News
Ad
Ad
Ad
Tag

tumori

Browsing

Tumore della vescica: scoperto un nuovo meccanismo molecolare; la proteina NUMB è un biomarcatore nell’evoluzione del tumore, l’interruttore per la diagnosi delle forme più aggressive

NUMB è la proteina che costituisce un biomarcatore nell’evoluzione del tumore alla vescica: la scoperta del meccanismo molecolare apre la strada a nuove strategie terapeutiche per combattere il cancro vescicale. Lo studio, condotto dal team di ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università degli Studi di Milano e pubblicato su Nature Communications, dimostra inoltre che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, contrariamente a quanto ritenuto fino ad ora.

Milano, 4 dicembre 2024. Una nuova speranza per la diagnosi e la cura dei tumori della vescica più aggressivi nasce dalle ricerche di un gruppo di scienziati dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e dell’Università degli Studi di Milano. Lo studio sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro è stato coordinato da Salvatore Pece, professore ordinario di Patologia generale e vice-direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università Statale di Milano, Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dello IEO.

I risultati hanno condotto i ricercatori a scoprire un inedito meccanismo molecolare, alla base dell’aggressività biologica e clinica dei tumori della vescica, che determina le prognosi più sfavorevoli. I dati sono appena stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications.

All’origine dell’intero processo sembra esserci la proteina NUMB, che è normalmente espressa nella vescica normale, ma viene perduta in oltre il 40% di tutti i tumori vescicali umani. Tale perdita causa una cascata di eventi molecolari che rendono il tumore altamente proliferativo e invasivo, consentendogli di oltrepassare gli strati superficiali della mucosa vescicale per raggiungere gli strati più profondi. Tale evento rappresenta il punto di svolta nella evoluzione clinica della malattia, determinando la progressione dei tumori vescicali superficiali, i cosiddetti non-muscolo-invasivi, verso tumori profondi, definiti muscolo-invasivi, che richiedono l’intervento di rimozione chirurgica totale della vescica. Nonostante l’operazione radicale, queste forme di malattia sono caratterizzate da un decorso clinico spesso sfavorevole.

Dunque la proteina NUMB – spiega il professor Pece – funziona come un interruttore molecolare. che, se è spento, accelera la progressione tumorale e influenza il decorso clinico della malattia. Rappresenta quindi un biomarcatore molecolare che consente di identificare i tumori superficiali a elevato rischio di progressione verso tumori muscolo-invasivi”.

La nostra scoperta ha un forte e immediato potenziale di applicazione nella pratica clinica – continua Salvatore Pece –. I criteri clinico-patologici utilizzati nella routine per predire il rischio di progressione dei tumori vescicali superficiali a tumori muscolo-invasivi sono infatti del tutto insufficienti e inadeguati a individuare i pazienti a basso rischio, che potrebbero beneficiare di trattamenti più mirati, di tipo conservativo, in protocolli di sorveglianza attiva. I pazienti ad alto rischio necessitano invece di trattamenti più aggressivi, quali la chemioterapia e l’asportazione chirurgica della vescica, che hanno purtroppo considerevoli effetti collaterali e un elevato impatto sulla qualità della vita”.

Abbiamo analizzato il profilo molecolare sia in cellule in coltura e animali di laboratorio, sia in campioni di tumori umani privi dell’espressione di NUMB – spiega il dottor Francesco Tuccidottorando di ricerca presso la Scuola Europea di Medicina Molecolare e primo autore dello studio –. Abbiamo così osservato che la perdita di NUMB attiva un complesso circuito molecolare che conduce all’attivazione di un potente oncogene, il fattore di trascrizione YAP. Quest’ultimo è alla base del potere proliferativo e invasivo delle cellule tumorali”.

Siamo andati oltre – aggiunge la dottoressa Daniela Tosoni, ricercatrice presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia dell’Università di Milano e dello IEO, che ha contribuito alla supervisione dello studio –. In esperimenti di laboratorio abbiamo dimostrato che è possibile inibire la capacità proliferativa e invasiva delle cellule tumorali prive di NUMB, utilizzando farmaci in grado di colpire questo complesso circuito molecolare a diversi livelli”. “I tumori della vescica privi di NUMB – continua Daniela Tosoni – sono quindi molto aggressivi ma anche altamente vulnerabili”.

Sono infatti già disponibili alcuni farmaci molecolari impiegati in clinica per patologie differenti dal tumore vescicale, che potrebbero rapidamente essere sperimentati e adottati come trattamenti innovativi per prevenire la progressione clinica dei tumori vescicali superficiali ad alto rischio, privi della proteina NUMB.

Nel 2023, in Italia, sono stati stimati 29.700 nuovi casi di tumore della vescia (il quinto più frequente dopo quelli della mammella, colon-retto, polmone e prostata).

Al momento della diagnosi iniziale – spiega Salvatore Pece – i tumori della vescica si presentano in larga maggioranza come tumori superficiali non muscolo-invasivi, che sono generalmente caratterizzati da una buona prognosi. Solo in una percentuale ridotta si presentano invece sin dal principio come tumori profondi muscolo-invasivi, molto aggressivi e con decorso clinico meno favorevole. Per questo necessitano di chemioterapia e di intervento di cistectomia radicale. Questo ha fatto storicamente considerare i tumori superficiali e quelli profondi come due patologie differenti sin dal principio, guidate da differenti meccanismi molecolari. Tuttavia circa il 20-30% dei tumori superficiali possono evolvere in tumori muscolo-invasivi. L’esperienza clinica ci ha insegnato che i tumori muscolo-invasivi che derivano dalla progressione di tumori inizialmente superficiali rappresentano le forme più aggressive e potenzialmente letali di tumore vescicale”.

I nostri studi – continua Pece – dimostrano invece che i tumori vescicali superficiali e quelli profondi rappresentano stadi differenti di un unico processo patologico che evolve nel tempo, guidato già dal principio da specifici meccanismi molecolari che possono essere ostacolati con farmaci precisi e mirati. Diventa quindi fondamentale identificare i meccanismi biologici alla base di questa evoluzione e sviluppare nuovi marcatori molecolari per identificare i pazienti con caratteristiche specifiche di aggressività. In questo contesto, la nostra scoperta apre la strada a nuove strategie terapeutiche per combattere il cancro vescicale in una elevata percentuale di pazienti che presentano tumori privi di espressione della proteina NUMB”.

Abbiamo anche identificato – continua Salvatore Pece – una nuova firma molecolare che consentirà di identificare con accurata precisione i pazienti che potranno beneficiare di trattamenti mirati con nuovi farmaci che colpiscono in maniera specifica i meccanismi molecolari che sono attivati a seguito della perdita di NUMB”.

Questo studio sostenuto da AIRC rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – continua il professor Pece – non solo per la sua valenza scientifica ma anche per i risultati clinici. Rappresenta infatti uno di quei rari momenti della ricerca scientifica in cui, dopo molti anni di studio, è possibile effettuare il passaggio dalla ricerca di base all’applicazione in ambito clinico. Abbiamo ora a disposizione una nuova firma molecolare per misurare il rischio di progressione di malattia e al tempo stesso nuovi possibili bersagli di terapie più precise e mirate tramite l’uso di farmaci già disponibili nella pratica clinica”.

Questa ricerca è una ulteriore conferma della qualità dei nostri ricercatori – sottolinea il Direttore del Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia della Statale, Gianluca Vago – e dei risultati che otteniamo grazie alla stretta collaborazione, ormai ventennale, con l’Istituto Europeo di Oncologia e il sostegno, altrettanto fondamentale, di AIRC. Milano ha un potenziale unico per la ricerca nelle scienze della vita; fare rete è ancora più importante ora, come condizione necessaria per competere con le migliori realtà europee ed internazionali”.

Lo studio, che ha visto impegnati in uno sforzo comune scienziati e clinici del nostro istituto, – conclude il professor Roberto Orecchia, Direttore dello IEO di Milano – è un risultato straordinario e una ottima notizia per molti pazienti per i quali abbiamo oggi una nuova possibilità di cura. Abbiamo già brevettato la nuova firma molecolare emersa da queste ricerche e stiamo per avviare studi clinici per validarne l’utilizzo come marcatore, per identificare i pazienti ad alto rischio di progressione di malattia che potranno beneficiare nel prossimo futuro di una nuova prospettiva terapeutica con farmaci più precisi e mirati”.

Tumore vescica NUMB biomarcatore microscopio SLA molecola leucemia RNA serina idrossimetiltrasferasi serina
Foto PublicDomainPictures

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano.

 

Chirurgia genica: arrivano le nanoparticelle d’oro per riparare il DNA

Il risultato frutto di I-Gene, un progetto coordinato dall’Università di Pisa che è stato premiato per l’alto contenuto innovativo dall’European Innovation Council

La chirurgia genica ha un nuovo alleato, sono le nanoparticelle d’oro grazie alle quali i principi attivi riescono ad entrare nel nucleo delle cellule e agire sul DNA eliminando le mutazioni dannose. La scoperta arriva dal progetto europeo I-Gene appena giunto a conclusione e premiato dall’European Innovation Council per il suo alto contenuto innovativo. Si tratta di un riconoscimento che la Commissione Europea concede in caso di risultati estremamente rilevanti.

“Siamo un’epoca in cui possiamo editare i genomi e questo significa che se ci sono degli errori, noi tendenzialmente li possiamo correggere, ma per trasformare tutto questo in terapie e applicazioni utili c’è un collo di bottiglia”, spiega la professoressa Vittoria Raffa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, coordinatrice del progetto.

“I principi attivi che fanno questo editing sono infatti degli enzimi che da soli non riescono a penetrare nelle cellule, – continua Raffa – per risolvere la questione noi abbiamo inventato dei vettori che sono delle nanoparticelle d’oro. Rispetto ai vettori attualmente utilizzati che impiegano virus presentano alcuni vantaggi: non sono tossici, il che consente un loro utilizzo più ampio senza controindicazioni, e si attivano con la luce”.

Vittoria Raffa
Vittoria Raffa

La sperimentazione delle nanoparticelle d’oro è stata fatta in vitro e in vivo su embrioni di zebrafish, i casi studio hanno riguardato il COVID-19 e il melanoma, sfruttando in quest’ultimo caso proprio la fotoattivazione attraverso laser.

A livello tecnico, I-Gene ha dunque proposto un nuovo concetto di ingegneria genetica con una metodologia basata sull’attivazione laser di un nano vettore capace di innescare una rottura o scissione del DNA. La superiorità rispetto alle metodologie attuali risiede anche nell’integrazione delle funzioni temporale, spaziale e di fedeltà: l’editing avviene solo quando il laser è acceso, dove il laser è focalizzato e solo sul bersaglio. Complessivamente, questo consente il controllo dell’editing a singola cellula e fornisce un livello di sicurezza assoluto per lo sviluppo di un editing genomico efficace per applicazioni biotecnologiche e terapeutiche.

Insieme alla professoressa Vittoria Raffa hanno lavorato al progetto per l’Università di Pisa la professoressa Chiara Gabellini del dipartimento di Biologia, il professore Mauro Pistello e il dottore Michele Lai del dipartimento di Medicina Traslazionale, e il professore Francesco Fuso del dipartimento di Fisica.

Chirurgia genica nanoparticelle d’oro il team di ricerca UniPi
il team di ricerca UniPi

Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.

Lotta ai tumori e alle malattie genetiche grazie alle nanoparticelle lipidiche
I ricercatori del NanoDelivery Lab della Sapienza hanno sviluppato una tecnologia che utilizza nanostrutture biocompatibili per trasportare grandi molecole di DNA preparando il terreno per nuove terapie geniche mirate. I risultati dello studio sono pubblicati su Nature Communications.

 

L’avvento delle nanoparticelle lipidiche ha rivoluzionato il campo della terapia genica. Utilizzate anche nello sviluppo di vaccini a base di mRNA contro il COVID-19, le nanoparticelle lipidiche hanno dimostrato un grande successo nelle applicazioni cliniche. Tuttavia, la capacità di queste particelle di incapsulare efficacemente molecole di DNA di grandi dimensioni rimane ancora un campo poco battuto.

La ricerca del NanoDelivery Lab della Sapienza Università di Roma, coordinata da Giulio Caracciolo e Daniela Pozzi, si propone di colmare questo vuoto. Nello studio pubblicato su Nature Communications, svolto in collaborazione con altri istituti italiani ed europei come l’Istituto Pasteur Italia, la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Università Tecnica di Graz in Austria e con il supporto del consorzio CERIC-ERIC (Central European Research Infrastructure Consortium), i ricercatori hanno ottenuto delle particelle con una morfologia unica che dimostrano una capacità di trasporto migliorata rispetto alle formulazioni tradizionali, aprendo la strada a nuove terapie geniche mirate.

La tecnologia progettata utilizza nanoparticelle lipidiche in grado di incorporare DNA di grandi dimensioni. Le particelle risultanti sono poi ulteriormente ingegnerizzate e rivestite con una corona biomolecolare fatta di DNA e proteine plasmatiche: in seguito a questa modifica, le nanoparticelle lipidiche ottenute diventano una vera e propria nano-architettura biologica capace di eludere il sistema immunitario e aumentare l’efficacia della terapia genica.

“L’approccio innovativo del nostro studio dimostra una capacità di trasporto del DNA migliorata rispetto alle formulazioni classiche, garantendo al contempo una maggiore stabilità e una ridotta risposta immunitaria. – spiega Giulio Caracciolo della Sapienza – Questo potrebbe consentire la correzione di difetti genetici e fornire strumenti per la lotta contro il cancro, rappresentando un passo importante verso terapie innovative per malattie difficili da trattare con i metodi attualmente in uso nella pratica clinica”.

Riferimenti bibliografici:

Structuring lipid nanoparticles, DNA, and protein corona into stealth bionanoarchitectures for in vivo gene delivery – Renzi, S., Digiacomo, L., Pozzi, D. et al. – Nature Communications (2024) https://doi.org/10.1038/s41467-024-53569-8

Lotta ai tumori e alle malattie genetiche grazie alle nanoparticelle lipidiche; il nuovo studio pubblicato su Nature Communications. Foto di Konstantin Kolosov

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Microcircuiti flessibili. L’Europa premia il progetto di frontiera SKIN2DTRONICS dell’Università di Pisa con il prestigioso ERC Synergy Grant
Il riconoscimento a Gianluca Fiori per il progetto SKIN2DTRONICS. Per il professore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione è il secondo ERC.

Il progetto SKIN2DTRONICS vince l'ERC Synergy Grant 2024 microcircuiti flessibili tumore al cervello tumori recrudescenza glioblastoma

Gianluca Fiori, docente di Ingegneria Elettronica all’Università di Pisa, è uno dei vincitori del bando ERC Synergy Grant di quest’anno.

Gli ERC sono i finanziamenti europei alla ricerca in assoluto più competitivi, e sono riconosciuti a un piccolo numero di progetti sulla sola base dell’eccellenza scientifica.

Per il 2024 sono stati riconosciuti 56 grant a fronte di 548 progetti presentati, a testimonianza dell’altissima selettività del finanziamento.

Il progetto di Gianluca Fiori si chiama SKIN2DTRONICS, e sarà finanziato con dieci milioni di euro nei prossimi sei anni per sviluppare una tecnologia all’avanguardia che permetta la costruzione di microcircuiti elettronici su materiali deformabili e ultra flessibili. Per il professore è il secondo ERC, dopo quello ottenuto nel 2017 per le sue ricerche sull’elettronica stampabile su carta.

“L’idea alla base di SKIN2DTRONICS – racconta Gianluca Fiori – è che l’elettronica può essere integrata, letteralmente, ovunque. Puntiamo a sviluppare elettronica flessibile spessa meno di un micron, e collocabile su ogni tipo di superficie, indipendentemente da forma, irregolarità e consistenza. Questo può aprire  la strada a una grandissima gamma di applicazioni, incluso  l’ambito medico.
Nello specifico, ci occuperemo dello sviluppo di un dispositivo elettronico flessibile e biocompatibile in grado di monitorare la recrudescenza di tumori molto aggressivi come il glioblastoma, un tumore al cervello che attualmente ha un’altissima percentuale di mortalità, perché i monitoraggi periodici per stabilire la recrudescenza sono molto dilazionati nel tempo, dovendo utilizzare una tecnica molto costosa come la  risonanza magnetica.
Il dispositivo elettronico che metteremo a punto potrà essere inserito direttamente nella cavità lasciata nel cervello dopo la rimozione chirurgica del tumore, e, grazie alla sua flessibilità e adattabilità, potrà aderire perfettamente ai bordi della cavità. Il dispositivo conterrà microsensori di pH, temperatura e pressione in grado di monitorare l’eventuale insorgenza di nuovi tumori in tempo reale.”
“Il progetto – conclude Fiori – è decisamente ambizioso, dovendo affrontare una doppia sfida: riuscire a integrare in pochi centimetri quadri  migliaia di transistori necessari per elaborare i segnali, analizzare i dati e comunicarli all’esterno, e progettare l’elettronica in modo che le sue prestazioni restino stabili anche su superfici curve e irregolari.”
Gianluca Fiori
Gianluca Fiori

II Synergy Grant premia progetti così innovativi e ambiziosi da richiedere, per avere successo, la stretta collaborazione e l’integrazione delle conoscenza di un gruppo di scienziati. Oltre a Gianluca Fiori, il team di SKIN2DTRONICS è composto da Andreas Kis, EPFL Losanna (Scuola Politecnica Federale), Andres Castellano Gomez, CSIC Madrid (Consiglio Superiore per la Ricerca Scientifica) e Kostas Kostarelos, ICN2 Barcellona (Istituto Catalano di Nanoscienza e Nanotecnologia).

“Un riconoscimento come questo – commenta il direttore del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Sergio Saponara – testimonia l’eccellenza della ricerca all’interno del nostro dipartimento, e il suo grande impatto sulla società e sul sistema produttivo. Da molti anni i nostri ricercatori sono al lavoro per sviluppare tecnologie per una società sempre più digitale. Tutta l’attività del Dipartimento dedicata al futuro si svolge all’interno del nostro laboratorio FoReLab, in cui una ricerca altamente integrata e interdisciplinare punta a fornire gli strumenti per una società e una industria 5.0, in cui dispositivi e tecnologia sono pensati e ritagliati sui bisogni delle persone. Grazie al finanziamento dell’ERC Synergy Grant potremo mettere a punto una generazione di nuovi dispositivi, in pratica una nuova industria dell’elettronica, con applicazioni centrate sui pazienti, come dispositivi wearable e applicazioni medicali”.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa

Progetto CO-TRANS-NET: farmaci sintetici personalizzati a base di RNA, giovane ricercatrice vince l’ERC Starting Grant

Sempre più vicina la possibilità di creare farmaci su misura del paziente oncologico e della sua malattia e garantire diagnosi ad personam, anche via smartphone

Progetto CO-TRANS-NET farmaci molecola RNA funzionale - crediti per l'immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata
molecola RNA funzionale – crediti per l’immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata

Roma, 5 settembre 2024 – Simona Ranallo, 37 anni, romana, attualmente ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata, si aggiudica – unica vincitrice Starting Grant nell’Ateneo – l’ERC Starting Grant 2024, il finanziamento di 1.5 milioni di euro che l’Europa elargisce alle migliori linee di ricerca ogni anno, per il progetto CO-TRANS-NET “Synthetic nucleic acid co-transcriptional networks as diagnostic and therapeutic tools”.

I suoi studi per la ricerca sul cancro l’hanno portata a interessarsi delle interazioni molecolari che avvengono all’interno della cellula e nel corpo umano.

“Ciò che maggiormente ha stimolato la mia curiosità – spiega Simona Ranallo – è sempre stato cercare di migliorare la diagnosi e il trattamento di diverse malattie, incluso il cancro, partendo dallo studio di come funziona la vita. Attraverso processi altamente controllati la cellula è in grado di leggere l’informazione contenuta nel nostro DNA e tradurla in molecole funzionali, quali RNA e proteine, che giocano ruoli chiave nella regolazione delle funzioni vitali e della salute”.

“Ed è proprio da questo concetto – sottolinea la ricercatrice – che nasce l’idea di CO-TRANS-NET (acronimo di Cotranscriptional networks): sviluppare sistemi basati su geni sintetici che, in risposta a specifici biomarcatori tumorali, sono in grado di produrre molecole di RNA funzionali che possono generare un segnale diagnostico o avere funzioni terapeutiche. In questo modo CO-TRANS-NET si pone l’obiettivo di generare una nuova classe di strumenti teranostici, che attraverso l’utilizzo delle nanotecnologie, integrano la diagnosi e la terapia in modo tale che possano essere ottenute simultaneamente”.

L’innovazione del progetto CO-TRANS-NET risiede quindi in una importante scoperta.

“La possibilità di produrre un farmaco a base di RNA in risposta alla presenza di specifici biomarcatori tumorali rappresenta la vera innovazione di CO-TRANS-NET. In questo modo si potrebbe pensare di produrre un farmaco “on demand” quando il livello di un biomarcatore supera il suo specifico range fisiologico, diventando quindi una sorta di allarme e rappresentando una possibilità di trattamento precoce. Si riuscirebbe così ad amministrare la dose di farmaco da somministrare in base alla necessità specifica di ogni singolo paziente, correlata allo stadio della sua malattia”.

La dottoressa Ranallo sottolinea anche le caratteristiche peculiari e la versatilità del progetto:

“CO-TRANS-NET oltre a garantire un monitoraggio costante e un trattamento terapeutico personalizzato rappresenta un innovativo strumento diagnostico in cui in tempi rapidi e senza necessità di apparecchiature di laboratorio ma utilizzando solamente uno smartphone si potrà misurare il livello di biomarcatori tumorali nel sangue dei pazienti con elevata precisione, proprio come il glucometro utilizzato dai pazienti diabetici. Le innovazioni proposte da CO-TRANS-NET in campo diagnostico e terapeutico rappresentano importanti progressi verso la medicina personalizzata e di precisione”.

Il progetto CO-TRANS-NET ha una durata di cinque anni e rientra nel 44% di Starting Grant 2024 vinti da ricercatrici, percentuale in costante aumento negli ultimi anni secondo quanto rivela lo European Research Council. Lo ERC Starting Grant, che per l’anno in corso ha potuto contare su un finanziamento di circa 780 milioni di euro complessivi, supporta giovani ricercatori e ricercatrici all’inizio della loro carriera nelle loro ricerche all’avanguardia.

Simona Ranallo
Simona Ranallo

Biografia

Simona Ranallo si laurea in chimica all’università di Roma Tor Vergata e qui ottiene il dottorato in Scienze chimiche portando avanti la sua ricerca nel Laboratorio di Chimica analitica del dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche. Durante il PhD è stata Visiting Researcher presso la University of California Santa Barbara e l’Université de Montréal.

Ha ottenuto finanziamenti post doc dalla Fondazione Umberto Veronesi per continuare la sua ricerca sul cancro e nel 2018 è risultata vincitrice di una Marie Skłodowska-Curie Post Doctoral Global Fellowship, finanziata dalla Comunità Europea. Grazie a questo finanziamento ha svolto due anni di ricerca presso la University of California Santa Barbara per poi tornare nell’ultimo anno di ricerca del finanziamento presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche di Roma Tor Vergata, dove attualmente lavora come ricercatrice nel gruppo di ricerca coordinato dal professor Francesco Ricci.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Università di Roma Tor Vergata

Terapie a RNA: fotografata l’interazione tra RNA e serina idrossimetiltrasferasi, una proteina metabolica coinvolta nella crescita dei tumori

In uno studio internazionale, coordinato dal Dipartimento di Scienze biochimiche A. Rossi Fanelli della Sapienza Università di Roma, è stata utilizzata una tecnica all’avanguardia per cogliere i dettagli del meccanismo di inibizione di una proteina metabolica da parte dell’RNA. I risultati della ricerca sostenuta da Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Cell. Se i dati saranno confermati in ulteriori studi, potranno offrire nuove speranze di applicazione delle terapie a RNA nella lotta contro il cancro.

Le cellule tumorali sono in grado di rielaborare le proprie funzioni in modo da crescere più velocemente e sopravvivere a condizioni avverse, aumentando per esempio la produzione di specifiche proteine. La ricerca potrebbe fornire strumenti per interferire con questi processi tramite terapie a base di RNA. Queste ultime infatti potrebbero a breve rivoluzionare la medicina, grazie alla loro capacità di influenzare direttamente l’espressione genica e di conseguenza la produzione di proteine all’interno delle cellule.

Il gruppo di ricerca guidato da Francesca Cutruzzolà della Sapienza Università di Roma ha chiarito i dettagli di un nuovo meccanismo per bloccare selettivamente l’attività della serina idrossimetiltrasferasi (SHMT), una proteina che ha un ruolo chiave nella crescita tumorale, utilizzando l’RNA come molecola inibitoria. La ricerca è avvenuta in collaborazione con il Dipartimento di Chimica e Tecnologie del farmaco della Sapienza, l’IBPM-CNR, le università di Milano e di Pavia e altre istituzioni nazionali e internazionali.

Grazie alla microscopia crioelettronica, una tecnica all’avanguardia che permette di osservare le molecole allo stato nativo con una risoluzione senza precedenti, i ricercatori hanno potuto osservare l’interazione tra SHMT1 e RNA a livello atomico. Ciò ha consentito di comprendere dettagliatamente il meccanismo di inibizione dell’enzima.

“Questa tecnica permette di scattare una fotografia di un oggetto oltre mille volte più piccolo di una singola cellula”, commentano Sharon Spizzichino e Federica Di Fonzo del gruppo di ricerca della Sapienza.

“La fotografia a livello atomico dell’interazione tra RNA e proteine metaboliche – spiega Francesca Cutruzzolà, coordinatrice dello studio – rappresenta un importante traguardo nella ricerca biomedica, aprendo la strada a nuove frontiere nel trattamento delle malattie attraverso terapie innovative basate sull’RNA”.

I risultati ottenuti aprono la strada a una comprensione più profonda dei meccanismi molecolari alla base delle terapie a RNA, fondamentale per lo sviluppo di trattamenti più efficaci e meno invasivi per numerose condizioni patologiche. La ricerca è stata sostenuta da AIRC, e da altri fondi quali quelli del Piano nazionale ripresa resilienza (PNRR) assegnati al progetto dal titolo “National Center for Gene Therapy and Drugs based on RNA Technology.

 

Riferimenti bibliografici:

Structure-based mechanism of riboregulation of the metabolic enzyme SHMT1 – S. Spizzichino, F. Di Fonzo, C. Marabelli et al., Mol. Cell. – DOI:https://doi.org/10.1016/j.molcel.2024.06.016

 

microscopio cellule invecchiamento
Foto PublicDomainPictures

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

NUOVO ERC ALLA PROF.SSA CHIARA AMBROGIO; OBIETTIVO: SVILUPPARE UN TRATTAMENTO PERSONALIZZATO CONTRO I TUMORI CON MUTAZIONI KRAS

Dopo il Consolidator Grant del 2020 la Commissione Europea premia la docente di biologia molecolare UniTo con il Proof of Concept: 150mila euro per studiare le mutazioni KRAS, fra le più frequenti alterazioni nei tumori umani.

 

Nuovo riconoscimento per Chiara Ambrogio, docente del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze della Salute dell’Università di Torino. Dopo il Consolidator Grant del 2020 la Prof.ssa Ambrogio si è aggiudicata un secondo ERC: il Proof of Concept (PoC). Il premio è dedicato a ricercatori e ricercatrici già vincitori di una delle sovvenzioni principali della ricerca di frontiera (Starting, Consolidator, Advanced o Synergy) per esplorare il potenziale di innovazione commerciale e sociale dei progetti di ricerca, grazie a un finanziamento di 150.000 euro per 18 mesi.

Chiara Ambrogio gene KRAS consolidator grant ERC 2020
La professoressa Chiara Ambrogio, che si è aggiudicata il Proof of Concept PoC per lo studio di trattamenti personalizzati dei tumori con mutazioni KRAS

Con questo ERC la Commissione europea ha finanziato PREDICT, il progetto che mira a sviluppare un piano di trattamento personalizzato per i tumori con mutazioni KRAS, fra le più frequenti alterazioni riscontrate nei tumori umani. Il nuovo studio, basato su modelli predittivi di risposta a trattamenti sequenziali con inibitori di RAS, sarà possibile grazie alle conoscenze e agli strumenti genetici sviluppati con il precedente progetto (KARMA), finanziato dall’ERC Consolidator Grant del 2020 e incentrato sulla comprensione di meccanismi di funzionamento di KRAS a livello di biologia molecolare.

“Le mutazioni del gene KRAS – dichiara Chiara Ambrogio – possono innescare una crescita cellulare anomala che, a sua volta, può causare il cancro ai polmoni, al pancreas e al colon. Sebbene tali mutazioni siano state scoperte oltre 40 anni fa, una comprensione dettagliata delle proprietà biologiche dei tumori causati da questo gene mutato è ancora lontana. Nei prossimi mesi, insieme al gruppo di ricerca dell’Università di Torino e RASgenix, lavoreremo a stretto contatto con il business team di Day One per esplorare appieno il potenziale con l’obiettivo di raggiungere un reale impatto traslazionale per i pazienti”.

La carriera della Prof.ssa Ambrogio ha un interessante profilo internazionale. Dopo una laurea in Biotecnologie Mediche e un dottorato in Immunologia e Biologia cellulare all’Università di Torino, si è trasferita a Madrid nel 2009 per lavorare al Centro Nacional de Investigaciones Oncológicas (CNIO). Nel 2016 si è spostata al Dana Farber Cancer Institute di Boston per completare la sua formazione traslazionale. Nel 2020, grazie alla vittoria del grant Career Development Award della Fondazione Giovanni Armenise Harvard, ha creato un gruppo di ricerca presso il Centro di Biotecnologie Molecolari dell’Università di Torino, tornando a svolgere la sua attività scientifica nel nostro Paese.


Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Scoperto il legame tra la carenza di vitamina B6 e l’insorgenza di tumori maligni

Una ricerca coordinata dalla Sapienza e dalla Fondazione Santa Lucia ha dimostrato che la mancanza della vitamina B6 è in grado di trasformare i tumori benigni in forme più aggressive. La comprensione di questo fenomeno, descritto in un articolo pubblicato su Cell Death & Disease e indagato sperimentalmente sul moscerino della frutta è utile per chiarire i legami presenti tra carenza di micronutrienti e comparsa di tumori.

La carenza di vitamina B6 è correlata all’insorgenza di tumori maligni secondo una nuova ricerca dei Dipartimenti di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin e di Scienze Biochimiche Alessandro Rossi Fanelli della Sapienza e del Laboratorio di Neurobiologia Cellulare della Fondazione Santa Lucia di Roma. Lo studio, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista Cell Death & Disease, ha chiarito i meccanismi alla base di questo legame effettuando per la prima volta esperimenti in vivo su esemplari di Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta. In particolare, questa ricerca ha dimostrato che la deficienza della vitamina B6 è in grado di trasformare tumori benigni che esprimono l’oncogene RasV12 (un gene legato alla formazione di neoplasie) in forme più aggressive che producono metastasi.

La vitamina B6 è un composto idrosolubile e dalle proprietà antiossidanti, che rende possibile l’attività di enzimi coinvolti nel 4% delle reazioni metaboliche. Per questo motivo, all’interno del delicato equilibrio cellulare, la carenza di vitamina B6 determina, fra le altre cose, danno al DNA e aberrazioni cromosomiche. I ricercatori hanno dimostrato per la prima volta in vivo la correlazione tra la deficienza della vitamina B6, il danno genomico e lo stress ossidativo nelle cellule tumorali.

Per arrivare a tale risultato, gli studiosi hanno utilizzato la Drosophila melanogaster. Attraverso opportuni incroci genetici, gli scienziati hanno ottenuto larve di Drosophila che esprimessero contemporaneamente l’oncogene Ras, che provoca tumori benigni, e una proteina fluorescente verde in modo da poter seguire agevolmente le masse tumorali e le eventuali metastasi generatesi dal tumore primario. Tali larve, trattate con uno specifico inibitore della vitamina B6 per ridurne la concentrazione, sono state poi esaminate per valutare gli effetti di tale deficienza sul fenotipo tumorale.

Oltre agli innumerevoli vantaggi legati all’utilizzo del moscerino della frutta come modello sperimentale per studi di natura genetica, l’utilizzo di Drosophila come organismo modello per lo studio del metabolismo e del suo impatto sul cancro: risulta oltremodo vantaggioso poiché l’insetto possiede la maggioranza delle vie metaboliche che negli esseri umani risultano alla base dei tumori. Pertanto, questo modello di indagine sperimentale potrà essere usato in futuro per studiare l’impatto della carenza di altri micronutrienti nei processi di formazione e metastatizzazione dei tumori.

Nonostante la condizione di carenza primaria di vitamina B6 nei paesi sviluppati sia rara dal momento che questa è presente nella maggior parte degli alimenti, carenze secondarie derivanti da farmaci, abuso di alcool o patologie come diabete e sindromi di malassorbimento sono frequenti. Pertanto, applicati all’uomo, questi risultati suggeriscono l’importanza di valutare l’integrità del genoma come biomarcatore predittivo in tutti quei contesti in cui la vitamina B6 è ridotta. Inoltre l’impatto della dieta sui tumori è un argomento di interesse generale che va divulgato anche per promuovere la prevenzione.

Foto di MasterTux

Riferimenti bibliografici:

Vitamin B6 deficiency cooperates with oncogenic Ras to induce malignant tumors in Drosophila – E. Pilesi, G. Tesoriere, A. Ferriero et al.

Cell Death & Disease – DOI: /10.1038/s41419-024-06787-3

DNA danneggiato tumori maligni

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Il ruolo cruciale delle vaccinazioni contro il virus dell’epatite B (HBV) e il papilloma virus (HPV) nella popolazione carceraria come strategia per promuovere l’equità sanitaria e prevenire il cancro.

Studio Università di Pisa pubblicato su The Lancet Regional Health evidenzia il ruolo cruciale delle vaccinazioni contro epatite B e papilloma nella popolazione carceraria.

Il Dipartimento di Ricerca Traslazionale e Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, in collaborazione con diversi partner internazionali, ha guidato uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista The Lancet Regional Health – Europe. Nel lavoro dal titolo “Cancer-preventing vaccination programs in prison: promoting health equity in Europe”, la dottoressa Lara Tavoschi e gli altri coautori e coautrici evidenziano il ruolo cruciale delle vaccinazioni contro il virus dell’epatite B (HBV) e il papilloma virus (HPV) nella popolazione carceraria come strategia per promuovere l’equità sanitaria e prevenire il cancro.

La ricerca ha coinvolto 20 paesi europei, valutando i dati sui servizi di vaccinazione e le politiche sanitarie rispetto alle persone che vivono e che lavorano in carcere. Per quanto riguarda l’Italia, sono rientrati nello studio quattro istituti penitenziari: la casa circondariale di Milano San Vittore, l’istituto penale per i minorenni di Milano “Beccaria”, il carcere di Bollate, e la casa di reclusione di Opera per un totale di persone recluse coinvolte di circa 3600 persone (a fronte di una capacità ospitativa inferiore ai 3000 posti). Dall’analisi è emersa una notevole variabilità a livello europeo nella disponibilità e nella copertura dei servizi vaccinali. In Italia la vaccinazione contro il virus dell’epatite viene offerta mentre non sono disponibili dati specifici sulla realizzazione o i benefici della vaccinazione contro il papilloma virus.

Dal lavoro emergono dieci raccomandazioni chiave per migliorare le strategie vaccinali contro il cancro nell’ambito carcerario. Si va dalla richiesta di inclusione esplicita delle popolazioni carcerarie nelle strategie di vaccinazione nazionali e internazionali, enfatizzando il principio di “equivalenza delle cure” come dichiarato da The Nelson Mandela Rules, alla necessità di espansione dei programmi di vaccinazione contro HBV e HPV rivolti a tutte le persone incarcerate che ne possono beneficiare, in particolare adolescenti e giovani adulti, utilizzando approcci neutri rispetto al genere.

“Le vaccinazioni – dice Lara Tavoschi – dovrebbero far parte di un pacchetto più ampio di servizi di salute sessuale e riduzione del danno, compreso lo screening per altre infezioni sessualmente trasmissibili e garantendo il follow-up delle cure post-rilascio”.

“Questa ricerca – conclude Tavoschi – fornisce prove solide a sostegno dell’implementazione di programmi di vaccinazione che non lascino indietro nessuno, a beneficio dell’intera popolazione. Affrontando le specifiche esigenze sanitarie delle persone che vivono in carcere, questi programmi possono infatti contribuire in modo significativo alla prevenzione del cancro e al miglioramento complessivo della salute pubblica in Europa”.

Lo studio è stato sviluppato come parte del progetto RISE-Vac, co-finanziato dal 3° Programma per la Salute dell’Unione Europea nell’ambito del GA n° 101018353. Gli autori estendono la loro gratitudine a Europris e ai membri del consorzio RISE-Vac per i loro preziosi contributi.

Link all’articolo scientifico:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S266677622400125X

Foto di Joseph Fulgham

Testo dal Polo Comunicazione CIDIC – Centro per l’innovazione e la diffusione della cultura dell’Università di Pisa.

UN APPROCCIO INNOVATIVO PER IL TRATTAMENTO DEI TUMORI AL CERVELLO BASATO SULLA CONNETTIVITÀ CEREBRALE

Team padovano multidisciplinare scopre il ruolo delle connessioni cerebrali nella crescita del tumore.

Nonostante tutti gli sforzi della ricerca, i tumori cerebrali sono rimasti gli unici a non aver presentato progressi significativi negli ultimi 30 anni. Perché?

Alessandro Salvalaggio
Alessandro Salvalaggio

A questa domanda ha provato a dare una risposta un team multidisciplinare diretto dal prof. Maurizio Corbetta (del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova e Principal Investigator del VIMM) e composto interamente da ricercatori dell’Università di Padova: Alessandro Salvalaggio (neurologo), Lorenzo Pini (psicologo) e Alessandra Bertoldo (ingegnere).

«Il limite principale dell’approccio tenuto finora è quello di considerare i gliomi (tumori cerebrali) come un qualsiasi altro tumore di qualsiasi altro organo – spiegano gli autori –. Invece, e qui la novità, la crescita di un tumore cerebrale è in parte determinata e regolata dall’attività stessa del cervello».

Alessandra Bertoldo
Alessandra Bertoldo

Il cervello è il nostro organo più complesso, in cui i circa 100 miliardi di neuroni sono organizzati fra loro secondo una struttura complessa (connettoma strutturale) formando specifici network di attività (connettoma funzionale). Le cellule tumorali si integrano nel connettoma e ne sfruttano le connessioni strutturali e funzionali per crescere e diffondersi. Di conseguenza, lo studio della connettività cerebrale assume un nuovo ruolo nel determinare la prognosi di questi pazienti, ma soprattutto fornisce nuove strategie di trattamento.

Ad esempio, in un lavoro recente pubblicato su «Jama Neurology» gli autori hanno mostrato che la sopravvivenza di un paziente può essere predetta sulla base di indici di connettomica calcolati da un’immagine clinica ottenuta con risonanza magnetica. Altre possibili applicazioni future riguardano la radioterapia e la navigazione chirurgica.

«Inoltre nel prossimo futuro, modulando la connettività potremmo rallentare la crescita del tumore fornendo ai pazienti nuovi trattamenti da affiancare a quelli tradizionali (chemioterapia e radioterapia)» dice Maurizio Corbetta.

Maurizio Corbetta fisica neuroscienze  nuovo approccio al trattamento dei tumori al cervello basato sulla connettività cerebrale
Maurizio Corbetta, direttore del team che ha realizzato questo nuovo approccio al trattamento dei tumori al cervello basato sulla connettività cerebrale

Lo studio Glioblastoma and brain connectivity: the need for a paradigm shift è stato pubblicato su «Lancet Neurology», la più importante rivista al mondo di Neurologia.

Lorenzo Pini
Lorenzo Pini

Link allo studio: https://www.thelancet.com/journals/laneur/article/PIIS1474-4422(24)00160-1/fulltext

Titolo: Glioblastoma and brain connectivity: the need for a paradigm shift – «Lancet Neurology» – 2024

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova