileo.
PERCHÉ LO PSEUDONIMO?
Galileo in quegli anni lavora a Padova con profitto, ma con un salario ormai non più confacente al mantenimento di sé e della sua famiglia. Pertanto, come già era stato ipotizzato dallo studioso canadese Stillman Drake, si può dire che Galileo ricorra a quest’opera per cercare patrocinio al di là della Repubblica di Venezia e in particolare a Roma, dedicando il trattato nientemeno che al tesoriere del Papa. Ma in quegli anni Roma è ai ferri corti con Venezia – siamo in piena “guerra” dell’Interdetto – ed ecco perché non sarebbe stato consigliabile apporre il proprio nome, nero su bianco, sul frontespizio di un’opera destinata al nemico pubblico.
Non era la prima volta che Galileo ricorreva ad uno pseudonimo: pochi anni prima aveva infatti preso parte ad una polemica sulla medesima stella dietro alla “nomenagia”, o soprannome pavano, di “Cecco da Ronchitti” in un’operetta satirica scritta in collaborazione con il suo studente Girolamo Spinelli, e anche in seguito Galileo sarà incline a pubblicare i suoi scritti per interposta persona. Non a caso il Delle Colombe apostrofava la “Signora maschera” ai passaggi elencati, oltre che come “Mauri”, anche come “Cecco” o “quel dottor che leggeva in Padova”. Si tratta di ulteriori epiteti che qui convergono nell’identificazione dell’avversario in incognito.
Delle Colombe scrisse le Risposte pensando a Galileo come il suo avversario salvo poi mostrare qualche esitazione nell’identificare davvero il suo antagonista nella controversia, alimentando così la generale incertezza sulla paternità dell’opera. Al contempo Galileo prese nota di questi “luoghi” in vista di una replica al Delle Colombe.Tuttavia tale replica non fu allora portata a termine da Galileo perché – come ci informa un’altra nota inedita rinvenuta da Cosci nella stessa raccolta – l’avversario non avrebbe nemmeno meritato il tempo speso per la sua confutazione. Nonostante questo, però, la disputa tra i due sarebbe successivamente continuata e si sarebbe anzi inasprita nei primi anni fiorentini di Galileo, quando l’utilizzo di uno pseudonimo non si rendeva più necessario per l’ormai famoso autore del Sidereus Nuncius, né d’altra parte era richiesta una assunzione di responsabilità per il precedente trattato.
CONCLUSIONI
Questa radicale rivalutazione di documenti dimenticati va a confermare un quadro indiziario composito che già tratteggiava la fisionomia del matematico pisano dietro all’intenzione di dissimulazione per le Considerazioni astronomiche. Il trattato pseudonimo, del quale Cosci sta attendendo ora ad una nuova edizione, conserva infatti paralleli testuali con altri scritti galileiani di diversa natura, sia precedenti che successivi, come il De Motu, le Considerazioni circa l’opinione copernicana e il Dialogo di Cecco da Ronchitti, oltre che con una postilla autografa al testo del Delle Colombe stesso. Anche uno studente dell’epoca, Willem van Thienen, esplicitava poi sul frontespizio della propria copia delle Risposte, proprio sotto il titolo di “certa maschera saccente nominata Alimberto Mauri“, il nome di “Galileo Galilei” a chiare lettere.
Il professor Nick Wilding commenta il ritrovamento come
“un eccellente esempio di quanto una paziente e intelligente ricerca d’archivio può risarcire un po’ del danno causato dai falsari. Cosci ha mostrato come una combinazione di scetticismo e abilità possa condurre alla verità storica.”
Inoltre, il Prof. Peter Barker (University of Oklahoma), al corrente delle ricerche di Cosci, ha dichiarato:
“Il Sidereus Nuncius ci dice quando, come e al riguardo di che cosa Galileo fece le sue osservazioni con il cannocchiale, ma, in prospettiva, le Considerazioni Astronomiche ci dicono perché egli avrebbe fatto quelle osservazioni tre anni più tardi.”
Un nuovo capitolo può perciò essere aggiunto alla già monumentale raccolta delle opere dedicata al matematico che rivoluzionò la scienza europea. Tra i più interessanti argomenti trattati in quest’opera si annoverano, ad esempio, l’ipotesi su basi puramente prospettiche della presenza di montuosità sulla superficie lunare, l’idea che in ultima analisi siano ragioni fisiche a spiegare la regolarità di moti celesti apparentemente non uniformi, la critica a coloro che contestano l’astrologia senza avere le competenze astronomiche necessarie per poterlo fare con cognizione di causa.
Le Considerazioni Astronomiche di Alimberto Mauri ci restituiscono quindi un Galileo inconsueto ma riconoscibilissimo, ancora in una fase di transizione e di congetture, ma già impegnato tanto nella ricerca di un nuovo patrocinio per i propri studi quanto nel contrasto alle sicumere dell’aristotelismo più retrogrado, proprio qualche anno prima delle scoperte telescopiche che lo avrebbero portato a Firenze e reso celebre in tutto il mondo. Dal permesso di stampa si evince peraltro che le Considerazioni furono pubblicate a Firenze con l’assenso di Paolo Vinta, primo segretario del Granducato e fratello di Belisario, già corrispondente di Galileo e presto suo mediatore per il desiderato ritorno in Toscana.
EFFETTI DEL Mo.S.E. SULLA STRUTTURA MORFOLOGICA
DELLA LAGUNA DI VENEZIA
Team di ricercatori coordinato dall’Università di Padova evidenzia che l’utilizzo del sistema Mo.S.E., modificando l’idrodinamica e il trasporto di sedimenti, condiziona il mantenimento della preziosa diversità morfologica della laguna
Se da un lato l’utilizzo del sistema Mo.S.E. a protezione della città di Venezia risolve, almeno temporaneamente, il problema delle acque alte che sempre più frequentemente minacciano Venezia e gli altri insediamenti lagunari, dall’altro avrà un impatto importante sull’evoluzione morfologica della laguna nel suo insieme. L’utilizzo del Mo.S.E. per la regolazione delle maree con livello previsto maggiore di 110 cm sul riferimento di Punta della Salute ha, infatti, importanti conseguenze sull’idrodinamica e sul trasporto di sedimenti all’interno della laguna. In particolare, la riduzione dei livelli di marea incrementa la risospensione dei sedimenti dai bassifondali lagunari, favorendo l’interrimento dei canali e riducendo al contempo la capacità delle barene – formazioni pianeggianti tipiche degli ambienti lagunari – di sopravvivere al progressivo innalzamento del livello medio del mare. Se non opportunamente contrastati, tali processi porteranno nel tempo a un progressivo appiattimento della topografia lagunare, modificandone in modo sostanziale l’attuale morfologia.
Effetti del Mo.S.E. sulla struttura morfologica della laguna di Venezia. Photo credit: Davide Tognin
Questo è quanto emerge dallo studio Loss of geomorphic diversity in shallow tidal embayments promoted by storm-surge barriers, pubblicato da un team di ricercatori dell’Università di Padova sulla prestigiosa rivista scientifica «Science Advances», frutto della collaborazione tra Centro Interdipartimentale di Idrodinamica e Morfodinamica Lagunare (CIMoLa), Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale (ICEA) e Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, che ha coinvolto anche il Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e il Dipartimento di Ingegneria Ambientale dell’Università della Calabria e che si è svolto nell’ambito del Progetto Venezia 2021, finanziato dal Provveditorato alle Acque di Venezia tramite CO.RI.LA. – il Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia.
Andrea D’Alpaos
La ricerca, coordinata dai docenti Luca Carniello del Dipartimento ICEA e Andrea D’Alpaos del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, ha analizzato gli effetti delle prime chiusure del Mo.S.E. avvenute nell’autunno 2020 sulla morfologia della laguna di Venezia.
Luca Carniello
Integrando strumenti modellistici e misure di campo, i ricercatori hanno analizzato gli effetti prodotti dall’utilizzo del sistema di paratoie mobili alle bocche di porto sul trasporto di sedimenti e sull’evoluzione morfologica della laguna di Venezia.
Effetti del Mo.S.E. sulla struttura morfologica della laguna di Venezia. Photo credit: Davide Tognin
L’effetto principale della riduzione dei livelli di marea prodotta dal sollevamento delle paratoie del Mo.S.E. durante i cosiddetti eventi di “acqua alta” è un aumento della risospensione dei sedimenti dai bassifondali, dovuta principalmente all’azione delle onde che si generano all’interno della laguna a causa dei forti venti che tipicamente accompagnano questo tipo di eventi e che, contro intuitivamente, sollecitano maggiormente i fondali quando il livello di marea in laguna è regolato dalle paratoie.
Una volta rimobilitati dalle onde, a causa del ridotto dinamismo delle acque lagunari causato dalla chiusura delle bocche di porto, i sedimenti tendono ad essere depositati all’interno dei canali, contribuendo così all’interrimento degli stessi, con conseguenze negative sul ricambio d’acqua in condizioni ordinarie e sull’aumento dei costi di dragaggio per mantenerne la navigabilità.
Allo stesso tempo, la riduzione dei livelli di marea in laguna contribuisce ad una sostanziale riduzione del volume di sedimenti depositato sulle barene.
Tali sedimenti, che sono di vitale importanza per permettere alle barene di sopravvivere all’innalzamento del livello medio del mare, vengono depositati su di esse in larga parte proprio durante gli eventi di acqua alta per i quali è prevista l’attivazione delle barriere del Mo.S.E.
Pertanto, l’utilizzo ripetuto e prolungato del Mo.S.E. rischia, se non opportunamente controbilanciato, di minare tale processo di accrescimento delle barene minacciandone l’esistenza e, con essa, l’espletamento dei numerosi servizi ecosistemici che queste forme lagunari forniscono.
Se da un lato la temporanea chiusura delle bocche di porto risulta indispensabile per la limitazione delle acque alte – evidenziando, allo stesso tempo, che soluzioni ingegneristiche diverse da quella adottata per il Mo.S.E. non avrebbero modificato in modo sostanziale le dinamiche evidenziate dallo studio –, dall’altro i ricercatori sostengono la necessità di trovare un compromesso tra le esigenze di salvaguardia delle aree urbane dalle inondazioni e la conservazione dell’ecosistema lagunare.
Appare pertanto urgente e inderogabile la necessità di mettere allo studio interventi in grado di mitigare gli effetti messi in luce dalle indagini, in modo da poterli realizzare prima possibile. Soluzioni complementari al sistema Mo.S.E. potrebbero, ad esempio, essere adottate al fine di ridurre il numero complessivo di chiusure annuali, mitigandone così, almeno in parte, gli effetti negativi sulla conservazione della morfologia lagunare.
Link alla ricerca: 10.1126/sciadv.abm8446
Titolo: Loss of geomorphic diversity in shallow tidal embayments promoted by storm-surge barriers – «Science Advances» – 2022 Autori: Davide Tognin, Alvise Finotello, Andrea D’Alpaos, Daniele P. Viero, Mattia Pivato, Riccardo A. Mel, Andrea Defina, Enrico Bertuzzo, Marco Marani, Luca Carniello
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova