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Su “Brain, Behavour and Inflammation” uno studio di Statale e Fondazione Don Gnocchi che verifica come l’infezione con il parassita Leishmania possa avere un ruolo protettivo contro lo sviluppo della malattia.

Alzheimer infezione parassitaria Leishmania
Immagine di Tumisu

La malattia di Alzheimer colpisce prevalentemente individui anziani, ha un’eziologia ancora sconosciuta ed è una condizione neurodegenerativa caratterizzata da una progressiva demenza da severa infiammazione, per la quale non esiste ancora alcuna cura. Diversi studi hanno mostrato come i meccanismi infiammatori, probabilmente scatenati dalla presenza di placche di amiloide nel cervello, siano secondari all’attivazione di un sistema multiproteico intracellulare chiamato inflammasoma.

Un recente articolo pubblicato sul New York Times ha rivelato come in una tribù amazzonica studiata per anni non vi fosse alcun segno di Alzheimer negli anziani, nonostante la presenza del solo fattore di rischio generico noto: ApoE4; il giornalista ipotizzava come ciò potesse essere collegato alla presenza di infezioni parassitarie.

Stimolati da questa osservazione, l’Università degli Studi di Milano e Fondazione Don Gnocchi, con i docenti dell’Ateneo, Mario Clerici, Donatella Taramelli e Nicoletta Basilico e la dottoressa Marina Saresella, del Laboratorio di Medicina molecolare e Biotecnologia della Fondazione,  e Helen Banks, del Centre for Research on Health and Social Care Management (Cergas) dell’Università Bocconi, hanno condotto uno studio che ha verificato la possibilità che l’infezione con Leishmania, un parassita endemico in Amazzonia, possa inibire l’attivazione dell’inflammasoma e lo sviluppo di infiammazione in cellule stimolate con amiloide, o di pazienti con malattia di Alzheimer. I risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista Brain, Behavour and Inflammation hanno confermato questa ipotesi: l’infezione con parassiti impedisce lo sviluppo di infiammazione e potrebbe avere un possibile ruolo protettivo contro lo sviluppo della malattia.

L’idea di utilizzare composti derivati da parassiti come farmaci immunomodulatori in malattie autoimmuni era già stata avanzata in precedenza. Recenti risultati ottenuti in modelli animali hanno evidenziato che questo tipo di approccio potrebbe essere di beneficio anche in malattie umane; quest’ultimo studio suggerisce la possibile utilità anche per la malattia di Alzheimer.

 

Comunicato Stampa Università degli Studi di Milano La Statale