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Microcalcificazioni del seno: non tutte sono correlate all’insorgenza del tumore

Una ricerca dell’Università degli Studi di Milano e Istituti Clinici Scientifici Maugeri, realizzata in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche e il Paul Scherrer Institute in Svizzera, ha studiato la correlazione tra le microcalcificazioni al seno e la presenza di tumori, scoprendo che l’assenza di whitlockite, un minerale solitamente presente nelle microcalcificazioni, potrebbe essere un indicatore della presenza di tumore. La pubblicazione su Cancer Communication.

donna microcalcificazioni tumore seno
Foto di Benjamin Balazs

Milano, 20 settembre 2023 – Le microcalcificazioni, piccoli depositi di calcio che si formano nel tessuto mammario e che possono essere rilevati alla mammografia, sono spesso, ma non sempre, un segnale di allarme per la presenza di un tumore al seno. E la relazione fra microcalcificazioni e tumore non è stata mai chiarita.

Lo studio pubblicato, sulla rivista Cancer Communication, è frutto della collaborazione tra i ricercatori dell’Università degli Studi di Milano e degli Istituti Clinici Scientifici Maugeri, coordinati dal Fabio Corsi, docente di Chirurgia Generale della Statale di Milano e capo della Breast Unit dell’IRCCS Maugeri Pavia, in collaborazione con colleghi dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie (Cnr-Ifn) e dell’Istituto di cristallografia (Cnr-Ic) del Consiglio nazionale delle ricerche e del Paul Scherrer Institute in Svizzera.

I ricercatori hanno infatti scoperto infatti che la relazione tra le microcalcificazioni e il tumore è legata alla presenza di un particolare minerale chiamato whitlockite, che è ricco di magnesio e che si trova nelle microcalcificazioni solo in assenza del tumore. I ricercatori hanno usato tecniche avanzate di spettroscopia (Raman, WAXS, XRF), per analizzare le microcalcificazioni prelevate da pazienti affette da tumore al seno. Hanno confrontato i campioni con quelli di donne sane e hanno osservato che nei tessuti tumorali la whitlockite era quasi assente, mentre nei tessuti sani era abbondante.

Questo suggerisce che il tumore al seno ha la capacità di alterare il metabolismo del calcio e del magnesio nel tessuto mammario, influenzando la formazione delle microcalcificazioni, eliminando la whitlockite e rendendole più dure, cosa che le rende in grado di stimolare ancora di più la crescita del tumore.

“Questo risultato apre nuove prospettive per lo sviluppo di metodiche più efficaci per lo screening del tumore al seno, basate sulla misurazione della concentrazione di whitlockite nelle microcalcificazioni”, spiega Fabio Corsi“Inoltre, potrebbe aiutare a capire meglio i meccanismi molecolari alla base della trasformazione maligna delle cellule mammarie. Da ultimo, infatti, questa scoperta potrebbe ridurre o meglio orientare l’indicazione alla biopsia mammarie ad oggi indispensabile per capire la natura del tessuto mammario in presenza di microcalcificazioni”.

 

Testo dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

RICERCA SUI TUMORI, PREMIATA L’ECCELLENZA DI UNITO: DAL MUR UN FINANZIAMENTO DI 8 MILIONI PER STUDIARE I MECCANISMI DI RESISTENZA AI FARMACI ANTI-NEOPLASTICI

Il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino riconosciuto Dipartimento di Eccellenza dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Martedì 5 settembre presentazione del Progetto “DIORAMA” per combattere la resistenza dei tumori ai farmaci anti-neoplastici con l’obiettivo di aumentare l’aspettativa e migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici.

Progetto DIORAMA: finanziamento di 8 milioni per studiare i meccanismi di resistenza ai farmaci anti-neoplastici messi in atto dai tumori

Il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino è stato riconosciuto Dipartimento di Eccellenza dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) e ha ricevuto un finanziamento straordinario di circa 8 milioni di euro per il quinquennio 2023-2027 con l’obiettivo di rafforzare e valorizzare l’eccellenza della ricerca tramite investimenti in capitale umano, infrastrutture e attività didattiche di alta qualificazione.

Martedì 5 settembre, alle ore 10.00 presso l’Ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano in Aula Pescetti si terrà il kick-off meeting del Progetto Dipartimenti di Eccellenza intitolato “DIORAMA – Dinamiche evolutive in campioni vitali di pazienti Oncologici per Ricerche Avanzate sui Meccanismi di progressione metastatica e di resistenza alle terapie Antineoplastiche”.

Il progetto si propone di studiare i meccanismi di resistenza ai farmaci anti-neoplastici messi in atto dai tumori e in particolare la presenza di lesioni genetiche multiple che si sostituiscono al bersaglio della terapia mirata per sostenere la proliferazione tumorale e l’innesco di segnali adattativi di sopravvivenza che contrastano l’azione del trattamento. Per indagare queste due facce della resistenza alle terapie, il Dipartimento sfrutterà una risorsa caratterizzante: una collezione di centinaia di campioni tumorali da paziente, raccolti in forma vitale e coltivati sotto forma di organoidi tridimensionali che racchiudono tutte le caratteristiche dei tumori originali donati dai pazienti. Come il diorama è una rappresentazione in miniatura di un paesaggio, così l’organoide è una replica fedele, propagabile in laboratorio, di un tumore che cresce e si sviluppa in un essere umano. DIORAMA si concentra su tre tipi di tumore estremamente diffusi: il cancro del colon, il cancro del polmone e il cancro della prostata. Lavorando sugli organoidi, i ricercatori e i medici del Dipartimento di Oncologia esploreranno nuove strade per migliorare la risposta alle terapie esistenti e identificheranno nuove vulnerabilità da bersagliare con farmaci di ultima generazione, con ricadute dirette sulla aspettativa e qualità di vita dei pazienti oncologici.

meccanismi di resistenza ai farmaci anti-neoplastici finanziamento
Finanziamento di 8 milioni a UniTo per studiare i meccanismi di resistenza ai farmaci anti-neoplastici messi in atto dai tumori 

La giornata sarà aperta dal Direttore del Dipartimento, Prof. Federico Bussolino; proseguirà con interventi dedicati a illustrare il progetto DIORAMA, coordinato dal Prof. Livio Trusolino, e si chiuderà con un dibattito finale a cura dei Proff. Jan Paul Medema, Pasquale Rescigno e Gabriella Sozzi (componenti del comitato scientifico dei revisori) con la partecipazione di Federico Bussolino, Livio Trusolino e Silvia Novello (vice-direttore alla Ricerca del Dipartimento).

 

Testo e immagini dall’Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

È POSSIBILE EVITARE UNA TERAPIA COMPLESSA E TOSSICA A BASE DI MITOTANE DOPO L’ASPORTAZIONE DI UN TUMORE RARO, IL CARCINOMA SURRENALICO, IN PAZIENTI A BASSO RISCHIO DI RECIDIVA: LO STUDIO DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO

Soggetti affetti da tumore surrenalico, dopo l’operazione, vengono trattati con una cura a base di mitotane. Una terapia complessa e difficile da tollerare che può essere evitata se il rischio di recidiva è basso, come dimostrano i dati raccolti dallo studio internazionale ADIUVO.

Sul numero di agosto della prestigiosa rivista The Lancet Diabetes & Endocrinology sono stati pubblicati i risultati del trial ADIUVO, uno studio durato 10 anni, condotto in 23 Centri di 7 diversi Paesi e coordinato dal Prof. Massimo Terzolo del Dipartimento di Scienze Cliniche e Biologiche dell’Università di Torino. Si tratta del primo studio prospettico e randomizzato che ha valutato una particolare tipologia di terapia, a base di mitotane, nei pazienti sottoposti all’asportazione radicale del carcinoma surrenalico, un tumore raro per il quale vi sono possibilità terapeutiche limitate.

I pazienti affetti da questa neoplasia sono solitamente avviati, dopo l’intervento chirurgico, alla terapia adiuvante con mitotane, un farmaco utilizzato per ridurre il rischio di recidiva della malattia. Il trattamento, seppur comunemente usato, rimane controverso, soprattutto se il rischio di recidiva non è elevato. L’obiettivo dello studio è stato valutare l’efficacia e la sicurezza del mitotane adiuvante, rispetto alla sola sorveglianza, dopo la resezione completa del tumore, in pazienti considerati a rischio di recidiva basso o intermedio.

Dopo asportazione radicale del tumore, un gruppo di pazienti, con malattia a diffusione locale e ridotta proliferazione tumorale, è stato randomizzato a trattamento adiuvante con mitotane, o in alternativa, a sorveglianza attiva senza alcun trattamento. Lo studio ha dimostrato che questa categoria di pazienti ha un rischio di recidiva molto minore dell’attesoIl tasso di sopravvivenza libera da malattia, a distanza di 5 anni, è risultato essere circa l’80%, senza significative differenze tra i pazienti trattati oppure no.

ADIUVO ha dimostrato come identificare i pazienti a ridotto rischio di recidiva che potranno evitare una terapia post-chirurgica complessa, tossica e della durata di anni, che può causare molteplici effetti indesiderati, con necessità di un’articolata terapia di supporto. I risultati del trial ADIUVO sono facilmente trasferibili alla pratica clinica e avranno un impatto positivo sul trattamento dei pazienti affetti da questo tipo di tumore, per i quali la gestione sarà semplificata, con conseguente miglioramento della loro qualità di vita e riduzione dei costi sanitari.

“ADIUVO dimostra che studi prospettici sono comunque fattibili nelle malattie rare, anche in assenza di supporto da parte dell’industria farmaceutica, grazie alla cooperazione di investigatori appassionati e dedicati a raggiungere un obiettivo comune. Questo tipo di studi è indispensabile per ottenere dati con un elevato livello di evidenza che possano essere utilizzati in clinica per migliorare il livello di cure offerte. Si tratta di un avanzamento terapeutico e un primo passo verso la personalizzazione della terapia di questo raro tumore”, dichiara il Prof. Massimo Terzolo.

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Foto di Parentingupstream

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Tsunami di luce contro il cancro: grazie alle onde luminose estreme sarà possibile concentrare energia in modo preciso e non-invasivo in tessuti tumorali profondi. Questa la scoperta di un gruppo di ricerca formato da Sapienza Università di Roma, Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Università Cattolica del Sacro Cuore e Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, che è riuscito nella trasmissione di luce laser di intensità estrema attraverso tumori millimetrici. Il risultato, pubblicato su Nature Communications, apre importanti prospettive per nuove tecniche di fototerapia per il trattamento del cancro.

Onde luminose per trasmettere luce laser attraverso tessuti tumorali
Onde luminose estreme possono essere sfruttate per trasmettere luce laser intensa e concentrata attraverso campioni di tessuti tumorali

La luce laser ha potenzialità enormi per lo studio ed il trattamento dei tumori.

Fasci laser in grado di penetrare in profondità in regioni tumorali sarebbero di importanza vitale per la fototerapia, un insieme di tecniche biomediche d’avanguardia che utilizzano luce visibile ed infrarossa per trattare cellule cancerose o per attivare farmaci e processi biochimici.

Tuttavia, la maggior parte dei tessuti biologici è otticamente opaca ed assorbe la radiazione incidente, e questo rappresenta il principale ostacolo ai trattamenti fototerapici. Trasmettere fasci di luce intensi e localizzati all’interno di strutture cellulari è quindi una delle sfide chiave per la biofotonica.

Un team di ricerca di fisici e biotecnologi, guidato da Davide Pierangeli per il Consiglio Nazionale delle Ricerche, Claudio Conti per la Sapienza Università di Roma, e Massimiliano Papi per l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, ha scoperto che all’interno di strutture cellulari tumorali possono formarsi degli “tsunami ottici”, onde luminose di intensità estrema note in molti sistemi complessi, che possono essere sfruttate per trasmettere luce laser intensa e concentrata attraverso campioni tumorali tridimensionali di tumore pancreatico.

“Studiando la propagazione laser attraverso sferoidi tumorali – spiega Davide Pierangeli – ci siamo accorti che all’interno di un mare di debole luce trasmessa c’erano dei modi ottici di intensità estrema.  Queste onde estreme rappresentano una sorgente super-intensa di luce laser di dimensioni micrometriche all’interno della struttura tumorale. Possono essere utilizzate per attivare e manipolare sostanze biochimiche”.

“Il nostro studio mostra come le onde estreme, che fino ad oggi erano rimaste inosservate in strutture biologiche, siano in grado di trasportare spontaneamente energia attraverso i tessuti – continua Claudio Conti – e possano essere sfruttate per nuove applicazioni biomediche.

“Con questo raggio laser estremo – conclude Massimiliano Papi – potremmo sondare e trattare in maniera non-invasiva una specifica regione di un organo. Abbiamo mostrato come tale luce può provocare aumenti di temperatura mirata che inducano la morte di cellule cancerose, e questo ha implicazioni importanti per le terapie fototermiche.”

Lo studio, pubblicato su Nature Communications, dimostra uno strumento totalmente nuovo nella cura al cancro.

 

Riferimenti:

Extreme transport of light in spheroids of tumor cells – Davide Pierangeli, Giordano Perini, Valentina Palmieri, Ivana Grecco, Ginevra Friggeri, Marco De Spirito, Massimiliano Papi, Eugenio DelRe, e Claudio Conti – Nature Communications (2023) https://doi.org/10.1038/s41467-023-40379-7

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Tumori cerebrali: l’effetto positivo della riserva cognitiva
Ci rende più resilienti e attenua le conseguenze del danno cerebrale su memoria e linguaggio: pubblicato su Brain Communications studio dell’IRCCS Medea in collaborazione con l’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale di Udine, la SISSA di Trieste e l’Università di Nottingham.

La riserva cognitiva, cioè la capacità di massimizzare le prestazioni intellettive attraverso il reclutamento differenziale di reti cerebrali o strategie cognitive alternative, protegge le funzioni cognitive dei pazienti affetti da tumore cerebrale.

È quanto è emerso dallo studio Cognitive reserve and individual differences in brain tumor patients, appena pubblicato su Brain Communications. Il lavoro è frutto di una collaborazione tra i ricercatori dell’IRCCS Medea, i neurochirurghi e radiologi dell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale di Udine e due professori della SISSA di Trieste e della Scuola di Economia dell’Università di Nottingham.

“La crescita di un tumore cerebrale può comportare una riduzione delle abilità cognitive come la memoria, il linguaggio, l’attenzione, le abilità visuo-spaziali – spiega Barbara Tomasino, responsabile scientifica del Polo friulano del Medea e prima autrice dello studio -. Tuttavia si riscontrano tra i pazienti discrepanze tra il grado di malattia e le manifestazioni cognitive della malattia: con i colleghi abbiamo voluto indagare l’origine di queste differenze”.

cervello riserva cognitiva tumori cerebrali
Tumori cerebrali: l’effetto positivo della riserva cognitiva. Immagine di ElisaRiva

Lo studio ha incluso un ampio campione di circa 700 pazienti con diagnosi di tumore cerebrale, sottoposti a una risonanza magnetica del cervello e a una batteria di prove volte a misurare le loro capacità cognitive prima di essere sottoposti a un intervento di neurochirurgia.

I ricercatori hanno stimato la loro riserva cognitiva con misure indirette, come l’istruzione, l’occupazione e l’ambiente in cui vivono. Queste misure sono ritenute importanti in quanto espongono il sistema cognitivo a continue stimolazioni dall’ambiente. L’analisi statistica ha tenuto accuratamente conto del tipo, del lato, della sede e della dimensione del tumore, del quoziente d’intelligenza, dell’età e del sesso dei pazienti, al fine di misurare l’effetto della riserva cognitiva su ciascuno dei test eseguiti.

I risultati, oltre a confermare gli effetti attesi delle variabili cliniche sulle funzioni cognitive, hanno mostrato che la riserva cognitiva ha un effetto positivo sulle prestazioni neuropsicologiche: i pazienti con livelli di istruzione maggiori, un’occupazione stimolante dal punto di vista cognitivo e la residenza in un ambiente urbano, ottengono infatti punteggi più elevati ai test neuropsicologici. In particolare, l’effetto negativo dato dall’aumento delle dimensioni del tumore sulle prestazioni dei pazienti è meno grave per i pazienti con riserva cognitiva più elevata.

“La riserva cognitiva è stata utilizzata per spiegare le differenze individuali nell’invecchiamento normale e patologico. Il nostro studio dimostra anche che la plasticità indicizzata dalla riserva cognitiva permette agli individui di far fronte ad un danno delle funzioni cerebrali in situazioni anche estreme come può essere un tumore cerebrale. Sono necessarie ulteriori ricerche per identificare i meccanismi neurali alla base della plasticità cerebrale”, commenta la professoressa Raffaella Rumiati della SISSA.

“Il nostro studio, contribuendo a spiegare il ruolo della riserva cognitiva in risposta ai tumori cerebrali e quello delle note variabili neurologiche, può aiutare a sviluppare strategie di prevenzione e di interventi riabilitativi personalizzati”, commenta la dottoressa Tomasino.

 

Testo dagli Uffici Stampa IRCCS Medea e SISSA

Allo IEO una sonda “cerca-tumore” individua con precisione i tessuti tumorali da rimuovere nel corso degli interventi di chirurgia dei tumori neuroendocrini

Uno studio clinico condotto presso l’Istituto Europeo di Oncologia dimostra l’efficacia di un’innovativa sonda, sviluppata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e dalla Sapienza Università di Roma, nell’individuare con precisione i tessuti tumorali da rimuovere nel corso degli interventi di chirurgia dei tumori neuroendocrini.

chirurgia sonda tumori
Immagine di Mohamed Hassan

Un team congiunto di medici, ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO), dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e di Sapienza Università di Roma, coordinato da Emilio Bertani della Divisione di Chirurgia dell’apparato digerente e Direttore dell’Unità di Chirurgia dei tumori neuroendocrini dello IEO, e Francesco Ceci Direttore della Divisione di Medicina Nucleare dello IEO, ha dimostrato con uno studio clinico che l’impiego di una innovativa sonda “cerca-tumore” migliora l’efficacia della chirurgia dei tumori neuroendocrini gastrointestinali.

La sonda oggetto dello studio costituisce uno strumento innovativo in grado di rilevare i positroni, particelle emesse da radiofarmaci come quelli comunemente utilizzati per eseguire una diagnostica PET. Il dispositivo, sviluppato da INFN e Sapienza, ha dimostrato un’elevata sensibilità nell’individuare cellule tumorali marcate con un radiofarmaco specifico per i tumori neuroendocrini. Una capacità che rende la sonda efficace nel guidare la mano del chirurgo esattamente alla sede della lesione, per quanto microscopica o in una posizione difficile. Lo studio condotto in IEO fra maggio 2022 e aprile 2023 su 20 pazienti ha infatti dimostrato che la nuova sonda è in grado rivelare le sedi di malattia con una sensibilità e specificità del 90%.

Grazie all’impiego della sonda le operazioni chirurgiche, sia tradizionale che con robot, risulteranno quindi più precise e conservative, in quanto sarà possibile rilevare con grande precisione la presenza di tessuti da rimuovere, evitando al contempo asportazioni inutili. In sintesi, la procedura prevede l’iniezione di una minima dose di radiofarmaco specifico per i tumori neuroendocrini che va selettivamente a posizionarsi sulle cellule tumorali.

“La chirurgia radioguidata – spiegano Francesco Collamati dell’INFN e Riccardo Faccini di Sapienza Università di Roma – fino ad oggi ha utilizzato le sonde a raggi gamma che non funzionano quando quello che si vuole rivelare è vicino ad organi che assorbono molto radiofarmaco, come per esempio nell’addome. Una sonda come quella da noi ideata, che rivela i positroni anziché i fotoni, permette di rivelare esattamente specifiche forme di tumore in zone del corpo dove sarebbe altrimenti impossibile individuarle. Grazie alla collaborazione con IEO, siamo riusciti a validare per la prima volta la sonda durante interventi chirurgici”.

Ideatore della possibilità di effettuare questa sperimentazione presso l’IEO è stato Francesco Ceci, Direttore della Divisione di Medicina Nucleare, nonché uno dei maggiori esperti del settore.

“Da sempre il mio focus di ricerca è stata la Teranostica, quella disciplina che unisce la diagnostica di ultima generazione con le terapie di precisione. Quando sono venuto a conoscenza di questo dispositivo ho subito intuito le incredibili potenzialità ed è iniziata una proficua collaborazione con il dott. Collamati. La vera innovazione di questa procedura chirurgica risiede nel somministrare ai pazienti durante l’intervento lo stesso radiofarmaco cancro-specifico usato per la diagnostica PET. Prima individuiamo con la PET le localizzazioni del tumore e poi utilizziamo la sonda per rimuoverle con grande accuratezza. Diagnosi e terapia, le basi della Teranostica, questa volta applicate alla chirurgia”.

“IEO è sempre più vicino all’obiettivo “chirurgia di precisione”, capace di asportare niente di più e niente di meno di ciò che è necessario per guarire – spiega Emilio Bertani, chirurgo della Divisione di Chirurgia dell’Apparato Digerente e coordinatore dello studio clinico – Anche il chirurgo più esperto in un caso su tre può lasciare della malattia residua, non visibile neppure alla PET perché localizzata ad esempio nei piccoli linfonodi vicini ai vasi mesenterici. La sonda beta è in grado di rilevare anche la minima presenza di cellule tumorali e nell’ 80% dei casi il chirurgo riesce a rimuoverle senza creare danni eccessivi. Il punto forte della procedura è che bilancia la capacità di trovare la malattia e la necessità di preservare tessuti vitali per il paziente”.

“È importante ricordare che per i Tumori Neuroendocrini la chirurgia è l’unica forma di cura radicale – continua Bertani – purtroppo però fino al 30% delle laparotomie non arrivano a sterilizzare il letto tumorale e dunque a controllare il tumore. Le metastasi linfonodali si ripresentano nel 10% dei casi. La nuova sonda rappresenta quindi un grande progresso e una speranza nel trattamento dei NET anche se occorre sottolineare che ciò che cambia il risultato non è tanto la tecnologia quanto la procedura. La sonda è efficace soltanto se è in mano a un chirurgo esperto”.

“Gli eccellenti risultati ottenuti sui tumori neuroendocrini ci incoraggiano ad estendere lo studio. È già in corso in IEO uno studio nel carcinoma prostatico, e abbiamo in programma di applicare la procedura con la sonda beta anche ad altri tumori gastrointestinali e ai tumori ginecologici” conclude Ceci.

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Misure sperimentali e simulazioni al calcolatore per contrastare la crescita delle cellule tumorali: un nuovo metodo consente di ottenere informazioni sulla stabilità di multimeri di G-quadruplex telomerici

Un nuovo metodo basato sull’applicazione della fisica della materia a sistemi biologici permette di studiare particolari molecole coinvolte nella crescita delle cellule tumorali. Il protocollo messo a punto, frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Fisica della Sapienza, il Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia e l’Istituto Officina dei Materiali del Cnr, potrà essere applicato tanto per sviluppare farmaci antitumorali di nuova generazione quanto per valutare l’efficacia di quelli esistenti. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Journal of American Chemical Society (JACS), che ha anche selezionato un’immagine creata dagli autori come copertina supplementare.

DNA multimeri di G-quadruplex telomerici
Foto di Gerd Altmann 

I telomeri sono particolari aree del DNA umano legate a più dell’85% dei tumori maligni e il loro studio potrebbe portare allo sviluppo di farmaci antitumorali di nuova generazione con un ampio spettro d’azione.

Questi elementi si trovano all’estremità dei cromosomi e hanno una funzione protettiva poiché preservano l’integrità del DNA durante i processi di replicazione cellulare, svolgendo un ruolo importante nel processo di invecchiamento cellulare. Ogni volta che una cellula si divide, i telomeri a poco a poco si accorciano sempre di più. Quando diventano troppo corti, la cellula perde la sua capacità di replicarsi correttamente e può entrare in uno stato di invecchiamento o morire. Nel caso delle cellule tumorali di più dell’85% dei tumori maligni, si verifica l’attivazione di un enzima chiamato telomerasi, che mantiene i telomeri più lunghi rispetto alle cellule normali. Ciò conferisce alle cellule tumorali immortalità e la capacità di proliferare in modo illimitato. La stabilizzazione dei G-quadruplex, strutture elicoidali a quattro filamenti che si formano nei telomeri, tramite l’uso di molecole chiamate ligandi, rappresenta un efficace approccio per inibire l’attività della telomerasi e limitare la crescita delle cellule tumorali. Questi ligandi potrebbero quindi fungere da nuovi farmaci per il trattamento del cancro.

La maggior parte delle ricerche attuali si concentra sui G-quadruplex in condizioni ideali, cioè come molecole biologiche che non interagiscono reciprocamente. Tuttavia, in condizioni biologicamente rilevanti, come ad esempio alle estremità dei cromosomi, possono formarsi strutture composte da più unità interagenti di G-quadruplex, note come multimeri.

In uno studio coordinato da Cristiano De Michele del Dipartimento di Fisica della Sapienza, Lucia Comez dell’Istituto Officina dei Materiali del Cnr di Perugia e Alessandro Paciaroni del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia è stato sviluppato un nuovo metodo che consente di ottenere informazioni sulla stabilità di multimeri di G-quadruplex telomerici.

I risultati dello studio, pubblicati sulla rivista Journal of American Chemical Society (JACS), potranno essere applicati tanto per sviluppare farmaci antitumorali di nuova generazione quanto per valutare l’efficacia di quelli esistenti.

In particolare, i ricercatori hanno utilizzato per la prima volta delle simulazioni “extremely coarse-grained” in cui i G-quadruplex vengono rappresentati con semplici forme geometriche, come cilindri o parallelepipedi. Queste simulazioni non sono particolarmente pesanti e consentono lo studio di migliaia di G-quadruplex interagenti tra di loro, riproducendo così condizioni biologicamente rilevanti. Questo ha permesso un confronto diretto tra i risultati numerici al calcolatore e gli esperimenti effettuati sia presso i nostri laboratori che in centri di ricerca internazionali, fornendo una inedita rappresentazione dei multimeri di G-quadruplex.

“In particolare – spiega De Michele – abbiamo studiato come dei ligandi, cioè dei potenziali farmaci antitumorali, agiscano sui G-quadruplex e grazie al nostro innovativo approccio abbiamo potuto capire in che modo risultano efficaci nella loro stabilizzazione”.

“Inoltre – aggiunge Paciaroni – nel nostro lavoro definiamo un protocollo che si potrà applicare per lo studio dei G-quadruplex, ma che in futuro potrà anche essere utilizzato per altri sistemi biofisici”.

“Questo studio – conclude Comez – rappresenta un notevole passo in avanti nel nostro percorso, iniziato diversi anni fa, per comprendere le proprietà elusive di questi sistemi biologici altamente complessi”

Riferimenti:

Stacking Interactions and Flexibility of Human Telomeric Multimers – Benedetta Petra Rosi, Valeria Libera, Luca Bertini, Andrea Orecchini, Silvia Corezzi, Giorgio Schirò, Petra Pernot, Ralf Biehl, Caterina Petrillo, Lucia Comez, Cristiano De Michele, e Alessandro Paciaroni – J. Am. Chem. Soc. 2023 DOI: 10.1021/jacs.3c04810

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

TUMORE AL SENO: IDENTIFICATO UN NUOVO MECCANISMO MOLECOLARE ALLA BASE DELLE FORME PIÙ AGGRESSIVE

Pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature Communications i risultati di una ricerca coordinata da Università di Torino, Università Statale di Milano, Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e sostenuta da Fondazione AIRC. Il meccanismo molecolare riguarda la proteina p140Cap che inibisce a monte l’attività della beta-Catenina, una potente proteina coinvolta nella crescita tumorale.

MilanoTorino, 11 maggio 2023. Una nuova chiave di lettura per comprendere i tumori della mammella più aggressivi nasce dagli studi condotti in collaborazione tra due gruppi di scienziati di Milano e Torino. Hanno coordinato la ricerca la professoressa Paola Defilippi, ordinario di Biologia applicata e Responsabile del Laboratorio di ricerca “Piattaforme di segnalazione nei tumori” presso il Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, e il professor Salvatore Pece, ordinario di Patologia generale all’Università Statale di Milano e Direttore del Laboratorio “Tumori Ormono-Dipendenti e Patobiologia delle Cellule Staminali” dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, sono appena stati pubblicati sulla rivista Nature Communications.

La ricerca ha portato alla scoperta di un meccanismo molecolare con cui i tumori mammari si arricchiscono in cellule staminali tumorali. A loro volta queste cellule, da un lato, funzionano da forza motrice della crescita della massa tumorale e, dall’altro lato, sopprimono la risposta immunitaria naturale che, a livello del microambiente circostante il tumore, dovrebbe invece contrastare la crescita del cancro.

All’origine dell’intero processo c’è verosimilmente p140Cap, una proteina in grado di inibire la crescita tumorale. La sua assenza, che caratterizza almeno il 40-50% di tutti i casi di tumori mammari umani, determina una cascata di eventi che portano all’attivazione incontrollata del gene responsabile della sintesi di beta-Catenina, una potente proteina coinvolta nella crescita tumorale. Una volta attivata, la beta-Catenina provoca l’espansione del compartimento delle cellule staminali tumorali. A loro volta queste cellule rilasciano citochine anti-infiammatorie, inibendo così direttamente la risposta immunitaria anti-tumorale e creando un ambiente favorevole all’ulteriore crescita del tumore.

“Dunque p140Cap – sottolinea la professoressa Paola Defilippi – si comporta come una specie di interruttore molecolare che, tramite l’inibizione di beta-Catenina e la conseguente riduzione del compartimento delle cellule staminali tumorali, esercita una duplice funzione anti-tumorale: inibisce l’espansione della massa tumorale e sostiene una efficiente risposta immunitaria anti-tumorale nel microambiente circostante”.

“Attraverso studi clinici retrospettivi in coorti di pazienti – continua il professor Salvatore Pece – abbiamo dimostrato una chiara correlazione tra bassi livelli della proteina p140Cap nei tumori mammari più aggressivi e ridotta presenza di cellule del sistema immunitario, in particolare linfociti, nelle aree circostanti il tumore. Questi dati suggeriscono che p140Cap potrebbe essere utilizzato come un utile biomarcatore nella pratica clinica, per identificare i tumori mammari con alterazioni della risposta immunitaria anti-tumorale”.

Spiega Vincenzo Salemme, ricercatore del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino e primo autore dell’articolo:

“Il meccanismo molecolare con cui p140Cap inibisce a monte l’attività della beta-Catenina dipende dal fatto che la prima proteina è parte di un complesso macchinario multi-proteico deputato a distruggere la stessa beta-Catenina, che così non si accumula eccessivamente all’interno della cellula. In assenza di p140Cap questa funzione è alterata, come accade in alcuni tumori mammari, dove aumentano di conseguenza sia i livelli di beta-Catenina, sia la sua azione capace di influire sull’espansione delle cellule staminali tumorali”.

Continua la professoressa Paola Defilippi“Nel corso degli ultimi anni è emerso in modo chiaro che tra i principali responsabili all’origine della formazione e della continua crescita dei tumori ci sono le cellule staminali tumorali. Si tratta di cellule dotate di capacità illimitata di auto-rinnovamento e in grado di sostenere nel tempo la crescita della massa tumorale. In nostri precedenti studi avevamo già messo in luce il ruolo inibitore di p140Cap sulla crescita tumorale e stabilito che la perdita di questa proteina è legata a una maggiore aggressività biologica e a un decorso clinico più sfavorevole di alcuni tipi di tumori mammari. Non avevamo però ancora una completa comprensione del meccanismo d’azione specifico e della varietà di conseguenze funzionali legate alla perdita di p140Cap sulla crescita tumorale. Ora, attraverso questi studi sappiamo che questa funzione dipende da un’azione diretta di p140Cap sull’attività di beta-Catenina. Inoltre, grazie ai risultati ottenuti sia in topi di laboratorio con tumore mammario, sia in campioni ottenuti da pazienti, abbiamo compreso che la presenza di p140Cap è fondamentale. Infatti questa proteina, inibendo le cellule staminali tumorali, da un lato blocca direttamente la crescita del tumore e dall’altro lato permette una efficiente risposta immune anti-tumorale nel microambiente circostante il tumore stesso”.

“Sappiamo inoltre – aggiunge la professoressa Defilippi – che possiamo inibire l’azione tumorigenica delle cellule staminali tumorali e, al contempo, ripristinare una efficiente risposta immunitaria anti-tumorale nei tessuti circostanti la neoplasia. Ciò è possibile simulando la funzione di p140Cap all’interno del macchinario di distruzione della beta-Catenina, attraverso l’utilizzo di farmaci al momento disponibili solo per uso sperimentale”.

“I risultati dei nostri studi – sottolinea il professor Pece – si collocano nella prospettiva di alcuni tra i più importanti concetti emersi nella ricerca oncologica degli ultimi anni, nel tentativo di spiegare l’aggressività biologica e clinica dei tumori, in particolare di quelli mammari. Sappiamo oggi che i tumori più aggressivi e con decorso clinico più sfavorevole sono quelli arricchiti in cellule staminali tumorali, oppure quelli in grado di sfuggire alla risposta immunitaria naturale, rendendo inefficienti i meccanismi di barriera anti-tumorale esercitati dalle cellule del sistema immunitario. La nostra scoperta, dell’esistenza di un nuovo circuito molecolare p140Cap/beta-Catenina, apre a una prospettiva concreta per la stratificazione a fini terapeutici delle pazienti con tumore mammario che hanno perduto p140Cap. Tale perdita è infatti alla base dell’acquisizione contemporanea di entrambe queste caratteristiche aggressive della biologia dei tumori mammari. Grazie a questi risultati le pazienti potrebbero beneficiare in futuro di nuove terapie per colpire le cellule staminali tumorali e ripristinare una efficiente risposta immunitaria contro il cancro. Terapie di questo tipo sono oggi l’obiettivo delle principali linee di ricerca per lo sviluppo di nuovi farmaci in oncologia”.

“Questo studio rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – conclude il professor Pece – non solo per la sua valenza scientifica ma anche perché dimostra l’importanza dello sforzo cooperativo tra gruppi di ricerca che fondono differenti competenze scientifiche e piattaforme tecnologiche per far avanzare la conoscenza della biologia dei tumori mammari e aprire nuove prospettive terapeutiche per le pazienti”.

tumore al seno meccanismo molecolare p140Cap beta-Catenina
Identificato nuovo meccanismo molecolare alla base delle forme più aggressive di tumore al seno. Foto di Pexels

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Dall’RNA nuovi possibili trattamenti per i tumori: con la scoperta di una nuova correlazione tra le molecole di RNA circolari e il tumore pediatrico rabdomiosarcoma, saranno possibili nuovi innovativi approcci terapeutici; lo studio pubblicato su Nature Communications.

Scoperta una nuova correlazione tra le molecole di RNA circolari e il tumore pediatrico rabdomiosarcoma. I risultati di questa ricerca aprono una nuova strada nell’identificazione di innovativi approcci terapeutici contro questa forma di cancro.

ospedale RNA circolari e rabdomiosarcoma
Foto di djedj

Un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT e della Sapienza Università di Roma guidato da Irene Bozzoni, coordinatrice del laboratorio Non coding RNAs in Physiology and Pathology, ha scoperto una nuova correlazione tra le molecole di RNA circolari e il tumore pediatrico rabdomiosarcoma. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, rappresentano un importante contributo per lo sviluppo di innovativi approcci terapeutici.

L’RNA rappresenta, insieme al DNA e alle proteine, uno dei principali componenti di cui la cellula dispone per rispondere in maniera efficace ai continui stimoli a cui è sottoposta. L’RNA ha recentemente acquisito una popolarità anche nel pubblico di non addetti ai lavori in quanto ha rappresentato la tecnologia adottata per il vaccino per il Covid-19, strumento indispensabile nella prevenzione dei contagi dovuti all’ormai noto virus SARS-CoV-2.

Esistono classi di RNA diversi per struttura e funzione. Tra queste, c’è quella degli RNA circolari (circRNA), così chiamati in quanto presentano una struttura chiusa, ad anello, che fornisce alcuni vantaggi, primo fra tutti una elevata stabilità rispetto agli RNA lineari.

Questi rappresentano una classe da poco riscoperta in quanto, fino a circa dieci anni fa, il loro studio era fortemente limitato dall’assenza di tecniche appropriate per la loro identificazione in campioni biologici.

I circRNA svolgono molteplici funzioni all’interno della cellula e per questo sono coinvolti in processi fisiologici fondamentali ma anche nello sviluppo di diverse patologie, tra cui il cancro.

Il gruppo di ricercatori e ricercatrici della Sapienza e dell’Istituto Italiano di Tecnologia ha studiato il ruolo degli RNA circolari nel rabdomiosarcoma, un tumore pediatrico ad alta diffusione, classificato tra i cosiddetti sarcomi dei tessuti molli che origina da cellule staminali da cui derivano numerosi tessuti, tra cui il muscolo scheletrico. Per questo motivo, tale tumore può presentarsi in tutte le sedi in cui sono presenti i muscoli.

Gli autori dello studio pubblicato su Nature Communications hanno caratterizzato l’espressione degli RNA circolari in questo tumore, scoprendo che alcuni di questi mostrano livelli più alti rispetto al contesto sano.

Cercando i meccanismi alla base di questo effetto, gli autori hanno scoperto che il responsabile sarebbe un gruppo di proteine che operano la deposizione e la lettura dell’N6-metiladenosina (m6A) sull’RNA. Tali proteine presentano livelli decisamente alti sia in biopsie che in linee di rabdomiosarcoma. Inoltre, lo studio ha dimostrato che l’aumento di m6A promuove la proliferazione e l’attività metastatica delle cellule tumorali di rabdomiosarcoma. Questo effetto potrebbe essere in parte riconducibile alle molecole di RNA circolare direttamente regolate da tale modifica.

Nel processo sarebbe coinvolta anche l’elicasi DDX5, una proteina nota per i molteplici ruoli nel metabolismo dell’RNA. DDX5 è in grado di stimolare la produzione di un gruppo di circRNA e interagisce con YTHDC1, una proteina che lega gli RNA che contengono m6A e che è stata precedentemente descritta dallo stesso gruppo di Sapienza come promotore della produzione di una classe di RNA circolari.

I risultati di questo studio, finanziato dalla Fondazione AIRC, rappresentano un prezioso contributo per la comprensione dei meccanismi molecolari alla base di questo tumore e per lo sviluppo di nuovi approcci terapeutici laddove le strategie tradizionali hanno fallito.

Riferimenti:

The m6A reader YTHDC1 and the RNA helicase DDX5 control the production of rhabdomyosarcoma-enriched circRNAs – Dario Dattilo, Gaia Di Timoteo, Adriano Setti, Andrea Giuliani, Giovanna Peruzzi, Manuel Beltran Nebot, Alvaro Centrón-Broco, Davide Mariani, Chiara Mozzetta and Irene Bozzoni –

Nature Communications 2023. doi: 10.1038/s41467-023-37578-7

https://www.nature.com/articles/s41467-023-37578-7

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

GLI ESOSOMI, “MESSAGGERI” CHE FAVORISCONO LA DIFFUSIONE DELLE METASTASI NEI PAZIENTI PEDIATRICI CON UNA FORMA AGGRESSIVA DI LINFOMA, QUELLO ANAPLASTICO A GRANDI CELLULE

Rivelato l’importante ruolo, nella disseminazione delle metastasi, degli esosomi circolanti, individuati nel flusso sanguigno dei piccoli pazienti affetti da linfoma anaplastico a grandi cellule.

esosomi metastasi linfoma anaplastico
Il team UniPD con Lara Mussolin

I linfomi non-Hodgkin (LNH) dell’età pediatrica sono un insieme eterogeneo di malattie che possono presentarsi clinicamente anche in forma acuta e aggressiva. Una di queste è il linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL), in cui una frazione ancora consistente dei pazienti che non risponde alla terapia può avere ricadute e non guarire, nonostante i miglioramenti nei tassi di cura ottenuti negli ultimi anni.

Ricerche recenti condotte su diversi tipi di tumori solidi dell’adulto hanno mostrato che gli esosomi, minuscole vescicole rilasciate dalle cellule tumorali e immesse in circolo nel sangue, contengono proteine e materiale genetico. Questi ultimi possono a loro volta essere trasferiti a cellule sane, anche lontane dal tumore, e avere un ruolo importante nella progressione della malattia.

I risultati dello studio hanno rivelato il ruolo fondamentale che gli esosomi, circolanti nel flusso sanguigno dei piccoli pazienti affetti da linfoma anaplastico, hanno nella disseminazione delle metastasi. I dati sono stati appena pubblicati sulla rivista Cancer Communications in un articolo dal titolo “Plasma small-extracellular vesicles enriched in miR-122-5p promote disease aggressiveness in pediatric anaplastic large-cell lymphoma” da un gruppo di medici e scienziati, coordinato dalla ricercatrice Lara Mussolin del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di PadovaLo studio è stato sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.

«In un gruppo di pazienti, dopo la diagnosi di linfoma anaplastico a grandi cellule e prima dell’inizio delle terapie, abbiamo analizzato, con la tecnica di small-RNA sequencing, il carico di piccole molecole, chiamate microRNA, che si trovavano negli esosomi del plasma – spiega Lara Mussolin».

Lara Mussolin
Lara Mussolin

«Le nostre analisi bioinformatiche – puntualizza la Professoressa Stefania Bortoluzzi, del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Ateneo patavino – hanno evidenziato un profilo di microRNA diverso rispetto ai campioni di controllo. In particolare abbiamo notato un significativo aumento del miR-122-5p negli esosomi plasmatici dei pazienti con stadio avanzato di malattia».

«Esperimenti successivi in cellule in coltura e in animali di laboratorio hanno dimostrato che il miR-122-5p inibisce la glicolisi nelle cellule sane, lasciando più glucosio libero. Ciò può favorire – dice Lara Mussolin – la creazione di una nicchia pre-metastatica ‘accogliente’ per le cellule tumorali, promuovendo sia l’aggressività della malattia sia la disseminazione delle cellule tumorali di linfoma anaplastico a grandi cellule. Abbiamo anche notato che elevati livelli di miR-122-5p negli esosomi sono associati a un aumento delle transaminasi nel plasma dei pazienti all’inizio della malattia, indicando che ci sia anche un danno epatico. Il miR-122-5p non è presente nella biopsia del tumore primario dei pazienti, né nelle linee cellulari di ALCL, mentre si trova in abbondanza nel fegato. Questi dati – conclude Lara Mussolin – ci hanno fatto capire che gli esosomi arricchiti di miR-122-5p, che hanno un ruolo importante nella diffusione delle metastasi, non derivano però direttamente dalle cellule tumorali. Queste scoperte, che ci dicono quanto il processo metastatico sia complesso da capire e decifrare, potranno contribuire allo sviluppo di terapia più precise e mirate contro questo tipo di cancro».

Lo studio è stato condotto a Padova, nei laboratori dell’Istituto di ricerca Pediatrica Città della Speranza dal gruppo della Dr.ssa Mussolin, in particolare dalle dott.sse Carlotta C. Damanti, Lavinia Ferrone e Federica Lovisa, e in sinergia con il gruppo di Genomica Computazionale del Dipartimento di Medicina Molecolare guidato dalla Prof.ssa Stefania Bortoluzzi e dal dott. Enrico Gaffo.

Questo importante risultato è stato reso possibile dal sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro all’attività scientifica di entrambi i gruppi coinvolti e alla Dr.ssa Mussolin con l’Investigator Grant dal titolo “Identification of new biomarkers of disease progression in Non-Hodgkin Lymphoma of Childhood: the role of liquid biopsy”.

Link all’articolohttps://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/cac2.12415

Titolo: “Plasma small-extracellular vesicles enriched in miR-122-5p promote disease aggressiveness in pediatric anaplastic large-cell lymphoma” – Cancer Communications (2023).

Autori (in grassetto i ricercatori dell’Università di Padova): Carlotta Caterina Damanti, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Istituto di Ricerca Pediatrico Città della Speranza Lavinia Ferrone, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Istituto di Ricerca Pediatrico Città della Speranza, Enrico Gaffo, Università di Padova, Dipartimento di Medicina Molecolare, Anna Garbin, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Istituto di Ricerca Pediatrico Città della Speranza, Anna Tosato, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Giorgia Contarini, Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza, Padova, Ilaria Gallingani, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Istituto di Ricerca Pediatrico Città della Speranza, Roberta Angioni, Università di Padova, Dipartimento di Scienze Biomediche, Barbara Molon, Università di Padova, Dipartimento di Scienze Biomediche, Giulia Borile, Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza, Padova, Elisa Carraro, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, Marta Pillon, Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova, Federico Scarmozzino, Università di Padova, Dipartimento di Medicina, Angelo Paolo Dei Tos, Università di Padova, Dipartimento di Medicina, Marco Pizzi, Università di Padova, Dipartimento di Medicina, Francesco Ciscato, Università di Padova, Dipartimento di Scienze Biomediche, Andrea Rasola, Università di Padova, Dipartimento di Scienze Biomediche, Alessandra Biffi, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Stefania Bortoluzzi, Università di Padova, Dipartimento di Medicina Molecolare, Federica Lovisa, Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza, Padova, Lara Mussolin, Università di Padova, Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, Istituto di Ricerca Pediatrico Città della Speranza.

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova.